MAATMAN - Il nuovo Mondo

di

Albert Miliam


Albert Miliam - MAATMAN - Il nuovo Mondo
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
15x21 - pp. 379 - Euro 17,50
ISBN 978-88-6037-8200

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In copertina elaborazione grafica di Suzanne Paul


Prefazione

Dopo aver letto il libro Maatman (Il nuovo Mondo) ho fatto subito l’accostamento con le differenti utopie e teorie miranti a livellare l’ingiustizia sociale.
L’idea direttrice è d’agire sabotando i corrotti e i fannulloni disonesti affinché siano posti nell’impossibilità di agire. Così facendo la collettività vedrà il suo destino migliorarsi. L’Autore ha avuto l’ottima idea di immaginarsi l’invenzione di una civilizzazione altamente superiore venuta da un altro Pianeta che si ripropone come missione, quella di salvare il Genere Umano. Sette Saggi venuti dal tempo, dai poteri sovrannaturali, scelgono un uomo di nome Myke, ex detenuto, basandosi sulla teoria della congiunzione astrale e dei pianeti. Lui è effettivamente nato in un momento che fa di lui il prescelto ed il salvatore (Maatman). Tutto è messo a sua disposizione, chiaramente la tecnologia che gli permetterà di smaterializzarsi e di spostarsi nello spazio-tempo, quando vuole, e di una equipe di surdotati che lo assisterà nella sua opera.
Si nota, a questo stadio, l’espressione del mito cosmologico confermato anche per i differenti soggiorni al Planetarium della residenza che gli extra-terrestri gli hanno messo a di-sposizione. Questa residenza, nominata Sokar, è da paragonare all’uovo primordiale in ogni sua parte. Più lontano ancora, la cosmogonia delle Grandi Civilizzazioni si manifesta ancora per i soggiorni riposanti al lago dove l’eroe del testo si reca con la sua compagna. All’origine: lo stato statico è simbolizzato per l’acqua sia per i Sumeri, che per gli Ebrei e gli Egiziani. Il Mito dell’acqua simbolizza anche la potenza della fecondità. In seguito, messo da parte qualche momento di distensione, tutta la storia si riassume in un combattimento tra il bene ed il male che ci fa ricordare il manicheismo. Ma questo non è l’essenziale. Alla guisa di Tommaso Campanella nella “Città del Sole” e di Thomas More nell’“Utopia”, l’Autore crea la sua propria utopia piena di originalità e di verve. In Thomas More i grossi proprietari sono espropriati in favore della comunità. In Campanella non c’è più proprietà privata né denaro con un governo diretto da Saggi. In quest’opera, l’Autore, di Maatman non è un precursore, ma un continuatore fortemente creativo. Se risaliamo ancora il tempo, ritroviamo Platone con “La Repubblica”, in cui afferma che solo i Filosofi Re, che hanno la conoscenza del bene e del vero, sono capaci di governare giustamente in una città modello. Per lui la Giustizia è l’Ordine.Troviamo anche Aristotele che afferma nel Trattato: la Politica: “La Politica è allo stesso tempo il fondamento ed il prolungamento dell’etica e deve mirare all’interesse collettivo.” L’ideale di tutti questi pensatori è la Giustizia, l’etica e l’equità. Più vicini a noi ancora, diversi autori hanno emesso critiche ai governanti della loro epoca. Ricordo qui le “Lettres Persanes” di Montesquieu. Inoltre quest’ultimo preconizza in “L’Esprit des Lois” che il Potere deve fermare il Potere, vuol dire: controllarsi lui stesso. Per questo, vi è un’esigenza: la separazione del potere legislativo, giudiziario ed esecutivo. Voglio citare ancora qualche scrittore: Proudhon, Fourier (fourierisme), Marx, Herze Babeuf (baburisme).
Altri ancora denunciano e, lo troviamo ancora nella letteratura d’opposizione o di ingaggio in qualità di difensori della giustizia sociale: Bougakof, Vallès, Carlyle, Vittorini… Contrariamente a tutti, Maatman è inedito. Non cerca una soluzione di ripiegamento su se stessi, come la teoria di Fourier, o il Kolkhozzismo, o ancora, il kibloutzismo. L’Autore si attacca ad una soluzione planetaria attraverso la scappatoia della creazione del suo partito socializzante: Nuova Coscienza Sociale. Tutti saranno proprietari di tutto a differenti livelli, grazie ad una multinazionale chiamata: “World Work System Found”. Non si tratta, in questo caso, di sopprimere la proprietà privata, come pregonizzava Marx, ma di meglio ripartire e di meglio redistribuire i capitali, come la proprietà.
Posso dunque affermare, senza riserve, che quest’opera è socializzante. Questo romanzo fantastico ci conduce in un universo irreale, dove, a differenza dei suoi omologhi utopisti, include un personaggio femminile pieno di fascino che l’amerà e assisterà durante la sua missione di giustiziere cosmico. Possiamo scommettere che quest’opera può portare la speranza presso coloro che reclamano più giustizia nel mondo e che sarà letto da un grande numero di costoro, affinché il suo messaggio possa propagarsi tra gli uomini e le donne di buona volontà.

Benigno Porru


Introduzione

Dedico questo mio manoscritto ad una donna che nell’arco di questi ultimi anni ha saputo insegnarmi il vero significato dell’amore, come sentimento e come insegnamento di vita. Attraverso lei ho appreso la semplice, ed allo stesso tempo immensa, sensazione del volersi bene e del credere l’uno nell’altro per un vero domani.

Grazie a tutto ciò ho avuto la forza di avere fiducia in me stesso ed in quello che avevo fatto e, grazie al suo profondo amore per me ed al suo impegno vero, morale e materiale, sono potuto arrivare alla mia meta.

Dedico questo libro a Suzanne Paul, al suo amore, alla sua stima per me e a tutti coloro, giovani o non giovani, che come me, credono ancora al magnifico sentimento rappresentato dall’amore.

Buon viaggio agli uomini che vogliono ancora mirare ai veri basilari valori dalla vita, per un domani migliore per se stessi ed il Mondo.

Il mio libro vuole essere un piccolo sussurro d’amore per tutti coloro che ancora hanno una speranza per un futuro migliore della vita futura.

A tutti coloro che mi credono
In fede
Albert Miliam


MAATMAN - Il nuovo Mondo


CAPITOLO I

Era un tempo indecifrabile, tra il freddo ed il tiepido in un’alternanza di mutamenti. Era umido, con un’aria densa, tendente alla nebbia, ma non ancora così densa, mentre le luci delle case che, nel tardo pomeriggio stavano cominciando ad accendersi una dopo l’altra, ancor prima di quelle dei lampioni, sembravano stelle iridescenti appartenenti ad una costellazione che lui non conosceva più: la costellazione città, dalla quale mancava ormai da troppo tempo. Quel sacco che reggeva sulle spalle pesava e gli faceva dolere le gambe non più abituate ai passi della strada. Era intontito, stanco, disperato, disorientato, vuoto, ma felice. Si stava meravigliando della sua impassibilità: non aveva ancora mosso un muscolo del suo viso per esprimere gioia. Era attonito. Si fermò guardandosi intorno per sincerarsi di non essere visto da nessuno e poi lanciò l’urlo di gioia che ormai lo stava soffocando, tanta era la voglia repressa di farlo. Finalmente lo stava lanciando con un dolce senso di soddisfazione, mentre le sue braccia si alzavano di scatto al cielo e scagliavano il sacco, pieno di indumenti, che, volando e rovesciandosi, li faceva sparpagliare tutti sul marciapiede.
Poi cadde su di essi in ginocchio come se l’avesse fatto su di uno spesso tappeto e pianse.
Era felice: aveva ritrovato la libertà, ma al fondo di quella strada lunga, brumosa ed ampia, non aveva più nulla. Né amore, né casa e, per il domani, dove cercarli?
Pianse con i pugni schiacciati agli occhi fino a quando non si sentì esausto.
Se li asciugò sommariamente quasi soddisfatto, ma con, ancora radicato al cuore, il profondo desiderio di una carezza, di un bacio, di un abbraccio.
Si sentiva solo. Disperatamente solo. Ora percepiva l’umidità ed il freddo in tutta la sua pienezza, come sentiva anche, martellante, il silenzio di quella via in quell’ora serale.
I movimenti fatti dalle persone dietro le finestre accese delle case, li vedeva proiettati dalle loro ombre sul marciapiede e danzanti in una grottesca pantomima, mentre, intervallati a silenzi fatti di freddo umido, gli giungevano anche i rumori ed i vocii. Ma lui, dove sarebbe andato? Dov’era la sua tana, il suo rifugio, il luogo in cui ripararsi dal mondo e da tutti i suoi annessi e connessi, per rigenerarsi e sentire un po’ di caldo al cuore, finalmente, dopo tanto tempo?
Guardò tutta la sua roba sparpagliata sul marciapiede. Si mise prima a sorridere, quasi istericamente, poi, si lasciò andare in una risata sonora, piena e liberatoria. Anche ora i suoi occhi lacrimavano, ma per una ragione diversa. Aveva esorcizzato la disperazione, il buio e la paura del domani.
– Non mi piace portare i bagagli – Disse Myke con rabbia – E poi, dove dovrei portarli? Maledizione! – Urlò ancora portando i pugni stretti al volto – Maledizione, non so dove metterli. Beh! Li ricomprerò! –
E sorridente introdusse una mano in tasca estraendone un rotolo di banconote di grosso taglio. Le guardò sarcasticamente: erano soldi guadagnati “onestamente”, quando era in galera.
Ora era fuori! Bene! Bisognava pensare al domani!
Lanciò un’ultima occhiata alle sue spalle verso le luci del carcere, non molto lontano da lui, poi, abbassò lo sguardo ai suoi abiti sparpagliati, rimase un attimo esitante, lo allungò ancora a quelle luci sinistre ed infine si voltò di scatto! Domani vedremo!
Il Bar era ampio, ma fumoso ed affollato.
Il tipico bar di periferia pregno di quell’odore indecifrabile, fatto di un misto di sudore, birra inacidita, caffè mediocre e cicche spente per terra. Era l’ora in cui quelli usciti dalle fabbriche, ancora restavano ad indugiare per un ultimo bicchiere, prima di incamminarsi definitivamente verso casa. Il vociare era forte, come pure le risate ed il tintinnio dei boccali picchiati nei brindisi.
Si fermò sulla soglia per mettere a fuoco e registrare un’immagine ormai persa nel tempo. Com’era diverso quel tintinnio da quello delle chiavi o quel vociare festaiolo dalle urla e dagli ordini impartiti dai carcerieri. Doveva avere un attimo di tempo per abituarsi e mutare i dati nel suo cervello. A tutto ci si abitua: ora doveva rifarlo alla vita.
Percorse lo spazio che lo separava dal bancone dietro al quale, un’avvenente giovane l’attendeva, osservandolo un po’ interdetta dal suo comportamento, non più sicura di dovergli chiedere cosa desiderasse. Myke ne percepì i dubbi e, sfoggiandole un luminoso sorriso, si appoggiò allo stesso ordinando una bella birra alla spina, fresca ed abbondante. Dio che voglia che ne aveva!! Poi i suoi occhi caddero sulla generosa scollatura che lasciava intravedere i seni della ragazza. Anche di quelli ne aveva voglia, ma ci avrebbe pensato più tardi. Una cosa alla volta! “Caspita! Quante cose aveva elencato, nei giorni bui della galera, come di immediata urgenza una volta uscito” Pensò. Poi sorrise tra sé incrociando lo sguardo degli occhioni scuri della ragazza, che, ancora, lo scrutavano interrogativi. Forse non era ancora riuscita a classificare quel nuovo avventore e non sapeva in quale categoria collocarlo.
Myke bevve due lunghe sorsate e socchiuse gli occhi assaporando la birra fresca che gli scendeva. “Che bello!” Pensò “Anche questa è libertà”.
Sorrise alla ragazza. Non sapeva da che parte cominciare e così lo fece da quella più cretina:
– Mi chiamo Myke e Lei? – E, mentre lo diceva, si sentiva uno stupido, ma Lei sorrise:
– Susy mi chiamo. Ma adesso non mi chieda anche gli anni! – E rise – È un poliziotto per caso? –
– Oh Dio no! Per carità! Sono solo un avventore come tutti! E poi, non berrei della birra se lo fossi, non trova? –
– Perché no! –
“Che scemo che sono!” Pensò “Sono rimasto al vecchio luogo comune dei poliziotti che non bevono! Ma se lo fanno anche quando sono in servizio! Scemo!!!”
– Beh, sono vecchio stampo e credo ancora a certi luoghi comuni. –
“Bravo! Si era dato del vecchio di fronte ad una giovane ed appetibile ragazza!” Pensò.
Dopo tutto, però, poteva anche avere delle attenuanti se era arrugginito nel trattare con le donne. In fondo, da dove veniva lui, quel tipo di esercizio non si poteva fare: mancava la materia prima: le donne! Decise che era tempo che riconquistasse il terreno perduto.
– Vedo, Susy, che osserva tutti attentamente quando entrano o quando si muovono nel locale. Le piace stare in mezzo alla gente ed osservarla? Era contento: l’aveva posta al centro del suo discorso.
– Sì, è vero quello che dice, ma ormai qui entrano sempre le stesse facce, tranne in pochi casi, come è stato il suo. Per il resto – Disse facendo un ampio gesto del braccio, che comprendeva tutti. – Non c’è più niente da scoprire. –
– È lo stesso bello ascoltare i loro problemi o gli scorci della loro vita quotidiana? –
– Bah! – Disse accompagnando le parole con un altro gesto di disapprovazione. – Parlano sempre delle stesse cose: calcio, donne e macchine e poi, di calcio, donne e macchine… –
– E poi macchie, calcio e donne! Ah, ah! Sì, in effetti si varia di molto!!! Ah, ah, ah! –
– Mah, lei, da dove viene? –
Ahia! Bene! Si stava interessando o, forse, semplicemente, la noia la faceva parlare. Myke pensò che era meglio non farsi problemi, se non quelli di raccontarle una bella storia plausibile: perché la bimba non doveva essere poi ingenua come voleva far credere e, certamente, sapeva che non lontano da lì c’era una prigione.
Ricordava di aver visto, mentre arrivava al bar, un’officina meccanica ancora aperta, con diverse macchine in riparazione ed allora pensò alla solita scusa dell’auto.
– Ho rotto la macchina e l’ho portata in officina. Poi, camminando, ho visto il bar e sono entrato. Anzi! Come si fa ad arrivare in città partendo da qui? – Le chiese subito per non farla riflettere sulla sua storia.
– Non è difficile. Uscendo vai a destra, poi, dopo cento metri, alla fine dell’isolato, giri a sinistra, sempre diritto ed arrivi alla Metropolitana. Semplice vero? –
– OK Ottimo, pensavo peggio. –
– Guarda che non sei in capo al mondo. È vero, questo non è il centro, ma le montagne sono ancora lontane. –
Myke rise con lei. Aveva constatato che gli stava dando del tu e che aveva anche il senso dell’humour.
– Ti faccio i complimenti: è raro trovare una ragazza bella, simpatica, col senso dell’humour e che ami parlare. –
– Perché, di solito come sono? –
– Quando sono belle all’inizio stanno sulle loro. Vogliono rendersi preziose. Si vendono care! –
Lei rise e Myke le fece eco. Ma, mentre parlava, la sua mente lavorava freneticamente: dove sarebbe andato a dormire quella notte? Certo, si sarebbe dilungato in quel bar in cui era capitato per caso il più lungamente possibile, ma poi?
A mezzanotte la Metropolitana avrebbe chiuso e lui era senza documenti. Anche il suo amico falsario che avrebbe potuto procurargliene, lo avrebbe ritrovato solo l’indomani e lui aveva il problema della notte.
“Non fa nulla!” Pensò. A mezzanotte sarebbe andato in centro a cercare un locale aperto tutta la notte. Poi, domani ci avrebbe pensato.
– Ehi, Susy, a che ora chiudete? –
– Qui? Mai! Anzi, solo due ore: dalle tre alle cinque. –
Caspita, andava benissimo: aveva tutto il tempo! – Ma tu resti qui fino alle tre? –
– No, io vado via all’una. –
Disse incrociando le braccia al petto ed appoggiandosi col tronco al banco, terminando la sua frase, quasi con un sospiro e guardando Myke furbescamente negli occhi.
– Allora, per un po’ mi farà piacere restare… Sono in ottima compagnia. –
– Ti vuoi rendere prezioso? – Disse ridendo.
Bene! La fanciulla doveva aver bevuto fino in fondo la sua balla della macchina e le era rimasto simpatico.
Myke gongolava tra sé e sé mentre continuava a sorseggiare la sua birra guardando Susy, che si spostava per andare a servire i clienti da un estremo all’altro del banco. Allora si allungò discretamente oltre, potendo constatare che la ragazza aveva anche delle belle gambe ed un sedere ben tornito.
Fu in quell’attimo che lei si girò e, anche se Myke si era ritratto prontamente, lei si era accorta di tutto e rise …Ottimo: avevano rotto il ghiaccio. A questo pensò Myke, mentre le ordinava un’altra birra e chiedendole se anche lei avesse voluto qualcosa. Gli rispose che avrebbe preso altrettanto e si fermò a parlare con lui. La cosa aveva decisamente preso un’ottima piega!!!
Tra sé e sé, Myke, intanto, constatava ironicamente, di quante cazzate riusciva a sparare in così breve tempo, ma, pensando che anche quello faceva parte del gioco. Certo! non bisognava lasciarsi prendere la mano, moderandosi al momento giusto, ma quel momento, per ora, non era ancora venuto.
Nel frattempo, il padrone del locale: un omone grande e grosso, non aveva perso un solo gesto di Myke e Susy, ma con la sua aria bonaria era più interessato a spostarsi da un tavolo all’altro dei suoi clienti per fermarsi a parlare ora con gli uni, ora con gli altri, che interessarsi ai due. Ogni tanto urlava a Susy un ordine che lei eseguiva subito e lui, goffamente arrivava con le sue gambe grosse ed impacciate fino al bancone, faceva quasi sparire tra le sue manone il vassoio delle consumazioni, le distribuiva e, con gesto rapace acchiappava velocemente i soldi che si infilava, altrettanto velocemente, in tasca.
Due volte era passato vicino a Myke e due volte lo aveva salutato simpaticamente. La terza volta, dovendo attendere che Susy terminasse di preparare il vassoio, gli si rivolse con vocione rassicurante:
– Tra poco, per chi vuole restare, prepariamo qualcosa da mangiare. Rimanete anche voi? –
– Certo, grazie! –
– Non mi domandate cosa prepariamo? –
– Non ne ho bisogno, sono sicuro che voi siete un buongustaio che ama la buona cucina e ciò mi basta. –
L’omone rise contento a quelle parole: Myke aveva guadagnato cento punti di simpatia con lui. D’altronde, da dove veniva non era in uso chiedere delucidazioni sul menù.
Quando l’omone se ne fu andato, tornò vicino a Susy:
– Gli sei simpatico. –– Disse – Ma è meglio non farlo incazzare. Bene, allora resti a mangiare. –
– Sì. –
In effetti, col passare del tempo, il numero dei presenti andava via, via assottigliandosi. Ogni tanto, qualcuno guardava l’orologio, poi si alzava velocemente dal tavolo, salutava e guadagnava l’uscita altrettanto velocemente, pensando, ai rimbrotti della moglie per l’ora tarda.
Susy uscì da dietro il bancone e cominciò, agile e veloce, a passare da un tavolo all’altro riassettandoli per la cena. Poi calcolò quanti fossero i commensali e li apparecchiò.
Myke la guardava attratto. Era bella, con una folta chioma bruna, due grossi occhi dolci, ben fatta e gradevole in ogni suo movimento. Era convinto che, vestita meglio e truccata a dovere, con i suoi modi raffinati ed aggraziati, non avrebbe sfigurato in nessun posto elegante. Myke aveva fatto quella considerazione, non sapendo ancora, che Susy veniva da un’ottima famiglia.
Stava pensando a tutto ciò, mentre, appoggiato al bancone, si beveva la sua terza birra, quando un signore sui sessant’anni, ben vestito e dallo sguardo intelligente ed intensamente profondo, gli si accostò, anche lui con un boccale di birra in mano.
Myke ebbe un sussulto interiore, della rapidità di una scossa elettrica, a quella apparizione. Preso com’era dalla presenza di Susy, non aveva fatto caso a quel tipo ed ora la mente era in fermento.
Quel tipo avrebbe potuto essere un poliziotto con un altro mandato di cattura! E Myke si maledì perché si era fermato in un bar così vicino alla galera. “Accidenti a lui ed al desiderio di far colpo su Susy.” Pensò incazzato. Si sentiva fregato a quel pensiero, perché, se così fosse stato, entro poco tempo si sarebbe ritrovato di nuovo dentro. Poi cominciò a respirare più profondamente e lentamente per calmare il battito del cuore. “No!” Pensò “Dio non voglia che sia arrivato un altro mandato di cattura chissà da dove. Mio Dio fai che non sia così!”
Si sforzava di calmarsi, convincendosi che il tempo passato là dentro gli aveva deformato i pensieri facendogli apparire ogni individuo un potenziale pericolo od un poliziotto.
Si voltò leggermente verso quel tipo per vederlo meglio, facendogli un cordiale sorriso di saluto, accompagnato da un cenno del capo e disse: – Buonasera! –
– Salve! – Gli rispose prontamente e molto gentilmente quell’uomo.
La risposta di quell’individuo era, per Myke, fin troppo cordiale ed amichevole: tanto che i suoi pensieri, ancora, entrarono in allarme. Chi era, cosa voleva, dov’era prima quel tipo? Perché si era avvicinato a lui con la chiara intenzione di iniziare un discorso? Forse era semplicemente solo e con la voglia di parlare? Questo si chiedeva freneticamente Myke, convincendosi, però, che non poteva più credere a cose tanto semplici. La vita era stata troppo dura con lui per permettergli, ancora, di credere alle favole.
Ormai i cinquant’anni se li era lasciati alle spalle e la sua vita era corsa in cento lidi, sotto cento lune, nel bene e nel male, tra le braccia di donne che l’avevano amato profondamente, o di altre con le quali non c’era stato altro che sesso, o di altre che l’avevano usato. Certo! Come per tanti e tanti altri uomini si poteva raccontare questo, ma, per lui, c’era la differenza che la sua vita era sempre corsa pericolosamente ed altrettanto pericolosamente ne aveva vissuti gli amori.
Era sempre stato un bell’uomo raffinato, venuto da un’ottima famiglia di provincia che gli aveva fatto frequentare i migliori collegi e praticare tutti gli sport: dallo sci, quando ancora non era che per pochi eletti, al nuoto, al tennis, alla scherma, al golf, all’equitazione.
Aveva viaggiato, con i suoi genitori, nei migliori Hotel del mondo e non aveva terminato una prestigiosa Università.
Si era affacciato alla vita con tutte le carte in regola: “dal fisique du role”, all’educazione, all’istruzione e cosa aveva concluso? Di ritrovarsi a cinquant’anni solo, fuori da un carcere senza domani, senza amore, senza casa, con una lunga fedina penale alle spalle e con ancora un numero imprecisato di sospesi con la Giustizia.
Per consolarsi, ogni tanto, si diceva che però aveva vissuto tutto fino in fondo, nel bene e nel male, nella gioia e nel dolore. Ma il tutto valeva il prezzo che aveva pagato e quello che, forse, ancora l’avrebbe aspettato o, più semplicemente, valeva la solitudine in cui era, quando ormai gli anni erano già tanti alle spalle?
A tutto ciò Myke non voleva pensare spesso, perché sapeva che se così non avesse fatto, di certo, sarebbe caduto in profonda depressione. Tutto sommato credeva che se uno si piange addosso si procura solo sventura, creando delle forze negative intorno a sé, che non portano a nulla di buono, né di costruttivo.
Lui era un fatalista: “Era andata così? Il tempo era volato e non sarebbe più ritornato? Meglio pensare positivamente al futuro. Ciò che non si è fatto in cinquant’anni si può anche realizzare in quelli che verranno!” Quella era la sua arma per sopravvivere e convivere con i suoi errori e, quando si sentiva giù non esitava a sfoderarla.
Amava profondamente la vita e pensava che ciò fosse la più bella preghiera da rivolgere al Padreterno, che gliel’aveva donata e preservata in mille momenti tragici e pericolosi, dai quali ne era sempre uscito, se non indenne, a volte, per lo meno ancora sufficientemente sano per poter continuare.
Gli era capitato di sorridere tra sé quando si immaginava il suo Angelo Custode stanco di continuare a tener fede alla promessa fatta di proteggerlo. Lo vedeva sfinito che si buttava in qualche angolo per riposarsi e riprendere fiato.
(La realtà, però, lo riprese rapidamente.)
– Si ferma anche lei a mangiare, da quello che ho avuto modo di sentire e di capire? – Gli chiese lo sconosciuto.
– Sì! È la prima volta che lo faccio, ma non penso che sia deludente. –
E tra sé Myke stava constatando che tutto quello che gli avrebbero dato da mangiare sarebbe stata manna in confronto alla sbobba del carcere. Per cui, non si faceva certo problemi circa la qualità del cibo, quanto, invece, sul cosa volesse realmente quell’individuo che gli era apparso così all’improvviso. E, mentre si stava arrovellando su tutto ciò, con gli occhi cercava ansiosamente Susy: voleva chiederle se lo conoscesse o, per lo meno, se sapesse chi fosse. Purtroppo, però, non la si vedeva dietro il bancone per servire i clienti, perché si era trasferita in cucina per preparare il pranzo. Myke, sempre agitato, stava pensando che quella coincidenza non ci sarebbe proprio voluta. L’ansia continuava ad attanagliarlo, pur se cercava di non darlo a vedere, nella speranza di guadagnar tempo in attesa dell’arrivo di Susy.
Certo che il trattamento del carcere e degli anni percorsi pericolosamente, cercando sempre, per una ragione o per l’altra, di sfuggire, ora alle guardie, ora ad individui scomodi, gli avevano creato una bella deformazione mentale che non gli permetteva mai di rilassarsi o di poter pensare positivamente nei confronti degli altri.
“Meglio prepararsi alla guerra, per avere la pace.” Questa era la sua massima. Se poi viene veramente la pace, allora la si gode più d’appieno! Decise, a quel punto, di passare lui stesso all’attacco. Non sopportava l’attesa o il fatto di dover restare passivamente di fronte all’evolversi degli avvenimenti. Per cui, iniziò lui per primo.
– Anche voi siete un cliente abituale? –
– Non direi. –
Rispose con un sorriso rassicurante, come se avesse inteso i pensieri e le ansie di Myke e stesse cercando di riconfortarlo.
– È la prima volta che mi fermo qui, ma devo riconoscere che c’è una bella e simpatica atmosfera. Il proprietario, con quella sua aria paciosa, trasmette simpatia e cordialità. Ho visto inoltre che ha un rapporto di familiarità con i suoi clienti. A volte li maltratta, ma alla fine ridono tutti. – Lo credo! Grande e grosso com’è, penso che siano in pochi quelli che si possono prendere la briga di voler litigare con lui…! –
Risero insieme e ciò creò una sorta di aria più distesa e rilassata tra i due.
Apparve Susy che rivolse subito uno sguardo sorridente e di complicità a Myke. Lui le rispose con un sorriso e con un’occhiata di furba intesa. Lei si avvicinò e ne lanciò una interrogativa al nuovo intruso, poi, chinandosi sul bancone con la grazia che sapeva usare lei, si protrasse per chiedere a Myke se avesse mangiato seduto al tavolo.
Lui fu ben lieto di risponderle subito di sì, ma non poté domandarle nulla circa il nuovo arrivato.
L’uomo al suo fianco, osservata in silenzio la scena, attese che Susy se ne fosse andata e poi, con un fare sempre cordialissimo, ma mettendo nella sua voce una punta di decisione più accentuata, disse, estraendo qualcosa dalla tasca:
– Questo è il mio biglietto da visita. Vedo che è galantemente impegnato e non voglio fare da terzo incomodo, ma domani venga a trovarmi a questo indirizzo. –
Disse questo indicandogli con l’indice la scritta sul biglietto che teneva con l’altra mano.
– Non sono un poliziotto, non ho nulla contro di lei, ma sono venuto qui perché dovevo incontrarla. L’aspetto domani mattina alle nove e trenta. Non manchi! Arrivederci Myke. –
E, così dicendo, mise in mano il biglietto all’attonito Myke, che mai e poi mai, avrebbe pensato di sentir pronunciare il suo nome da una persona alla quale non si era mai presentato e che mai l’aveva potuto sentir pronunciato da alcuno, perché nessuno lo aveva chiamato per nome.
– Un momento! –
Gli si rivolse allungando un braccio verso la manica della sua giacca per fermarlo:
– Un momento! Ma lei, come sa il mio nome… Aspetti! Facciamo una cosa: sediamoci un attimo. Le posso offrire una birra? –
– Sì, grazie! –
– OK! Ora le ordino le birre. Lei, intanto, prenda posto ad un tavolo. –
– Ma lei ha un impegno galante! –
– A quello ci penserò dopo.Tanto deve passare ancora un po’ di tempo prima che sia pronto. –
Al bancone si era messo il grosso oste e Myke gli chiese le birre ed il conto.
Pagò il tutto e prese i boccali cercando, con lo sguardo, mentre si voltava, a che tavolo si fosse seduto l’estraneo. Lo vide e si incamminò verso di lui.
– Allora! Ricapitoliamo! Lei compare in questo locale, dice di essere venuto perché doveva incontrarmi, mi saluta per nome. Dunque: 1) Come faceva a sapere che mi avrebbe trovato qui? 2) Come faceva a sapere che questo sarebbe potuto succedere proprio oggi ed a quest’ora? 3) Come faceva a sapere il mio nome? 4) Come faceva a sapere che la persona che avrebbe dovuto incontrare fossi io, visto che non ci siamo mai incontrati in precedenza? 5) E… Cosa vuole realmente da me? –
– Tutti questi interrogativi che lei, giustamente, mi pone – Cominciò a rispondere molto cordialmente ed educatamente l’uomo. – Io posso esaudirli con una sola risposta: la conosciamo da tempo e l’abbiamo scelta. –
E, così dicendo, si portò il boccale di birra alle labbra e, dopo aver brindato, bevve.
Myke, a quelle parole, da un lato si calmò, ma contemporaneamente si sentì assalire da altri fantasmi, che, in fondo, rispuntavano da un passato che, forse, in quel preciso momento, aveva solo voglia di dimenticare. Con poche parole, quell’uomo, dal viso simpatico ed aperto, dallo sguardo intelligente e profondo, ben curato nella sua persona e che, in tutti i suoi particolari, appariva ora rassicurante, aveva portato Myke al più completo disorientamento.
In un attimo era riuscito a scardinargli tutte le sue paure e ad infondergliene di nuove e, forse, di più vere e pericolose. Pur accendendogli un lume di speranza in quel buio profondo che, ora come ora gli contornava un futuro inesistente.
Myke era interdetto ad ogni risposta, perché a tutto era preparato tranne che a quel tifone che quelle poche parole gli avevano riversato addosso. Cercò di guadagnar tempo sorseggiando la birra. Nel frattempo cominciava a considerare quella giornata più faticosa del previsto. Lui, che aveva solo bisogno di calma e di pace, si ritrovava, invece, al centro di un enigma dove, per di più, era il soggetto principale.
Terminò di bere e posò il boccale: ora sapeva che qualche idea era riuscito a racimolarla e voleva parlare.
– Scusi? Ma scelto per cosa e poi, perché proprio io? –
L’altro parve non averlo sentito e continuò, ancora per qualche minuto a sorseggiare la sua rimanente birra. Poi, volto lo sguardo, fattosi in quell’occasione ancora più acuto, disse:
– Per questo le ho chiesto di venire da me domani. Per rispondere a tutti i suoi quesiti, con calma e nel modo più giusto. Abbia fede Myke, la vita non è fatta solo di brutte sorprese che attendono dietro l’angolo. A volte c’è qualcosa di vero e costruttivo. Abbia fede in questo! In fondo, lei è da una vita che ha delle delusioni e che resta ottimista, vero? Lo sia ancora e faccia in modo di essere da me domani per le 9.30. Questa sera si diverta e dimentichi tante brutte cose del passato. –
Così dicendo posò il boccale ormai vuoto e, prima che Myke potesse avere il tempo di reagire, si alzò, gli diede una pacca sulla spalla ed allontanandosi disse:
– Ciao! È una bella ragazza, divertiti! A domani. –
Poi, in un attimo era sparito oltre la soglia della porta d’ingresso. Myke corse in quella direzione balzando in strada di corsa per cercarlo, adducendo la scusa di ricordargli che avevo preso l’impegno di restare a cena, ma non c’era più nessuno. Corse all’angolo e scrutò l’altra strada, tornò di corsa indietro giungendo all’altro limite dell’isolato, ma senza trovare nessuno. Allora ansimante si infilò la mano in tasca per cercare il biglietto che gli aveva dato quell’uomo, perché temeva di aver sognato, pensando che anche quello facesse parte di quell’unico sogno. Ma, con gioia, lo sentì sotto la punta delle sue dita, lo estrasse, lo lesse, lo rilesse e pensò che forse qualcosa di straordinario avrebbe potuto accadergli l’indomani mattina alle 9.30 a casa dello sconosciuto. Non sapeva ancora cosa sarebbe potuto succedere, ma, nonostante l’agitazione che continuava a pervaderlo, voleva rassicurarsi nella speranza che avrebbe conosciuto qualcosa di straordinario. Era giusto che fosse giunto il momento di trovare un po’ di fortuna. Il carattere di Myke però, anche se ottimista, era scaramantico e, pertanto, agitato e timoroso.
Decise di rientrare nel locale non volendo pensare più a nulla, se non a pranzare con Susy, conquistarla, riaccompagnarla a casa sua per fare con lei l’amore. Non voleva più pensare: si sentiva esausto.
Rientrò così, quasi di corsa, vedendola sconcertata per la sua assenza e che, con lo sguardo, lo stava cercando. Lui, però, lanciò prima un’occhiata ai due boccali vuoti che erano ancora posati sul tavolo al quale era stato seduto poco prima con quell’uomo, per avere, forse, l’ulteriore certezza che tutto era accaduto realmente. Avutala, lasciato ogni pensiero, decise di dedicarsi solo a Susy ed al pranzo che, con lei, avrebbe consumato. Presero posto ad un tavolino abbastanza appartato, mentre l’oste ed una decina di altri erano ad un tavolo al centro del locale, in una posizione strategica da dove il proprietario poteva agevolmente andare a servire se fosse entrato qualcuno.
– Allora, Myke come va? –
Chiese Susy mentre gli posava dolcemente la mano sul braccio, che lui sollevò fino alle sue labbra per baciarla e dire:
– Mai stato così bene! –
Myke stava cominciando a sentirsi un po’ euforico. Forse tutto ciò era dovuto alle birre bevute, ma, certamente, era il considerare quanto fosse cambiata la sua vita da quando si era svegliato quella mattina in una cella, al suono metallico delle chiavi che ne aprivano i cancelli. Ancora sentiva nelle narici il mefitico odore caratteristico del carcere ed aveva paura che Susy potesse percepirlo nei suoi abiti, ma, fortunatamente, quello della cucina confondeva tutti gli altri.
Tutto questo pensare lo aveva portato a considerare che quello che stava consumando era il suo primo pasto da uomo libero dopo tanto tempo. A quel pensiero sentiva un euforico senso di felicità salirgli dal cuore, tanto forte da fargli provare la tentazione di esternarlo anche a Susy. Si rese conto, tuttavia, che non sarebbe stato il caso di dirle tutto, cosciente anche che gli era impossibile mascherarlo. Doveva prendere una decisione e trovare una scusa per mascherarlo con qualcosa che fosse ovvia:
– Susy! Brinda con me. – Disse alzando il bicchiere – Sono felice di averti incontrata e di essere ora seduto accanto a te a questa tavola. Toccarono, allora, i bicchieri brindando, mentre Lei sfoggiava un’aria felice da bambina, che tanto intenerì Myke. La baciò contento e lei corrispose con trasporto.
Ora non aveva più voglia di stare in quel posto, voleva andar via con lei in uno più intimo ed appartato.
La testa di Myke non lo lasciava mai in pace, pensando sempre a cose che, forse, non avevano significato, ma appartenenti solo ai retaggi di tutte le paure provate che lo assalivano come ora procurandogli un serio dubbio: “E se lei avesse pensato di venire da me? Certo! Sono forestiero e non ho né casa, né albergo. Perfetto! Perfetto? Cretino ed i bagagli? Ed i documenti? E vaffanculo! Proseguiamo e vediamo: quel che accade, accade. Tutto è meglio che stare soli per strada. Piantala! Mangia e non pensare più a cazzate senza senso!”
Era stato un veloce battibecco fatto tra sé e sé, mentre Susy lo guardava interrogativamente.
– Certo, vorrei che fosse già giunta l’ora per potercene andare via insieme. –
Lei sorrise con aria complice, poi, portandosi un dito alla bocca disse:
– Manca poco ed inoltre le prossime ore voleranno. Impertinente! E poi, chi ti ha detto che voglio venire via con te? Chi mi dice che non sei un sadico assassino? –
– Accidenti! Sei grande: mi hai già scoperto, ancor prima che potessi mettere in atto il mio misfatto! Ah, ah! –
– Sono una Sharlok Holmes: non mi sfugge niente. Ed ora? Come la metti? –
– Non te lo dico… Sarebbe una risposta oscena… Ah, ah! –
Ridevano entrambi serenamente a quelle battute cretine, ma che sembravano voler suggellare un loro futuro insieme.
Finalmente Myke aveva lasciato alle spalle timori, dubbi, tristezza, ansia e non si sentiva più il freddo al cuore.
Per una sola notte, forse sarebbe durato solo così, ma almeno per quella avrebbe cercato di appartenere al mondo normale: di coloro che sanno quello che dovranno fare e dove dovranno andare l’indomani mattina, perché si sono costruiti un futuro e si godono gli attimi di una notte come quella: serenamente.
Le ore passarono veloci e Myke, alla fine della serata, salutò il grosso proprietario mentre usciva con Susy sottobraccio e che lo guardava con aria furbetta.
Fuori faceva freddo e c’era la nebbia e Susy, per ripararsi, infilò la sua mano ancora più profondamente, sotto il braccio di Myke, dicendo in tono rassicurante:
– Non temere, tra poco saremo al caldo. Io abito qui vicino. Non è un appartamento molto grande, ma sarò felice di farti visitare la mia Versailles. Ah, ah! –
– OK Principessa, seguirò i suoi passi e sarò il suo Paladino disposto ad immolarsi per la vita della sua Principessa e per il suo onore. –
– Oh Dio! –
Gli sussurrò Susy in un orecchio, mentre con l’altro braccio lo ghermiva e lo baciava sulla bocca con le sue morbide labbra.
Myke levò veloci le mani dalle tasche, l’abbracciò stringendola forte a sé e rispose a quel lungo bacio. Era eccitato nel sentire il corpo di lei strusciarsi contro il suo, anche se tra loro c’erano i pesanti cappotti. Poi, in silenzio, ripresero il cammino e, solo quando furono dentro casa, al secondo piano di un vecchio stabile, parlarono.
– Benvenuto nella mia Versailles. –
Disse Susy mentre sorridendo allargava le braccia. – È tutto qui? Ah, ah! –
Myke andò ad abbracciarla baciandola e cominciando lentamente, a sbottonarle il cappotto. Poi le infilò le mani sotto facendoglielo scivolare dalle spalle. Anche lei aveva cominciato a farlo con dolcezza. Un capo dopo l’altro si sparpagliarono sul pavimento, ritrovandosi, alla fine nudi ed abbracciati sul letto che si rivelò morbido ed accogliente.
Ancora per un attimo Myke ebbe il flash della galera ricordando la durezza delle sue brande e la solitudine in esse provata. Ora aveva quel caldo ed accogliente corpo tra le braccia, quelle labbra e quelle mani e quelle labbra che frugavano il suo in un crescendo di desiderio e di voglia di scoprirsi e di toccarsi in ogni angolo, in una frenetica ricerca di assicurarsi, quasi, che tutto ciò fosse reale e non un sogno destinato a sparire all’istante. Poi, anche lui frugò il corpo di lei con le sue labbra, per sentirsi in paradiso quando queste trovarono l’umido del suo sesso ormai pulsante di desiderio.
Poi, adagio, adagio risalì accarezzandole e baciandole i turgidi capezzoli, mentre le apriva le cosce col suo corpo, per giungere in paradiso quando si sentì penetrare in lei, che lo accolse con un dolcissimo e sensuale gemito di piacere. Lentamente, lentamente, Myke cominciò a percorrere su e giù quel sesso vedendola contorcersi godendo, mentre le sue labbra umidamente dischiuse, ancora cercavano quelle di lui ed ogni suo lembo di pelle, inondandolo di baci.
Fu un lungo e lento movimento che li portò, gradualmente, in un crescendo di passione, fino all’urlo finale e lui, mentre lei gli si dibatteva sotto, tra le sue braccia, la inondò felice e satollo.
Poi giacquero, dopo un lungo tempo passato in silenzio, ancora uno sull’altra, ancora uno dentro l’altra, durante il quale non si parlarono ma si accarezzarono solo dolcemente.
Ributtatosi supino, dopo questi meravigliosi momenti, Myke, passato un certo lasso di tempo, in silenzio ed accarezzandola ancora dolcemente, sentì risalirgli il desiderio. Allora, lentamente, si levò su di un braccio, l’accarezzò, ancora la baciò, poi, le scivolò sopra e la penetrò ancora. Lei non fece alcuna resistenza, ma solo un gemito al suo entrare. Ancora lo accettava e lo assecondava nei suoi movimenti. Ancora Myke si sentì portare in paradiso.
Alla fine, un sonno profondo lo vinse, lasciandolo dondolare in sogni dolci, calmi ed appaganti. Dopo tanto tempo poteva riposare davvero. Anche il suo sonno era felice e soddisfatto.
Ormai abituato a svegliarsi presto, Myke si destò quando cominciavano i primi rumori della città. Non si mosse dal letto per paura di svegliare Susy che, ancora, dormiva profondamente, con il bel viso disteso in un’espressione dolce e serena.
La guardò a lungo e, con la luce del giorno, ebbe modo di constatare che era ancora più bella. D’istinto l’accarezzò impercettibilmente sulle guance bianche, dalla pelle vellutata, come se temesse di rovinarle, quasi fosse stata una preziosa statuina di delicata porcellana cinese.
Poi, centimetro, dopo centimetro, scese dal letto senza muoverlo più di tanto, per infilarsi subito in bagno.
Si sedette sulla tazza, estrasse una sigaretta dal pacchetto che aveva preso sul comodino, l’accese aspirandone voluttuosamente il fumo e cominciando a sentire il suo cervello che si era rimesso in moto.
Era proprio vero che la sala da bagno è l’angolo della casa in cui maggiormente e nel modo migliore, si riesce a riflettere, permettendo ai nostri pensieri, anche i più intimi, di vagare in una miriade di mondi.
E Myke aveva molte cose su cui doveva riflettere!
Allo stesso tempo si era, però rotta in lui la magica atmosfera creatasi la sera precedente ed un fastidioso senso d’ansia cominciò a farsi largo nella sua mente. Ripensò a quanto era successo in quel bar.
Rivide quell’uomo accanto a sé e ripensò alle sue parole. Voleva valutarle meglio, ma si accorse che quell’esercizio altro non gli procurava se non l’aumento della tensione, perché più ci pensava, più si rendeva conto di essere come uno che batteva la testa contro i muri di un vicolo cieco. Non gli dicevano nulla quelle parole:
“Loro! Chi erano? Scelto! Scelto per cosa? Come facevano a conoscerlo? Erano altri Servizi Segreti che avevano preso il suo nome alla matricola del carcere? Volevano ricattarlo per le sue pendenze che ancora aveva con la Giustizia, per costringerlo a fare qualcosa per loro?” Buttò via la sigaretta finita e se ne accese un’altra.
“Già” Pensava “Le parole rassicuranti di quel tipo: Non sempre dietro l’angolo ci sono cose brutte, ma se ne trovano anche di positive. Abbi fede. Ma in cosa e per chi, per che futuro?”
Per Myke le pareti di quel bagno stavano diventando strette ed opprimenti. Aveva bisogno di aria, di fare qualcosa. Di muoversi insomma! Non riusciva più a stare fermo.
Decise dunque di terminare la sigaretta prima di uscire. Forse, inconsciamente, sapeva che una volta al di là di quella porta, per lui, sarebbe iniziato il ballo. L’orchestra misteriosa, già, a sua insaputa, aveva accordato gli strumenti. Stava per cominciare a suonare e lui si sentiva un burattino che non vedeva chi reggesse i fili per farlo ballare sulle note della musica che l’orchestra sola voleva e conosceva.
Anche la sigaretta finì.
A Myke sembrava che lei ce l’avesse contro di lui. La scagliò nella tazza e tirò l’acqua. Attese che il rumore dello sciacquone si fosse attenuato e poi scivolò piano, piano fuori.
Ebbe la bella sorpresa di essere accolto dal sorriso di Susy, che si era messa a sedere sul letto, mentre già faceva bella mostra un vassoio al centro dello stesso, sul quale due belle tazze fumanti ammiccavano maliziosamente.
– Ciao Susy! Perdonami, non mi sono accorto del tempo che volava mentre ero in bagno. –
Così dicendo, girò intorno al letto e si chinò a baciarla. Lei gli passò un braccio sul collo mentre rispondeva al bacio e gli disse:
– È mattina, ora tu avrai tante cose da fare e, forse, una moglie che ti aspetta da qualche parte. Comunque è stato bello. Grazie! –
E, mentre diceva tutto ciò, il suo viso si intristì ed una grossa lacrima le scese lungo la guancia. Myke si chinò, gliela baciò, le prese il volto tra le mani e, commosso come uno scolaretto cretino, ebbe solo la forza di dirle:
– Aspetta! –
Allungatosi sul letto, raggiunto il vassoio afferrò una tazza e, seppur scottandosi, bevve un lungo sorso di caffè. Doveva mandar giù in fretta quel nodo che aveva in gola e che non gli permetteva di parlare. Non aveva voglia di farsi veder piangere.
– No, Piccola mia! Non è per nulla come credi. Non ho nessuna moglie dalla quale debba correre, non ho nessuno tranne te, che abbia le braccia tese pronte ad accogliermi. Sono più solo e disperato di quello che tu possa credere ed il mio domani è legato ad un punto interrogativo nascosto in un indirizzo che non conosco e dal quale dovrei trovare tante risposte. Per le 9.30 dovrò essere là, ma ti prometto che questa sera sarò ancora da te. –
– Che risposte devi trovare? –
– Mi sto ponendo anch’io la stessa domanda! –
– Mi stai prendendo in giro? –
– No! Ti sembrerà, è vero, un gioco di parole, ma, tragicamente, a questo gioco sembra che sia legato il mio futuro, se non la mia vita stessa. –
– Ma che dici? –
Disse Susy alzandosi dal cuscino e tendendo le mani alla ricerca di quelle di Myke, con sul volto espressa l’angoscia in cui quelle parole l’avevano prostrata.
– Dolce, Dolce!… Ssssssst! Buona…! –
Fece Myke allungandole un dito che le posò dolcemente sulle labbra.
– Non cadiamo nel melodrammatico. Scusa, ho sbagliato io con le mie parole. Volevo semplicemente dire – proseguì Myke – che sto vivendo un momento difficile della mia vita e che il mio futuro è legato all’appuntamento di questa mattina. –
– Devi andare da quel tipo che ieri sera era al Bar? –
Dio! Quanto Myke odiava la perspicacia delle donne! Fanno finta di niente, sembra che non si siano accorte di nulla e poi… Tacchete! Eccole che ti lasciano di stucco. Ti fregano ancor prima che che tu abbia potuto dire o fare qualcosa.
– Ti ha dato fastidio che te l’abbia detto? Mi ero accorta che, ieri sera tu parlavi con lui ed io l’ho buttata lì. –
– No! Non mi spiace, è che, purtroppo, noi uomini, alla fine della fiera, facciamo sempre la parte dei cretini con voi donne. È una condanna a vita: cominciamo da bambini quando vogliamo nascondere alla mamma la marmellata rubata, proseguiamo con le ragazzine quando vogliamo vantarci che le abbiamo conquistate, mentre invece, sono loro a decidere e, poi, via, via, avanti negli eventi della vita. Poi si lavora, si corre, si soffre e ci si preoccupa, si fa gli arrivisti, si diventa anche rincitrulliti per voi. E voi? Chiedete la parità dei sessi. Ma vedete un po’… Ah, ah! – Così dicendo, con la mano, fece il gesto di chi vuol mandar via qualcuno. A quel punto si misero a ridere entrambi mentre si abbracciavano.
– Vedi Susy, sono io a non farmi illusioni per noi. Io ho cinquant’anni e tu sei ancora nei trenta. Sei bella, con un domani davanti, con tante cose in cui sognare, se le desideri: anche dei figli. Ed io, invece, cosa potrei darti? –
– Vuoi che sia un addio? –
– No! Voglio che tu sappia che io accetto il gioco. Fino a quando ti farà piacere, mi troverai. Dopo, se sceglierai diversamente, io riprenderò la mia strada. Non ti farò scenate, non ti odierò, non parlerò male di te… Ah, ah! Lo giuro…! –
– Cretino! Mi sfotti anche? –
E sorrise anche lei. Poi, tornata seria e guardandolo fisso negli occhi disse:
– Myke! Tu sei l’uomo che mi sta bene. Hai tanti pregi in te, che forse neanche tu li conosci. Voglio vivere questa relazione serenamente, giorno dopo giorno, poi, se sarà il caso, faremo anche dei progetti, ma ora viviamola senza mentirci. –
– Stai tranquilla, la vivremo come abbiamo deciso fino a quando il rivedersi vorrà dire per entrambi il sorriso sulle labbra…! La gioia di farlo…! –
Dette queste parole, Myke si alzò dal letto. Ora sapeva che il ballo vero stava per cominciare: doveva prepararsi ed uscire.
– Ehi Myke! –
Sussurrò Susy allungando le braccia verso di lui, mentre era ancora seduta sul letto.
– Penso che potrei innamorarmi molto di te. –
– Anch’io Piccolina! –
Si abbracciarono.

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