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Aleksandr Aleksandrovic Blok



I grandi Poeti del Novecento

Aleksandr Blok
«Il pesante vascello dell’anima del poeta»

(Articolo di Massimo Barile Rivista Il Club degli autori 215-216-217 – Anno 21 – febbraio 2012)


Aleksandr Aleksandrovic Blok, nato a Pietroburgo nel 1880, è considerato il più influente e il più grande tra i poeti del simbolismo russo. La sua figura si ammanta fulmineamente di un’aura mistica e profetica: e la sua poesia colpisce subito nel segno. Nonostante l’indifferenza iniziale da parte della critica, fu forte e dirompente, invece, la considerazione immediata che ricevette negli ambienti letterari pietroburghesi e moscoviti. Valerij Brjùsov, nato solo qualche anno prima, comprende subito l’importanza della sua apparizione sullo scenario culturale e, con eguale fascinazione, alcuni giovani poeti e scrittori simbolisti, percepiscono nella parola di Blok non solo quella di un poeta, ma di un “essere superiore”, quasi un veggente ed un profeta che portava l’annuncio di una rivelazione, di una “nuova era” che veniva anelata con attesa mistica.
Tra costoro, v’era, ad esempio, Andrèj Bèlyj, nato nello stesso anno di Blok, e che si rivelerà sicuramente uno dei più interessanti tra i simbolisti russi: anch’egli disprezzato dalla critica e definito un buffone che “profanava il sacro tempio della letteratura”, fu però totalmente privo di quella “ieratica solennità” dei simbolisti, ma degno di essere accostato al grande Gogol; eppure, la sua prosa, pervasa da humour, definito “sconcertante ed originale”, fu apprezzata solo alcuni decenni dopo. Bèlyj, nel 1922, scriverà anche i Ricordi di Aleksandr Blok, che conterrà la storia del simbolismo russo e le atmosfere difficili degli anni 1903-1904, di una esperienza culturale, del rapporto e della comunione mistica con Blok.
La stessa opera di Aleksandr Blok rappresenta, in fin dei conti, una sorta di diario lirico che diventa specchio fedele delle sue visioni, delle sofferte e tumultuose metamorfosi, dei suoi mutamenti esistenziali e del dramma interiore dopo l’accertamento del crollo della figura della mistica amante, della donna che poi aveva sposato, e della successiva presa d’atto dell’assenza della Bellissima Dama, che aveva ispirato le sue prime poesie, sostituendola con l’immagine terrena e tremendamente mondana della figura di una donna “sconosciuta”, che si aggira nei locali tra gli ubriachi, pronta a offrire anche lei una “rivelazione mistica-estatica” ma di tutt’altro genere. E, poi, nell’ultima stagione della sua vita, anche la figura della “sconosciuta” verrà sostituita con l’amore per la propria Terra, per la Madre Russia, che vivrà il periodo drammatico e sanguinoso della rivoluzione.

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In Avanguardia e tradizione, Tynjanov scriverà: «Blok è il più grande tema lirico di Blok…» la leggenda che lo circonda, che l’aveva circondato fin dall’inizio, sembrava anzi precedere la sua stessa poesia; la sua poesia sembrava solo lo sviluppo e il completamento di un’immagine già data. In questa immagine è personificata tutta l’arte di Blok; parlando della sua poesia, quasi sempre, dietro di essa, si pone involontariamente una “figura umana”, e tutti hanno amato la “figura”, non “l’arte”.
Boris Pasternak affermò che Blok «vedeva nel cielo geroglifici», accompagnato dalla sua vocazione di poeta che avrebbe aperto l’orizzonte nella grande poesia russa.
Nell’ Autobiografia, Boris Pasternak offre queste parole: «...E quando in questo regno dell’artificiosità ormai solidamente affermata, ma di cui nessuno più si accorge, qualcuno apre la bocca non per inclinazione alle belle lettere, ma perché sa e vuole dire qualcosa, questo fatto produce l’impressione di un mutamento improvviso, come se i portoni si spalancassero di colpo e irrompesse il frastuono della vita che si svolge di fuori, come se non fosse un uomo a dar notizia di ciò che avviene nella città, ma la città stessa parlasse di sé per bocca di un uomo. Così, per Blok, tale fu la sua parola, solitaria, pura, come di fanciullo, tale la forza della sua creazione… Sembrava che la novità stessa, spontaneamente, da sé si fosse disposta sul foglio stampato, e che i versi non fossero stati scritti e composti da nessuno. Sembrava che la pagina non fosse rigata dai versi sul vento e sulle pozzanghere, sui fanali e sulle stelle, ma che fanali e pozzanghere fossero loro a increspare, come bava di vento, la superficie della rivista e solcarla di umide, possenti tracce».

La parola di Blok è pervasa da magnetismo, come in un abbraccio che conduce a “cerulee visioni” attraverso un occhio invisibile agli altri, ma capace di condurre lo sguardo nelle profondità di quel turbinio discorde di sentimenti, nell’imo dell’anima e delle immagini della realtà.
«Nei bagliori dell’arte/ si vede l’incendio rovinoso della vita» e le sue parole trafiggono il cuore, tra luminosa bellezza della sua lirica e ombre misteriose d’un universo parallelo dove «divampano simboli occulti».
D’altronde, nei simbolisti russi, la visione del mondo come fosse una “foresta di simboli” fu la colonna portante: il significato si espandeva in numerosi e altri significati.
In Blok l’impulso lirico può nascere nel “vento invernale” e nel “crepuscolo primaverile”, nell’alba che “spilla come un rosso fantasma”, tra le grida lanciate al cielo e le cose che si sono già compiute, tra realtà che fa attendere la Bellissima Dama nello “scintillio di rosse lampade” e l’immagine illuminata di Lei: favola e sogno, visione onirica e divino segno per gli eletti del mondo terreno.
Blok si muove, all’inizio del suo cammino, come a ricercare l’estasi rivelatrice in un mondo irrisolto, in una vita che può essere oscura e pericolosa, in una dimensione nella quale immergersi e avvertire l’approssimarsi della tempesta.
Nel flusso della realtà, cosparsa di mistero e tragicità, si può aprire una porta invisibile che conduce alla sostanza stessa dell’esistere, cercando di possederla attraverso una mistica visione, grazie ad un incanto metafisico. Il vortice dell’esistenza vede dissolvere la patina superficiale che vela ogni cosa e tutto ciò permette, come fosse iniziazione dei misteri, di penetrare nelle zone più segrete ed inconoscibili.
L’illuminazione lirica, nella sua forma estatica, elimina la banalità della superficialità quotidiana e introduce alla radice dell’esistenza pura, come a vivere l’ebbrezza suprema.

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La famiglia di Blok vive una condizione che oggi si direbbe benestante. Il padre di Blok, professore di diritto pubblico all’università di Varsavia, era un uomo anch’egli affascinante ma tremendamente egoista e, forse, anche difficile da sopportare nella convivenza quotidiana, dato che la madre del poeta, si separò subito dopo la nascita del figlio. Dopo la tragica separazione dei genitori, lui rimase nelle cure della madre e vide raramente il padre. V’è da dire che la madre del poeta era la figlia del professor Bekètov, famoso scienziato che fu, per alcuni anni, rettore dell’università di Pietroburgo: la vita del poeta trascorse in una famiglia che passava le estati in una piccola fattoria vicino a Mosca; che frequentava l’elitaria cerchia intellettuale, e, tra loro, la famiglia del famoso scrittore Solovev e la famiglia del chimico Mendelèev. Nel 1903, Blok sposerà proprio la figlia del grande chimico.
Nel 1898, Aleksandr Blok iniziò a frequentare l’università, prima la facoltà di legge e poi quella di filologia, ma si laureò solo otto anni più tardi quando era ormai un poeta già conosciuto. Nei primi anni di università era già un poeta che dimostrava grande forza lirica nei suoi componimenti anche se destinati a rimanere inediti. Solo nel 1903, furono pubblicate alcune sue poesie sulla rivista La nuova vita e, l’anno dopo, uscirono in un libro intitolato Versi sulla Bellissima Dama, che sono espressione lirica del famoso “mistico innamoramento” con una figura femminile che riconduce all’immagine soloveviana.
Blok affermò che la sua poesia poteva essere realmente compresa solo da coloro che erano vicini alla sua esperienza mistica e non v’è dubbio che i versi di queste poesie hanno la necessità di essere sottoposti ad una interpretazione, ad un profondo scandaglio che metta a fondamento di questo processo quello stesso sottofondo mistico che si fa rivelazione lirica.
In una galassia di parole, che diventano melodia, armonia sonora, musicalmente veritiera ma quasi vortice ipnotico che deve essere decodificato, si avverte la stessa sensazione che, più tardi, Blok farà dire ad un ascoltatore nella sua pièce teatrale La Sconosciuta: «Incomprensibile, ma supremamente raffinato».

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A poco più di venti anni, nel 1903, Blok sposa la bella figlia del famoso chimico Mendeleev, Ljubov’ (Ljuba) Dmitrevna, anche lei appassionata di teatro e di poesia come lui, ed è proprio a lei che dedica le poesie che compongono i Versi sulla Bellissima Dama dove domina la visione atemporale dell’anima femminile, della figura dell’eterno femminino, che denota l’influenza della visione filosofica di Solovev.
Tutto ha un alone mistico. Ljuba è l’incarnazione della figura femminile: «Alta, bellissima, con lunghi capelli dorati, occhi grigi, carnagione bianca e rosea». Lui, «uomo alto e sottile, dal viso pensoso e dallo sguardo impenetrabile, capelli ricci e fini, occhi chiari e portamento aristocratico», quando incontra Ljuba, scrive parole che sono vortice di sensi ed abbandono all’esaltazione di quella presenza: «L’anima è venuta a me nella sua forma terrestre… non solo esaltazione profetica, ma anche un amore umano».
La loro unione vive sulla fragile linea di confine tra la ricerca di un equilibrio dopo la precedente esperienza sentimentale di Ljuba che ha sofferto anche la tragica perdita di un figlio e la necessità di ritrovare un po’ di pace da parte del poeta, dopo alcuni anni di vita solitaria e inevitabilmente disordinata che hanno comportato fugaci relazioni amorose, alcool, vagabondaggi notturni e frequentazione di locali malfamati.
Per qualche tempo riescono a ritrovare la serenità, complice anche un viaggio in Italia, dove visitano numerose città su consiglio di Solovev: e Blok scrive nei suoi diari tutto ciò che viene vissuto in quel periodo.
Dopo il fallimento della rivoluzione del 1905, sedata nel sangue, la situazione muta completamente, ed il poeta, attanagliato da una crisi profonda e da una sorta di percezione della fine di quella visione estatica della Donna-Bellissima Dama, subisce una lacerazione nel proprio modo di sentire e di “vedere” ciò che si muove intorno a lui, avvertendo una lancinante frattura dentro se stesso. Il mondo visionario viene modificato ed ora diventa un mondo reale, fortemente umano, sicuramente più comprensibile e non più destinato a pochi eletti, eppure, conserva una sorta di immaterialità che riconduce alle nebbie di Pietroburgo, a lontananze misteriose e mentali come a ricordare quei versi nei quali il poeta confessava: «I miei sogni sono aquile che gridano nell’azzurro».
Nel 1907, con il testo teatrale La baracca dei saltimbanchi, v’è il profondo mutamento nella visione di Blok che rinnega il ruolo di poeta-profeta e prende le distanze dal simbolismo con una frattura decisa ma tormentata. Il suo passaggio da una dimensione visionaria e mistica, alla realtà terrena fatta di carne e di sangue, trova la sua massima espressione nella seconda raccolta di poesie scelte, nella quale la figura della Bellissima Dama viene sostituita con la Sconosciuta, presenza che domina l’intero volume con la famosa lirica scritta nel 1906, che porta appunto il titolo La Sconosciuta, protagonista anche di un omonimo dramma, scritto nel 1907.
Ecco allora che la metaforica presenza della “Sconosciuta” dissolve la figura della Bellissima Dama, e diventa “ossessione immateriale”: l’immagine femminile, inguainata di seta, col cappello con le piume di struzzo, la mano sottile inanellata, che, ogni sera, all’ora stabilita, lentamente passeggia fra gli ubriachi, sempre senza compagno, sempre sola, esalando profumi, si siede vicino alla finestra. Il poeta è come stregato da questa presenza, scruta oltre la veletta scura e le visioni sono “incantate lontananze”, remoti e cupi misteri, mentre sente il vino scorrere nei meandri dell’anima.
E, infine, nel 1918, negli anni della rivoluzione, scrisse il famoso poema I Dodici, dove nella sua patria, la Madre Terra Russia, attraversata da violenza ed orrori, Blok racconta di un drappello di dodici guardie rosse che pattugliano le strade di Pietroburgo nell’inverno del 1917. Le dodici guardie sono simboliche e vogliono indicare i dodici apostoli: nella parte finale vi sarà l’apparizione di Cristo che indicherà la strada ai dodici soldati. È come se Blok sentisse ancora un anelito di speranza, una possibilità che potesse nascere qualcosa di nuovo da quel mondo straziato dalle terribili vicende. Gli anni, tra il 1918 e il 1921, sono il periodo più duro del bolscevismo.
Poi vi sarà il silenzio. Come se Blok fosse già morto. Come se Blok non esistesse più. Il poeta è ormai muto, l’uomo è ormai stanco e malato ma, poco tempo prima di morire, nel febbraio del 1921, legge un suo discorso su Puskin. La sua parola è Tenebra e Luce, la sua voce è afflato umano straziante, la sua sostanza di uomo è carne lirica ferita dalla vita: «…La cultura doveva aiutare le masse, senza imporre nulla. Noi non siamo i pastori, il popolo non è il gregge».
Aleksandr Blok muore il 7 agosto del 1921.
Alla cerimonia funebre partecipa anche la poetessa Anna Achmatova, sulle sue spalle lo scialle regalatole da Marina Cvetaeva, che scriverà, in onore del poeta: «Il tuo nome è un bacio dato alla neve… Con il tuo nome il sonno è profondo».
È un periodo tragico e doloroso, si piangono i morti e, se si è fortunati, si vive in esilio.
Tra la Terra ed il Cielo, c’è la silenziosa via di solitudine, la purificazione dell’esistenza. E sarà l’uomo a porre il sigillo. Tutto si è compiuto, i giorni sono contati: «Il poeta muore perché la vita ha perso significato».
E le parole di Blok tornano alla mente come a risalire da un vortice di tempesta, come stelle spruzzate nel cielo: «Fammi sfiorare le pieghe d’argento/ conoscere col cuore indifferente/ com’è dolce la mia penosa via,/ com’è leggero e limpido morire».

Massimo Barile




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