Il cerchio del tempo - Un canto per non morire

di

Andrea Scano


Andrea Scano - Il cerchio del tempo - Un canto per non morire
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Narrativa
14x20,5 - pp. 56 - Euro 6,50
ISBN 978-88-6037-6824

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Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l’autore è finalista nel concorso letterario «J. Prévert» 2008


Prefazione

Dopo il volume “Ramon e Rosa” e la loro dolorosa storia d’amore, Andrea Scano, con questo nuovo racconto dal titolo “Un canto per non morire”, propone la seconda parte de “Il cerchio del tempo”.
La storia raccontata in questo nuovo libro è completamente differente ma tutto ha inizio dal solito misterioso “cerchio del tempo”, con Andrea e l’amico Daniele, che grazie ad un rito magico, chiamano lo spirito di Manuelito, lo spirito guida capace di accompagnarli in viaggi nel passato per far conoscere loro le vite precedenti.
Tutto ha inizio quando Andrea acquista, da un mercante, un libro di magia che contiene formule e riti magici per contattare spiriti e formare il “cerchio magico” oltre ad un medaglione che allontana le forze negative e un secondo libro che riporta le precedenti vite scritte in una lingua antica che solo grazie al medaglione può essere decifrata.
I due ragazzi, Andrea e Daniele, decidono di preparare, per una seconda volta, il cerchio magico che li condurrà in un nuovo viaggio nel passato sempre grazie allo spirito guida di Manuelito.
Questa volta il misterioso cerchio del tempo li porterà nel campo di concentramento di Auschwitz e farà rivivere i crimini atroci commessi in quel periodo, la vita straziante e le condizioni disumane dei campi di prigionia nonché l’angoscia e l’orrore davanti a tale crudeltà dell’Uomo contro l’Uomo.
La nuova avventura, con questo ulteriore viaggio nel passato, porta Andrea a conoscere la sua vita precedente e gli eventi riserveranno delle esperienze sorprendenti ed inaspettate, come l’atto eroico di un prigioniero del campo di Auschwitz e la sua lettera da consegnare ai figli, perché come scrive Andrea Scano, “tutto quello che accade è scritto e la sofferenza servirà all’anima per il grande passaggio”.
“Tutto ciò che facciamo serve a migliorare la nostra anima” e Andrea Scano proietta in un mondo paranormale ma direi anche onirico, quasi per regalare il desiderio di intraprendere continui viaggi nel passato, per conoscere e ri-conoscere nuove entità, esperienze di esistenze terrene recuperate dal passato, reincarnazione in altre vite o misteriose forze che possono mettersi in contatto tramite il famoso cerchio del tempo.
Le manifestazioni ultraterrene, il misterioso cerchio magico del tempo, le vicende raccontate, che dalla dolorosa storia d’amore tra Ramon e Rosa possono passare alla tragicità e al dolore dell’esperienza nei campi di concentramento, fanno sì che Andrea Scano possa recuperare infinite storie, raccontate sempre con discrezione, da inserire in un novelliere del cerchio del tempo.

Massimo Barile


Il cerchio del tempo - Un canto per non morire



Mi chiamo Andrea, ho tredici anni e vivo con mia madre in un piccolo paese situato nell’isola di…
Abito in una villetta immersa nel verde, dove avvengono dei fatti a dir poco straordinari! Avrei piacere di condividerli con voi.

Ora credo sia tempo che inizi questa mia nuova avventura, sperando di coinvolgervi.

Oggi mia madre fa il turno di notte. Appena lei uscirà per andare a lavoro, Daniele ed io incominceremo il rito magico per richiamare lo spirito di Manuelito; potremo così onorare la promessa fatta a tutte quelle presenze che si mostrarono chiedendomi di dare riposo alle loro anime.
Quelle entità si sono manifestate dopo la mia nascita: all’epoca apparivano sotto forme funeste, quali scritte sui muri e mobili scricchiolanti.
Manuelito è il mio spirito guida. La prima volta che ebbi il contatto ultraterreno con lui, si presentò come il Generale Manuelito della Stradera e mi guidò nella mia prima avventura nell’antica Spagna.(*) La curiosità è immensa: dovrò intraprendere un altro viaggio nel passato. Chissà dove ci porterà... In quale epoca? Che cosa avrò combinato in quella vita?
Spero solo di non essere stato così malvagio come quando ero Ramon Dianz de Sitar.
Sono emozionato… non vedo l’ora. Sento il cuore che batte forte, percosso come fosse un tamburo.
Ho paura. Ma ho anche tanta, tanta curiosità.
Rivedere Manuelito, tornare indietro nel tempo… sembra fantascienza, ma per me è realtà. Vorrei rendere partecipi di queste mie sensazioni tutti quelli che io amo, ma non posso. Farebbero di tutto per farmi desistere o potrebbero addirittura mandarmi da un esorcista.
Questo segreto rimarrà tra me e il mio amico Daniele.
Con Daniele ci conosciamo dal tempo dell’asilo: frequentiamo la stessa classe e, grazie a lui, ho iniziato ad interessarmi di questi accadimenti senza averne paura.
All’età di dodici anni, consigliato da Daniele, andai da un mercante di libri usati per acquistarne qualcuno che parlasse di fenomeni paranormali e così cercare di capirne di più su quello che accadeva nella mia casa.
Quel giorno il mercante, senza alcun motivo apparente, mi si avvicinò donandomi un libro di riti magici, e astruse formule per mettermi in contatto con gli spiriti e formare il cerchio magico.
Il libro ha una copertina in pelle morbidissima e di colore nero.
Con il libro mi consegnò anche un medaglione e un altro libro antico.
Compresi solo in seguito perché mi furono regalati… servivano a preparare il cerchio magico che ci trasporta nel passato: il cerchio e il medaglione servono per non essere attaccati da forze negative e il libro antico riporta le mie precedenti vite scritte in una lingua antichissima. Grazie al medaglione ho la possibilità di decifrare quella lingua.
Sono le ventuno e trenta; Daniele ed io siamo nella mia camera che stiamo preparando il cerchio per incominciare il rito. Prendo i libri che tengo ben nascosti per non farli trovare da mia madre (il medaglione invece lo porto sempre con me per proteggermi dagli spiriti malvagi).
“Daniele! Prepariamo il cerchio magico. È ora di scoprire se in questo viaggio verrai pure tu”.
“Non vedo l’ora di iniziare. Sai dopo che Manuelito ci disse che noi due ci siamo già conosciuti in passato, mi è rimasta la curiosità di vedere chi ero e cosa combinai nella mia vita precedente. Se ero buono o ero malvagio. Iniziamo Andrea, e vedi di non sbagliare, quando pronunci le parole per richiamare Manuelito, potrebbe succedere come la scorsa volta che si presentò un’entità malefica”.(*)

Il cerchio del Tempo – Ramon e Rosa


“Sai Daniele, ancora oggi non so cosa sia successo, quando tentammo di richiamare Manuelito.
Lo spirito malvagio era orrendo, ma grazie al medaglione siamo riusciti a richiudere la porta dell’inferno. Ti assicuro che starò attento a non commettere più errori. Leggerò con calma e scandendo le frasi”.
Pronunciai le parole scritte sul libro di pelle nera e la stanza si riempì di un fumo biancastro.
Sentii un brivido percorrere la mia schiena. Mentre la nebbia si diradava, sentimmo una voce che ci salutava. Era Manuelito: il rito è andato a buon fine. “Ci rivediamo ragazzi, oggi è il gran giorno. Torneremo nel passato, ma questa volta in un’epoca più recente: andremo negli anni quaranta”. Daniele lo interruppe. “Manuelito io verrò con voi?” “No! Oggi andrò con Andrea, ma verrò a prenderti in seguito, perché questa volta avrò bisogno anche di te. In questi giorni farete un incontro piacevole. Ci sarà una persona che si aggiungerà alla nostra avventura e sarà importante nel cammino di Andrea”.
Chiesi subito incuriosito chi fosse questa persona, ma lo spirito non volle dire altro a riguardo. Disse solo che sarebbe stata una sorpresa. “È tempo di andare”.
Manuelito mi prese per mano e in un attimo ci trovammo in una stanza. “Manuelito dove siamo?”


“Questo è uno dei tanti campi di concentramento tedeschi: in questo luogo si commisero dei crimini inimmaginabili, questa è Auschwitz”.
Quel nome mi fece ricordare quello che stavo studiando a scuola: cominciai ad avere paura.
La luce tenue nascondeva sangue sulle pareti: in quella piccola stanza un tavolo, al centro una sedia e vicino un tavolino con sopra un macchinario collegato a delle batterie, un secchio d’acqua, e dei cavi come quelli che usava mia madre, quando non partiva la macchina.
All’improvviso si aprì la porta. Entrarono due soldati urlavano e stavano trascinando un prigioniero; era vestito con una specie di pigiama a righe. Sul petto una stella gialla, il viso senza espressione. Rassegnato.
I due soldati lo legarono alla sedia e iniziarono a preparare gli strumenti di tortura. Ridevano e urlavano contro il prigioniero.
Io riuscivo a capire la loro lingua grazie ai poteri di Manuelito: credo che sarei stato in grado di capire qualsiasi lingua si parlasse.
Le minacce rivolte al prigioniero continuarono. Gli urlarono di confessare. Volevano sapere chi stava preparando la fuga dal campo di prigionia. Guardai l’uomo. Il suo viso cambiò espressione, li guardava con sfida, quasi con scherno, li apostrofava con qualche frase. Un soldato lo schiaffeggiò.
In quell’attimo entrò un giovane tedesco. Le mostrine della sua divisa riportavano le SS incrociate e il teschio. Guardai Manuelito.
“Sì quel giovane sei tu. Ora vedrai di quali nefandezze ti sei coperto”. Rimasi esterrefatto.
L’ufficiale diede degli ordini. Il soldato si tolse la giacca e si apprestò ad attaccare una pinza del cavo collegato alla batteria ad un bracciolo della sedia.
Sull’altra pinza c’era una spugna che veniva immersa nel secchio d’acqua.
Il soldato guardò il prigioniero con un sorriso malvagio e gli ordinò di parlare.
L’uomo scosse la testa e sputò verso l’ufficiale. Questi gli appoggiò la spugna sul petto… vidi quel corpo dibattersi, ma dalla sua bocca non usciva nessun lamento. Dopo la seconda scossa un flutto di sangue uscì dalla bocca. Quei criminali provavano piacere nel vedere quell’uomo soffrire.
Come si può essere così maligni? Nulla può giustificare tali crimini.
Manuelito mi sorrise e disse: “Andrea questa volta il tuo cammino sarà più lungo e più sofferto, capirai anche il mio ruolo e quello del tuo amico Daniele.
Ora ti porto a visitare il campo e le baracche. I luoghi dove si commise il più efferato crimine dell’umanità.
Spostatici nel cortile vidi un treno e una massa di persone che veniva fatta scendere. I carri erano strapieni: uomini, donne e bambini, con occhi impauriti. Occhi di chi sa che è finita.
Le baracche e quel treno che trasportava il carico di disperazione mi strinsero il cuore.
I soldati separavano gli uomini dalle donne e i bambini. Fecero la prima selezione incolonnando i prigionieri in varie file. Impartivano ordini ad altri, vestiti con divise a righe. Questi personaggi erano i guardiani del campo: prigionieri che pur di vivere maltrattavano coloro che avevano subito la loro stessa sorte. “Kapò” si chiamavano.
Imprecavano contro i prigionieri e sembravano più cattivi dei tedeschi. Con i loro bastoni colpivano i vecchi e i malati spostandoli in una fila a parte.
Quelle urla, quei visi silenti mi facevano rabbrividire. Quella gente ammassata in quel cortile circondato dal filo spinato.
Mi avvicinai a quelle persone, sapevo che non mi potevano vedere.
Solo Manuelito poteva fare in modo che io venissi visto in quella dimensione.
Il mio sguardo fu attratto da una ragazzina: ebbi una strana sensazione; mi parse che anche lei fosse in grado di vedermi. Mentre mi passò accanto mi fece un cenno di saluto. Rimasi sbigottito.
Era la prima volta che qualcuno riusciva a vedermi. Non ebbi il tempo di parlarle.
L’ufficiale fece un cenno a un soldato e gli ordinò di prendere la ragazza e di portare gli altri al capannone. I Kapò con i loro bastoni iniziarono a far muovere quelle file di disperati.
Credo sia il primo passaggio in quell’inferno.
È stata un’esperienza terribile quella di dover constatare che c’erano individui, detenuti anche loro, che tormentavano gli altri.
I Kapò erano capaci di trasformare in un inferno la vita dei prigionieri. Capaci anche di farli morire. Con botte e con tutti i possibili inimmaginabili provvedimenti disciplinari. Potevano ridurre un uomo al punto di desiderarne la morte.
Riuscivo a muovermi velocemente da un punto all’altro, grazie all’insegnamento di Manuelito.
Entrai in un grosso capannone. Vidi montagne di oggetti rimasi terrorizzato. Poggiati su un tavolo una quantità enorme d’oro: erano tutti denti. A fianco vedevo trecce di capelli neri, biondi, rossi; mi venne un rigurgito, mi sentii male.
Come si può essere così disumani? Come si possono definire individui coloro che si rendono responsabili di crimini così efferati?
I prigionieri venivano spogliati dei loro averi, rapati a zero, e veniva data loro una divisa a righe con una stella cucita sul petto. Mi accorsi che quelle stelle cucite sulle divise dei prigionieri, non erano tutte dello stesso colore, come volessero distinguere l’etnia di quelle persone.
I vecchi ed i malati venivano accompagnati in un altro capannone, dove subivano altre visite in attesa di essere condotti alle docce. Prima di vedere dove portavano gli anziani e i malati, volli fare un giro nelle baracche.
Le prime che vidi mi fecero passare la voglia di andare a guardare le altre: quelle persone sdraiate nei loro giacigli, se così si possono chiamare, quei tavolacci messi a modo di cuccetta, gli uni attaccati agli altri… credo che non potessero neppure girarsi. Come potevano dormire così affastellati.
Lì, attendevano rassegnati una morte atroce.
Cercai Manuelito, ogni tanto mi lasciava solo, dovevo chiedergli perché, volevo sapere dove andava. M’incamminai verso il capannone dove avevano portato gli anziani e i malati.
Li trovai ammassati in uno stanzone, mi meravigliai perché non erano stati smistati come negli altri capannoni. C’erano i vecchi, ma c’erano anche le persone malate.
Uomini, donne e bambini, che si stringevano per mano. Alzai lo sguardo. C’erano dei sifoni come quelli per le docce. Mi venne in mente quello che leggevo nei libri scolastici.
Era una camera a gas. Iniziò ad uscire un fumo grigiastro… urlai disperatamente. Cercai di avvisarli di quello che stava per accadere, ma non potevano sentire.
Il tempo sembrava non passare, ma dopo circa trenta minuti tutto era finito.
Le vittime rimanevano in piedi, non essendoci il ben che minimo spazio per cadere o piegarsi. Anche da morte si potevano riconoscere le famiglie. Si stringevano per mano per l’ultima volta. Solo a fatica riuscivano a separarli per vuotare la camera per il carico successivo.
I corpi venivano gettati via: bluastri, umidi di sudore e di orina. Vidi i cadaveri dei bambini.
Orrore… la testa scoppia, stavo male a quella vista.
Gli addetti allo sgombero dei cadaveri, con dei ganci di ferro spalancavano le bocche dei poveretti per l’ultima umiliazione: gli strappavano i denti d’oro.
C’erano anche uomini con i camici bianchi; presumo fossero dei dottori. Con i loro attrezzi eseguivano meccanicamente e impassibilmente l’indegno compito. Strappavano denti, ponti e corone d’oro. Altri effettuavano ispezioni corporee per cercare monete o brillati. I corpi delle vittime venivano poi gettati in grandi fosse situate vicino alle camere a gas.
Alla vista di quell’orrore urlai e caddi in ginocchio imprecando quel Dio che in quel momento pareva non esistere.
Mentre riempivano la fossa sentii il male che incombeva nell’aria, l’odio che si sprigionava da quei crimini si era materializzato in fantasmi neri alla ricerca di anime dannate. Mi passavano così vicino da sferzarmi la faccia.
Il male che percepivo mi gettò in un profondo stato di angoscia… gridai il nome di Manuelito. Volevo che mi portasse via, volevo tornare a casa. Non avevo più forza di sopportare quello che vedevo. Pensai di farla finita. Non m’interessava più rimettere a posto le mie vite precedenti se il dolore doveva essere così grande. Non m’importava più della mia anima.
Da dietro sentii una mano che mi toccava la spalla. Scattai come una molla in avanti. Era Manuelito.
Non lo lasciai neanche parlare. Gli urlai che non mi doveva più lasciare da solo, che non volevo più continuare. Lui mi accarezzò il viso con dolcezza dicendomi: “Andrea so che è angosciante, ma devi proseguire per te e per quelli che purtroppo hanno sofferto per le tue azioni. Ti devi fare forza. Ricorda che io, ti guardo e ti proteggo, anche se in certi momenti non ti sono vicino. Ora andiamo. Ti riporto a casa, continueremo in un altro momento. Ti devi riposare.
La prossima volta porteremo Daniele e chissà, forse porteremo anche un nuovo compagno”.
Non risposi. Ero troppo disgustato e furibondo per quello che avevo visto. Lo spirito sapeva della mia curiosità di conoscere chi era stato Daniele nella vita precedente e il nuovo incontro. Sapeva anche che loro mi avrebbero sostenuto e indotto a continuare questa storia.
“Manuelito riportami a casa, ho voglia di rivedere Daniele, di raccontargli tutte le atrocità che ho visto”. Desideravo farmi un bagno, mi sentivo sporco, non solo nel corpo.
Arrivati nella mia stanza, Daniele era seduto dentro il cerchio e nelle sue mani teneva stretto il libro di pelle nera. Il suo sguardo trasmetteva quella curiosità e voglia di sapere cosa era accaduto. In quella frazione di tempo che io e Manuelito eravamo stati trasportati nel passato per Daniele erano trascorsi pochi minuti, forse un’ora, dubito di più, mentre per noi erano passati giorni.
L’amico mi tempestò, come suo solito, di domande.
“Andrea, com‘è andata? Cosa hai visto? Chi siamo nel passato e cosa hai combinato? Hai incontrato persone già conosciute nella vita precedente?”.
Gli raccontai quello che avevo visto. Il suo sguardo ad ogni mia parola cambiava espressione, non sapevo se era di curiosità o di disgusto. Gli chiesi di dormire da me con la scusa che l’indomani non saremmo andati a scuola perché domenica.
Non volevo stare solo quella notte. Ciò che avevo visto era troppo. Telefonai ai genitori di Daniele e avvisai mia madre che faceva il turno di notte. Così Daniele si trattenne a casa mia. L’indomani saremmo andati in oratorio per la lezione di catechismo.
Quella mattina incontrai Don Sandro, che mi chiamò in disparte.
Il Don sapeva tutto, fu lui quello che convinse mia madre a non aver paura di quelle presenze e di mettere delle ampolle di acqua benedetta all’interno delle pareti di casa.
“Andrea si presentano ancora fenomeni strani a casa tua? Sai ho parlato con tua madre, ma mi ha riferito che in questo periodo è tutto tranquillo”. “No Don Sandro, è tutto a posto”.
Dissi una bugia perché non volevo allarmarlo, né far sapere nulla a mia madre. I fenomeni non si manifestavano più quando c’era mia madre. Ma quando ero solo tutto iniziava come prima. Però senza minacce né scritte sui muri. Gli spiriti che si presentavano stavano lì a guardarmi. Aspettavano che io prendessi una decisione.
Aspettavano che li invocassi per riprendere i viaggi nel passato.
“Andrea stai tranquillo il tuo Angelo custode ti sarà sempre vicino per proteggerti”.
Mi addolorava mentire a Don Sandro, ma non potevo interrompere la mia missione.
Uscito nel cortile dell’oratorio, andai incontro a Daniele. Ci saremmo dovuti mettere d’accordo. “Cosa facciamo Daniele continuiamo o sotterriamo i libri e il medaglione sperando che gli spiriti ci lascino in pace?” Daniele ebbe un attimo di smarrimento, ma fu solo un attimo. “Andrea dobbiamo continuare, ricordi con Ramon e Rosa? Grazie a te le vittime che causasti nell’epoca spagnola ora possono riposare in pace”.(*)

Il cerchio del Tempo – Ramon e Rosa

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