La promessa di un sogno

di

Andrea Turco


Andrea Turco - La promessa di un sogno
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14X20,5 - pp. 100 - Euro 9,15
ISBN 978-88-6037-7807

Clicca qui per acquistare questo libro

Vai alla pagina degli eventi relativi a questo Autore

In copertina: «Gold rain» di @ Yulia Eniseyskaya (fotolia)


Introduzione

In questo libro ho voluto sottolineare come l’avere un sogno da realizzare sia un motivo in più per continuare a vivere.
Sin da bambini tutti noi abbiamo avuto un sogno nel cassetto. Un sogno che avremmo voluto vedere concretizzarsi nel futuro. C’è chi ci riesce e chi no, ma anche questi ultimi continuano a conservarlo nel profondo del cuore.
Mi ricordo che da piccolo, come tutti i bambini a quell’età, guardavo con piacevole entusiasmo i cartoni animati, specialmente quelli della Disney. Credo che mi abbiano insegnato a non arrendermi nella realizzazione dei miei sogni. Era infatti il disegnatore Walt Disney ad affermare “Se puoi sognarlo, puoi farlo”. Forse i più pessimisti e realisti pensano che questa sia una sciocchezza, una frase che si può rifilare al proprio piccolo solo nell’età dell’infanzia.
Penso invece che questo motto del “se puoi sognarlo puoi farlo”, possa, anzi debba essere portato avanti anche nell’età adulta. Quando siamo grandi abbiamo bisogno di qualcosa in cui credere, in questo caso un sogno da realizzare. Da piccoli noi siamo protetti dalla nostra ingenuità fanciullesca che ci permette di vedere il mondo da una prospettiva migliore. Nessun bianco e nero, tutto è sfumato a colori. Diventati ormai adulti gran parte di noi perde questa visione genuina del mondo. Vediamo tutto o bianco o nero senza possibilità di sfumature. Queste ultime sono proprio i sogni.
Ho sempre creduto e tutt’ora ci credo che sognare sia una sorta di ricarica. Chiudere gli occhi dopo una giornata estenuante e poter fantasticare con la mente ritengo che aiuti ad andare avanti. È una sorta di evasione da ciò che abbiamo attorno che porta ad affrontare la vita reale con più freschezza.
Lo scrittore Paulo Coelho dice “È proprio la possibilità di realizzare un sogno che rende la vita interessante”, io aggiungerei anche “e il motivo per cui va vissuta”.
Vi è anche chi non riesce a realizzare i propri sogni. A queste persone dico di non abbattersi, avere un sogno da realizzare è già di per sé una vittoria. Chi vive senza sogni non vive. Latita.
Molte volte si accusa i sognatori di non voler affrontare la dura realtà. Non è vero. È grazie ai sognatori che l’uomo è potuto andare sulla luna. È grazie a gente come Martin Luther King con il suo “I have a dream” che ora i neri hanno gli stessi diritti dei bianchi in America. È grazie ai sognatori che la civiltà umana va avanti con nuovi progetti, nuovi sogni da realizzare.
Chi non sogna è avido di emozioni. Penso che sognare sia giusto e serva non solo per ricaricarsi e sentirsi vivi dentro ma anche per andare avanti. Avendo qualcosa da realizzare l’uomo si pone un obiettivo e per tutta la vita cercherà di concretizzarlo.
Ho cercato nel mio libro di esaltare il più possibile la realizzazione di un sogno nato da una promessa. Vivere lo sanno tutti è difficile, sognare allevia un po’ la nostra esistenza fatta di momenti belli e di momenti tristi. Per realizzare un sogno a volte non basta la propria forza di volontà, serve una spinta e questa può esserci data da una persona cara. In questo libro è proprio così. Ho sempre avuto e ho un sacco di amici, davvero tanti. Un po’ per il mio carattere socievole e un po’ perché sono stato fortunato. Ho scritto, oltre del sognare come stile di vita anche dei valori come l’amicizia e l’amore che sono fondamentali per un essere umano. Senza questi tre ingredienti la vita perde un po’ del suo vero valore reale secondo me.
Ho cercato di descrivere anche Milano e i suoi abitanti. Sono nato in questa città e per quanto tutti dicano che sia brutta e invivibile a me piace. Quando sono lontano da lei dopo un po’ ne sento la mancanza. Semplicemente è la mia casa e ho cercato di farvi vedere i suoi aspetti più evidenti. Ho cercato, scrivendo, di creare il più nitidamente le immagini che questa città mi ha presentato in questi anni di vita. Come un regista insegue la scena che vuole proiettare così io ho fatto con questo libro. Ho cercato di seguire Thomas in tutti i suoi momenti. Nella sua vita in casa e fuori casa, dentro il suo cuore. Una sorta di Grande Fratello attraverso il quale tutti possano esplorare il mondo di Thomas che alla fine credo sia anche un po’ il nostro mondo.
Il mio augurio più sincero che posso farvi è questo: mentre leggerete (e lo spero perché chiunque scriva alla fin dei conti è un po’ egocentrico, è contento se qualcuno lo legge) questo piccolo libro provate a chiudere per un attimo gli occhi e viaggiate di fantasia. Create dentro di voi quelle atmosfere e quelle emozioni che rendono un sogno bello da vivere e fantastico da realizzare.
Dopotutto dobbiamo sempre ricordarci che la vita è un sogno ad occhi aperti.

Andrea Turco


La promessa di un sogno


1.

«Thomas passa ancora una mano di intonaco su quel muro.»
«Come vuoi tu capo.»
Faceva piuttosto caldo quell’estate del Duemilasei a Milano e Thomas non sembrava molto contento di lavorare a quelle condizioni. Gli servivano però dei soldi, molti soldi. Il perché lo sapeva solo lui. Forse era per questo motivo che tollerava certe cose, come lavorare alle dieci di una domenica mattina. Di solito tutti i ragazzi della sua età a quell’ora erano ancora nel letto a riposare dopo una serata all’insegna del divertimento.
Thomas però era diverso, quando si prefiggeva un obiettivo doveva raggiungerlo sacrificando anche il poco tempo libero che aveva a disposizione per se stesso. A prima vista poteva sembrare un ragazzo senza nessuna qualità, non portato per lo sport. Thomas infatti era esile di corporatura ed era anche molto alto. Sembrava un palo della luce. Era un ragazzo molto sveglio, sempre con la battuta pronta, molto socievole ed era per questo che aveva molti amici.
«Dopo andiamo a berci una birra per rinfrescarci ti va bene?»
Thomas rispose di sì con un cenno del capo, mentre con la mano destra passava il grande pennello con accuratezza sul muro.
Aveva cominciato a lavorare come imbianchino dopo che lo avevano licenziato nel posto dove si trovava prima, un normalissimo call center. Non era certo questa l’aspirazione di Thomas, lo faceva per necessità. Suo padre infatti era scappato con una cubana conosciuta chissà dove ed era letteralmente sparito. Ora era lui l’uomo di casa e toccava a lui pensare al mantenimento della famiglia dato che la madre stava a casa ad accudire la sua sorellina di cinque anni, Sofia.
Per questo motivo questo ragazzo di ventidue anni aveva dovuto abbandonare gli studi universitari. Lo aveva fatto con amarezza perché era stato costretto ad abbandonare il corso di archeologia che tanto lo interessava e più di ogni altra cosa aveva lasciato tutti i suoi amici del corso.
«Bene capo io ho finito qui.»
Thomas passò l’ultima mano di intonaco sul muro e posò il pennello nel secchio. Si asciugò il sudore della fronte con la maglietta e si sedette su uno scatolone posto lì a fianco.
«Ok mi fermo anche io così andiamo.»
Il capo raggiunse Thomas e insieme uscirono dall’appartamento.
Il sole non dava tregua a quei pochi poveri cristi che erano rimasti a lavorare a Milano durante l’estate. Entrarono in un bar lì vicino, entrambi ordinarono una birra media chiara, un buon rimedio contro il caldo.
«Allora Thomas ancora non mi hai detto se hai intenzione di ricominciare i tuoi studi prima o poi… O vuoi lavorare come imbianchino per sempre? Io sinceramente non te lo consiglio, è un lavoraccio fidati.»
«Stai sicuro Teo, questo dell’imbianchino è un lavoro provvisorio, il mio sogno è un altro, credo di essere destinato a fare grandi cose. Grandi cose per me naturalmente, per gli altri potranno sembrare piccolezze ma per me non lo saranno mai.»
«Fai bene ad avere dei sogni ragazzo! Sognare è la ricarica migliore che si possa avere durante la nostra vita. Io non sono ambizioso come te ma penso che se uno crede in quello che fa alla fine riuscirà a raggiungere i propri obiettivi.»
Teo, il suo capo, era un omone di mezza età, scapolo, senza una donna da tempo immemore, era però una brava persona e Thomas ci parlava volentieri vedendo in lui una sorta di amico a cui poter confidare segreti che a nessun altro avrebbe riferito.
Teo bevve l’ultimo sorso di birra e si asciugò la bocca con la manica della maglietta, poi guardò incuriosito il ragazzo.
«Posso sapere qual è il tuo sogno Thomas? Sempre se vuoi dirmelo»
«Bé guarda più che un sogno il mio è la realizzazione di una promessa fatta ad un’amica tanto tempo fa. Vorrei comprare una barca di quelle a motore. Né troppo piccola né troppo grande. Ma abbastanza solida per poter girare il mondo per un po’ di tempo»
«Una barca?» rispose stupito Teo «Ma una barca seppur piccola costa un occhio della testa e certamente con lo stipendio di imbianchino che ti ritrovi passeranno anni prima che tu possa comprarne una!»
Thomas sbuffò. «Lo so anche io che costa comprare una barca che credi?» Si sistemò il ciuffo che gli era caduto davanti agli occhi portandolo con un gesto delle mani dietro le orecchie. Poi continuò: «E comunque i soldi non sono un problema, quelli prima o poi riuscirò a racimolarli, il problema è trovare una buona barca che possa solcare i mari di tutto il mondo, una barca affidabile.»
«Sì questo è ovvio» rispose Teo «E dopo che hai trovato e comprato la barca hai intenzione di viaggiare da solo tutto quel tempo? Non hai qualcuno con cui condividere questa esperienza? Se vuoi ti accompagno volentieri però ti avverto, non so assolutamente niente di una barca, di come la si guida come ci si comporta, sono un uomo da città io, ecco!»
«Tranquillo Teo» Thomas rise un attimo poi continuò «Ho intenzione di fare questo viaggio da solo. In realtà ci sarebbe stata una persona con cui sarei dovuto andare ma non può più venire.»
«Capisco, peccato per lei non sa assolutamente cosa si perde. Io se potessi prenderei volentieri il largo ma sono troppo pigro per farlo.»
I due uscirono dal bar, la loro oasi di rifugio da quel caldo asfissiante. Ritornarono quindi all’appartamento per completare il loro lavoro.
Mentre Thomas passava l’intonaco sulla parte di muro mancante pensava a quello che gli aveva detto il capo al bar “Uno se crede in quello che fa alla fine riesce a raggiungere i propri obiettivi.”
“Già” pensò il ragazzo “Se bastasse solo crederci sarebbe tutto più facile.”

Erano le diciassette, il lavoro almeno per oggi era finito. Thomas e il capo si salutarono e il ragazzo prese l’autobus che lo avrebbe condotto sulla via di casa.
Prima di farvi rientro Thomas era solito fare una passeggiata al parco vicino casa. Durante i periodi estivi lo frequentava volentieri poiché non c’era il caos delle macchine oppure la solita poltiglia di caseggiati che ingombra la città. C’erano solo il silenzio accompagnato dal cinguettio degli uccelli.
Il ragazzo si stravaccò su una panchina, divaricò gambe e braccia e chinò la testa all’indietro, lo sguardo all’insù.
Vedeva le nuvole avvicinarsi e staccarsi, tutte quante con un loro ritmo. Il cielo azzurro, quello intenso dell’estate, gli ricordava il colore del mare che tanto amava e che tanto desiderava solcare prima o poi con la sua barca.
Si destò dai suoi pensieri. Il cellulare stava vibrando.
«Pronto»
«Ciao Thomas sono la mamma, si può sapere dove sei? Sono quasi le otto e fra poco si mangia sbrigati a tornare a casa!»
«Va bene mà, cinque minuti e arrivo.»
Il ragazzo spense il cellulare e con un lieve sbuffo si diresse verso casa.
«Mà sono io!» Thomas varcò la porta e fu dentro. La sua casa era quella di una normale famiglia media italiana. L’unica pecca era la mancanza di un balcone dove poter stare a prendere un po’ d’aria.
«Tommy» Sofia, la sua sorellina di cinque anni, gli corse incontro. Era un piccolo angelo, aveva i capelli lisci biondi che portava fino alle spalle, tra i capelli aveva un piccolo fiocco rosa che Thomas le aveva regalato per il suo ultimo compleanno. Il ragazzo le voleva bene come un padre vuol bene a sua figlia. Poiché a Sofia non era stato raccontato il vero motivo della partenza del padre, Thomas la viziava in tutto e per tutto. Era una piccola principessa per lui e la bambina ne era consapevole.
«Tommy allora domani sera mi porti al luna park vero?»
«Ma sì piccola te lo avevo promesso, la mamma dov’è?»
Sofia indicò con il dito la cucina dove la madre stava preparando la cena. Dopo la partenza del padre il rapporto fra Thomas e sua mamma non era dei migliori. Il ragazzo la accusava di non aver fatto abbastanza per trattenere il marito anzi pensava che la colpa di questo era delle poche attenzioni che sua madre aveva nei confronti di suo padre. La madre, Francesca, una donna sui quarant’anni, aveva avuto Thomas da giovane. Ora non curava più il suo aspetto come una volta, si trascurava e gli effetti li si potevano vedere sulle tante rughe che solcavano già il suo viso.
«Sei ancora passato dal parchetto? Perché non torni prima a casa dopo aver staccato dal lavoro? Così potresti aiutarmi a preparare la cena qualche volta.»
«Mà lo sai che non sono bravo a cucinare, lo sai benissimo.»
«Sì, sì, sempre la solita scusa, comunque prima ha telefonato Riccardo, chiedeva di te.»
«Non ho voglia di chiamarlo ora, mi farò vivo con lui domani oppure lo becco stasera. Comunque grazie per avermi avvertito.»
Riccardo era un amico di vecchia data di Thomas ed era più grande di lui di un anno. Da quando aveva finito la scuola lavorava come aiuto meccanico nell’officina del padre. Ricky, così lo chiamavano gli amici, era diverso da Thomas come carattere. Era schivo e riservato, parlava solo con le persone che riteneva le più fidate e Thomas era una di queste.
Erano cresciuti nel quartiere fin da quando andavano alle elementari. Ora a causa del lavoro di entrambi si vedevano molto di meno ma l’amicizia era rimasta quella di sempre.
Thomas, Sofia e sua madre cominciarono a mangiare come al solito in silenzio. Nessuno parlava più durante i pasti. Probabilmente nessuno aveva niente di interessante da dire oppure, cosa più probabile, nessuno aveva intenzione di dire qualcosa. Solo la sorellina di Thomas interrompeva questo pesante silenzio chiedendo al fratellone cosa avesse fatto al lavoro durante la giornata. Per fortuna il pasto durava poco e quando finiva era un sollievo per tutti quanti.
«Bene mà io vado giù al parchetto, mi becco con gli altri. Ci vediamo ciao.»
«Ancora al parchetto? Ma mi spieghi cosa fai tutta la sera con i tuoi amici giù al parco? Me lo vuoi spiegare che proprio non riesco a capire.»
Sempre la solita domanda e sempre la solita risposta.
«Mà ma che te frega di quello che faccio? Poi anche se te lo spiegassi non capiresti lo stesso. Ciao.»
Thomas non sopportava quel genere di interrogatorio che gli sottoponeva sua madre da un po’ di anni a questa parte. Uscì sbattendo la porta dietro di sé.
Neanche facesse qualcosa di losco al parchetto con i suoi amici. Ci si fumava una sigaretta, qualche birra e quattro chiacchere, niente di così eclatante. Però sua madre riusciva sempre a trovare il pelo nell’uovo e questo al ragazzo dava parecchio fastidio perché sembrava una mancanza di fiducia nei suoi confronti.

Eccolo, il parchetto. Il posto dove passava la maggior parte del suo tempo dopo lavoro e casa. Aveva smesso di frequentarlo quando aveva iniziato l’università. Ora che aveva abbandonato gli studi aveva ricominciato a frequentarlo e con esso chi ne faceva parte, ovvero i suoi amici tra cui anche Ricky.
Il ragazzo entrò dentro al parchetto e scorse in lontananza un gruppo di persone che riconobbe da subito. Infatti lì davanti alle panchine si trovava il loro ritrovo. Tra questi vide David, il “bello” della compagnia che lo vide arrivare.
«Bella Thomas era da un po’ che non ci facevamo vedere eh?» Gli diede una grande pacca sulle spalle.
«Ho avuto da fare con il lavoro, è veramente pesante. Comunque ora sono qui. Novità?»
«Mah nessuna, la solita vita. Sabato sei dei nostri? Andiamo a ballare al Borgo. È pieno di figa lì e tu a quanto vedo ne hai davvero bisogno!»
Dopo questa battuta partirono all’unisono risate e battute a doppio senso da tutti i presenti. Che ci volete fare, David si comportava così con tutti. Thomas lo sapeva e non se la prese, rispose di rimando tirandogli un buffetto sulla spalla.
«Dai sabato sarò dei vostri contento?» Rispose il ragazzo a David.
Poi con lo sguardo cercò Ricky e gli si avvicinò. «Mia madre ha detto che mi hai cercato a casa, che dovevi dirmi?»
Riccardo si fece serio e prese sottobraccio Thomas. «Shhh. Andiamo lì.» Indicò le altalene e fece cenno al ragazzo di seguirlo.
«Allora Ricky che è tutta sta riservatezza? Mi vuoi far sapere che diavolo vuoi dirmi?»
Riccardo sembrava scosso, quasi eccitato e subito rispose all’amico. «Ho rubato un motorino Thomas. Un Phantom grigio!»
«Che cazzo hai fatto?» disse il ragazzo all’amico, sorpreso dalla notizia ricevuta. «Ma che sei scemo? E mo’ che te ne fai di un motorino rubato?»
«Lo smonto e vendo i pezzi uno ad uno. Per questo però mi serve uno che mi dia una mano. Per questo ti ho cercato questo pomeriggio. Volevo parlartene e sapere se tu potevi aiutarmi. Sei l’unico a cui l’ho detto quindi ti prego, aiutami. Ci conosciamo da un sacco di tempo. Sai che non ho mai fatto cazzate in vita mia, però ora mi servono dei soldi subito e facili. Quindi ti prego non dirmi di no.»
“Questa è bella poi.” Pensò tra sé e sé Thomas. “Riccardo che ruba un motorino. Non lo avrei mai detto.” Riccardo era infatti sempre stato un tipo schivo e remissivo. Non era un tipo da fare cose eclatanti, anzi il più delle volte passava inosservato. Poi rubare, lui, non lo aveva mai fatto in vita sua. Uno che anche quando mangiava di nascosto la cioccolata a casa sua non riusciva a trattenere il segreto e lo confessava dopo ai genitori da quanto era onesto. Questo Thomas proprio non se lo sarebbe mai immaginato, il suo amico che ruba, addirittura un motorino!
«Aiuto de che? Sei tu il meccanico qui mica io! E poi…» Il ragazzo accennò una replica nei confronti dell’amico ma questi non lo fece finire che subito iniziò ad implorarlo, ricordandogli la loro amicizia, le cazzate, le bigiate fatte durante il periodo scolastico, le ragazze e tutto quello che avevano passato durante quegli anni in cui erano sempre stati insieme.
«Ti prego Tommy sei l’unico che può aiutarmi ti prego. Giuro che ti do anche una percentuale su quello che ricavo.»
«Non è una questione di soldi Ricky. È per principio. Cos’è non ti bastano i soldi che guadagni come meccanico? Non dirmi che sei messo così male che ti sei messo a rubare adesso. Non è da te e lo sai meglio del sottoscritto»
«Lo so lo so. Ma vedi sono in una brutta situazione. I miei non ce la fanno con l’affitto della casa in più ora mia sorella vuole andare all’università, una di quelle private e fidati che costa un occhio della testa. Ti giuro che ci ho pensato ad altre soluzioni, ma non ne ho trovata una decente. Ti prego aiutami, giuro che non ti chiederò più nessun altro aiuto d’ora in poi. Te lo prometto!»
Thomas scosse un attimo la testa poi dopo un lungo sospiro disse «Va bene ti aiuterò. Però la prossima volta avvertimi che stai nella merda, così troviamo una soluzione migliore rispetto a quella di rubare d’accordo?»
«Sì Tommy, te lo prometto. Grazie guarda non so come avrei fatto senza di te. Grazie di tutto.»
Riccardo abbracciò l’amico con tutta la forza che aveva in corpo, contento di aver trovato in lui un approdo sicuro. Thomas ricambiò, poi insieme ritornarono dal gruppetto di amici.
La sera passò veloce tra una cazzata e l’altra poi tutti si diedero la buonanotte. Thomas e Riccardo si diedero appuntamento l’indomani nel tardo pomeriggio per smontare i pezzi del motorino.
Thomas ritornò a casa, aprì la serratura della porta d’ingresso cercando di fare poco rumore per non svegliare la madre e Sofia. Si diresse quindi nella sua stanza e dopo essersi svestito si coricò nel suo letto a una piazza e mezza.
Cominciò a pensare a quello che era successo durante la giornata, al discorso con il capo, a quello fatto poco prima con il suo amico, a tutto insomma. “Ricky che ruba” pensò “Questa sì che è bella” e si addormentò con un sorriso divertito sulle labbra.


2.

Ecco. Era arrivato lunedì. Il giorno che tutti i lavoratori e studenti in primis non vogliono che arrivi mai. Il perché è semplice, inizia una nuova settimana, il che vuol dire andare al lavoro per chi lavora e andare a scuola per chi è ancora uno studente. Dato che era estate inoltrata gli unici che si alzavano presto la mattina per andare a sgobbare, erano i lavoratori. Thomas era uno di loro.
Dopo essersi svegliato malvolentieri a causa della sveglia sempre troppo invadente, si era lavato velocemente e a colazione aveva mangiato sì e no cinque biscotti. Poi dopo aver salutato la madre e la sorellina era uscito di casa e si era diretto al lavoro. Il capo lo stava aspettando nell’appartamento pronto per essere questa volta imbiancato.
La giornata per fortuna era passata piuttosto in fretta e Thomas appena finito il lavoro aveva preso l’autobus e si era diretto dal suo amico Riccardo, con il quale doveva incontrarsi per smontare il motorino.
“Madonna santa che caldo fa?” pensò tra sé e sé Thomas mentre sedeva sul mezzo di trasporto. “Ma è mai possibile che d’estate non accendano i condizionatori?”
Thomas si guardò intorno, davanti a lui sedeva una coppia di anziani, in fondo invece stavano due peruviani apparentemente ubriachi già nel tardo pomeriggio. Milano d’estate era la cosa più triste che si potesse vedere. Immaginatevi uno di quegli scenari tipici dei film western. Mezzogiorno di fuoco, nessuno in giro, solo qualche cane randagio e pochi avventurosi. Una folata di vento e una balla di fieno che passa in mezzo alla strada principale del paese. Milano era la fotocopia di un paese del selvaggio West ai giorni nostri. Al posto dei cani c’erano gli anziani e al posto della balla di fieno vi erano giornali che volavano sui marciapiedi. Lui, Thomas, era il pistolero, quello pronto al duello e Ricky il suo avversario. Il duello era smontare il motorino.

Thomas scese dall’autobus quando questo si fermò e si diresse verso il garage del suo amico.
«Ohi» Thomas bussò con le nocche sulla saracinesca mezza abbassata del garage. «Ricky apri sono io.»
«Ah bella sei arrivato. Ti stavo aspettando non ho ancora cominciato a smontarlo.» L’amico tirò su la saracinesca del tutto, fece entrare Thomas e socchiuse di nuovo.
Il garage del suo amico più che un semplice garage era una sorta di seconda casa per il ragazzo. Infatti Riccardo ci aveva messo un divano molto vintage sul fondo con di fronte tavolino e sgabello, in alto nell’angolo a destra aveva installato una piccola televisione con tanto di playstation. Aveva anche comprato un piccolo frigobar dove teneva qualche bottiglia di birra che i due ragazzi erano soliti scolarsi quando si ritrovavano.
«Vuoi una birra Thomas?»
«No grazie ne ho bevuta prima una con il capo. Più che lavorare mi sembra di andare al pub ogni giorno stando con lui.»
Riccardo fece un mezzo sorriso poi tornò serio e guardò il motorino.
«Ecco questo è il motorino che ho rubato, se entro stasera riusciamo già a smontarlo da domani possiamo trovare chi ne vuole comprare i pezzi che ne dici?»
«Dico che prima finiamo meglio è. Stasera ho promesso a Sofia che la portavo al luna park vicino all’Idroscalo, quindi dobbiamo fare in fretta»
«Sì sì. Non ti preoccupare Thomas, finiremo presto.»
I due amici cominciarono a smontare i pezzi del motorino. Prima le carene poi il telaio e successivamente marmitta e motore. Alla fine dell’opera sarebbe rimasto solo lo scheletro del mezzo di cui Ricky si sarebbe sbarazzato buttandolo in una discarica abusiva poco lontano da casa sua.
«Allora Thomas, domani vieni a casa mia a vedere la finale?»
Nel Duemilasei l’Italia dopo dodici anni era ritornata in finale al mondiale e i due ragazzi già pregustavano l’odore della vittoria con successivi festeggiamenti che sarebbero poi durati tutta la notte.
«Ok ok. Speriamo in bene. Perdere contro la Francia non si può. Non li posso sopportare quei galletti del cazzo.»
I due si misero a ridere, poi come due api ritornarono al loro lavoro, il tutto intervallato da una cazzata e l’altra.
«Allora Thomas, sei ancora deciso ad andare per mare con la tua barca? È da tanto che non me ne parli. Non è che hai perso la voglia?» chiese Riccardo mentre cercava di svitare i bulloni che tenevano la marmitta attaccata al resto del motore.
«Non è tramontata. È in fase di sviluppo. Ora sto racimolando un po’ di soldi con il lavoro dell’imbianchino. Penso che tra due o tre anni possa permettermi una barca solida.»
«E pensi sempre di andarci da solo? Sai ti dirò mi è sempre piaciuta l’idea di andar per mare anche se non sono un bravo nuotatore. Però sai andare da solo in mezzo all’oceano… So che volevi andarci con Lei e non puoi più, però ormai sono passati un po’ di anni e mi chiedevo se avessi cambiato idea…»
Thomas si fece scuro in volto, aspettò un po’ di secondi prima di rispondere. Riccardo vedendolo contrariato si affrettò a dire qualcosa. «Scusa scusa, non volevo riaprire ferite. È che credevo ti fosse passata. Ho detto una cazzata vero?»
«No Ricky tranquillo. È che non ho superato la cosa. So che è passato tanto tempo, cinque anni non sono pochi però ancora non riesco a dimenticarla. Che ci vuoi fare, passerà con il tempo, almeno spero. Comunque non ti preoccupare per me. Andare da solo mi farà bene, poi parlando seriamente, se tu mi cadessi in acqua ogni due per tre non posso mica venirti a salvare ogni volta non credi?» Thomas fece una grossa risata cercando di sopprimere la tristezza che aveva in fondo al cuore. Di Lei meno se ne parlava meglio era.
«Secondo me, fai bene ad andartene. Anche io se ne avessi l’opportunità me ne andrei via da ’sto quartiere. Non ti dà sbocchi. Guarda cosa sono andato a fare, l’aiuto meccanico. Poi vedi i nostri amici, chi cazzeggia al parchetto o chi lavora come operaio. Nessuno che ha sfondato. Tu però Thomas sei diverso a mio parere. Non sai quanto mi è dispiaciuto che tu abbia dovuto lasciare l’università. Però sono sicuro che farai qualcosa di grande.»
Riccardo era veramente un bravo amico. Sapeva come prenderti e consolarti e anche se parlava poco riusciva con poche parole giuste a farti ritornare il sorriso.
«Grazie Ricky, veramente grazie.»
I due amici ritornarono al lavoro. Mancava ormai poco, la maggior parte dei pezzi era stata smontata. Riccardo non riusciva a smontare un bullone, cercò la chiave apposita per svitarlo, ma non la trovava. Quindi si rivolse a Thomas.
«Senti non è che puoi vedere su in casa mia nel ripostiglio se trovi una chiave da dodici? Mi serve e tra quelle che ho qui non c’è. Tieni le chiavi.»
Ricky lanciò le chiavi al ragazzo.
«Va bene.» acconsentì Thomas.

Riccardo, oltre che poco propenso a parlare ed essere un tipo estroverso, era infatti molto, ma molto, pigro. Thomas lo sapeva bene ed era per questo che era rimasto stupito da quanto aveva fatto l’amico. Rubare un motorino lo fa una persona attiva, richiede comunque una gran dose di palle (e Thomas non credeva che l’amico le avesse) e di peli sulla lingua. Sapeva che l’amico non navigava nell’oro però non lo aveva mai ritenuto capace di arrivare a rubare qualcosa. È vero quello che gli aveva detto Riccardo riguardo al quartiere. In effetti sia lui che gli altri suoi amici non avevano un futuro dorato davanti a loro, complice anche il fatto che emergere in un quartiere di periferia di una città come Milano è parecchio difficile. Chi ci riesce è perché vuole uscire da quell’impasse, da quella vita piatta fatta di poche pretese e quattro soldi. Thomas era uno di quelli che volevano uscire da quel giro. Per questo aveva cominciato a frequentare l’università e aveva scelto la facoltà di archeologia. Con un lavoro come quello dell’archeologo di certo non avrebbe guadagnato un granché però gli avrebbe dato la possibilità di viaggiare e quindi di allontanarsi da quel posto che lo aveva tenuto imprigionato per ventidue anni della sua vita. Non che il quartiere fosse una sorta di prigione ma Thomas aveva voglia di emergere, di conoscere il mondo. Sapeva che Milano era solo un puntino su una carta geografica. Il mondo, secondo il ragazzo, lo attendeva, e lui non voleva farlo aspettare.

Thomas alzò la saracinesca del garage per uscire. Mentre entrava nell’androne del palazzo il ragazzo notò che dal cancelletto del giardino era entrato un carabiniere che riconobbe subito. Era infatti Mario, un vicino di casa di Riccardo.
“Speriamo non scenda giù in cortile” pensò Thomas.
Il ragazzo prese l’ascensore e schiacciò il tasto numero cinque poiché il suo amico abitava al quinto piano. Aperta la porta d’ingresso Thomas stava per dirigersi verso lo sgabuzzino per prendere la chiave, quando sentì degli schiamazzi provenire da fuori.
Subito corse verso il balcone della sala, aprì la porta finestra e si affacciò per vedere cosa stava succedendo. Dall’alto notò subito che Mario, il carabiniere, era sceso giù nel cortile dove stavano i garage e dato che Thomas si era dimenticato di abbassare la saracinesca l’uomo doveva aver visto Riccardo con il motorino smontato a pezzi.
«Glielo giuro è mio!» urlava l’amico in direzione del carabiniere cercando di provare a discolparsi in qualche modo. «Bene allora non ti dispiacerà se chiamo il comando per vedere se c’è una denuncia in merito alla scomparsa di un motorino con quella targa no?» rispondeva a tono Mario.
Thomas seguiva la scena dall’alto. Mille pensieri sovrastavano il suo cervello. Che fare ora? Scendere giù e spiegare il tutto al carabiniere sperando che questi chiudesse un occhio? No non lo avrebbe fatto di certo. Che fare dunque? Scendere significava per lui andare in questura insieme all’amico perché alla fine era suo complice in quanto lo stava aiutando a smontare il motorino. Ma non scendere significava abbandonare l’amico ad un triste destino. «Cazzo che situazione di merda» sentenziò Thomas, poi sbattè un pugno sul davanzale del balcone, frustrato per non aver trovato una soluzione migliore da quella che gli era venuta in mente subito, ovvero scappare.
Sì, scappare è da vigliacchi è vero, però certe volte bisogna ragionare da egoisti. Quando qualcuno si trova in mezzo a qualcosa che non aveva previsto, si trova davanti due soluzioni: la prima la più semplice è evitare l’ostacolo, la seconda è affrontarlo. Thomas in questo caso aveva scelto la prima soluzione. Aiutare l’amico significava quasi certamente andare incontro a problemi con la giustizia e con la situazione famigliare precaria che si ritrovava non era affatto il caso combinare altri casini.
Scappare voleva dire abbandonare il suo amico e questo certo non gli faceva onore. Ma a cosa serve l’onore dietro una denuncia fatta dai carabinieri? A niente.
Thomas vide l’amico che veniva portato via dal carabiniere. Ormai aveva deciso. Non sarebbe sceso ad aiutarlo, la paura era troppa. Il ragazzo chiuse la porta della casa e mise le chiavi sotto lo zerbino poi scese lentamente le scale con la preoccupazione che il carabiniere volesse salire nell’appartamento per parlare con i genitori di Riccardo. Non avrebbe trovato nessuno, i suoi infatti erano partiti per le vacanze.
Arrivato davanti all’uscita del palazzo scrutò guardingo il giardino poi si guardò dietro di sé. Nessuno in vista, la via era libera. Aprì il portone e corse via come un centometrista verso la stazione del metrò.
Mentre correva pensava al povero Riccardo che veniva portato al comando dei carabinieri. A tutta quella sfilza di domande che gli avrebbero fatto, a lui che avrebbe confessato perché non sa mentire.
È proprio vero il detto che dice la fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo. L’unica volta che il suo amico aveva fatto qualcosa di sbagliato era stato beccato.
Thomas scosse la testa mentre attendeva il treno sulla banchina. Il cartellone luminoso segnalava due minuti. Il tempo gli sembrava non passare mai, in questo momento aveva solo voglia di tornare a casa, di non pensare a quello che era appena successo. Avrebbe dovuto dire a Sofia che non poteva portarla al luna park dell’Idroscalo, non se la sentiva proprio.
Il treno era arrivato e il ragazzo salì, durante il tragitto pensò alla migliore scusa possibile per giustificarsi con la sorella, in ogni modo lei non l’avrebbe presa bene.
Lotto, fermata Lotto. L’altoparlante scandiva le parole della stazione in cui si era fermato il treno, era la sua stazione, Thomas si destò dai suoi pensieri e scese di corsa prima che le porte si chiudessero.
Lentamente si diresse verso casa. Purtroppo aveva trovato un’unica soluzione, in questo caso la migliore da dare come risposta alle sicure domande di Sofia. Le avrebbe detto che non si sentiva bene.

«Sono tornato.» Thomas chiuse la porta dietro di sé e appoggiò il marsupio sulla sedia di fianco all’ingresso.
«Eccoti finalmente!» Sofia corse verso il fratellone e quando lo ebbe raggiunto lo abbracciò e si fece prendere in braccio. «Allora sei pronto per portarmi al luna park?» chiese la sorella
«Ecco vedi…» il ragazzo tentennò un attimo poi prese coraggio e disse «scusami Sofia ma stasera non mi sento molto bene, penso di aver preso troppo caldo in testa quest’oggi al lavoro, non sarei di compagnia mi dispiace.» Sofia stava per mettersi a piangere ma Thomas riuscì a farle tornare il buon umore con una promessa: «Ti prometto che domani ti porto anche se non mi sentissi bene ok? È una promessa e io le mantengo sempre le promesse!»
Il ragazzo diede un bacio sulla fronte della sorella e si diresse con lei verso la cucina dove la madre stava preparando da mangiare.
«Com’è andata al lavoro?»
«Al solito.»
Le conversazioni tra i due si riducevano sempre a quattro parole in croce. Entrambi, madre e figlio, mal si sopportavano e in quelle poche volte che si incontravano, ovvero a cena e la mattina a colazione, sembravano due perfetti estranei.
Finito di mangiare Thomas si alzò dalla sedia e si diresse verso camera sua. Stava ancora pensando al suo amico, a cosa gli era successo. Non sapeva veramente che fare e non riusciva nemmeno a pensare ad altro. Doveva tenersi occupato in qualche modo oppure diventava pazzo.
La cosa che gli riusciva meglio e che lo poteva aiutare a far passare la cosa era scrivere. Sì perché a Thomas scrivere piaceva tantissimo quasi come andare in barca. Si ricordava di una frase letta in un libro di Sten Nadolny, La scoperta della lentezza, diceva: “Scrivere era faticoso, ma era come un viaggio per mare, creava da sé le energie e le speranze necessarie che poi bastavano anche per il resto della vita.”
Il ragazzo accese il computer e cliccò sul file Word dove stava scrivendo una storia. Lesse le prime righe del racconto che aveva scritto e lasciato incompiuto. “Sapete, da piccolo prima di andare a dormire mi chiedevo sempre “Ma cosa sentirò prima di morire, l’attimo prima che il mio cuore finisca di battere e io chiuda gli occhi per sempre esalando l’ultimo respiro, quei trentuno grammi di anima che escono dal mio corpo verso chissà quale meta…”
Cominciò a digitare qualche parola ma subito la cancellò, non gli piaceva. Riprovò una seconda volta ma con lo stesso identico risultato. Non riusciva proprio a combinare un bel niente. Troppi erano i pensieri rivolti al suo amico. Chiuse il file e spense il computer.
Cavolo come era difficile non pensare. Molte volte la maggior parte delle persone compie cose senza neanche pensarle. Eppure quando si cerca volontariamente di non pensare non vi si riesce.
Thomas non sapeva veramente cosa fare. Guardò l’orologio, segnava le nove e mezza di sera. Era anche presto per andare a dormire. Aveva bisogno di qualcuno con cui confidarsi ma con chi? Il suo migliore amico ora si trovava di sicuro al comando dei carabinieri, sua madre neanche a pensarci, Sofia era troppo piccola per capire.
Alla fine decise dove andare. Era la sua ultima decisione, ma la migliore. Era da tanto che non andava a trovarla. Il lavoro gli occupava tutto il tempo libero però in questo caso aveva bisogno di Lei. Dopo essersi assicurato che Sofia si fosse addormentata prese le chiavi di casa e si diresse verso la porta d’ingresso.
«Dove stai andando?» La voce di sua madre arrestò il suo passo.
«Fuori.»
«Fuori dove?»
«In giro.»
«In giro dove?»
«In giro mà, cosa cambia se ti dico dove vado?»
«Cambia cambia, non far tardi.»
«Se ciao.»
Thomas sbuffò un’ultima volta ed uscì di casa. In estate inoltrata Milano di sera era più deserta che di giorno. Gli autobus passavano una volta ogni mezz’ora. Il ragazzo sperava di prendere la coincidenza giusta. La fortuna a quanto pare questa volta gli arrise e infatti il mezzo arrivò e Thomas salì.
Guardò all’interno dell’autobus, c’era un odore nauseabondo e quasi sicuramente questo veniva da quel tizio che sedeva negli ultimi posti. Un barbone, una di quelle persone che non si può permettere certo di andare in vacanza.
Thomas si chiedeva sempre come mai facesse sempre più caldo dentro l’autobus che fuori. Non riusciva proprio a capire come mai su quei mezzi l’aria condizionata non funzionasse.
Il tragitto verso la meta prefissata da Thomas fu piuttosto veloce dato che alle fermate non c’era nessuno a quell’ora, quindi il ragazzo prenotò la sua e l’autista arrestò il mezzo.
“Fermata Musocco, fermata Musocco” scandiva lentamente l’altoparlante.
Il ragazzo scese dall’autobus, si guardò un attimo intorno, poi diresse il suo sguardo verso il posto dove doveva dirigersi: il cimitero maggiore di Milano.
Non c’era proprio nessuno in giro a quell’ora. Solo qualche zingaro che camminava a fianco del marciapiede, ma era normale dato che a fianco del cimitero si trovava un campo rom.
Lentamente Thomas si avvicinò ai cancelli per vedere se ci fosse qualcuno di sorveglianza. Notò una guardia quindi scartò l’ipotesi di scavalcare la cancellata dell’ingresso principale. Cercando di non dare nell’occhio si diresse verso una zona buia dove il muro di cinta presentava dei buchi da usare come appigli.
Dopo essersi rassicurato che non arrivasse nessuno, cominciò la sua scalata addirittura meglio di Reinhold Messner. In pochi secondi fu dentro il cimitero. “Bene” pensò,” il più è fatto ora cerchiamo il posto.” Thomas dovette prima ambientare gli occhi al buio e poi cercare di fare mente locale sulla sua attuale posizione all’interno del Campo Santo.
Dopo poco capì dove si trovava e subito si incamminò verso la meta del suo “viaggio”.
Un nugolo di pensieri si affastellava nella sua mente. Era da tanto che non veniva in quel posto. Aveva sempre cercato di evitare di andarci. L’emozione che provava era troppa e aveva paura che questa lo fermasse nel suo intento.
C’era solo lui nel cimitero. Sentiva sotto le sue suole lo scricchiolare dei sassi provocato dal suo incedere lento per paura di essere scoperto.
Campo otto, ormai era arrivato. Cominciò a cercarla con un po’ di fatica data la scarsa luce però alla fine la trovò.
Ora era lì davanti a lui, come cinque anni fa, l’ultima volta che la vide. Poi non era più andato a trovarla. Sopra la tomba vi era la foto di Lei che sorrideva come sempre aveva fatto durante la sua vita. Quel sorriso che lui aveva visto molte volte prima che si spegnesse del tutto quella mattina d’autunno di tanto tempo fa. A fianco alla foto c’era un vaso con dentro dei fiori freschi. Probabilmente i suoi genitori erano andati a trovarla recentemente. Erano delle camelie bianche. A lei piacevano moltissimo i fiori e i suoi preferiti erano proprio quelle.
“Perché proprio le camelie bianche?” le aveva chiesto una volta Thomas che di natura era sempre stato un ragazzo curioso. “Perché se sono bianche puoi decidere tu il loro colore. Ti senti libero di scegliere” gli aveva risposto con il suo solito candido e dolce sorriso.
Gli si era formato un groppo in gola pensando a queste cose. Ricordi, bellissimi ricordi, quelli che rimangono per il resto dell’esistenza e quando sei depresso li riporti in vita e ti senti di nuovo felice. Ne aveva tanti di ricordi con lei protagonista e tutti erano stupendi.
Thomas si chinò verso la tomba, accarezzò la foto come un padre con il volto di suo figlio e disse sotto voce «Come stai piccola?» Sapeva che non ci sarebbe stata risposta però dentro di sé era sicuro che Lei lo stesse ascoltando e in quel momento Lei era lì con lui.
Il ragazzo allora si sedette e rimase un attimo in silenzio a fissare la foto.
«Ne è passato di tempo vero? Scusami se non sono mai venuto a trovarti da quella volta, però sai ho avuto paura. Paura di accettare che fossi morta. Io non l’ho mai accettato sono sicuro che vivi ancora dentro di me. Non poter più sentire la tua voce, tu che ridi ecco… è difficile da spiegare. Forse ora ti starai chiedendo perché sia venuto qui ora e non prima. Vedi, non saprei proprio cosa rispondere. Sarebbero tante le cose che ho da raccontarti, cinque anni sono lunghi e ne succedono di cose, però non voglio annoiarti con tutti questi discorsi. Ti posso solo dire che sto quasi riuscendo nel nostro sogno. Fra un po’, diciamo ancora un annetto, avrò abbastanza soldi per permettermi una barca e andare per mare come ti avevo promesso ricordi? Manterrò quel patto che abbiamo fatto cinque anni fa stanne certa! Ti ricordi Sofia? Era appena nata quando tu la conoscesti ora ha cinque anni e devi vedere che caratterino che ha adesso. Sicuramente farà perdere la testa a tanti ragazzi quando sarà grande ne sono sicuro. Quando sorride un po’ mi ricorda te. Mi manca il tuo sorriso, mi manchi tu Mary.»
Senza che se ne accorgesse, Thomas stava piangendo. Continuò a parlarle, a raccontarle che aveva scelto la facoltà di archeologia e che aveva dovuto abbandonarla perché suo padre era scappato di casa e toccava a lui ora mantenere la famiglia. Al fatto che l’Italia era arrivata in finale nel Mondiale contro gli odiati francesi. Rimase mezz’ora seduto lì di fronte alla fotografia di lei. Era come se si fosse innamorato una seconda volta.
«Sai Mary, non sono riuscito più ad avere una ragazza da quando te ne sei andata. Forse perché penso che nessuna sarà mai speciale come te. Tu eri unica e non lo dicevo solo io credimi. Lo pensavano tutti anche Riccardo.»
Thomas fece una pausa e si ricordò perché era venuto fin lì. Aveva bisogno di parlare con qualcuno, di confessare quello che era capitato al suo migliore amico. Schiarirsi la mente e capire quale fosse la cosa giusta da fare.
«Ti ricordi Riccardo? Tu mi dicevi che era proprio un bravo ragazzo. Un amico sincero. Ecco vedi sono venuto a parlarti di lui. Ha fatto una cosa che non ritenevo possibile da uno come lui. È sveglio e intelligente. Il classico bravo ragazzo che tutti vorrebbero come amico le ragazze come moroso. Oggi lo hanno beccato mentre smontava un motorino che aveva rubato il giorno prima. Io ero lì con lui ma invece di aiutarlo sono scappato come un vigliacco. Non so cosa mi sia preso giuro, ma la prima cosa che ho pensato è stata quella di scappare da perfetto egoista. Non sai quanto mi faccia schifo Mary.»
Il ragazzo sbattè la mano destra chiusa contro il terreno per la rabbia che covava verso se stesso.
«Vorrei tanto avere un tuo consiglio. Tu ne avevi sempre di ottimi e a me piaceva ascoltarti quando parlavi. Sei la ragazza più intelligente che io abbia mai conosciuto, è grazie a te che ho deciso di iscrivermi all’università al posto di andare a lavorare come commesso in un anonimo negozio di Milano. Tu sapevi sempre cosa era giusto e cosa era sbagliato. Sapevi sempre cosa fare in ogni situazione e io mi aggrappavo a te nei momenti difficili. Anche in quelli in cui eri tu ad aver più bisogno di aiuto di me. Però eri la ragazza più buona del mondo. Mettevi gli altri prima di te e non chiedevi mai nulla in cambio. È per questo che mi piacevi ed è per questo che ti voglio bene come cinque anni fa.»
Thomas sorrise dolcemente dopo aver detto quelle parole. Le aveva dette cadenzando ognuna di esse, dando a ciascuna il giusto peso. Poi si era soffermato a pensare a Mary a tutto quello che avevano passato insieme, al loro sogno che lui voleva realizzare ad ogni costo.
«Sai Mary, stavo ripensando alla prima volta che ci siamo incontrati. È buffo pensare a queste cose in questi momenti. Il primo incontro non si scorda mai secondo me. Infatti me lo ricordo come se fosse ieri anche se è passato tanto di quel tempo. È ancora presente perfettamente nei miei ricordi. Mi sembra di poterlo toccare con mano da quanto è nitido. Già… non potrei mai dimenticarlo…»
Il ragazzo guardò la fotografia, socchiuse gli occhi e come in un flashback si immerse nel passato.

[continua]

Se sei interessato a leggere l'intera Opera e desideri acquistarla clicca qui

Torna alla homepage dell'Autore

Il Club degli Autori - Concorsi Letterari - Montedit - Consigli Editoriali - Il Club dei Poeti
Chi siamo
La Rivista
La voce degli Autori
Tutti i nostri Autori
Per iscriversi
ClubNews
Il notiziario gratuito
Ultimi inserimenti
Homepage
Per pubblicare
il tuo 
Libro
nel cassetto
Per Acquistare
questo libro
Il Catalogo
Montedit
Pubblicizzare
il tuo Libro
su queste pagine