Folton Clag

di

Annalisa Grazzani


Annalisa Grazzani - Folton Clag
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 68 - Euro 7,50
ISBN 978-88-6587-2680

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In copertina: illustrazioni dell’autrice


Fatti, personaggi e luoghi che appaiono in questo libro
sono di pura fantasia.
Ogni riferimento a persone esistenti o esistite e a fatti reali è da ritenersi puramente casuale.


Introduzione

Mi chiamo Annalisa. Ho 29 anni, sono nata a Lodi. Grazie per aver acquistato questo breve racconto. È il primo che scrivo. Non saprei più spiegare per quale motivo o da cosa sia partita l’idea della trama.
Folton Clag è un nome nato a caso, circa un anno fa. Per Leonard Barry (il protagonista) mi sono ispirata al detective Philip Marlowe di Raymond Chandler. Barry non ha molti amici: Willy l’ha conosciuto durante la sua breve parentesi nella polizia. Joe, invece è diventato suo amico semplicemente perché frequenta il suo locale.
Spero che la lettura possa essere scorrevole. Le descrizioni sono abbastanza ristrette. Personalmente le trovo noiose, se troppo dettagliate.
Per quel che mi riguarda, mi piacciono molto alcuni sceneggiati in bianco e nero, come: Nero Wolf, Sheridan, Maigret, ai confini della realtà ecc… Tra i vari generi di libri, preferisco i saggi. In particolare, ho trovato interessanti alcuni libri di David Icke. Leggo anche fumetti, il mio preferito è Rat-man.

Annalisa Grazzani


Folton Clag


Folton Clag

Personaggi Principali

  • Leonard Barry Investigatore Privato
  • Willy Whits Poliziotto in pensione
  • Joe Bertrand Barista
  • Mat Orrie Ispettore
  • Sam Ehit Investigatore Privato
  • Angeline Dovers Figlia di Geffrey Dovers
  • Geffrey Dovers Conte


1

In una notte nevosa attendevo qualcuno uscire fuori dalla villa dei Dovers, ricca famiglia con qualche nemico in più degli amici. O meglio… Come si dice. Non tutto l’oro luccica o qualcosa del genere. Aspettavo ormai da due ore, ma potevo attenderne altre cinque, senza vedere anima viva. Sarà stato per via del tempo ma perfino i secondi divennero interminabili. La neve si insinuava nel mio collo. Giurerei che avrei potuto strizzare anche le ossa proprio come delle spugne. È il lato noioso del mio lavoro. Sono un agente privato meglio noto come investigatore.
Tutto cominciò una mattina di novembre… L’aria era pungente gelida come il ghiaccio. Tornavo a casa dopo una notte nel vuoto che tentavo di scordarmi alla svelta, perché non avevo mai visto nulla di più incomprensibile. Pedinavo un tizio che spendeva tutti i suoi soldi, sparito di casa da mesi non aveva dato più notizie di sé, a parte gli svariati debiti su debiti accumulati tra gioco d’azzardo e bevute in brutta compagnia. La moglie, esasperata, mi aveva ingaggiato per capirci qualcosa in più. Fortunatamente lei non buttava i soldi dalla finestra. Almeno poteva permettersi il divorzio. Ma di queste storie ne è pieno il mondo, tanto da diventare banali… Parlai la prima volta con quel tizio: barba incolta vestiti logori e capelli unti. Credo che neanche sua madre l’avrebbe riconosciuto conciato così. Il mistero consisteva nel fatto che era tutta una farsa. Non mi volle spiegare cosa intendesse fare con la sua specie di commedia da due soldi. Passata la serata, stufo di quelle chiacchiere insensate, lo liquidai con un saluto dopo avergli offerto un pasto. Accettò felicemente, anche se l’ora non era delle più adatte, ma non mangiava da parecchi giorni, per poi proseguire il binario della sua folle vita. Conclusi che quella battaglia risultava essere completamente inutile. Dopo aver chiamato sua moglie il mio lavoro poteva definirsi concluso, il resto non mi riguardava.


2

Tornai in ufficio. La porta era aperta, ma non ne feci un dramma, pensando che la donna delle pulizie si fosse scordata dell’esistenza della serratura… Come al solito… Entrai, constatando che ad occhio e croce nessuno aveva pulito, anzi! Avevano messo a soqquadro i pochi oggetti e carte che possedevo. “Credo sia ora di fare due chiacchiere con la domestica, dovrò consigliarle di cambiare mestiere,” pensai.
Mentre mi perdevo in queste considerazioni, voltai le spalle all’uscio e in quell’istante venni colpito da una bottiglia. Il liquido colò interamente su di me. La stangata non fu forte, ma data la stanchezza stramazzai sul pavimento. Stordito, riuscii comunque a sentire dei passi frettolosi che si allontanavano. Si trattava di una persona sola. Da lì, il buio. Non saprei dire se fossero passati dieci minuti o due ore, non aveva importanza. Mi risvegliai, ritrovandomi steso sul divano. La testa mi esplodeva: come l’ottimo whisky, che viene fatto saltare con la polvere da sparo per vedere se è pronto.
La vista si ricomponeva lentamente… Non era il primo, né sarà l’ultimo attacco che subirò. Il medico davanti a me mi visitava. Lo riconobbi attraverso la voce: «Strano! È stato colpito in testa ma non ci sono ferite gravi, che razza di vetro è?» Farfugliando, leggermente irritato esclamai: «Cos’è dottore? Ci sperava a fare conoscenza delle mia materia grigia? Se vuole conosco un tizio che potrebbe fare al caso suo…» Il dottore, sorridendo riprese: «No, non intendevo quello, la sua testa è piuttosto dura. È un piccolo taglietto di tre cm; i capillari sanguinano molto. La vista tornerà gradualmente, l’offuscamento durerà qualche ora. I delinquenti invece, sono stati così gentili da portare via i vetri e non potremo analizzarli. Le ho messo solo un paio di punti, tra una settimana li toglieremo.»
Scoppiai a ridere, ma dovetti fermarmi, la testa mi rimbombava. «E cosa voleva analizzare dottore? Il fatto spiacevole è che come al solito la domestica fa tutto, tranne che il suo lavoro! Impossibile sia stata lei a raccoglierli!» Il dottore fissò Janet, poi disse: «Al contrario! È stata in gamba, prestandole un primo soccorso sommario, tamponando la ferita. Risparmi la sua comicità, quando è arrivata i vetri erano spariti.»
Nel buio dello studio (o della mia mente) non mi sono accorto della sua presenza. Adesso che ha scoperto cosa penso di lei, nascerà una solida amicizia. Ma era ingiusto biasimarla. Dovevo esserle grato, almeno un minimo. «Non chiuderà le porte, ma è tornata al momento giusto! Anche se con questo vizio mi faranno fuori prima o poi. Per stavolta rimanderò il licenziamento.»
Il dottore riordinò i suoi arnesi: «Ricordi che a volte è la serratura ad essere scassinata! Si riguardi! Un paio di giorni di riposo le faranno bene, non è grave…» Sempre più divertito risposi: «Qui non c’è nulla da rubare! Arrivederci dottore e grazie.» Janet rimase lì, così chiesi: «Non so se devo ringraziarti per la porta aperta o perché mi hai salvato!»
Desolata, tentava di giustificarsi: «Scusi ma è stato un attimo di distrazione…»
«Che non si ripeta! Vai pure hai fatto fin troppo! Voglio riposare.» Inspiegabilmente riuscii ad addormentarmi. All’improvviso, dopo qualche ora, il campanello suonava, cercai di ignorarlo, ma dopo mezz’ora di insistenza e un tintinnio fastidioso, mi decisi ed andai ad aprire.


3

Non era un venditore di enciclopedie, sebbene abbiano la stessa petulanza, comunque mi armai per sicurezza. Dallo spioncino vidi un cappello blu a tesa larga più grande della testa che oscurava il volto. La feci accomodare e mi disse subito (incuranti entrambi del disordine): «Le consiglio di andare da un buon medico deve avere seri problemi d’udito!»
«No, – risposi confuso, – solo una leggera emicrania.» Pareva (ma con la vista annebbiata, non potrei esserne certo) una signora molto elegante, agghindata con un lussuoso completo blu, abbinato ad un paio di scarpe bianche, al polso erano allacciati un paio di bracciali dorati e la mano agitava nervosamente delle chiavi… Ecco da dove proveniva quel tintinnio molesto! Senza tanti complimenti si mise a sedere sulla sedia accanto alla scrivania, presentandosi (non prima di aver scrollato le chiavi ancora per qualche secondo): «Sono la contessa Angeline Dovers vengo da lei per un consiglio.» Mi misi a sedere sulla poltrona davanti a lei in modo da stare più comodo, soprattutto perché alzandomi per aprire la porta la testa doleva di più. «Dica l’ascolto.» Riprese: «Prima di parlare, vorrei la conferma che lei non si tirerà indietro in nessun caso e che mi assicurerà la massima discrezione.» Sorrisi: «Quello che lei mi sta chiedendo è il mio lavoro; non posso dire che ne faccia parte, ma discrezione ed affidabilità ne sono l’essenza stessa. Continui prego…»
Tirò fuori di tasca un accendino verde con ricami argentati… Cercava di accenderlo senza risultato, innervosendosi di più, forse non si era accorta che il liquido all’interno era finito, oppure si era inceppato l’ingranaggio. Così per calmarla, (anche se non c’era motivo di irritarsi per una sciocchezza simile) le porsi dei fiammiferi. Pareva avere una gran fretta, però indugiava. Non capivo il perché di tale comportamento. Infine continuò: «So che lei ha risolto molti casi, io ho seguito parecchie volte le sue vicende.»
Accese la sigaretta e la iniziò a fumare, aspirando e inspirando. L’odore del tabacco si diffondeva per l’ufficio; non esiste nulla di più esecrabile, senza contare la cappa che si forma nei locali, ma non lo feci notare temendo che andasse via. Tutto sommato, questo suo aspetto iniziava a incuriosirmi. Quando terminavo un pensiero, lei riprendeva il filo del discorso: «Devo parlarle di una questione delicata e spero che la sua esperienza potrà far luce sui fatti che racconterò.» Espirò di nuovo, creando una strana atmosfera… Non pensavo che un tipo del genere, dall’aria aristocratica riuscisse ad aspettare su una soglia per più di due minuti. Sapeva che ero nello studio? No, impossibile. Come mai si interessava a me? Se aveva fretta poteva anche muoversi a espormi i fatti! Sembrava quasi che dovesse pensare ad ogni singola parola per non sbagliare… Finalmente spense la sigaretta e si calmò, ma volle un bicchiere di whisky per esserne certa. Presi quello che avevo nell’armadietto, ed era l’unico bicchiere pulito che avevo. Bevve. Passarono minuti infiniti, nel frattempo il mio malore alla testa peggiorava, intanto la vista si ricomponeva lentamente.
«La sua risposta è proprio quella che mi aspettavo, ho già sentito sette investigatori ma non mi convincevano, così li ho liquidati.» Fece un’altra pausa. Probabilmente erano stati gli investigatori a lasciarla perdere, vista la sua loquacità. Iniziavo a innervosirmi, sia per il dolore sia per il fatto che non si decideva. Cercai di trattenere l’impazienza ancora un po’.
Ad un tratto si alzò e fece per andarsene: «Bene! Si consideri assunto!» si fermò, aggiungendo: «Scusi per la botta in testa! Spero guarirà presto!» Mi alzai arrabbiandomi sul serio: «Aspetti! Cos’è uno scherzo? Come fa a sapere… Perché non mi dice di che si tratta?» Gridando, la testa peggiorava, come se andasse in pezzi. Alla luce (ora che la vista stava tornando del tutto e riuscivo a mettere a fuoco) notai che si trattava di una ragazza piuttosto giovane, aveva forse 20 anni, truccata pesantemente, quasi si dovesse mascherare. Sorrise e sparì. Cercai di rincorrerla ma grazie allo scatto, il dolore divenne così lancinante da non permettermi di mantenere l’equilibrio, così che quando arrivai in strada alla velocità di una lumaca, la ragazza era già sparita nel nulla. Sarà stata un’allucinazione, causata dalla botta in testa? Stavo troppo male per pensare. Ritornai a fatica al piano di sopra. L’orologio scoccava le undici. Mi distesi sul mio divanetto, riaddormentandomi all’istante. Ero troppo sfinito per preoccuparmi di una svitata.


4

Dopo alcune ore di sonno profondo, uno sparo mi resuscitò all’istante. Stavolta mi affacciai alla finestra. Fuori tutto sembrava tranquillo. Avrei voluto ignorarlo, ma ero abbastanza riposato per controllare giù in strada. Una volta sceso non c’era niente di diverso dal solito, eppure lo sparo lo avevo sentito distintamente! Forse la mia lesione era più grave del previsto. Tornato di sopra, sistemai faticosamente le scartoffie, un lavoro ingrato… I ladri, in fin dei conti, mi avevano fatto un favore: erano mesi che non avevo l’occasione di riordinare. Non sapendo da che parte cominciare raccolsi il portapenne, rotolato vicino alla sedia, dove si era accomodata la contessa. A fianco c’era un biglietto, che non apparteneva ai miei. Ecco la conferma! Non era stata un’allucinazione! Sembrava un invito per un ballo:

Folton Clag
124 Keyton Street
ore 20.30

“Folton Clag? E chi diavolo è? Mai sentito in vita mia,” pensai. Così anche per l’indirizzo. Con riluttanza lo rilessi nuovamente, in fondo mi aveva assunto… Ma per fare cosa? In quel periodo non avevo nessun nuovo lavoro, quella matta, se altolocata, poteva pagarmi una fortuna… Però il biglietto? Poteva appartenere ai ladri? Ero titubante.
Quando mi decisi mi accorsi che erano già le tre di pomeriggio. Cercai di darmi una mossa, e visto che non avevo incarichi, volli cominciare a fare qualche indagine su quella tizia, contessa o qualunque cosa fosse.
Quando sono nel buio, mi dirigo spesso da Willy, mio vecchio amico e poliziotto in pensione. Lui odia questo termine, visto che si sente ancora abbastanza vivo da continuare il suo lavoro, nonostante ripetuti acciacchi; tutto sommato non se la passa poi male. La sua casa in River Street è piuttosto confortevole; un grande giardino con vari alberi e fiori, una casetta molto raffinata con mattoni a vista, gli interni molto curati con vari mobili di lusso, voluti da sua moglie (che era nobile) purtroppo deceduta anni fa. Gli ho consigliato (malgrado l’aiuto di qualche domestico per la cura del giardino) di trasferirsi in una casa meno impegnativa, ma lui era ostinato e legato al ricordo della sua cara moglie. Suonai un paio di volte, lui si affacciò senza esitazione alla finestra urlando: «Entra pure!» Arrivò in un lampo. Sapeva che ero venuto a portargli lavoro, anche se per me è un amico prima di tutto. Nel salone le mura erano tinte di un bel verde brillante con dei divanetti più chiari. «Allora come andiamo? Mi hai portato qualche bel grattacapo?» L’odore fresco della pittura mi piace, ritinteggerò anch’io le pareti dello studio.
«Al solito Willy, sono distrutto, dopo una notte ghiacciata a seguire un folle. Stamane la testa fa fatica a stare insieme grazie al colpo di ignoti…» Fece una grossa risata, aggiungendo: «Be’ anche questo è lavoro ah ah ah!»
«Ridi pure, io quasi invidio la tua pensione!» Diventò improvvisamente serio: «Non dire stupidaggini! La vita così è… Terribilmente noiosa! L’unico diversivo sono le malattie che colpiscono le piante.» Sorrisi: «E tu trovi il colpevole?» Fissò il maggiordomo dicendo: «Sì, poi coi domestici riuniamo giudici e avvocati per inscenare il processo. Ad un afide abbiamo dato l’ergastolo e la sedia elettrica a un pidocchio!» Stavolta fui io a sorridere, Willy però tagliò corto: «Allora? Hai un argomento interessante o andiamo avanti così fino a sera? Hai tempo da perdere?»
Presi il biglietto dalla tasca, senza mostrarlo. «No, certo… Siediti, ma ti avverto: forse correrai il rischio di addormentarti, – raccontai tutto, rifilandogli in mano il foglietto, – Cosa ne pensi?» «Non ho mai sentito niente di simile Leonard! La storia è strana, ed è ancora più strano che la signorina non ti abbia fatto notare la baraonda nel tuo studio, né abbia parlato dell’incarico che voleva affidarti! Se aveva fretta, come è certo, tornerà. La via e l’indirizzo poi, non li ho mai sentiti.» Mi alzai dal divano: «Già, ammesso che voglia occuparmi di questa nuova grana. Non so da che parte girarmi, non ho indizi, né tracce! Sono stato assunto… Ma per fare cosa?» Willy si voltò, fissando il meraviglioso giardino attraverso il vetro della finestra: «Ehi! Se tu non te ne occupi, io morirò di noia!» «Ma sono io che rischio di morire sul serio! Temo che la bottigliata in testa sia un avvertimento! Non sono così sicuro di accettare…»
Fregandosene totalmente della mia vita riesaminò il biglietto: «Vediamo… Perché non me lo lasci? Potrei fare qualche ricerca tramite amici.» Ancora allibito per la sua insensibilità, risposi: «Grazie Willy, ma non so quanto potrai cavarci… Comunque tienilo pure, io lo ricordo a memoria. Sembra un invito per una festa. Manca la data, inoltre l’indirizzo mi sembra inesistente, ammesso che si tratti di una via della città… Chissà se l’ha perso volutamente.»
Willy si sedette pensieroso, concludendo: «Vedrai che tireremo fuori il coniglio dal cilindro con questo biglietto, intanto tu cerca informazioni sulla contessa Dovers, credo sia l’unico punto da cui partire.» Mi alzai malvolentieri da quella comoda poltrona: «Mah… Temo sia un indirizzo falso, non mi convince. Ripeto: Lasciamo perdere!» Senza remore, sentenziò: «Parti da lì! E smetti di brontolare!»


5

A volte Willy è veramente ostinato, forse ho sbagliato a parlargli della faccenda. Me ne stavo pentendo… In fondo avrei potuto fare un po’ di vacanza, visto che il lavoro andava bene e avevo portato a termine l’ultimo ingaggio.
Ormai era troppo tardi. Non sapendo da dove cominciare, decisi di partire dalla biblioteca, visto che mi trovavo nei paraggi. Il mio amico Sandy (che la dirige) conosce bene la gente qui in città. Intanto, avrei potuto prendere un volume. All’entrata c’erano pile di enciclopedie e opere sparse qua e là, senza un preciso ordine e neanche erano stati catalogati. Sandy aveva avuto un problema e sarebbe rimasto assente per qualche giorno. Chiesi informazioni, ma la nuova bibliotecaria ne sapeva meno di me, quindi decisi di aspettare che si fosse ambientata sul lavoro, o ancora meglio quando e se sarebbe tornato il mio amico. Non mi accorsi subito che si era fatta sera, non avevo ancora mangiato. Decisi di rifugiarmi da Joe, che ha un localino tranquillo. Con un po’ di musica jazz dal vivo, un pasto e un buon brandy, mi sarei rinfrancato lo spirito. L’aria ghiacciata mi stava gelando il sangue ed era come se mi stessero martellando la botta in testa.
«Ehi Joe!» Non mi sentì nemmeno, intento a versare birra ad un cliente grasso e forse quasi ubriaco. «Ehi Leonard! Sei sparito da un pezzo! Che fine hai fatto amico? Grane?» Battendo la mano sul bancone risposi: «Brandy Joe! Dammene uno buono! Devo riscaldarmi le ossa!» Versò il liquore, sospirando. «Sai? I dottori dicono che l’alcool non scalda come si crede, al contrario. Meglio un po’ di cioccolata.» L’uomo grasso si girò verso di noi, come per ascoltare meglio: «Può essere vero… Ma voi baristi non avreste più un soldo! Ah ah!» Ripulì il bicchiere versandosi del succo di pompelmo. «Sì, è probabile. Non sarebbe male in fondo… La gente starebbe meglio.» Roteando il bicchiere, osservando il liquido che si mescolava dissi serio: «Joe. Credo che la gente trovi sempre la via dell’autodistruzione. I problemi sono in testa e il resto è una conseguenza del fatto di non riuscire ad accettarli e superarli.»
Riflettendo, concluse tristemente: «È probabile. Siamo tutti uguali! Sarà che la penso così perché volevo salvare delle vite… Rimarrà un sogno, anche se qualche libro di medicina lo studio sempre nel tempo libero.» Terminai il brandy che anziché riscaldarmi mi gelò ancora di più. Conosco bene la tristezza di Joe per non essere riuscito a diventare medico. Nella vita, non tutto va come uno desidera.
Non ebbi il coraggio di rivelargli i miei pensieri, fui solo in grado di dire: «Beh, Joe, penso che la tua perseveranza porterà a qualcosa! Leggere è sempre utile!» Rallegrandosi delle mie parole disse: «Sì, hai ragione! Un’occasione arriverà!» Dopo aver sentito un po’ di musica, uscii dal locale, un po’ più calmo e un po’ più triste. Per questa giornata non ho concluso niente. Willy, se fosse qui, mi prenderebbe a revolverate. Dopo aver fissato l’insegna del locale alcuni istanti, tornai a casa. Decisi di andare a dormire, ero ancora stanco, in fondo il medico mi aveva consigliato di riposare…

[continua]


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