Verità del Cuore

di

Armando Pala


Armando Pala - Verità del Cuore
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
15,5x21 - pp. 300 - Euro 15,00
ISBN 978-88-6587-7180

Clicca qui per acquistare questo libro

Vai alla pagina degli eventi relativi a questo Autore


In copertina e all’interno illustrazioni di Silvia Pala


Fatti, personaggi e luoghi che appaiono in questo libro sono di pura fantasia. Ogni riferimento a persone esistenti o esistite e a fatti reali è da ritenersi puramente casuale.


Prefazione

Cercare di far capire quali differenze vi erano tra i giovani che hanno vissuto negli anni Settanta, rispetto a quelli d’oggi, specialmente con l’evento del computer e del cellulare, che se non si possiedono, si è quasi esclusi dal mondo, non è un compito facile.
Le domande e le interpretazioni di Miriam, una ragazza di ventiquattro anni, sono state formulate scegliendo risposte reali simili, dopo aver proposto la lettura di alcuni brani inseriti nella storia di Danilo, a diversi giovani circa della medesima età, scelti tra le varie conoscenze, sia a livello scolastico che lavorativo, e nei commenti lasciati sui post dei social network.
Sara e Grazia, amiche virtuali conosciute in rete, inserendomi nei loro gruppi, mi hanno dato l’opportunità di capire come alcune persone vivono nell’egemonia di internet, come se fosse la loro vita reale.
Diversi leggono frasi romantiche postate, che non hanno mai ricevuto da chi gli sta accanto, immaginando che siano dedicate a loro. C’è chi cerca piacere nel sesso virtuale, e si sente di essere a posto con la propria coscienza non avendolo fatto fisicamente, alcuni addirittura lo raccontano agli amici come se avessero vissuto un’esperienza reale. I più comuni sono falsi amici mielosi con secondi fini, persone che si vergognano della propria età e sembianza fisica, che mettono nei loro profili foto di giovani dall’aspetto e corporatura incantevole, fingendo anche di essere del sesso opposto.
Tutto ciò sembrerebbe identico alla realtà, ma vivere di persona le esperienze, per crescere, imparare, gioire e soffrire se necessario, è tutt’altra cosa.
Il calore dell’amarsi, le sensazioni dei baci, delle carezze, del fare l’amore vivono e nascono nel cuore e nell’anima, e non da una fredda tastiera.
Tuttavia non tutto credo sia da escludere, se si utilizza la rete come trampolino di lancio, perché alcuni si sentono veramente soli e cercano una compagnia sincera, altri per sperare in una reale amicizia.
Verità del Cuore, non fa altro che esprimere quei sentimenti interiori che si provano nelle esperienze vissute nella realtà, per incoraggiare a riappropriarsi della propria vita, e non viverla di sole illusioni.

L’amore non è come quando il sole coperto dalle nuvole, non ha potuto lasciarti lo splendore del giorno, o come in una notte senza stelle sembra manchino di energia e non brillano.
Né come quando la luna pare vergognarsi, perché il sole non la illumina, ed è, come se non esistesse.
Neanche nel silenzio invernale, dove gli uccelli al riparo nei nidi non volano o sono partiti verso terre più calde, e gli animali chiusi nella loro tana si preparano al letargo.
Dove neppure le foglie, che con il lasciare i rami dell’albero sono cadute al suolo, sai, che se anche accarezzano la terra, hanno ormai concluso il loro ciclo vitale.
Madre Natura segue il suo corso per permetterci di vivere sulla terra, e nell’amarci, non abbandona mai nessun essere vivente.
Sostituisci quel che ti appare triste, dal cielo, dalla luna, dalla natura, dagli animali, nell’amore che provi nel cuore.
Allora, guarda il sole splendente nel sorriso tra le sue labbra. Il viso illuminarsi nel vederti. Resta incantato come in uno splendido tramonto dai mille colori, dai suoi occhi desiderosi d’amarti.
Ammira le stelle che luccicano nel firmamento, come nella sua pelle inumidita dall’amore che riceve.
Pensa agli uccelli che cercano riparo, come quando abbracciati dopo aver fatto l’amore, senti ancora il calore del suo corpo.
Ricorda che la foglia nel cadere ha accarezzato la terra, come lei ha fatto sul tuo corpo, lasciando la dolcezza e la tenerezza del suo amore, e dopo la dolce fatica chiudere gli occhi abbracciati.
Ascolta il tuo cuore battere di felicità nel sapere che il vostro ciclo vitale insieme a lei, al contrario delle foglie, non avrà mai fine, qui sulla terra, nell’alto dei cieli, o in ogni luogo dove conoscano una sola parola:“Amore”.
La vita non si esprime in giorni, ma in base ai battiti del cuore che ci sono stati assegnati. E, se per l’emozione, il calore dei baci, la dolcezza delle carezze e nel fare l’amore, il cuore pulsa velocemente, non abbiamo fatto altro che donare dei giorni all’amore. Un solo giorno può completare l’intero soggiorno sulla terra, ed essere felici.


Verità del Cuore


PRIMA PARTE

Capitolo I

L’incontro

Affacciandomi alla finestra, notai che il tempo non prometteva nulla di buono. Il cielo aveva un colore plumbeo con le nuvole che si muovevano lentamente, come i miei movimenti appena sveglia.
Quella mattina decisi io di portare la nostra cagnetta Birba a spasso, perché di solito lo fa mio fratello Gianni.
Curo sempre l’aspetto del viso con un leggero trucco prima di uscire, ma oggi, come da alcuni giorni a questa parte non sentivo la necessità di farlo. In fondo a chi dovevo piacere se non a me stessa?
Scesa per strada mi diressi verso un piccolo parco a poca distanza da casa.
Mentre Birba girovagava annusando il terreno, notai un signore che seduto su una panchina scriveva su un quaderno, e accanto ne aveva degli altri.
Saltarono subito all’occhio le copertine di plastica, perché riflettevano i colori luminosi mescolati tra loro, in tonalità gradienti.
Il suo cane era accucciato sul terreno, e scrutava quel che accadeva intorno a sé con cenni rapidi del capo.
Birba si avvicinò al cane e io feci altrettanto con diffidenza.
A un tratto il signore tossì e continuò a farlo per alcuni attimi. Non so perché, ma mi avvicinai ulteriormente per offrirgli una delle mie caramelle alla menta molto forti, che tengo sempre nella borsetta.
Frugai nella borsetta, presi la scatoletta metallica, e allungando la mano gli chiesi: «Posso offrirle una caramella?»
Lui alzò gli occhi e rispose: «Grazie l’accetto volentieri. Oggi c’è molto umido, e anche se sono ben coperto, patisco questo tipo di clima».
Allungò la mano a cucchiaio con un gesto delicato, e attese la pasticca cadere all’interno, mentre scuotevo la scatoletta.
La prese, la portò alla bocca, cominciò ad assaporarla, e dilatò le pupille per il gusto tremendamente forte. Si aggiustò il cappellino da sci sulla testa e riprese a scrivere.
Stavo per andarmene scocciata dal disinteresse nei miei confronti, ma quando cercai Birba, giocava con il suo cane. Mi voltai e gli chiesi: «Come si chiama il suo cane?»
Smise di scrivere e rispose rapido: «Beba. La sua?»
«Birba», e aggiunsi: «sono completamente diverse ma hanno qualcosa in comune: sono due femmine».
«Se è per questo, hanno anche la stessa iniziale del nome».
«Vero. Sono anche entrambe due bastardine se non erro» affermai.
«Sulla mia non ci sono dubbi».
Si capiva che non aveva voglia di parlare, però rispondeva con un tono gentile, per un attimo mi fissava negli occhi come per attendere se avevo qualche altra domanda da fargli, e poi abbassava il capo.
Il mio sguardo cadde sul quaderno appoggiato sulle sue gambe, e provai un senso di curiosità verso quelle righe scritte in stampatello. Sforzai la vista strizzando gli occhi, per leggere qualche parola, per la difficoltà del senso rovesciato della scrittura.
Lui se ne accorse, e con un lento movimento ruotò il quaderno. Lessi le prime righe, senza vergognarmi di curiosare nelle cose altrui.
Le poche frasi che scorrevano sotto i miei occhi, sembravano versi poetici, legati a una vicenda vissuta da una ragazza straniera.
Di colpo provai imbarazzo e alzai gli occhi. Lui girò il quaderno, lo sollevò e cominciò a leggere il pezzo dall’inizio con un tono languido.

Dal mio diario: “Riflessioni”. Sogni.
Arrivò in reparto con il corpo tumefatto, pieno di lividi che si confondevano con il colore della sua pelle lucida e vellutata, come quando il sole irradia i fiori, con un tale amore che il riflesso confonde gli occhi degli uomini, felice di essere l’unico a poterlo fare.
Indossava ancora i vestiti strappati, che mostravano la sentenza della sua unica colpa: quella di essere una ragazzina di colore.
Gli occhi languidi della madre che l’accompagnava, parlarono al mio cuore e gli dicevano: abbi cura di lei. Ma lei evidenziò con un perfetto italiano: «Capisce solo il tigrino e l’inglese».
Stavo scrivendo un libro di poesie, perlomeno a me pareva che lo fossero, nel lontano 1975.
Passai intere giornate a tradurre qualcuna delle mie poesie, e durante il turno di servizio cercavo di trovare del tempo per leggere ad Aishwarya in coma, accompagnate dai bip del monitor, che scandivano la sua vita.
Nascondevo a tutti le mie riflessioni, pensando che frasi sdolcinate ti rendessero ridicolo e perché no, poco maschio.
Non so perché scelsi di farlo, forse il percepire la sofferenza della madre che parlava al mio cuore affermandogli che il sentimento materno non nasce da noi, ma è un dono di Madre Natura?
Una mattina mentre le accarezzavo delicatamente le labbra screpolate e livide, con un dito inumidito di un olio orientale che sua madre mi chiese di usare al posto delle pomate convenzionali, che mirano solo allo scopo curativo, senza interessarsi a ciò che le sensazioni dell’olfatto percepiscono, al contrario profumava di salsedine. Mi lasciava anche in bocca un sapore, simile a gocce rubate, che il mare chiede al vento di farti assaporare facendo sollevare lievemente le onde, quando sa che lo ami, contraccambiando come in un bacio d’amore con chi si è innamorati.
Un bacio puro, leggero come ogni parola d’amore dettata dal cuore che lo penetra in profondità con un sapore intenso, che non è percepibile dal gusto, ma dal sentimento che si prova dentro di sé.
I miei lunghi capelli legati accuratamente in una coda abbracciata da una sottile striscia di pelle si sciolsero, mentre sentivo scivolare il laccio che, introducendosi all’interno della divisa attraverso il colletto, mi fece venire la pelle d’oca.
Provavo un certo senso di distacco verso le persone dalla pelle scura, forse colpito dai documentari televisivi che li facevano apparire come una società selvaggia, piena di riti e “dei”, cui si deve rispetto e obbedienza, dove la donna occupa spesso un ruolo di minoranza rispetto all’uomo, se non di totale schiavitù.
Inspiegabilmente i miei capelli scesero sulla sua fronte inumidendosi del sudore, asciugandolo come se volessero assorbire quelle gocce di dolore per condividere la sua sofferenza, insieme al resto del mio essere. Provai una sensazione di piacere, quando compresi
che il laccio dei miei capelli slegandosi, aveva anche sciolto il legame dell’indifferenza che viveva in me nei confronti di altri popoli.
Una parola ridondava nella mia mente: la sofferenza non fa distinzione per il colore della pelle.
Fu in quell’istante che Aishwarya aprì gli occhi e mi domandò stupita in inglese: «Sono in una favola? Sei tu l’angelo che mi parlava d’amore?»
«No, piccola, questa è la realtà» risposi incredulo di sentire la sua tenera voce sottile.
«Dici davvero? Io ricordo solo degli uomini cattivi» replicò.
Quelle parole mi tolsero quasi il respiro per la rabbia che provavo dentro.
Mi ripresi dallo stato d’animo avverso, mi limitai a darle un tenero bacio sulla fronte, e le dissi deluso tentennando con il mio scarso inglese: «Hai ragione piccola, continua a vivere la tua fiaba, nel sogno del mondo in cui ogni persona è un angelo, e come tale nessuna fonte malvagia può penetrarlo».
Lei ancora debole, quasi con sottomissione sembrò capire, e dopo avermi allargato un meraviglioso sorriso, chiuse gli occhi.

Smise di leggere e tirò un sospiro misto tra dolore e gioia.
Guardai l’espressione del viso e degli occhi immersi nel pensiero di quel signore, e anche se titubante osai chiedergli: «Posso sapere come finì, la sua esperienza con la ragazzina?»
Riprese con un tono serio: «Nei giorni successivi la soddisfazione di fare l’infermiere, mi convinse che non contano le invidie di alcuni colleghi, le maldicenze sul tuo modo di lavorare, ma di sentirsi partecipe delle vite altrui anche nelle loro sofferenze. Quando Aishwarya venne dimessa, le regalai il mio manoscritto di poesie d’amore che avevo intenzione di far pubblicare. Il suo nome significava ricchezza, perlomeno da quel che ho capito dalle parole della madre che lo aveva scelto, senza sapere che aveva arricchito il mio cuore di sentimenti, che neppure un milione di lettori messi insieme sarebbero stati capaci di comprendere».
Fissò i miei occhi, e smise di parlare. Radunò i suoi quaderni, li mise sotto braccio, fece un fischio per richiamare il cane che di corsa arrivò da lui. Mi allargò un dolce sorriso e a passi lenti si allontanò.
Contraccambiai il sorriso, sedetti al suo posto nella panchina, e lo rincorsi con lo sguardo fino a scomparire tra il verde del parco.
Sollevai il colletto del giubbotto che indossavo, perché anche se la primavera era alle porte, faceva ancora freddo, e il vento umido non aiutava a scaldarsi. Ma al contrario di quel signore, l’aria umida proveniente dal mare poco distante mi rendeva felice, poiché pensavo entrasse parte di sé nel mio corpo, come per restituire secondo me, quanto lo amassi.
Assorta nei pensieri, ripetevo nella mente le frasi lette dal quel signore, e mi domandai se parlava del suo lavoro o se erano semplici parole di uno scrittore.
Una leggera folata di vento fece volare alcuni aghi di pino sul mio viso, e le lievi punture mi distolsero dai pensieri.
Durò poco però, perché con la mente cercai di immedesimarmi in quella ragazzina, anche se la stessa, rifiutava il pensiero che alcuni uomini potessero averle fatto del male simile. Poi pensai, che purtroppo ancora oggi esistono razzisti capaci di compiere atti di violenza come quello che avevo sentito leggere da quel signore.
Quando rientrai a casa, i pensieri mi seguirono. Preparai il caffè che gustai in compagnia di mio fratello. Subito dopo cominciai a studiare e la concentrazione li rimosse.
La sera stessa alla televisione trasmettevano un film, che parlava proprio di una violenza subita da una ragazzina di colore. Le parole di quel signore ripresero a vagare con forza nella mente, assillandomi anche quando andai a riposare.
Il giorno seguente portai ancora io la cagnetta fuori, tra lo stupore di mio fratello, perché sinceramente se potevo lo evitavo. Ma ciò aveva un senso: volevo rivedere quell’uomo!
Arrivai al parco ed era lì che scriveva. I cani subito si corsero incontro e iniziarono a giocare tra loro.
Lui sollevò lo sguardo, mi notò e riprese a scrivere.
Mi ero portata un libro, e con la scusa di leggere mi sarei seduta accanto a lui. Provavo una forte curiosità verso quella persona, senza capirne il motivo.
Ma mentre mi avvicinavo, mi bloccai di colpo. Non aveva il cappellino e mi accorsi di una lunga coda di capelli castani, con qualche raro velo bianco, scendergli sino al petto, all’estremità dei piccoli boccoli naturali perfetti, facevano invidia a una donna.
Ripresi lenta il passo, lo raggiunsi e salutai con un leggero sorriso pieno di imbarazzo.
Lui si limitò a ricambiarlo. Fece finta di nulla anche quando mi sedetti a una certa distanza, tirai fuori il mio libro, e cominciai a leggere le noiose pagine di storia dell’arte.
Una coppia di ragazzi passò davanti a noi litigando. Si fermarono poco distanti. Le parole pronunciate ad alta voce distolsero entrambi, e li guardammo mentre continuavano il loro battibecco.
Il ragazzo si scusava per averla tradita con un’amica di lei. Insisteva nell’esporle che aveva bevuto qualche birra di troppo, e che l’amica non contava nulla.
Lei stava per cedere, quando dalla bocca mi scappò: «Ma mandalo al diavolo, gli uomini sono tutti uguali!»
I due si voltarono verso di me, mi guardarono scuotendo la testa come per dire: di che diavolo ti impicci? Lentamente si allontanarono per riprendere gesticolando il loro discorso.
Pentita della frase pronunciata ad alta voce divenni rossa in viso. Lui mi guardò e sorrise divertito.
Per scusarmi gli dissi: «Purtroppo è capitata anche a me una cosa simile, ma non ho ceduto come lei che ora lo bacia. La prossima volta inventerà un’altra scusa e via dicendo».
Divenni subito triste dopo quelle parole, chiedendomi perché a uno sconosciuto rivelai un dolore che portavo ancora nel cuore.
Incapace di fermarmi, attratta dal carisma di quel viso fine dagli occhi scuri e dallo sguardo languido, ripresi: «Ho vissuto una situazione simile, e ho promesso a me stessa che non mi sarei innamorata mai più. Seguirò le mie amiche che chiamano gli uomini usa e getta».
Lui strizzò gli occhi. Con il sorriso sulle labbra, disse: «Lo farà invece tante altre volte, finché un giorno troverà l’anima gemella con cui condividerà la vita, il suo essere e ogni respiro!»
La risposta convinta mi rese inerme, ma mi ripresi subito e replicai: «Fa bene lei a parlare, che magari si è sposato con la prima donna che ha amato! Oggi non è come ai suoi tempi. Mio papà fin da quando si fidanzò non tradì la mamma, che le aveva dato tutta se stessa. Il mio ragazzo lo ha fatto per un capriccio sessuale».
Con la sua solita calma rispose: «Io mi sono innamorato e lasciato tante volte nella vita, prima di incontrare la donna dei miei sogni. E, non è necessario avere a tutti i costi una ragazza o un ragazzo per amare e farsi amare. Anch’io da giovane non ero un uomo in cerca di moglie, né avevo intenzione di sposarmi. Come lei credo, dopo una delusione d’amore giurai di non innamorarmi mai più. Ma quando la vita decise di ridare l’amore al mio cuore non mantenni fede al giuramento, la incontrai e la sposai, con la certezza di formare con lei una vera famiglia».
«Per voi uomini fare esperienze è diverso. Se voi andate a letto con tante donne: siete dei fighi, noi delle…»
«Ho parlato di uomini non di imbecilli, che non considerano le vostre esperienze come le nostre, maturità di donna. Un uomo che si vanta di aver portato a letto una ragazza, non è un essere umano ma un meschino. È capace solo di sfogare i suoi istinti sessuali per ricevere qualche secondo di piacere, che appassisce come un fiore abbandonato dalla pioggia, o calpestato da un piede distratto che non sa di averlo fatto. La natura bagna la terra, ama i suoi componenti e lo fa da quando nascono a quando muoiono, perché conosce l’amore, e lo dona senza chiedere nulla in cambio. Io ho sempre pensato di ricevere un privilegio da chi avessi l’opportunità di amare, e non di aggiungere un numero nel mio diario di carta, privo di sentimenti. È proprio grazie a questo principio che ho ritrovato l’amore, capace di curare il mio cuore ferito».
Risposi sollevando le sopracciglia con un’espressione dubbiosa.
Lui non replicò. Prese uno dei suoi quaderni e lesse:

Dal mio diario: “Riflessioni”. Il destino.
L’amore non è una virtù che solo alcuni sono degni di ricevere, o che il destino ci ha identificati per non accoglierlo dentro di noi.
L’amore nasce insieme al cuore, resta anche quando l’alito di vita entra in noi appena separati dal grembo materno, nel pianto che ci fa credere di esser stati lasciati, e il calore della mamma scompare.
Quello è l’unico pegno in cambio della vita che c’è stata donata, cancellato dal tenero abbraccio di chi ci ha portato in grembo, nell’acqua che avvolgeva, nel fuoco dell’amore materno, nell’aria che generava la vita, e nella terra in cui siamo nati.
Già nel seno materno l’amore è dentro di noi, e solo la mente razionale può oscurare ritenendoci non meritevoli di provarlo, offuscando le sensazioni del nostro cuore che, se non lo sente ricambiato, crede di non poterlo donare.
L’amore vero è quel che non vuole nulla in cambio.
L’amore vero è quel che si dona agli altri per accrescere quello che vive nel nostro cuore.
Convincersi che le nostre avversità della vita possono far soffrire chi ci ama, se partecipi del nostro dolore, non è altro che negare l’amore che Madre Natura ha fatto nascere libero di esprimersi, in ognuno di noi.
E se quando nasciamo la mamma non ascoltasse il nostro pianto, per prenderci fra le braccia, resteremo soli, come soli, siamo quando tratteniamo il grido di disperazione affinché l’amore lo accolga.

Rimasi colpita da quelle parole, ma la rabbia della mia brutta esperienza non lasciava spazio a sentimentalismi.
Scocciata dissi: «Non mi venga a raccontare che, dopo le sue esperienze negative, si è comportato come la ragiona adesso?»
«No. Inizialmente provavo rancore e voglia di vendetta, ma mi chiedevo ogni volta in cuor mio, se era giusto far soffrire altre donne a causa di una sola. Così mi chiusi in me stesso».
«Allora ho ragione. Meglio sole, che male accompagnate» risposi un po’ acida.

«Dente avvelenato signorina. Se le raccontassi una minima parte della mia vita, in alcuni casi mi odierebbe e non rivolgerebbe mai più la parola, in altri capirebbe perché in certe situazioni si agisce così. Tuttavia molte cose che si fanno nella vita amorosa hanno un senso, che chiamo esperienze per raggiungere la maturità, e viste sotto quella luce le farebbero cambiare idea…»
Lo interruppi bruscamente: «Ho già sentito parole simili alle sue, tutte per scagionare le vostre colpe e i soliti tradimenti».
«Io non ho bisogno di scagionarmi da nulla. E, se sono qui a scrivere le mie esperienze passate, è proprio per non rammaricarmi degli errori, ma ringraziare che fin da ragazzo ho imparato ad amare le donne indistintamente. Non ho mai considerato il ceto sociale, la bellezza, il fisico, ma trovare in ognuna il modo per farle sentire importanti e tenerlo presente fino a oggi, anche se in alcuni casi nella ruvida sessualità».
«Dicono tutti così, poi al momento buono ti tradiscono con la prima che trovano disponibile».
«Esistono due tipi di tradimento: uno del cuore e l’altro fisico. Secondo lei qual è il peggiore?»
«Entrambi!» risposi senza esitare. Poi aggiunsi: «Comunque se devo scegliere tra i due, preferisco di cuore. Tanti uomini sono innamorati delle dive, cantanti, modelle ecc., ma non recano danni alla coppia. Fisico sì».
«Dice? Anch’io la pensavo così. Oggi penso l’opposto. Per me è peggio quello di cuore, perché quello fisico alla fine scompare, di cuore resta per sempre dentro di noi. Ora però la lascio, devo proprio andare a sbrigare delle commissioni».
Si alzò, prese i suoi quaderni, richiamò il cane, con un gesto del capo, salutò. Risposi con un sorriso a denti stretti restando seduta.
Appena rimasi sola, cominciai a rimproverarmi. Con quale criterio avevo intrapreso un discorso così delicato con uno sconosciuto, e perché scrive del suo passato nel parco anziché a casa propria?
Scocciata chiamai Birba per rientrare a casa, promettendomi di portarla a spasso da un’altra parte, se mai l’avessi rifatto.
Al momento di andarmene mi accorsi che uno dei suoi quaderni era caduto sul terreno, forse scivolando dal retro della panchina. Poi pensai che magari l’avesse lasciato cadere apposta e lo raccolsi.
Rientrai a casa, l’appoggiai sul letto della mia camera con disinteresse, presi il solito libro di storia dell’arte e cominciai a leggere.
Dopo alcune pagine non riuscivo a concentrarmi su quel che avevo letto, e il mio sguardo ogni tanto si dirigeva verso il quaderno.
Il riflesso della lampada sulla scrivania lo colpiva facendolo variare nei colori, come quando restiamo affascinati dall’esporre un cd sotto la luce.
La curiosità di leggere quel quaderno mi ossessionava la mente. Chiusi il libro, mi alzai, raggiunsi il letto e lo presi. Titubante non avevo il coraggio di aprirlo.
Non sono curiosa come indole, e rispetto molto la vita privata altrui, ma non riuscivo a resistere. Mi sentivo come una bimba che non vedeva l’ora di scartare i regali di Natale.
Scusai me stessa pensando che se anche lo avessi letto, il giorno dopo, se lo avessi incontrato e reso non avrebbe mai saputo nulla.
Decisi di leggerlo…

[continua]


Se sei interessato a leggere l'intera Opera e desideri acquistarla clicca qui

Torna alla homepage dell'Autore

Il Club degli Autori - Concorsi Letterari - Montedit - Consigli Editoriali - Il Club dei Poeti
Chi siamo
La Rivista
La voce degli Autori
Tutti i nostri Autori
Per iscriversi
ClubNews
Il notiziario gratuito
Ultimi inserimenti
Homepage
Avvenimenti
Novità & Dintorni
i Concorsi
Letterari
Le Antologie
dei Concorsi
Tutti i nostri
Autori
La tua
Homepage
su Club.it