Consonanze

di

Benedetto Di Pietro


Benedetto Di Pietro - Consonanze
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 64 - Euro 8,50
ISBN 978-88-6587-9382

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In copertina: Fotografia dell’Autore


Esistenza, opzioni, “consonanze” e Amore
nella visione del mondo e nella scrittura
di
Benedetto Di Pietro

“La vita è fatta di opzioni / e qualsiasi scelta è un azzardo”. Bisogna, dunque, augurare a noi stessi e agli altri “una scelta indovinata”, dal momento che “non ci è dato disporre del resto”. È questo uno dei punti fermi della visione del mondo di Benedetto Di Pietro, nella vita e nella sua attività di scrittore e poeta. Ne dà conferma questa nuova silloge, dal titolo ‘Consonanze’. Siamo corpuscoli di sabbia disseminati nell’esistenza da chi “ha deciso per noi”: ha scritto “il copione”, senza fornirci strumenti sufficienti per comprenderne il fine e le ragioni; e, tuttavia, per quanto ci risulti possibile, dobbiamo sforzarci di essere “artefici” del nostro destino, facendo sì che “testa” e “mani” cooperino con intento costruttivo; pensiero e azione, infatti, danno frutto, solo se riescono a interagire congiurando fraternamente, mirando, l’uno e l’altra, a un reciproco sostegno e arricchimento. “Dannati a essere liberi”, come sostiene Sartre, gli uomini, pur faticando a reggere il confronto con le ingiurie del tempo, della Storia e del bizzarro Regista, hanno facoltà e privilegio di rendersi conto della loro condizione e di farne l’uso più opportuno. Una libertà gravosa: li costringe a decidere e a inverare la scelta nel personale vissuto: in una quotidianità più o meno edificante, incisiva, stimolante.
Per risultare fecondo, il connubio testa-mani deve, tuttavia, essere rinsaldato dall’“Amore”, il solo ingrediente capace di amalgamarne e fonderne le forze. Di Pietro lo sottolinea, quasi a farne un’esposizione d’intenti, utile a illuminare il lettore, nella lirica ‘Tra le mani un fiore’, la prima della raccolta: “Tu, terra della mia anima /… t’immergi in acque lustrali / per oscurare i mille affanni / che mi porto dentro. / Tra le mani un fiore oggi/ m’è sbocciato / un pegno d’amore / che… mi colora le ore / e mi rinasce a nuove opzioni.”

La realtà è costantemente minacciata da disarmonie generate da ipocrisia, avidità, ignoranza, indifferenza, menzogna… Ne rappresentano un correlativo oggettivo eloquente: “Le vele (invadenti) dei finti lupi di mare / […] / I pescherecci… (trasformati in) navi che padroneggiano / e distruggono ogni cosa. / Petroliere che senza rispetto / vomitano idrocarburi / […] / (il mare ridotto a) cimitero infinito /”, violentato da trivelle assetate di petrolio e di gas… Il secolo scorso e l’attuale hanno visto: mettere al bando “il diritto di pensare diverso”; ingannare “l’innocenza”; l’odio di razza; “la vergogna di Mauthausen”; “bambini (come quello di Aylan) morti tra le onde / […] (e) muniti in anticipo di biglietto / per il paradiso (dopo essere stati) sfrattati dalle bombe”...

La Storia, per sua intrinseca natura, “buona maestra”, nulla è riuscita a insegnare “ai popoli, (che), alunni testardi / ”, “guerci”, “incapaci di vedere oltre il naso”, nonché perennemente, e da stolti, “convinti di poter cambiare”, continuano: a sostituire “i tiranni”, con altri “tiranni”; a tirare giù “le statue, le aquile e tutti i simboli”; a non rendersi conto che risulterebbe più conveniente “lasciare i piedistalli / perché non tarderà l’esigenza / di mettervi sopra quelli nuovi.” Pur ripetendosi “sino alla nausea”, la Storia non è stata capace di far capire alla gente che la tirannide periodicamente ritorna, come testimoniano le vicende di Ceausescu e “la piana” nebbiosa di “Timisoara”.
Dissonanze, cacofonie, boati e urla ferine avvelenano, sulla terra, i viventi; e “una babele di lingue” e di ideologie arroganti crea vortici d’aria malsana e funesta. Nella diuturna e sfrenata guerra di tutti contro tutti, le ore vengono scandite da singhiozzi imprecazioni e lamenti, ai quali si alternano silenzi cupi e, tuttavia, ‘assordanti’ come uno scatenato e ininterrotto fragore di bombe… Un uomo vero, però, non può e non deve arrendersi di fronte a questo tragico scenario: lui, anche quando tutto sembra essere perduto, possiede ancora delle alternative, può scegliere: tanto più se è provvisto di sensibilità, intelligenza e voce di poeta. Benedetto Di Pietro, perciò, prende atto, con sagace e ponderata impassibilità, dello stato delle cose e vi si immerge con empatia, evidenziandone antinomie, bassezze, ma anche qualità latenti; e, pur nei limiti delle sue risorse, da intellettuale colto, ironico e onesto, cerca di rimettervi ordine, di liberarne le, sia pure modeste, energie pulite, le potenziali e fruttifere “Consonanze”.

Il titolo scelto dall’autore è emblematico delle intenzioni intrinseche della raccolta, mirata proprio al recupero di un’armonia e di una coralità imprescindibili e ormai improcrastinabili. Nel loro insieme, i versi sono una sorta di diario di viaggio attraverso l’esistenza, in cui, di volta in volta, accanto ai difetti, alle aberrazioni e alle macroscopiche fastidiose e sterili disarmonie, vengono segnate note, varianti e correzioni, tese tutte a individuare esporre e proporre riparatrici benefiche e rivitalizzanti consonanze. “Con la testa tra le mani” e “Tra le pieghe dei giorni”, i titoli delle due sezioni in cui è suddivisa la silloge forniscono, a loro volta, informazioni ben precise in merito all’organicità, alla consistenza e alla qualità della “filosofia” che caratterizzano e alimentano i versi. Mentre, nella prima sezione, Di Pietro percorre e indica la strada di un confronto lucido e misurato con la realtà, nella seconda scende nei dettagli, con una disamina, puntuale e mai esasperata o livorosa, delle deviazioni, delle illusioni, dei falsi miti, dell’ottusità, dell’arrivismo, della finzione, dei pregiudizi e della totale quanto scellerata incapacità dei tanti che, pensando di essere immortali, continuano a sprecare i loro giorni…

Veloce e inarrestabile, “giudice imparziale” e “margherita, da sfogliare giorno dopo giorno”, il tempo e il modo per esserne e sentirsene parte è un tema essenziale del libro: … Il poeta scrive: “II conteggio (degli anni) è riferito / alla conclusione della corsa / stabilita da chi ha tracciato / il mio percorso”; a decidere il tracciato è stato, dunque, lo stesso autore che ha scritto “il copione” per i suoi attori improvvisati e, spesso, maldestri; ciononostante: “ho fatto ciò che ho voluto, / ho dato ciò che ho potuto.” … Sembrerebbe una contraddizione, la sua, la stessa che affiora quando parla di “opzioni” o sostiene la necessità di essere “artefici” e cioè di mettere le mani nella sceneggiatura e, in un certo qual modo, modificarne struttura, forma e contorni. Ma non lo è. Di Pietro sa quello che dice, dato il patrimonio culturale in suo possesso. S. Agostino gli ha insegnato che il tempo è “distensio animi”, un distendersi dell’anima, senza la quale, neppure esisterebbe… Da Bergson, poi, ha appreso che il tempo “spazializzato” è cosa assai diversa da quello vissuto come “durata concreta”: il primo, sequela illusoria di fotogrammi privi di senso, di chiazze anonime e amorfe in corsa su una giostra impazzita, scorre veloce, ignaro delle creature e delle loro vicissitudini; il secondo, invece, è quello che il singolo riesce a fare suo, immergendovisi dentro in modo consapevole, facendo di ogni attimo un momento essenziale della sua presenza nell’unica e irripetibile avventura esistenziale. A dare prova della sua piena adesione a quanto affermato dai due filosofi, ci sono versi eloquenti: “Chi ha inventato il calendario / […] / ha cercato di legare i giorni / tutti in fila… / […] / e gli è sfuggito che questi / sono unici e diversi” e che “Il calendario è un quaderno / legato a ogni singola esistenza.” Più che “grande scienziato”, l’artefice del “calendario” è stato “sommo ignorante”: perché, per ciascuno degli esseri umani, vero è solo quel tempo in cui, in piena coscienza della propria unicità, è riuscito a scegliere, facendosi, insieme, attore, osservatore e notaio del proprio vissuto.

Quella di Benedetto Di Pietro è poesia dell’esistenza e della sua problematicità, innanzitutto; in quanto tale, è: ricerca di senso; volontà di esserci; aspirazione costante a rinnovarsi e ritagliarsi spazi e orizzonti di libertà; tensione etica, scevra da pregiudizi e moralismi. È altresì poesia civile, attenta ad analizzare il rapporto del singolo con la società, con i valori e con la Storia, per stigmatizzarne difetti, omissioni e colpevoli inadeguatezze. Non esita, il poeta, a puntare il dito, a dire pane al pane e, all’occorrenza, a denunciare: le offese degli uomini alla natura; le “fabbriche chiuse”; “la lotta per arrivare a fine mese col magro salario”; “i liberatori stupratori”, “criminali” e privi di “morali qualità”; “l’onestà”, di cui non può permettersi di fare a meno chi scrive la Storia; la giustizia del “più forte” … Nel romanzo ‘La strega e il capitano’, partendo dal presupposto che la letteratura, in quanto missione, è specchio e coscienza della realtà, Leonardo Sciascia dichiara: “… la letteratura italiana nasce ‘civile’, perché è parola che interpreta, trasfigura e giudica la realtà. È Dante Alighieri che crea le basi della letteratura italiana come opera di denuncia, con la più sontuosa e fiammeggiante critica sociale che sia mai stata scritta, La Divina Commedia.” …
Proprio in virtù di questa dimensione civile del suo messaggio, sul piano stilistico, Di Pietro sceglie di esprimersi in maniera lineare, ricorrendo al verso libero, che ben si adegua alla funzione da lui attribuita alla scrittura e cioè quella di veicolare verità, senza lasciarsi intrappolare dai lacci della metrica e del ritmo che sottrarrebbero vigore alla voce. Armonia musica e consonanze, data la direzione e il senso del suo canto, non vanno ricercate, dunque, nella forma e negli schemi, bensì nella sostanza e nella linfa viva che lo attraversa, svelandone necessità e vigore. Il linguaggio dei versi, improntato, per scelta mirata, alla semplicità, è, perciò, scarno essenziale, semplice e, tuttavia, mai povero o inadeguato.
Non mancano, nella raccolta, sicure e rapide pennellate liriche, in cui il poeta rivela quella parte di sé che, per discrezione o per eccesso di pudore virile, quasi costantemente cerca di tenere sotto controllo. Ne danno testimonianza, ad esempio, i versi: “Oh! Quanto aperto m’è il cuore, / quanto lontano mi vola / l’acerbo di questi monti! / Sempre pago mi vedrà / il gotico silenzio…”; “Il mio libro conserva tra le pagine / un biglietto del tram obliterato / e una margherita sfogliata / con esito felice…”; “Sorridevano le melagrane / di mia nonna / […] Nel… podere con vista mare / e le isole Eolie galleggianti / restavo a bocca aperta.”; “Erano viatico e ombre / nei campi comuni / del mio camposanto / il rosso dei gerani / e le grida disperate / di mamme e di spose.” …

Di Pietro sa che, per essere adatte a tutti, le parole devono essere restituite alla loro innocenza primigenia, ripulite e maneggiate con parsimonia e saggezza, nel pieno rispetto della loro funzione di veicolo privilegiato per descrivere l’efficacia e, insieme, gli effetti catartici e terapeutici della Verità, della Giustizia e dell’Amore.
Dell’Amore, soprattutto, quello autentico. Che è energia riparatrice, vivificatrice e rigeneratrice del singolo, della società e della Storia.

Pasquale Matrone


Consonanze


(Estratto dalla raccolta di poesie “Consonanze” di B. Di Pietro, Montedit, Melegnano 2018)


Lasciamo i piedistalli

La storia è stata sempre
buona maestra
e gli eventi consolidano lezioni
che i popoli – alunni testardi –,
sono convinti di poter cambiare.
Passano i tiranni per fare luogo
ad altri omologhi,
i popoli depongono le monarchie
in favore delle democrazie,
poi stufi del disordine
si accorgono di avere dato
corpo all’anarchia
e reinsediano le tirannie
credendo di mettere ordine.
I popoli fanno le rivoluzioni
e mandano sulla ghigliottina ogni Luigi
insieme con Robespierre.
Tirano giù le statue,
le aquile e tutti i simboli
come monito che il potere
appartiene al popolo.
La saggezza non abbonda
perché il popolo è guercio
e non vede oltre il naso.
La storia insegna che è norma
buttare giù le statue dei tiranni,
ma conviene lasciare i piedistalli
perché non tarderà l’esigenza
di mettervi sopra quelli nuovi.


Le dediche

In ogni occasione
un regalo è un piacere
per chi lo riceve e per chi lo dona.
Il buon criterio comporta
specifica dedica
personalizzata e a volte sincera.
Parole di ricordo
a futura memoria.
Però scrivere “with love”
sulle bombe da una tonnellata
“general purpose”,
che gli aerei americani
hanno sganciato sulla gente
come fossero medicine
per tutti gli usi
è un pessimo biglietto da visita.
La storia la scrivono i vincitori
ma l’amore è una cosa seria
e il tempo sa rinfacciare,
avverte che il dio degli americani
è inaffidabile.


Il saluto

Una stretta di mano
una pacca sulla spalla,
meglio se un bacio:
un contatto fisico
che ci dona la pace.
Cambiano le abitudini
di ogni paese
e il bacio diviene rarefatto
nei paesi del sud
dove tutto è fermo
nella tradizione dei secoli
e ci si bacia solo
a Pasqua, Natale e Capodanno
e quando si parte
per lidi lontani.
Ovunque e sempre, il bacio
è pegno per gli innamorati.
Ci si bacia al nord
quando si esce di casa
nelle città piene d’insidie.
Per tutti il bacio è saluto
della sera e del mattino,
è augurio di buona sorte
o estremo commiato silente.


I pini di Montecucco

Dall’alto dei loro secoli
i pini di Montecucco
parano ad ombrello
la lapide papale
(si vede e non si vede)
dalle folate sciroccali.

È facile impigliarsi nella storia
e il vino come sempre
è maestro e insegna
che di sera a Castelgandolfo
non ci si avventura da soli
perché la poesia è narcotico
e ci si perde lungo la via.


Fortuna iuvat

Se le forze scadono
cerchiamo rinforzi,
cure di ferro e di ogni sorta
poiché si dice che la mente è sana
nel corpo sano.
Il problema si pone
se vacilla la mente in un corpo sano.
Invochiamo allora supplici
la fortuna che benevola
ci sia propizia.
Perché la fortuna aiuta gli audaci
e noi codardi sappiamo di essere
artefici del nostro destino,
ma cerchiamo la raccomandazione.


Definizioni invertibili

In questo mondo si comunica
con le parole,
i vocabolari sono pieni
di definizioni.
Sono significati attaccati
agli esseri viventi,
agli oggetti senza vita,
alle invenzioni e alla fantasia.
“Amore” è un lemma chiaro
nelle sue estensioni e privazioni.
Auguri e condoglianze
sono riferiti a momenti di felicità,
contingenti o in prospettiva,
e di grande dolore
e sono spesso invertibili:
il matrimonio può rivelarsi
imprevedibile sepoltura dell’amore
e la morte essere sicura
fonte di vita per chi resta
e per chi muore.


Mondine

Venivano dall’Emilia
e le alloggiavano in cascina.
Al mattino le portavano nelle risaie
sopra i carri trainati dai buoi,
sedute con le gambe penzoloni
e grandi cappelli in testa.
Erano giovani e cantavano allegre
coi piedi nell’acqua.
Avevano belle gambe
affusolate e natiche sode
da offrire alle zanzare.
La sera della domenica
si rendevano disponibili
per balli senza appendici.
Erano mondine in trasferta.


Tram n. 24

Il tempo è una margherita
che sfogliamo tutti i giorni.
Il tram numero 24
al Vigentino faceva capolinea
e noi si scendeva
con l’arrivederci, a domani!

Il mio libro conserva tra le pagine
un biglietto del tram obliterato
e una margherita sfogliata
con esito felice.
Ho dimenticato il copione,
ma sono rimasto seduto
e ora col tuo sorriso inimitabile
mi porgi il bicchiere della staffa
per un viaggio al Vigentino.
Ho in mano una spiga di grano
e tanti papaveri rossi;
le tue parole hanno smarrito il senso
e ora sono diventate luce.


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