Philopoiesis

di

G. Camilla Iannacci


G. Camilla Iannacci - Philopoiesis
Collana "Koiné" - I libri di Religione, Filosofia, Sociologia, Psicologia, Esoterismo
14x20,5 - pp. 80 - Euro 8,00
ISBN 978-88-6587-1478

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Se sul sito dell’Università di Pisa leggo un nome e un mondo mi si ripresenta alla mente, come la ‘madeleine’ della Recherche di Proust, se mi ritrovo in via S. Maria dopo trent’anni, chi sono io, come vivo il mio ‘esser – gettata’ lì? “La carta per terra” mi fa vivere l’esperienza della ‘nausea’ di Ronquetin o quella della ‘madeleine’ di Proust? Sono oltre la ‘madeleine’ giacché sono lì presente “in carne e ossa ed esperienze di vita” e non ricordo soltanto ma rivivo l’Erlebniss? “Rivolgendomi al passato vedo diverse personalità e ritengo che ciascuna sia l’io che ero io; chi è ricordato è un’altra persona” (Schutz). “In Proust gli oggetti sono utili al ricordo, a ricostruire e costruire il ‘sé’ e il ‘reale’… ma la condotta emotiva trasforma la realtà come quando si guarda da vicino un quadro: i suoi elementi sono destrutturati” (Barale).
Attraverso la teoria della ‘situazione emotiva’, i temi dell’‘io-altro’ e dello ‘sguardo’, il soggetto e la sua crisi si giunge a Vattimo che parla di “un indebolimento del senso o meglio di un’ontologia del declino” e, con Nietszche, definisce il soggetto “una favola, una finzione, un gioco di parole”.
“Contare i fili d’erba è inutile, non si arriverà mai e saperne il numero: predomina l’assenza di ‘un sapere certo’, l’instabilità, la casualità” (Calvino).
Per Schutz “la fenomenologia non può risolvere il problema ontologico”, come sostiene Husserl cui imputa una “modificazione metafisica del metodo”, ma si può parlare “di un fondamento debole”.
Per Schopenauer “la verità oggettiva di una proposizione e la verità della medesima nell’approvazione dei contemporanei sono due cose diverse”.
“La concezione della ragione che origina dall’idea di stato di Hobbes e Hegel è entrata in crisi” (Barale) e siamo di fronte “a un’intelligenza e una forza produttiva ‘altra’, vale a dire in possesso di sapere-sapienza.
Con la teoria dei ‘numeri immaginari’ di Hawking si può calcolare una temporalità non lineare, ‘altra’ dalle narrazioni ottocentesche mentre la teoria marxiana del valore, ove soggiace la visione lineare del tempo, non tiene conto del superamento dei paradigmi preesistenti.
Il ricorso a immagini e metafore è costitutivo della scienza: ‘il cuneo di Darwin’, ‘i geni che saltano’, ‘il gatto nero e bianco’ di Thom.
Aymar si orienta verso rappresentazioni non lineari del tempo e analisi delle società in termini di sistemi dinamici e prende in considerazione le teorie della biforcazione,della complessità: negli studi storici e economici è utile il concetto di caso che attraversa matematica e la nuova fisica.
Il teorema di Gödel è il grimaldello della crisi della ragione classica, dei fondamenti e del soggetto, mentre per Giorello è in atto un tentativo di ricucire “arte e scienza, logica e mito”. Se il linguaggio della metafisica non poteva servire a Heidegger, forse tutto deve capovolgersi. Se il linguaggio dell’esattezza non riesce a contenere il molteplice (Sini) e lo scienziato è uno che racconta storie (Medawar), tutto è parola e racconto?


INTRODUZIONE

Phylopoiesis vuole restituire il tono lieve con cui sono stati affrontati alcuni testi in vari momenti di vita; il… fil-rouge è il puro piacere intellettuale… si spera anche del lettore.
“Non è la stessa cosa presentare una filosofia, una visione del mondo in una forma piuttosto che in un’altra. La scelta della forma non è casuale, ma è regolata da una precisa teoria e ha valore di un esperimento” (Barale).
Per questa ragione le seguenti note assumeranno la forma del frammento: una scelta di per sé esplicativa che però, nel frattempo, serve anche a rilevare l’esigenza di un nuovo dispiegamento.
“Suggestioni bergsoniane, motivi nicciani e retroterra estetico sono alcune delle esperienze familiari a Sartre: penso a Proust” scrive Barale in ‘Il tramonto del liberale’ (Guanda) e cita Barthes: “Sartre tornerà attuale all’improvviso, in tempi abbastanza brevi” in modo nuovo “alla maniera di un classico”.
È già questo il tempo? Il pensiero sartriano è tornato a essere attuale? E quali temi del francese sono ancora at-tuali?
‘Filosofia come esperienza trascendentale: Sartre’ (Le Monnier) esplicita compiutamente il pensiero del filosofo transalpino e individua un percorso che è necessario intraprendere per rispondere alla domanda iniziale: “si può parlare di attualità di Sartre”?
I temi, sottintesi e in parte richiamati, sono la teoria della ‘situazione emotiva’ e della ‘comprensione’ in Sartre e Heidegger, il tema dell’‘io-altro’ e dello ‘sguardo’, l’attualità della fenomenologia husserliana, il tempo in Bergson, Proust, Heidegger, il soggetto e la sua crisi, l’‘intersoggettività’ e il ‘mondo ambiente’.
Ronquetin dice: “costruisco i miei ricordi… gli oggetti sono cose che non dovrebbero commuovere poiché non sono vive, ci si serve di loro… sono utili, niente di più”.
“In Proust gli oggetti sono utili al ricordo, a ricostruire e costruire il ‘sé’ e il ‘reale’… l’emozione è il venir meno di quella prospettiva stabile che le nozioni abituali degli oggetti concorrono a costituire.
La condotta emotiva destruttura e trasforma la realtà in un qualcosa d’indifferenziato mediante la degradazione della coscienza, come quando si guarda da molto vicino un quadro: i suoi elementi risultano destrutturati, disposti indifferentemente su uno stesso piano, un insieme confuso di macchie e linee. Questa perdita di distanza dal mondo di ciò che si chiama coscienza indica la stessa maniera d’essere ente dell’ente uomo che Heidegger definì Dasein, e realizza, di fatto, una destrutturazione di quel mondo che si dà come un insieme di esigenze oggettive che impone una programmazione della nostra esistenza.
L’Umwelt assomiglia al piano del bigliardino: ci sono percorsi delimitati, è necessario che la pallina percorra un tragitto determinato senza cadere nelle buche; grazie alla condotta emotiva (che viene definita magica: si pensi all’episodio della lampada da notte nella Recherche) il mondo perde il suo aspetto abituale” (Barale).
Se sul sito dell’Università di Pisa leggo un nome e tutto un mondo mi si ripresenta alla mente, come la ‘madeleine’ della Recherche di Proust, se mi ritrovo in via S. Maria dopo trent’anni, chi sono io, come vivo il mio ‘esser – gettata’ lì?
“La carta per terra” mi fa vivere l’esperienza della ‘nausea’ di Ronquetin o quella della ‘madeleine’ di Proust?
O, forse, non vado oltre la ‘madeleine’ giacché io sono lì presente “in carne e ossa ed esperienze di vita” e non ricordo soltanto ma rivivo l’Erlebniss?
Come dice Schutz “io vedo me in ciascuna esperienza parziale, rivolgendomi alla mia storia passata vedo aspetti diversi e discontinui e quindi diverse personalità e ritengo che ciascuna sia l’io che ero io; nella memoria di ognuno, la propria vita passata è discontinua: vengono ricordati frammenti di vita. Colui che viene ricordato è un’altra persona, è un me già divenuto.
Il senso varia in funzione del tempo vissuto, della duréé, della propria biografia”.
Forse il ricordo è costitutivo dell’io e del mondo?
Rispondere a questa domanda non è agevole e sicuramente comporta una riflessione di lunga lena e di ben altre energie intellettuali…
Per Palomar: “contare i fili d’erba è inutile, non si arriverà mai e saperne il numero” e ancora “la sensazione che sei qui ma potresti non esserci, in un mondo che potrebbe non esserci, ma c’è… io più il mondo meno io”: siamo in una dimensione in cui predomina “l’assenza di ‘un sapere certo’, l’instabilità come dato autentico; la ‘casualità, la sorpresa’ costitutive della ‘peripezia’ sono l’unica esperienza di pensiero concessa all’uomo contemporaneo che vive l’assenza di un inizio e di una fine, di un progetto dispiegabile”.
Muzzetto focalizza l’io attraverso un confronto tra Husserl e Schutz e ripercorre i vari momenti attraverso cui il fenomenologo austriaco mostra come “il fondatore della fenomenologia, declinando l’ego in molte modalità, ne trasforma il senso e crea una pluralità di soggetti laddove l’ego è ‘un singular tantum’. Se la coscienza è il luogo della costituzione dei significati, essi vanno imputati a un ego che è l’io polo di ogni costituzione e atto e, poi, solo ‘nell’incontro diretto’ si può cogliere il costituirsi dei vissuti dell’altro e notare l’uguaglianza strutturale dei flussi di coscienza”.
Per Schutz base di ogni scienza è “il prescientifico mondo della vita quotidiana: la fenomenologia indaga il mondo della vita, non può risolvere il problema ontologico” come sostiene Husserl cui imputa una “modificazione metafisica del metodo”.
Il concetto di costituzione (chiarificazione di senso) in Schutz “viene depurato da ogni elemento metafisico e ne vengono sottolineati i sottostanti stati predicativi da cui originano oggetti reali, ideali e la stessa logica.
Per superare il naturalismo e l’oggettivismo, il dualismo tra mente e natura è necessario ricollocare il processo costitutivo sulle sue basi”: svelarlo.
Per la metodologia schutziana si può parlare “di un fondamento debole, non un ultimo ma del punto più radicale cui si può giungere con gli strumenti della fenomenologia”.
Rovatti e Del Lago in ‘L’elogio del pudore. Per un pensiero debole’ vogliono confutare l’obiezione mossa al ‘pensiero debole’ di essere non solo un “non pensiero” giacché “esce dalla filosofia come scienza rigorosa” ma un vero e proprio “tradimento dei chierici”, un invito al disimpegno.
È poi vero che, per il ‘pensiero debole’, “il mondo va bene così com’è?”
Vattimo si pronuncia per “una dissoluzione, un indebolimento del senso o meglio un’ontologia del declino”.
Attraverso le connessioni di quest’ ontologia con la “critica del soggetto” e con l’ermeneutica, dispiega la sua concezione ‘debole’ dell’Essere che permetterebbe la possibilità di “nuovi ideali di umanità” non più “legati alla concezione metafisica del soggetto”.
Qual è “il senso della nuova, possibile esperienza superficiale dei valori e dei significati” di cui parla l’autore?
Non è più possibile scrivere di alcuna ‘cosa in sé’, il soggetto è diventato una “cosa come tutte le altre” e ancora “la coscienza, l’io sono semplicemente filiazioni posteriori” ovvero “tutto accade” secondo le parole nicciane per cui “un lontano colpo di cannone ci colpisce l’orecchio durante il sonno; nel sogno noi lo leghiamo a una storia che ci appare, a posteriori, come causa e spiegazione”. In questo senso il soggetto è “un effetto di superficie, una favola, una finzione, un gioco di parole”.
Il tentativo di misurarsi con la dialettica hegelo-marxiana, con la sua pretesa di interpretare validamente le condizioni dell’esistenza, sorregge i vari capitoli.
Mentre Schopenauer parla di dialettica eristica: un’arte della seduzione dell’ottenere ragione emerge dalle sottigliezze e dagli artifici schopenhaueriani. Un vero e proprio esercizio di scherma: “colpire e parare, questo è quello che conta” e poi “la verità oggettiva di una proposizione e la verità della medesima nell’approvazione dei contemporanei sono due cose diverse”.
È solamente a questa che è “rivolta la dialettica” mentre “la verità oggettiva è oggetto della logica”.
C’è un’impellente necessità di comprendere e riflettere sulla natura dell’occidente: sulla sua ipotetica e reale crisi.
“La concezione della ragione che origina dall’idea di stato di Hobbes e Hegel è entrata in crisi in ogni regione della cultura contemporanea” siamo di fronte “alla crisi della teoria politica, della concezione tradizionale circa la ragione d’essere e le condizioni di legittimità della forma politica” (Barale).
“La nascita di un’intelligenza e di una forza produttiva ‘altra’, vale a dire in possesso di sapere – sapienza, ovvero il ‘knowledge’ non appare più subordinante, coercitivo o solo tale ma suadente, giocoso, seduttivo: la sua pervasività s’insinua in ogni aspetto dell’esistenza: commercializzazione, istituzioni, cultura, scienza e immaginario.
La creazione di un potere immateriale (capace di travalicare i limiti stessi del denaro, delle nazionalità, delle regole dello scambio) e i sistemi informatizzati del mercato hanno creato quella ‘differenza’ che ha fatto implodere interi paradigmi culturali e sistemi sociali e con la quale, ancora per molto tempo, saremo chiamati a confrontarci.
Lyotard scrive: “Il sapere è diventato la principale forza produttiva” e ancora “sapere e potere sono due aspetti di una domanda fondamentale ‘chi decide cos’è il sapere’ e ‘chi sa cosa conviene decidere’”.
Il problema e l’analisi del sapere pongono quello del governo e comportano, di fatto, un’analisi del legame sociale che per l’autore è costituito da mosse linguistiche: il riferimento è a Wittgenstein.
Il sapere, la scienza come entità sociali sono definite come “‘undemocratic’ giacché generano mansioni parcellizzate e tailorizzate della ricerca: elevata e bassa produttività, in relazione alle pubblicazioni, caratterizzano la categoria dei ricercatori”.
Il sapere viene “prodotto per essere venduto, scambiato: perde il proprio valore d’uso e parte della vendita viene destinata alla ricerca per ottimizzare le prestazioni”.
“A cosa serve, si può vendere, è efficace?: sono i tre imperativi che sottendono la mercificazione del sapere.
Nei ‘Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica’ per Marx ‘il sapere sociale generale ovvero il knowledge’, è diventato forza produttiva immediata.
Di fronte al ‘knowledge’ e al ‘general intellect’ non s’impone più la semplice energia (argon) esclusa da implicazioni intellettive.
Nasce l’intelligenza ‘altra’ vale a dire in possesso di sapere – sapienza, avviene così il passaggio dall’‘argon’ alla ‘Techne’”.
È utile riflettere sulla visione marxiana del tempo enucleata nell’elaborazione scientifica del ‘tempo di lavoro’ inteso come il tempo necessario per produrre il ‘valore’ e il ‘plusvalore’.
“L’intero sistema capitalistico dipende dal ‘tempo di lavoro’ ovvero da un’elaborazione linearizzata del tempo: una buona parte necessaria per costruire l’economia sufficiente per l’esistenza della classe, un’altra per la costruzione del ‘plusvalore’ e in subordine del profitto.
Nella ‘teoria del valore’ di Marx c’è tutta la visione lineare e positivistica del tempo che fino agli anni ‘60 ha funzionato; dopo, con l’irruzione delle nuove tecnologie e con la prevalenza di un’intellettualità diffusa, è entrata in crisi.
Sia la filosofia, sia la scienza ma anche la letteratura (Proust) hanno affondato lo sguardo sul problema del tempo si pensi a Hawking che ci fornisce con la teoria dei ‘numeri immaginari’ la possibilità di calcolare una temporalità non lineare, quindi ci dischiude una visione della temporalità ‘altra’ dai paradigmi delle narrazioni ottocentesche.
Perché il dibattito sul problema del tempo, che ha segnato il secolo scorso, non è entrato in connessione – collusione col paradigma temporale soggiacente nella ‘teoria del valore’ di Marx?
Se la critica dell’economia politica elaborata da Marx non ha offerto quella completezza che tutti si attendevano, vale a dire se il solo paradigma economico non risulta più essere uno strumento adeguato per comprendere la natura stessa dell’occidente e la crisi del socialismo, se la visione della storia è intrisa di paradigmi letterari e filosofici o in crisi o neometafisici è forse enunciabile un nuovo paradigma?”
Non è forse il caso di… ‘capovolgere’ la teoria marxiana?
Nel campo delle evoluzioni storiche e dell’economia uno strumento utile è anche il concetto di ‘caso’ che come il filo d’Arianna, in Ruelle, attraversa la matematica e la fisica; si viaggia nella ‘teoria dei giochi’, nel ‘caos’, negli ‘attrattori strani’ e si gioca con lotterie, oroscopi, biglie, pulci e alla ‘dama alla polacca’ per giungere, con l’autore, alla conclusione che “il dilemma tra caos e determinismo è in gran parte un falso problema”.
“Aymard, successore di Braudel, propone di fare i conti con la scienza: di partire da matematica e teorie del caos nel campo degli studi e della ricerca storica; introduce l’idea di rottura e cambiamento, si orienta verso rappresentazioni non lineari del tempo e analisi delle società in termini di sistemi dinamici.
Meriterebbero di essere esplorate: le analisi della disseminazione, della biforcazione, del caos, della complessità e dell’analisi stocastica. Le prospettive che esse ci propongono hanno il merito di offrirci altre soluzioni possibili e invitano a rimettere in discussione certezze e teorie.
Certamente avrebbero affascinato lo stesso Braudel che cercava di individuare i possibili contatti tra le discipline e per il quale la ‘lunga durata’ è la carta dominante che gli consente di rivendicare per la storia, accanto alla matematica, il ruolo di ‘federatrice’ delle scienze dell’uomo”.
Il ricorso a immagini, metafore è costitutivo della scienza; il repertorio è vasto: la ‘metafora del cuneo di Darwin’, ‘i geni che saltano’, ‘il principio dallo pneumatico al sandalo’ di Gould mentre… ‘il gatto nero e bianco’ di Thom guizza via dalla logica di Boole e dagli Analitici Primi di Aristotele e ci appare nel suo carattere spaziale, esteso del corpo.
Per Gödel “ci sono asserzioni formulate in modo esatto per le quali non si può dimostrare né che sono vere né che sono false”.
Il teorema di Gödel è il grimaldello della crisi della ragione classica, dei fondamenti e del soggetto.
Due sono, per Thom, le correnti della scienza: quella pragmatica e quella immaginaria ma il problema fondamentale è quello del senso mentre Giorello mette in evidenza come ormai è in atto un tentativo di ricucire “arte e scienza, logica e mito”.
‘La nascita della filosofia’ di Colli, un testo fondativo, dispiega l’interpretazione nicciana di ‘Mithos’ e ‘Logos’ al di là della differenza canonica tra dionisiaco e apollineo.
“La sapienza, la conoscenza si manifestano attraverso l’enigmaticità apollinea: la parola ‘ama nascondersi’.
La parola (il ‘Logos’) tesse trame in cui può perdersi Teseo nel labirinto, già simbolo del ‘Logos’ che è elaborazione razionale, contrapposto a ‘Mythos’, e che nasce col passaggio dall’enigma alla retorica.
La mutazione del ‘Logos’ originario (un discorso, appunto un ‘Logos’, che accenna ad altro vale a dire allo sfondo divinatorio) si completa con la scrittura e soprattutto con la letteratura filosofica di Platone: la ‘sofia’ si sottrae: nasce la filosofia.
La ricostruzione di Colli con l’innovazione, rispetto a Nietzsche, di Apollo come dio dell’invasamento e non dell’armonia, è imprescindibile e consente di portare in avanti lo sguardo: Colli ci svela il chiasma enigmatico e mistico del mito che si dà quale essere che si eventua senza canone e senza fondamento”.
Per parafrasare il filosofo: cos’è il ‘Logos’ nell’ ‘abisso senza fondo’; nell’assenza del fondamento, nell’‘ab-grund’ che costituisce l’‘esser – ci’, in cui l’‘esser-ci’ è gettàto?
“In breve: cos’è la razionalità nella crisi dei fondamenti e nel trionfo della ‘Techne’?
‘Logos’ e ‘Techne’ prevalgono veramente sul mito o sono solo una sua singolarità?
In questo tempo segnato dal trionfo del pensiero tecnico: dove si è nascosto il ‘Mythos’ e cos’è il ‘Logos’?
È temerario forse affermare che l’interpretazione del mito s’intreccia alla riproposizione della questione della natura?
L’interpretazione nicciana di ‘Mythos’ e ‘Logos’ è stata rovesciata da Heidegger: ‘la filosofia non nasce dal mito ma dal pensiero’.
Heidegger parla di ‘coappartenenza’ di ‘Essere’ e ‘fusis’: ‘Essere’ e pensiero coincidono e l’ ‘Essere’ che appare (‘fusis’) porta con sé il raccoglimento (‘Logos’).
L’oblio della ‘coappartenenza di pensare ed Essere’ produce la perdita del senso originario del termine ‘Logos’ che viene così considerato solo come discorso, proposizione.
Nella disvelatezza del mito del ‘Logos’ c’è la ‘differenza ontologica’ tra la verità epistemica, la verità ermeneutica e la verità ontologica.
Siamo ‘gettàti nell’enigma’, nel ‘próblema’: un ostacolo da superare, una sfida da raccogliere ma anche siamo ‘gettàti’ nella ‘formulazione di una ricerca’.
Intanto la crisi del ‘Logos’, della ‘Techne’ e delle grandi narrazioni sembrano indifferenti alla ‘temporalità immaginaria’ del mito in quanto, questo, non s’impone al mondo come ‘epistéme’ e può, così, dispiegare ancora la sua seduzione”.
Marramao prosegue la ricerca sulla problematica temporale avviata con ‘Potere e secolarizzazione’, ‘Le categorie del tempo’, ‘Minima moralia’, ‘Tempo, spazio, esperienza’ e ricostruisce le concezioni classiche e contemporanee sul tempo.
Dopo le nuove immagini scientifiche del mondo, emerge, nettamente, come il pensiero filosofico ha dimenticato il suo luogo d’origine ovvero quella zona limite che, come dice Diotima, è “qualcosa di intermedio tra sapienza e ignoranza”.
La nuova fisica rovescia la classica per cui la realtà esisteva oggettivamente; per quella, infatti, l’oggetto osservato viene modificato, nella sua realtà oggettiva, proprio per l’intervento dell’osservatore.
La ripresa del concetto di ‘kairòs’, tempo opportuno e l’individuazione del ruolo della mente, conducono la filosofia al suo luogo d’origine: la funzione della filosofia è la ricerca delle strade sbarrate, dell’interrogazione delle vie senza uscita.
Ma “qual è la narrazione che il filosofo sta cercando per descrivere la propria esperienza”?
Può bastare al pensiero l’Eraclito che, scaldandosi vicino al fuoco, esclama “anche qui gli dei sono presenti”?
Se il linguaggio della metafisica non poteva servire a Heidegger, a noi serve fino in fondo il linguaggio heideggeriano?
Non possiamo dire, con Heidegger, che ‘tutto’ deve ‘capovolgersi’?
La domanda fondamentale (‘grundfrage’) è allora: qual è il senso del ‘Logos’ nella crisi del ‘grund’?
Se il linguaggio dell’esattezza non riesce a contenere il molteplice (Sini) e lo scienziato è uno che racconta storie (Medawar), tutto è parola e racconto?


Philopoiesis


Al Ch.mo Prof. G. Massimo Barale
Cattedra di Filosofia Teoretica
Università degli Studi di Pisa

Al Ch.mo Prof. Luigi Muzzetto
Ordinario di Sociologia Generale
Vice-Direttore del Dipartimento
di Scienze Politiche e Sociali
dell’Università di Pisa
un ringraziamento per avermi introdotta alla lettura di Schutz

A mia sorella Antonella

Pagine che testimoniano sensibilità
e intelligenza e una indomabile vocazione
a pensare.

Con l’augurio di ogni bene

Prof. G. Massimo Barale


PHILOPOIESIS
LETTURE
E
APPUNTI


La nascita della filosofia

Il mito ‘ha abitato tra noi’ e come gli dei ci ha lasciato, oppure può essere ancora principio attivo del pensare?
Giorgio Colli dispiega l’interpretazione nicciana di ‘Mithos’ e ‘Logos’ al di là della differenza canonica tra dionisiaco e apollineo.
“‘Cose senza riso, né ornamento, né unguento la sibilla, con bocca folle, dice’, il frammento eracliteo non sembra oscuro: la sapienza origina dalla ‘mania’ (‘mantica’ = arte della divinazione).
Apollo ‘l’obliquo’, dall’occhiata che conosce ogni cosa e con la parola che ‘non dice né nasconde ma accenna’, comunica all’uomo la sapienza.
Il dio ‘parla per enigmi’ e l’enigma, ‘coessenziale alla divinazione e alla sapienza, è sempre crudele e tragico’ infatti ‘risuona dalle mascelle feroci’.
L’enigma si eventua, anche attraverso i paradossi del ‘Logos’, dell’eristica e dell’indicibile.
La sapienza, la conoscenza si manifestano attraverso l’enigmaticità apollinea (non nel senso nicciano): la parola ‘ama nascondersi’.
La parola (il ‘Logos’ ) tesse trame in cui può perdersi Teseo nel labirinto che è già simbolo del ‘Logos’.
‘Logos’ e (è) parola sono inganno, insidia, perdizione così come ricorda Eraclito a proposito di Omero e dei pescatori.
Contro l’uomo sono tese l’arco e le parole di Apollo che ‘si slancia, sfrecciando veloci pensieri’: è il dio che si eventua senza essere né evocato né immaginato, giacché il divino si dà, è, c’è, senza perché.
La parola, attraverso cui il dio manifesta la sapienza, è collegata alle frecce; Apollo è ‘colui che agisce, colpisce da lontano, distrugge totalmente’: parola, sapienza, distruttività e crudeltà del dio sono strettamente intrecciate.
La parola, il discorso, appunto il ‘Mythos’ in Omero sta anche per progetto e macchinazione. Il ‘Logos’, elaborazione razionale, contrapposto a ‘Mythos’, nasce col passaggio dall’enigma alla retorica.
La mutazione del ‘Logos’ originario (un discorso, appunto un ‘Logos’, che accenna ad altro vale a dire allo sfondo divinatorio) si completa con la scrittura e soprattutto con la letteratura filosofica di Platone: la‘sofia’ si sottrae: nasce la filosofia.
L’interpretazione nicciana di ‘Mythos’ e ‘Logos’ è stata rovesciata da Heidegger: ‘la filosofia non nasce dal mito. Essa nasce dal pensiero’.
Ambiguità, duplicità, compresenza di significanze nella parola ‘Mythos’.
Il percorso: ‘mania – sapienza – enigma – labirinto-logos’ porta alla ‘Signora del labirinto’, ad Arianna, la donna – dea che salva Teseo”.
Il filo del ‘Logos’. Ma quale ‘Logos’?
Questo il sentiero etimologico heideggeriano: “‘Mithos’ significa ‘parola che dice’, dire per i greci significa: manifestare, far apparire ciò che è: ‘Logos’ significa la stessa cosa.
‘Logos (da ‘leghein’) sta per ‘raccogliere, accogliere, parlare’; in greco: parlare significa ‘far comparire, lasciare apparire qualcosa nel suo aspetto’.
Il significato originario dell’‘Essere’ si coglie in una radice dell’etimo: ‘bhu-bhue’ = schiudersi, imporsi, predominare; da qui ‘fusis-fuein’ (‘fui’, latino).
‘Fusis’ è ‘ciò che sboccia da se stesso (come ad esempio lo sbocciare di una rosa) cioè dispiegarsi aprendosi e in tale dispiegamento fare apparizione’.
Ancora due radici: ‘fu=fa’ servono a ribadire il legame ‘Essere – fusis – apparire – fainestai’.
E, l’‘essere’ (‘einai’) sta per venire – a – manifestarsi dentro l’ambito di ciò che è disvelamento, e, apparendo così, durare e dimorare.
Heidegger parla di ‘coappartenenza’ di ‘Essere’ e ‘fusis’: ‘Essere’ e pensiero coincidono e l’‘Essere’ che appare (‘fusis’) porta con sé il raccoglimento (‘Logos’).
L’oblio della ‘coappartenenza di pensare ed Essere’ produce la perdita del senso originario del termine ‘Logos’ che viene così considerato solo come discorso, proposizione.
La ricostruzione di Colli con l’innovazione, rispetto a Nietzsche, di Apollo come dio dell’invasamento e non dell’armonia, è imprescindibile e consente di portare lo sguardo in avanti: Colli ci svela il chiasma enigmatico e mistico del mito che si dà quale Essere che si eventua senza canone e senza fondamento”.
Per parafrasare il filosofo: cos’è il ‘Logos’ nell’‘abisso senza fondo’; nell’assenza del fondamento, nell’‘ab-grund’ che costituisce l’‘esser-ci’, in cui l’‘esser-ci’ è ‘gettàto’?
In breve: cos’è la razionalità nella crisi del fondamento e nel trionfo della ‘Techne’?
“‘Logos’ e ‘Techne’ prevalgono veramente sul mito o sono solo una sua singolarità?
In questo tempo segnato dal trionfo del pensiero tecnico: dove si è nascosto il ‘Mythos’ e cos’è il ‘Logos’?
È temerario forse affermare che l’interpretazione del mito s’intreccia alla riproposizione della questione della natura?
Il mito sembra cooriginario, coessenziale alla natura e avere la stessa essenza strutturale della ‘fusis’ (forza che cambia e trasforma) più che quella della ‘hyle’ nel senso proprio di ‘materiale per costruzione’.
L’interpretazione del mito implica una ripresa del concetto di materialità inteso, però, come interpretazione della sua origine: della ‘fusis’. Non un materialismo della ‘hyle’ ma della ‘fusis’: un oltrepassamento della materialità verso l’immaterialità.
Siamo ‘gettàti nell’enigma’, nel ‘próblema’: un ostacolo da superare, una sfida da raccogliere ma anche siamo ‘gettàti’ nella ‘formulazione di una ricerca’.
Per parafrasare Heidegger: l’‘esser-ci’ è ‘gettàto’ nell’ ‘ab-grund’.
L’ ‘ab-grund’ costituisce l’‘esser – ci’. Siamo in esso ed è da qui che bisogna partire: dall’‘abisso senza fondo’.
Se il linguaggio della metafisica non poteva servire ad Heidegger, a noi serve fino in fondo il linguaggio heideggeriano?
Non possiamo dire, con Heidegger, che ‘tutto’ deve ‘capovolgersi’?
La domanda fondamentale (‘grundfrage’) è allora: ‘qual è il senso del ‘Logos’ nella crisi del grund’?
Intanto la crisi del ‘Logos’, della ‘Techne’ e delle grandi narrazioni sembrano indifferenti alla ‘temporalità immaginaria’ del mito in quanto questo non si impone al mondo come ‘epistéme’ e può così dispiegare ancora la sua seduzione”.

[continua]


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