Capo Pact

di

Carmine Gaeta


Carmine Gaeta - Capo Pact
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
12x17 - pp. 34 - Euro 5,50
ISBN 978-88-6037-8262

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In copertina: «Capo indiano” di Carmine Gaeta


Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l’autore è finalista nel concorso letterario «J. Prévert» 2009


Prefazione

Nelle terre desolate del South Dakota, il grande guerriero Capo Pact vede il suo popolo massacrato mentre cerca di difendere quelle terre dove hanno vissuto gli avi, dove sono sepolti e riposano i loro sciamani, quasi a immaginare ancora gli spiriti dei guerrieri che, ai piedi delle montagne, galoppavano nelle immense praterie.
Ora, il grande Capo Pact, ormai ferito ed esausto, dopo essere riuscito a dileguarsi attraverso la boscaglia, giace sotto un albero e si lascia andare ad una sorta di “sonno” tra gloria e riposo.
Ecco allora che tornano alla mente i ricordi del tempo vissuto: quando lui, il grande Capo, sedeva in cerchio nell’accampamento e il suo volto era illuminato dalle fiamme del fuoco “Fedele il mio popolo del tempo, seduti a cerchio, raccolti nella piena luce della giornata e muti, assoggettati dai suoni di danza…” e poi, la consapevolezza che i bisonti diminuivano rapidamente fin quasi a scomparire e per gli indiani sarebbe stata la fine.
Ricorda il tempo delle “riserve”, poi la rabbia, la sensazione d’aver perduto tutto, il suono dei “grandi cannoni tuonanti” durante la guerra che ha portato l’uomo bianco.
Risuona ancora il presagio del Grande Spirito, ritorna alla sua mente il triste sentimento per la sua donna, l’immagine delle notti buie, del corpo ormai esausto, la straziante visione del campo di battaglia con i cadaveri mutilati, le fuga verso le montagne rocciose, la lunga terribile marcia con donne e bambini, senza cibo e senza vestiti, il presentimento e la paura che non restava nulla da fare, solo la sofferenza di una distruzione totale d’un popolo.
Carmine Gaeta, con parole emozionanti, riesce a rendere fedelmente la sensazione d’un uomo, un grande capo indiano, la sua forza e la consapevolezza nel rendersi conto che, dopo aver tentato ogni azione, davanti al potere della guerra non rimaneva che la morte, come un desiderato ricongiungimento con i propri Avi per porre fine ai tormenti.
Carmine Gaeta racconta il momento più sofferto di questo guerriero e lo innalza a simbolo d’un popolo fiero e orgoglioso: ne mette in risalto la volontà di recuperare e salvare la propria identità, l’amarezza nel considerare come “le frecce nulla potevano contro i cannoni tuonanti”, che i numerosi presagi funesti erano veritieri e annunciavano la fine, la sofferenza, la distruzione dopo aver sentito il grido del generale bianco e del potere che esso aveva con sé.
Le parole di Carmine Gaeta sono intense e pervase da pathos, rendono vive le emozioni, i sogni, i ricordi in un alternarsi di sofferenza e ritorno alla propria Terra nelle celesti praterie: il cielo sopra la testa nel momento della morte, il tormento e i pensieri si miscelano con l’aria fredda della montagna, il cuore travagliato e il desiderio di condurre il proprio popolo nel paese dei bisonti fino ad avere “tanto spirito, soltanto per resistere” ancora un po’ fino a che sopraggiunga il sottile e quasi irresistibile “piacere di morire”.

Massimiliano Del Duca


Capo Pact

Le terre di desolata e stupenda bellezza del
South Dakota echeggiano gli spiriti dei
proprietari e dei guerrieri. Ai piedi delle
montagne nere, gli indiani galoppavano nella
prateria e sotto quelle sabbie riposano gli
sciamani, dove le gole raschiate dal vento al
tramonto assumono colori. Nella battaglia, il
grido del generale bianco ha raso l’argilla e
le rocce dei pochi ruscelli, tenendo in vita il suo
grido “Andiamo uomini” è un buon giorno per
combattere…


Il giorno era atteso più terribile, un’armata più
forte, feroce per tutti.
Non restava che un popolo massacrato,
incapace di combattere e di spargere la propria
indifesa. Il potere della guerra ormai era nelle
mani dello sciacallo bianco…


Capo Pact ferito, fuggì per monti e lunghe valli.
L’arroganza del Boy General e dei suoi seguaci
permisero umiliazioni verso il più nulla da
temere, anche i cavalli cedettero nella cerchia
costretti a stendersi. Capo Pact sotto un albero
selvatico, resse al suo crollo in un sollievo
sonno, per ridurre le sue pene tra la gloria e il
riposo “Fedele il mio popolo del tempo, seduti
a cerchio, raccolti nella piena luce della
giornata e muti assoggettati dai suoni di
danza…”


Quella sera nel villaggio della valle dello
Black Hills, la cena fu preparata da ragazzi fra
i dieci e quindici anni, troppo giovani per
combattere una battaglia per difendere la loro
terra. Si fece una grande danza per celebrare la
buona caccia. Il grande Capo Pact sedeva in
silenzio, indossava abiti bianchi e i suoi capelli
lunghi neri, scivolavano sul viso. Il suo volto
serio illuminato dalle fiamme del fuoco di
campo, esprimeva e sperava di rivedere
qualcuno dei vecchi amici e parenti.


Egli esclamò:
I bisonti stanno rapidamente diminuendo e
quando questi animali saranno tutti morti, noi
patiremo la fame. L’uomo bianco arriva nel
nostro territorio lasciandosi alle spalle tracce
di sangue, il nostro popolo ha soltanto archi e
frecce, io non vi sarò.
Egli era molto rispettato, le tribù erano
accampate un vicino all’altra, il nostro popolo
parlava diversi dialetti e sollevava pace.


Quella sera iniziò la fuga del viaggio nella mia mente e nel
mio stato d’animo…
Mi alzai, vidi nella foschia un mulo che
correva verso il fiume,cercai di prenderlo, i
maschi delle tribù devono manifestarsi per le
cerimonie, in pochi minuti vi fu un
combattimento, poi scappò gettandomi a terra.
Verso di me è stato offensivo, e non ho mai
potuto capacitarmi di quella grande forza, udii
le prime voci dei soldati che marciavano in
direzioni diverse, violentemente
saccheggiarono e incendiarono i
primi villaggi.
“Il Grande Spirito echeggiò il suo presagio”


I soldati si muovevano verso ovest, il loro
generale indossava la giacca con decorazioni e
medaglie. Portarono le tende lungo la valle e
con essa l’avidità. Montarono un grande
accampamento dopo un ritardo di alcuni giorni
dovuto a una tormenta di neve. Le colonne si
posero lungo il fiume puntando verso il nord,
molti di loro montarono a cavallo,
volevano fermare il nostro passaggio.


Si attendeva una resistenza, le nostre danze e le
nostre cacce, erano divenute riserve di una
lunga luna fredda.
La maggior parte della selvaggina era
rivendicata dai coloni bianchi,
intorno vi era rimasto soltanto carcasse di
bisonti uccisi.
Gli uomini affamati mangiarono l’erba, poi ci
fu un’esplosione di urla di rabbia, ora gli
sembrava di aver perduto tutto. Egli sentiva il
suo popolo poco fiducioso…
La sua rivoluzione da capo, classificò
percettibile grandi cambiamenti, per quanto ne
lascia capire il suo silenzio, lasciava una
trasformazione.


Alcuni dei più audaci galopparono molto
vicino, dopo che i soldati cominciarono a
sparare, i nostri indiani si misero al riparo
dietro certe collinette, lanciando grida di
guerra. Capo Pact si sentiva poco sicuro dei
suoi uomini, guardava con occhi tesi il nemico,
i forti spari predominavano sugli echi delle
urla, egli doveva esprimersi a gesti per dirigere
la sua gente. I bianchi distruggevano i loro
nemici con grandi cannoni tuonanti, i coloni
sono assetati di guerra, le nostre orme devono
coprire e proteggere i nostri figli… Oh! miei
prodi guerrieri, i vostri occhi sono pieni di
fumo, quando c’è la luna nuova mordete la
vostra stessa ombra. Per tutto il villaggio il
vostro sentiero pullulerebbe di soldati bianchi,
divoreranno le vostre donne e i vostri figli.
Indietreggiai…


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