Opere di

Cristiano Comelli


A Pietro Mennea

Sovrana e amorevole serva
riluce questa pista 
del mai esistante fiume
di sudori e fatiche costellato. 
Carezzevole s’insinua
il seducente fruscio
d’una medaglia nuova
tra i tremebondi vicoli delle mie gambe
che alla mia corsa, ora e sempre,
di inventarmi uomo oltre l’uomo concedono.
Cento metri, duecento 
e l’intonso spumeggiare dell’infinito 
si smaschera e svela
nel regno festante insinuandosi
del cuore e dei respiri. 
Fui e sempre sarò
figlio d’un sogno e di mille traguardi
per sempre dimorante
in un soffice stadio di nuvole.


A Enzo Jannacci

Milano,
di conchiglie oniriche
e intarsi di speranze ardente sfera
qual fu mai il giorno
in cui al tepore delle note mi avvincesti
dolce schiavo rendendomi
di diesis, bemolli e biscrome;
voce tonante e carezzevole
fu quella con cui mi conducesti
a cantarti con spirito fremente
perché scorgermi potessi
parola rinfrescante
per i sofferenti e la povera gente.
Brillare le vedo, laggiù
dove il Naviglio custodisce fiero
le foto della storia meneghina
i scarp de tenis
tutte fierezza e umiltà.
Amico mio,
capire mai potrai se non lo vivi
cosa sia risvegliarsi la mattina
e nel bagliore estasiante cullarsi
dell’abbraccio della Madunina.
E tu, austera e sublime medicina
che per sempre mi rapisti
come la più soave missione
grazie a te fu che compresi
di poter regalare vero amore
tra il bisturi e una nuova canzone.
Gli occhi serra, amico di ieri, oggi e domani
e Vincenzina ancor ti apparirà
gemente eppur speranzosa
davanti alla fabbrica di sempre.
Mai distogliete, vi prego
dell’antro del vostro sguardo la via,
verso anime che la storia chiamà
barboni di periferia;
sono e sempre sarò Enzo
da grembo orgoglioso nato
per farvi ridere e volervi bene
ridete e amate allora
e di questa multiforme vita
vivrete il sublime
spezzandone per sempre le catene.


3.

Sottrarmi non so
al magnetico sguardo
che spumeggiante promana
dall’esile vitreo crocifisso
che il ballerino destino degli uomini
custodisce e coccola.
Disegna il mio desiderio di rinascita
la gemente nudità del Cristo
e in lui a scorgere mi esorta
il vivificante balsamo
daga contro la mia lacerante incompiutezza.
Urla la mia verità di uomo
da quella corona di spine
tra i pezzi di vetro della sofferenza
che inebetito a piedi nudi calpesto.
Dolce esilio è il perdersi
per poi sapersi ritrovare in Dio
da carezze di fede inebriati
respiri che una vita inondano
senza lasciarla annegare.
La scia di luce d’esile stella
forma cesella su una dorata mano
il corpo di Cristo si disegna
e splendore d’eternità
svela e custodisce.


4.

La bottiglia l’anima gli corrodeva
in indominabile processione
di istanti di colore orfani.
Avanzava la seduzione del vino
come pavoneggiante attrice
film sempre pronto
a soffocare lo sguardo
sulla sua vena sanguinante
danzando e sghignazzando.
Vomitavano i passanti
voci di indifferenza
e sguardi di disprezzo.
Ma l’anima a ruggire ritorna
amoreggiando con la scia flebile
d’una stella smarrita
guerreggia la tremebonda mano
con il nettare falsamente alleato
in estenuante sfida cosmica
e finalmente la tramortisce
in un lampo e per sempre.
Torna la vita
a urlare la non più imprigionata
canzone della sua infanzia
con dolcezza di ricordo di nonna
dalle dita abbracciate
al vecchio pianoforte.
Tramontato e svergognato
è l’anonimo tintinnare di anni tristi
la vita è ora
musica infinita
su spartito di sogni di cristallo.


5.

Addestrare le lame dei proprii occhi
a lacerare il ventre inviolabile
d’una sibilante illusione
per scorgerne l’impalpabile scaturigine
e poterne rubare,
per un istante soltanto,
la più vivida immagine.
Interrogare con sanguinanti labbra
i metafisici respiri della realtà
decomposti dal bagliore della solitudine
e per sempre poi celarsi
in un libro della cui lettura
sempre si è avuto paura.
Forse vivere
non è che questo rabbioso aggirarsi
tra sintassi irriverenti e impietose.


6.

Non tentare, amore
di ricomporre con frasi contorte
del vaso ricolmo di illusioni+
gli infiniti, smarriti cocci.
Riscaldare non potrai
con le tue mani di fango intrise
un cuore che ormai soltanto sa
sputare indifferenza
sulla tua vana presenza.
A me non prostrarti
come il più arrendevole degli schiavi
ai miei piedi
incamminati ormai
verso il cono di luce della libertà.


7.

S’agita un’insulsa poesia
nella caverna del mio prostrato cuore,
vacui vagiti sono i sintagmi
sbiadite sono le immagini
di pensieri ingannevoli e rattrappiti.
Echeggia il vuoto insostenibile
dell’ultimo treno perduto
in un vento distratto;
nei miei respiri insinuandosi va
con la leggerezza di vino novello
il germoglio di attese incontaminate
che pesante il tempo riduce
come lastra di piombo.
Inesorabile si logora
l’odioso, vorticoso giro
della giostra delle illusioni
per sempre sospingendomi
tra i tentacoli velenosi della solitudine.


8.

Vivi ricamando
intarsi irregolari di bagliori onirici
tra i passi scomposti di minuetto
d’un vento a te sordo.
Cerchi intanto tremebondo
sorridenti pagine di libelli
che di rifiutare ti compiacesti
e rinvenendo vai
quel titubante sfavillare di creature floreali
dinanzi a cui il tuo primo giardino
scorse la ricchezza
e il valore delle lacrime
e il sibilare indiscreto eppur soave
della stella che illuminare seppe
i tuoi primi, intimiditi ciuffi di barba.
Tu solo saprai inventare
la forma irreplicabile
del camminare da uomo
nella tua impronta di uomo.


9.

Ti saluto e rendo grazie, amore
che tra le braccia d’avorio or ti culli
d’una dimensione impalpabile,
d’un’inconsapevole ultraterrena estasi
che le parole sbeffeggia
e nude le lascia
al cospetto della loro stessa inconsistenza.
Come tenerissimo figlio custodirò
il fiero gladiolo
che gaudente e commosso assistette
all’acerbo intrecciarsi delle nostre dita.
Udire ora puoi
l’ardente e soffuso linguaggio delle stelle
e ritroverai in sempiterna purezza
tutte le note del tuo violino
che di salire all’urano scelsero
per attenderti e mai lasciarti.


10.

Divorano le rotative
come squali da onde velenose incatenati
insuperbite e orgogliose cronache.
All’angolo
tra un ratto e una ragnatela
il capo delle disillusioni scuote
una penna che tanto desiderò gemere
ma mai fu libera di farlo.
Riposta ha ormai la spada l’inchiostro
per fendere il cuore
della macchina da scrivere
che via lo scalciò
impietosa, dalla scena.
“Siamo destini eternamente incompiuti
che tra le dita dei giornalisti frusciano – si sussurrano
mai ci potranno chiamare
poete o assassine
perché né l’una né l’altra siamo
pur essendo entrambe”.



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