Cosa fanno le stelle…

di

Donatella Calaciura


Donatella Calaciura - Cosa fanno le stelle…
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Narrativa
12x17 - pp. 60 - Euro 7,00
ISBN 978-88-6037-8828

Libro esaurito

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In copertina: «Le storie delle stelle» illustrazione di Maria Chiara Verga


Pubblicazione realizzata con il contributo de Il Club degli autori in quanto opera finalista nel concorso letterario J. Prévert 2008


Cosa fanno le stelle…


LE GOCCE

Dalla cima di un’alta montagna nasceva una piccola fonte. Poco più di un rigagnolo. Per quanto piccolo possa essere, un rigagnolo è formato da milioni di minuscole gocce d’acqua. Ognuna presa da sola non ha un’importanza vitale, ma è pur sempre alla base della vita, perché non c’è vita senza acqua.
Ogni minuscola gocciolina del piccolo rigagnolo aveva una sua identità: c’era la goccia allegrona, felice finalmente di essere sgorgata dalla roccia e trovarsi all’aria aperta, c’era quella spensierata e canterina, che rideva e saltellava sempre gioiosa, c’era quella grossa e tonda sempre stanca, che quasi non voleva muoversi, c’era quella musona che bofonchiava in continuazione perché sballottata dalle altre. Ognuna di loro aveva comunque la sua funzione anche se forse non se ne rendeva conto. Ognuna di esse presa da sola era ben poco, ma tutte insieme erano una forza. Scendevano in massa verso valle e non tutte avevano lo stesso destino. Man mano che procedevano, il rigagnolo diventava un torrentello e la vita intorno era sempre più rigogliosa.
Aumentavano i pesci e gli insetti che lo popolavano e i ciuffi d’erba crescevano sulle sponde, prendendo la vita dalle piccole gocce d’acqua che correvano sempre più allegre nel letto del torrente. Man mano, lungo il percorso, il letto del torrente si allargava e raccoglieva altre gocce fino a diventare un grande fiume e molte gocce d’acqua prendevano una strada diversa, ma erano sempre allegre e spensierate. Ormai i ciuffi d’erba erano diventati molto più numerosi e le gocce erano tante, sempre di più. In prossimità dei campi e dei villaggi, molte abbandonavano il fiume, chi per irrigare i campi, chi per dissetare gli animali, chi perché attinte dalle donne del villaggio, chi perché evaporava al sole formando le nuvole e ricadeva poi al suolo sotto forma di pioggia.
Si potrebbe pensare che fosse una cosa triste per loro, dopo aver percorso con le altre gocce un tratto di strada più o meno lungo, condiviso tante risate e tante paure, aver vissuto insieme numerose esperienze, dividersi e prendere strade diverse, ma questo forse succedeva all’inizio, quando non avevano ancora capito. Ora quando si separavano erano sempre allegre e si salutavano gioiosamente perché avevano capito quale era la loro missione, sapevano ormai che ognuna di loro era importante e che comunque nel ciclo della vita si sarebbero un giorno rincontrate e avrebbero percorso insieme un altro pezzo di strada. Ed in ogni caso nel piccolo cuore di goccia di ognuna di loro sarebbe rimasto sempre il ricordo di ciascuna delle altre piccole sorelle.


IL REGALO DI NATALE

Faceva molto freddo quell’anno, la neve aveva coperto tutti i monti ed era giunta fino a valle, dove sorgeva un piccolo paesino: poche case, una piccola chiesa, poca gente che si voleva molto bene. Era gente povera, ma quell’anno, con tutto quel freddo erano più poveri che mai. La neve aveva coperto i campi e le verdure non erano più cresciute. L’erba non poteva sbucare da sotto la neve, e le pecore e le mucche dovevano accontentarsi delle erbe raccolte e fatte seccare dai contadini durante l’estate, quindi c’era poco latte e pochissimo formaggio.
Il paese era rimasto isolato ed era difficile andare in altri paesi a rifornirsi, bisognava far bastare quello che c’era, e l’indomani sarebbe stato Natale. E questo non è tutto… sul sentiero che portava su, alla montagna, sorgeva una piccola capanna, era la casa più piccola e povera del villaggio; ci vivevano due bambini: Pippo e Maria, la mamma era morta, il papà lavorava lontano, ed essi vivevano con la nonna, ormai vecchia e curva. Avevano soltanto due galline e un po’ di farina. Ma erano felici, soprattutto Pippo, perché proprio quel giorno era sceso al villaggio ed aveva speso tutti i suoi pochi risparmi per comprare una stella da appendere sul loro presepe. Quell’anno i due fratellini, avevano preparato il loro presepe dentro il vano del piccolo camino, tanto, erano talmente poveri che non avevano neppure modo di comperare qualche pezzo di legno da bruciare durante la notte di Natale che si preannunciava gelida.
Così il presepe era venuto fuori, un pezzo dopo l’altro, non era ricco, ma per Pippo e Maria era bellissimo, c’erano solo tre pastorelli, ad uno mancava una gamba, qualche pecorella, all’asinello era saltato via un orecchio ma tutto il resto: la Madonnina, San Giuseppe, ed il bue, erano sani, Gesù Bambino era ancora conservato nella scatola. Mancava una bella stella cometa sulla piccola grotta, e Pippo era sceso al villaggio a comprarla. Fu piazzata anche la stella, attaccata proprio in cima al vano del caminetto.
Era una piccola, bella stella di vetro giallo con una lunga coda cosparsa di piccole stelline argentate. Rimasero lì fino ad ora di cena a guardare felici quel loro piccolo presepe. Poi la nonna li chiamò e cenarono, una tazza di latte ed una piccola fetta di pane, certo come cena di Natale non era molto, ma i due fratellini non si lamentarono, anche se la fame era sempre tanta.
Ad un tratto si aprirono le finestre ed un colpo di vento fortissimo gelò la stanzetta e quel che è peggio, fece staccare la stella del presepe che cadendo a terra si frantumò in tanti e tanti piccoli pezzi. I due bambini e la nonna si guardarono, la piccola Maria subito scoppiò a piangere. Pippo, più pratico, pensò di andare a comprarne un’altra ma aveva speso tutto per comprare quella e non aveva più neppure un soldo. Si rattristò al pensiero che anche quell’anno dopo tutta la fatica che aveva fatto per risparmiare i soldi, il suo presepe sarebbe rimasto senza stella cometa, si sedette davanti al suo presepe, ma subito si rialzò per consolare la sorellina che singhiozzava: “Non piangere, Maria, il Bambino Gesù non si offenderà perché anche quest’anno il nostro presepe è senza stella. Ti prometto che l’anno prossimo ne comprerò una molto più bella e più grande di tutto il camino, ma adesso non devi piangere. È la notte di Natale, nasce Gesù Bambino e tu devi essere felice, perché tutto il mondo oggi è contento.”.
La piccola Maria smise di piangere, ma continuava a guardare i piccoli pezzetti di vetro sparsi sul pavimento con molta tristezza. Ormai era quasi mezzanotte e dal vetro rotto dal vento entrava un freddo terribile.
Le campane della piccola chiesa cominciavano a suonare, per ricordare che Gesù stava nascendo, i due bambini e la nonna si fecero il segno della croce, quando ad un tratto, mentre la nonna posava il piccolo bambinello di cera sopra il mucchietto di paglia nel camino, una piccola stella entrò dalla finestra e si andò ad appoggiare proprio sul bordo del camino, dove prima stava quella di vetro, era tanto luminosa che nella piccola capanna sembrava fosse giorno, Maria rideva felice, la nonna guardava ad occhi spalancati, non potendo credere a ciò che vedeva. Pippo pensò: “il Bambino Gesù non ha voluto che anche quest’anno il nostro presepe fosse spoglio, e ci ha mandato la più bella stella che si sia mai vista su un presepe, una stella vera.” Tutti e tre s’inginocchiarono davanti al piccolo presepe splendente e ringraziarono Gesù per quel bellissimo dono.
Erano felici. Non sentivano neppure più freddo. Quella piccola stella, non solo aveva illuminato il loro presepe, ma era anche riuscita a scaldare il loro cuore.


NEL PAESE DI “SOLOIO”

C’era una volta non molto tempo fa, un piccolo paese raccolto tra le montagne che si chiamava “SOLOIO”. La gente abitava in piccole case dove vivevano famiglie molto piccole, le più numerose erano composte da un papà, una mamma e al massimo un figlio. Nessuno teneva animali in casa, se non quelli da allevamento per poter sopravvivere: qualche gallina, un maiale, una capretta.
I bambini giocavano sempre ciascuno per conto proprio. A scuola non facevano mai lavori di gruppo.
Gli abitanti erano avidi, prepotenti, ognuno pensava per sé e non gli importava nulla degli altri, non si conoscevano tra loro e molti non si salutavano neppure.
Nessuno si occupava degli altri se non per quello che poteva tornargli utile.
In quel paese non c’era mai una festa, un’occasione nella quale la gente si trovasse tutta insieme e potesse condividere qualcosa. Ma nessuno se ne preoccupava, era sempre stato così, non conoscevano altro modo di vivere.
Non sapendo che condividendo qualcosa di bello la gioia si moltiplica, anche avendo un motivo per gioire ciascuno lo teneva per sé, e lo stesso succedeva con le difficoltà.
Non avevano neppure idea che se un problema si affronta insieme, è più facile trovare una soluzione ed in ogni caso il peso è minore, se un dolore si divide con altri è più facile da sopportare.
Tutto procedeva sempre uguale, alla stessa maniera, nel bene e nel male.
Era una mattina soleggiata di primavera, quando giunse un enorme camion dei traslochi, seguito da un’auto mezza sgangherata.
Si fermarono davanti ad una casa tra le più grandi del paese, e dall’auto scese un’incredibile famiglia: genitori, tre bambini e addirittura un nonno ed un cane. Il bimbo più piccolo, di circa quattro anni, reggeva in mano una gabbia con due uccellini.
In quel momento passava in strada il sindaco e vedendo quella famiglia commentò:
“È inaudito! Ma guarda che famiglia numerosa, tre figli, un nonno e per di più anche degli animali, ma come faranno a vivere tutti quanti insieme? Casa loro sarà un vero manicomio, poveretti!”
In effetti, era una famigliola parecchio movimentata, rispetto a come erano abituati in quel paese: i bambini, al ritorno da scuola, stavano sul prato di casa e giocavano a pallone, si rincorrevano, giocavano a nascondino, ed anche il cane giocava con loro. La mamma canticchiava svolgendo le faccende di casa. Il nonno si dedicava al giardinaggio e a volte giocava e rideva anche lui con i nipotini. I due canarini, nella gabbietta, allietavano l’aria con il loro cinguettio.
I vicini cominciavano a stizzirsi un po’, infastiditi da quello che a loro sembrava un gran putiferio.
Passarono i giorni … un pomeriggio i tre fratellini giocavano a pallone, quando si accorsero di una ragazzetta di circa sette anni, che stava di fronte al loro cancelletto di legno che li guardava tra lo spaventato ed il curioso. Si fermarono e le andarono vicino:
“Vuoi giocare con noi?”
La ragazzina li guardò sbalordita…
“Giocare con voi? Ma siete così tanti…! Come si fa a giocare in tanti? Non si può…”
“Ma sì, …anzi più si è e più ci si diverte. Dai, vieni a giocare con noi.” disse il più grande dei tre fratellini.
“Sì, sì, dai, così ci divertiamo di più. Come ti chiami?” chiese il più piccolino.
“Mi chiamo Lucia” rispose la ragazzina, “Io non ho mai giocato con altri, non so come si fa.”
“È facile. Basta prendere a calci il pallone e cercare di farlo entrare tra quei pali senza farselo togliere dagli avversari.”
“Sembra divertente.” disse la ragazzina, e molto timidamente entrò nel giardino dei tre bambini.
Cominciarono a giocare e ben presto le urla di Lucia si unirono a quelle dei tre bambini.
Il tempo passava e Lucia non se ne accorgeva, finché ad un tratto vide la sua mamma, che l’aveva cercata per tutto il paese, arrivare disperata. Non appena la mamma di Lucia la vide, cominciò a rimproverarla aspramente.
I tre fratellini non erano abituati a simili scenate e si preoccuparono. Corsero dentro ad avvertire il nonno e la mamma che di gran carriera uscirono in giardino, seguiti dai nuovi amici di Lucia.
Il nonno prese subito in braccio la piccola consolandola mentre la mamma cercava contemporaneamente di tranquillizzare i figlioletti in lacrime e di rabbonire la signora infuriata.
Intanto il nonno messa a terra la piccola era entrato in casa e ne uscì dopo un po’ con un vassoio di biscotti ed un bricco fumante, nel frattempo la mamma di Lucia si era un po’ calmata. La invitarono a prendere il the con loro e la signora, che era una persona ben educata, non seppe rifiutare.
Si sedettero e davanti ad una tazza di the cominciarono a chiacchierare.
Dopo un po’ Lucia e la mamma si alzarono per tornare a casa, e i tre fratellini invitarono la loro nuova amica a tornare a giocare con loro il giorno successivo.
La mattina a scuola, la maestra assegnò in classe un tema a piacere e Lucia narrò come aveva trascorso il pomeriggio precedente.
Anche i fratellini raccontarono della loro nuova amica e di come avessero giocato insieme, divertendosi da matti.
Nel pomeriggio, quando Lucia tornò a giocare con i suoi nuovi amici, portò con sé un altro bambino, suo vicino di casa.
Ogni pomeriggio altri bambini si univano al gruppo.
Il nonno preparava budino e biscotti per tutti e spesso giocava anche lui, ridendo e correndo con loro, o a volte raccontando delle splendide storie, finché un po’ alla volta tra loro nacque l’amicizia.
Il fatto che i bambini giocassero insieme, costrinse anche le mamme ad incontrarsi e anche loro finirono per diventare amiche. Va da sé che a poco a poco anche i papà cominciarono a parlarsi e frequentarsi, finché tutti quanti in paese cominciarono a conoscersi ed anche a volersi un po’ di bene.
Fu così che un giorno decisero di cambiare nome al paese e lo chiamarono “TUTTINSIEME”.

[continua]

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