La mia fantasia e verità

di

Eva Amore


Eva Amore  - La mia fantasia e verità
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 82 - Euro 8,30
ISBN 978-88-6587-8156

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In copertina: «Blue universe space abstract background» watercolor illustration © galyna2010 – Fotolia.com


Le grandi speranze che si erano forgiate nelle rivoluzioni sessantottine sembrano definitivamente spente. Il mondo appare e credo è sempre più in balìa dei “Signori delle armi e della guerra”.
Degli Imperatori spietati e crudeli della ricchezza ad ogni costo, sfacciati e senza una minima parvenza umana. Anche da questo credo attecchisca il terrorismo sempre più montante, che trova terreno fertile tra le miserie e la mancanza di senso da dare alla vita. (L’esistenza e quella di chiunque, non ha più alcun valore).
Non dobbiamo però perdere l’amore e la speranza, perché altrimenti perdiamo il senso più bello e vero della vita, che, a mio parere, con la fede nella Divinità, portano alla gioia. Così fondate/i ancor più nell’impegno terreno verso la giustizia e i valori più belli (ma con l’aurora eterna nel cuore) noi possiamo giungere, oltre il tempo e lo spazio, alla beatitudine senza tramonto.

Vostra Eva Amore


Introduzione

Questo mio libro è molto variegato e spazia tra l’umanità intera. Sembra esplorare maggiormente l’universo maschile, al contrario di altri. Ma, si sa, nella storia, nelle campagne, nelle città, sull’intero Pianeta, la vita di uomini e donne è strettamente intrecciata e interdipendente. Le due mezze mele, le due metà del cielo, non possono che ricercarsi e compenetrarsi a vicenda, nel bene e nel male, creando ricreando la vita.
Se c’è la guerra, l’orrore che giunge persino a sconvolgere l’incantevole luna, è l’umanità intera che, sia pur in maniera differente, la e lo paga. L’inquinamento e specialmente quello di un certo tipo, ha il potere di estendersi e di mettere in pericolo l’intero globo terracqueo, l’intera vita umana sul pianeta.
Siamo piccole/i; indifese/i, cerchiamo ciascuna/o protezione contro l’uragano del dolore che con “furia immane devasta la desolata terra”. Vi è poi la madre di tutte le ignominie, nemmeno immaginabili “La tortura delle bimbe e dei bimbi” e addirittura in diversi modi così diffusa!
Una critica non certo larvata, ma anche ironica, esprimo verso la chiesa cattolica. Do il mio tributo agli omosessuali, (unendomi in spirito a tutte le “diverse/i” nella loro sessualità) anche loro devono avere i loro sacrosanti diritti. In mezzo all’orrido, all’omofobia, al razzismo, al sessismo, “c’è sempre il canarino della speranza che vola verso il sole e un giorno vi arriverà”.
Tra le fitte nebbie e le piogge delle vanità, del vuoto, della cattiveria, ci può sempre raggiungere un raggio di poesia, che ci dà l’azzurro in cuore e il fiore della bellezza, del candido stupore.

Vostra Eva Amore


La mia fantasia e verità


Alle persone che cercano la gioia


Luna rossa, luna nera

Luna rossa,
intrisa dal sangue
che non può più assorbire
la terra.
Luna rossa,
dei voli dei fiumi scarlatti
sgorganti dai lampi infernali
che dissanguano i respiri
di vita.
Luna nera,
d’orrore per le pure,
affamate gazzelle
divorate dai leoni feroci.
Per le nuvole
di blasfemo progresso,
piangenti veleno di morte.
Ritorna ad abbracciarci
pace,
torna a sorriderci
amore,
la luna danzerà piena
di stupito candore.
Ci guiderà sorridente
alla galassia infinita,
dove le stelle cantano
nell’armonia divina.


La vita bella

La vita è bella
se nella notte scura
brilla una stella.
La vita è amica
se una provvida mano
ti accarezza la fatica.
La vita è pura
se cammini adagio
contemplando la natura.
La vita ha un senso
se il bene nella storia
trova luce, consenso.
La vita è amore
se abbracci le persone
confidente nel tuo cuore.
La vita è gioia
se l’infanzia in te
non ti dà noia.
La vita è poesia
se lo stupore, il canto
ti invade alla follia.
La vita è sapienza
se la Divina Madre
ti dà la scienza.
La vita è un dono
se espandi nel tempo
la pace ed il perdono.
La vita è grazia
se di lode e preghiera
mai non si sazia.
La vita è un Paradiso
se nulla offusca
il divino nel sorriso.


A un omosessuale

Anche tu puoi far sbocciare
libero nel tempo
lo splendido fiore
della tua sessualità.
Anche tu puoi vivere
un amore vero
se trasfiguri
nell’eternità i tuoi sogni.
Se il tuo cuore e il tuo corpo
cantano e danzano
con il tuo compagno
innamorato.
Anche tu puoi vivere
un amore grande,
se non ti curi
delle sarcastiche risate,
degli sberleffi quotidiani
delle bigotte e borghesi schiere,
circuite e relegate
nell’antico Medioevo.
Anche tu puoi inebriarti
di pura gioia
se resisti
alle supreme sentenze inique
dei divini tribunali
eretti dai farisei della storia.
Anche tu
nei più appagante
erotico amplesso,
puoi volare
oltre lo spazio e il tempo
verso il misterioso
connubio col divino.


Lassù

Lassù, dove i lupi feroci
della notte
si inchinano tremanti
alle voci degli agnelli.
Lassù, dove le sfilate
dei dolori
diventano danze di gioia.
Lassù, dove il veleno
del serpente
si trasforma in elisir
di vita.
Lassù, dove le bombe
del tempo
sfumano in una pace divina.
Lassù, dove il gelo della morte
si scioglie in un sole infinito.
Lassù, l’aquila
del mio cuore vuole volare
dopo avere scacciato
il coniglio pauroso.
Lassù, con le stelle brillerà
in un’aurora infinita.
Lassù…


A Ubaldo

Nei pascoli secchi del tempo,
tra le note stordenti che uccidono
la bellezza e la pace,
Ubaldo trascinava la vita.
Gli sguardi consunti, di cera,
i cuori viscidi, di ghiaccio,
vicino a lui albergavano.
I fumi che oscurano l’anima,
le siringhe che la mente distruggono,
come liberazione gli apparvero.
Nella melma della disperazione
sempre più affondava
e la vita senza senso camminava
verso la tomba della dissoluzione.
Ma la Dea dal trono
del suo immenso amore
un sorriso gli mandò
e Ubaldo il suo viso cercò.
Ora, le orride tenebre
più non gli squarciano la storia.
La colomba della preghiera
verso il cielo s’innalza.
Ora, la Madre Divina
gli trasfigura la mente
e la bellezza in tutto risplende.


La valle

La valle quieta si stendeva
brillando di smeraldo
nel sole.
Le montagne erano caste regine,
nell’abbraccio puro del cielo.
Nel tempo che corre impazzito,
le mosche meccaniche invasero l’Eden.
I figli e le figlie del monte
nell’incanto inquinato,
pazienti chinarono il capo.
Ma i servi degli dei mondani,
della folgore, del cieco baleno
un mostro offrirono alla storia
e l’esercito della dittatura della bestia,
feroce assalì quel semplice creato.
Nella sfera del futuro,
la gente vide la vetta
stuprata, sventrata.
Il sorriso della pace,
bombardato, distrutto.
La bellezza emigrata
in primavere lontane.
In una nuvola d’amianto,
vide avanzare la morte.
Con sulle spalle il carico
dell’avvenire dei suoi fiori,
la vallata si ribellò,
cantando ai potenti
la sua canzone:
di purezza, di giustizia, d’amore.


La mia fantasia

La fantasia ha un nido in me
e come un bianco cigno
con le ali di sogno,
vola tra gli arcobaleni
di stupore del tempo,
le pure armonie
degli incanti divini,
dipingendo sorrisi di gioia.
Vola tra i gigli e le rose
dei giardini del sole,
raccogliendo il nettare
per le storie d’amore.
Vola tra i deserti di buio,
i cuori accecati,
le crocifisse stagioni
dei disperati dolori.
Vola tra le dorate trappole
dell’infame progresso,
le tombe di fango
del regno della miseria.
Vola tra la mesta
agonia della terra,
lo scibile umano,
l’infinita sapienza.
Vola per dire al mondo
che la poesia
cambia la vita.


A Lauro

Sei disperato Lauro, sei disperato,
tutti i tuoi sogni d’amore
si sono infranti contro la scogliera
delle illusioni perdute
e non vedi più nell’orizzonte
del futuro
vividi colori di sole.
I sorrisi e i baci non raccolti
nel giardino della tua primavera
sono diventati
sentimenti di piombo,
lacrime di sale.
Risuscita Lauro
la cenere del tuo cuore,
al di là dell’oceano di ghiaccio,
su un’isola splendente di stelle,
forse ti aspetta
la fanciulla che brami.
Si aspergerà tutta la vita
dell’incenso della gioia,
risuonerà nella vostra anima
il canto dell’amore fecondo.


Guerra in Terra Santa

Nella sorgente di luce
della tua terra amore,
le serpi velenose del rancore,
le fiere demoniache dell’odio,
hanno disteso fitte tenebre
in cui vagano le bombe dell’orrore.
Cupa la notte crepita di tuoni
che sbriciolano le misere dimore,
dilaniano le creature,
seppelliscono le speranze umane.
Le dure nemiche orde
unite nel disprezzo
delle sacre profonde
voci degli spiriti,
hanno ridotto l’uliveto della pace
ad un cimitero di dolore.
E tu Gesù ancora sei trafitto,
ancora e sempre messo a morte.


A Michael Jackson

La gente ti aveva incoronato
sovrano della pop music
e tra le tue sfrenate note
ebbra di vita danzava
toccando i vertici dei sogni.
Ti crogiolavi nel sole del successo,
in una foresta di sostanze materiali;
lieta sembrava sorriderti la vita,
ma, forse, nel profondo,
ti piangeva il cuore.
Sorpreso da un torbido mistero
hai lasciato questo mondo.
Attoniti e prostrati i tuoi fans
versano sulla terra amare lacrime.
Non ti è servito il fiume di denaro
che ha inondato la tua storia;
i tuoi canti, le tue esibizioni
salite sul trono della gloria.
Ora, mentre l’orca ha inghiottito
la fragile, tenera tua carne,
una sola cosa conta
della tua esistenza pellegrina:
esserti speso per l’amore.


Terra inquinata

Non brilla più
il fulgore del divino,
sul viso disfatto
del pianeta.
Non si specchia più
la purezza del cielo,
nelle torbide acque
dipinte dal veleno.
Non espandono più
le smeraldine foreste,
il loro respiro
puro e incantato.
Le valli fiorenti s’imbevono
di vivande di morte;
sparuti funerei uccelli
nel vento si affacciano.
Le candide nuvole si gonfiano
di acidi tossici:
Impure venefiche piogge
sul pianeta ricadono.
Si può racchiudere
in una sepolcrale serra,
l’avvenire dei sogni
del futuro della terra.
Ma ancora la fulgida
stella, risplende la speranza.
Ancora la vergine luna,
di parlare al cuore
non è stanca.


Buon anno

Buon anno agli esuli
spogliati di ogni cosa,
ai calpestati paria della storia.
Buon anno ai sommi ricchi,
avvoltoi della creazione,
ai sazi, ai gaudenti
di ogni nazione.
Buon anno agli eminenti
cultori del pensiero,
agli ignoranti, ai pigri,
ai tarati dell’ingegno.
Buon anno ai virtuosi interpreti
di ogni religione,
del divino,
ai criminali, agli atei,
a tutti i peccatori.
Buon anno a chi sfida il tempo
aitante di salute,
a chi ha perduto
la floridezza antica
e giace avvolto
nel mistero del dolore.
Buon anno agli ottimisti,
ai festosi menestrelli della vita,
ai depressi, ai tristi,
ai funerei demolitori
di speranza.
Buon anno a tutti
gli uomini e le donne,
in specie al gentil sesso
così offeso e obliato.
Auguri alle aurore e ai tramonti,
tra le verdeggianti e secche
distese della terra.
Buon anno, che i canti dell’amore
risuonino incantevoli
e spariscano la cupidigia e l’odio,
le cose abominevoli.


Il falò dell’orrore

In una notte
senza luminari del cielo;
nel buio cupo e profondo,
i tre ragazzi del branco
uggiosi si ritrovarono.
Le anime erano preda
del falco nero del tempo.
Dipingevano i cuori
accesi scenari di morte.
I pensieri e le membra
nella palude del mondo
si crogiolavano.
Il loro fuoco di disprezzo e di odio
divampò improvviso
nelle misere carni sognanti
di un mite barbone straniero.
Urlando di dolore stupito
la torcia umana correva
verso la fonte benedetta dell’acqua.
Il putrido gioco assassino
aveva acceso il suo falò dell’orrore.
L’alba per il mendico dei sogni
arrivò livida e tetra.
Nel letto di un bianco ospedale
pativa e soffriva
e l’anima al cielo rendeva
invocando sorrisi di pace.


Nevicata

Scende calma, placida la neve.
Ricopre di un vestito lieve
la fredda desolata terra.
Quieta riposa la natura,
la pianticella insicura
s’ammanta della candida,
soffice coperta.
Gioisce la fauna addormentata,
il cielo l’ha isolata
in una bianca,
vergine bellezza.
Contemplo quel dono di splendore;
si rasserena il cuore
in quella pace colma di saggezza.
M’immergo in quel mare di purezza
come mistica salvezza
dagli oscuri limiti del mondo.


All’Italia

Passeggiando eterna in riva al tempo,
tra le meraviglie del pianeta,
la Dea assunse, tra la terra e il mare,
il luogo più bello,
per lasciarvi il suo stivale.
Così tu fosti, Italia benedetta,
con quattro mari
che baciano il tuo corpo,
con le montagne per corona alla tua testa.
Sorridendo di stupore,
la tua natura si ammantò
di ogni sorta id bellezza.
Furono laghi quieti e pittoreschi,
tra le sculture
delle tue forme seducenti.
Torrenti, spumeggianti e freschi
tra l’alte cime candide e solenni;
stupende, arrampicanti in braccio al cielo.
Furono pianure variopinte
e agresti, lussureggianti
e ubertose nel sereno.
Placide colline sorridenti,
sdraiate come greggi sul terreno.
Furono fiumi docili pellegrini
limpidi verso l’immenso regno.
Spiagge dorate, al sole rilucenti,
terre e mari brulicanti
di vita, di mistero.
Ora, le tempeste degli umani,
si sono abbattute
sul tuo Eden incantato,
ora più non rispecchi
la bellezza del creato.
Ma le oasi di meraviglia
ancora ti vestono a festa,
il fiorito giardino
può risorgere
senza i veleni del tempo.


Città

Il verde diadema
della bellezza in fiore,
ha lasciato il posto
alle prigioni dello squallore.
Il cielo limpido,
scintillante di stupore,
ora è un’aurora chiusa
di immondo vapore.
La poesia del sentiero che portava
alle rose dell’incanto,
è una lubrica, saettante serpe
che avvelena i polmoni,
il volo mistico del cuore.
Non canta più l’usignolo
sulla chioma di smeraldo
e la casta contemplante saggezza,
più non sorride
nella misteriosa affascinante foresta.
Ora la vita brulica
di barbare chimere del progresso
e in un nevrotico cupo livore
tutto si sbriciola.
E, mentre le carrozze della morte
infestano il tempo
col loro asfissiante rumore,
la pace e il silenzio emigrano
verso le isole quiete
della pura creazione.


Alla Dea Madre

Mamma Celeste!
Continua a pregare in me,
non abbandonarmi mai,
senza il Tuo calore
l’inverno mi gela l’anima,
e la mia lode diventa
una bestemmia tragica.
Possiedimi con il Tuo amore,
fai nascere in me
un universo di carità,
senza di Te
il mio amore diventa cenere,
e la mia vita si tramuta
in un assalto all’umanità.
Grande Madre,
inondami con la Tua gioia,
rendimi apostola
con la Tua luce d’eternità.
Senza di Te
c’è una tristezza disperata,
e la morte si veste dell’incubo,
del nulla.
Sommergimi con i Tuoi doni, Divina mamma,
fai di me
una sapiente totalità.
Senza di Te
non c’è conoscenza vera
e la vita si trascina
in un abisso d’oscurità.


A Sanremo

Immersa in una cornice
di verdeggianti diademi di colline,
Sanremo appare come bacio
suadente in riva al mare.
Non brilla di povertà o ricchezza
la sua pacata semplice famiglia.
Ma, tra le regge splendenti
del capitale incanto,
superbi vagano
i leoni finanziari.
Tace il battito cardiaco del tempo
e le voci si intrecciano pigre
in una sinfonia mondana
maciullando la pace e il silenzio.
Tra le muliebri orchidee ebbre di sfarzo,
il cuore trafitto del borghese
pulsa come padrone e schiavo.
S’ammalia di soffici
sguardi voluttuosi
che sorseggiano le cose e l’aria.
Ma tra il denso crepitìo mondano,
c’è chi ancora s’ammanta di preghiera
e nello stupore, nel tramonto,
vede l’alba della vita vera.


Come non credere in te

Come non credere in te,
quando l’incanto armonioso
della terra e del cielo
sorride danzando
in un mistero di luce!
Quando ogni minuscola
particella di materia
scintilla di scienza infinita!
Quando dal profondo grembo
dell’eterno nel tempo
è sbocciata meravigliosa la vita!
Come non cantare
in un’estasi di gioia
contemplando il mare,
o una goccia d’acqua,
un’aurora o un petalo di rosa!
Come non espandere
tutto il nostro amore
quando, anche nei disperati
abissi neri della storia,
splende il sole della tua speranza,
brilla la luna
della tua misericordia!
E, alla fine, tu Dea Madre ci farai
vivere tutti e tutte
nella tua eterna beatitudine.
Nella tua più eccelsa
e sublime perfezione.


Alla libertà

Libertà io ti ho conosciuta
piena di lancinanti ferite,
colpita dalle vampate di fuoco
dei draghi della violenza.
Ti ho vista, tenera fanciulla,
assalita e divorata
dai leoni della dittatura.
Ti ho incontrata
ridotta in polvere
dai vermi della miseria.
Mi sei apparsa
sepolta dalle valanghe
delle vanità e delle chimere
della storia.
Libertà io ti ho ricercata
tra le seducenti foreste
del regno delle cose,
ma avvilita sei sprofondata
nelle sabbie mobili
del male del nulla.
Libertà io ti vivo
tra le messi di bellezza del tempo,
tra gli acini preziosi di vita,
nettare del paradiso.


In Afganistan
Ai medici di Medici senza frontiere

Tra il torrido deserto
dell’Afganistan
a lenire le strazianti
ferite martellate dall’odio,
sull’incudine della stagnante
miseria.
Tra la notte
senza luce dell’Afganistan,
ad avvolgere con balsamo
distillato del cuore
l’odissea delle persone
oppresse della storia.
Tra i timidi sguardi
di miele,
i volti di pietra;
le spade sguainate
dei potenti
le rovine fumanti
del rancore;
in Afganistan i feroci segugi
della violenza in agguato
hanno fucilato
i baci d’amore.
Quando la salmodia
degli astri sarà udita
dalle ombre imperanti?


Estate

Al culmine del suo splendore,
pitturando d’azzurro il cielo,
oltre il limite dello sguardo umano,
brilla il sole.
E la terra,
nell’apoteosi della luce,
si veste di colori.
La natura esce rigogliosa
donando non effimeri tesori.
Gli animali esplorano il tempo
con tutta l’energia vitale.
Deposto il travaglio usato,
gli uomini e le donne percorrono
i fioriti lidi del pianeta
e contemplano il creato
quel che rimane dell’aurora più bella.
S’imbevono di dipinti umani,
di sfolgorii seducenti di materia.
Danzano con le armonie sentimentali,
coi ritmi dei sensi e del sesso.
Ma, tra la festa
della ridente estate,
vi è chi nella miseria,
nel dolore si dispera
e, sotto i cieli
di tutte le stagioni,
cerca invano
una vita gioiosa e vera.


Tra le ali dischiuse

Si è incenerito
lo sguardo della tua anima
assalito dal divampante fuoco
degli Dei osannati del tempo.
I luminosi sassi
del mondo hanno lapidato
il miele generoso.
I travolgenti fiumi dei desideri
coi loro pesci di latta
hanno annegato
i semplici usignoli
di tutto il creato.
Le figlie di Eva
sono violentate
dai farisaici mostri
del maschilismo più abietto.
Gli spettri nella notte
danzano una cupa
musica di morte.
Ma tu salvati
tra le ali dischiuse
della divina sapienza,
irradia con l’ulivo stupito
dei tuoi sentimenti,
poesie e canti d’amore.


Tra i giganti della Terra

Quando la pecora
del tuo cuore
non salirà più
sulle pigre giostre mondane;
quando non belerà più
tra stridule greggi
in una radura asfissiante,
fai sbocciare in un’oasi del silenzio
il tuo profondo
canto dell’anima.
Tra i pacifici giganti della Terra
colora il tuo tempo sbiadito.
Immergiti in quell’Eden fiorito,
fa’ un bagno stupito
di mistico puro candore.
Abbraccia il solitario
volo del vento,
che porta alla cima
dell’amore infinito.


A Londra

Nell’aria volava il canto
gioioso per la futura
olimpica festa.
Pulsava il cuore di Londra
di tutte le vite del mondo.
Ma, sullo schermo demoniaco del tempo,
si allestiva una storia spettrale.
I fantasmi del terrore,
colmi di rugiada al tritolo,
vagavano lugubri
nei segreti dell’alba.
La gente ignara
giocava alla roulette della morte.
I tuoni degli inferi esplosero
tra i respiri terreni.
Nugoli di sogni si estinsero;
più non brillò l’avvenire.
Le belve della guerra
attirano i fulmini dell’orrore
sui semplici agnelli
che pascolano ignari
nei verdi prati d’amore.


A Nick

Nick, fratello Nick!
Una nuvola nera
blasfema ha coperto
la dolce, innamorata luna,
quando gli apostoli
di Satana, nel cuore
trafitto della notte,
hanno ghermito il tuo canto
d’amore universale.
Il tuo volo di colomba
già era stato bombardato
dal delirio onnipotente
dei potenti della terra.
Nick, pulcino implume,
annegato in uno stagno
pieno d’odio!
Bianco agnellino come Gesù,
immolato dai boia delle tenebre!
Come guardava stupita
la corona del tuo fiore
come macabro trofeo esibita
in faccia alla storia
in faccia la mondo!
Ora vivi dove il sole
indora l’ombra,
dove i sogni
risplendono infiniti.
Com’è lontana questa terra, gelata
dalle bufere della morte!


Il canarino della speranza

La sorda stridula corsa
della carrozza moderna della vita
distrugge l’oasi del silenzio.
Le cupe statue di pietra
adoranti le cose
sciolgono l’abbraccio dell’infinito.
Le luci abbaglianti
delle stelle mondane
accecano il limpido sguardo
della poesia.
I saccheggiatori della terra
hanno profanato il sacro tempio
della natura di smeraldo.
La musica che accompagna
la danza del tempo
sempre più vibra
di note sepolcrali.
Ma il canarino della speranza
canta e vola
tra le nebbie della storia.
Un giorno felice arriverà
nel suo nido in braccio al sole.


Le torture dei bimbi e delle bimbe

I diamanti degli angeli,
sono arsi dalle fiamme d’orrore
dei draghi tremendi.
I colibrì dell’incanto
hanno le ali spezzate
dal peso dell’immane fatica.
I cuccioli/e del paradiso
sono violati/e dai lerci cinghiali
che invadono l’Eden.
Le tenere gemme del cielo
seccano nei disperati deserti.
Sul treno del tempo
salgono le aurore del mondo,
ma i sorrisi dei sogni
sfumano in blasfemi tramonti.
La storia, trafitta
dall’arciere del male,
lacrima sangue
di dolore innocente.
Ma, nel tripudio degli astri,
tornerà la Regina del Creato
brillerà nei bimbi e nelle bimbe
del mondo la gioia infinita.


Il sole della poesia

Vagavi tra le nebbie fitte
dell’inverno gelato,
le piogge torrenziali delle vanità
ti allagavano la mente.
Ma il sole della poesia
ti ha invaso
con un sottile raggio
e tu con l’azzurro in cuore
hai sbocciato
nel giardino del sorriso
il fiore dello stupore.


Olimpiadi

È la festa dello sport.
Da ogni lembo di terra
volano atleti verso il sogno
del metallo di gloria.
I muscoli, della carne e dell’anima,
Si scatenano audaci
in gare di appassionato vigore,
dense di affascinante bellezza
e stupore.
La terra segue,
palpitante e plaudente,
le orbite delle splendenti
stelle d’olimpo.
Il mondo si affronta
intrecciando corone d’ulivo.
Nel tripudio della vittoria
il cuore si cosparge
di medaglie preziose.


A un ricco

Come il sole della vita
abbracciavi mari di materia
su cui navigavano superbi vascelli
splendenti di corone del secolo,
dei superbi visi dei gaudenti.
Dipingevi i tuoi giorni
dei colori sfumanti
nella notte del mondo.
La bufera gelata della morte
sciolse nel vento
l’oro del tuo tempo.
Il tuo fiume di denaro
non sfociava nell’oceano divino.
I granai della tua storia
non ti davano il pane
dell’immortale vita.
L’amore, la fede, la speranza,
si frantumavano
contro il muro del tuo spirito.
Invano alla tua porta
aveva bussato Lazzaro.
Ma, nel mistero del giorno senza fine,
anche tu incontrerai
la verità suprema
della Divina misericordia
e come stella un giorno
all’infinito brillerai.


L’uragano del dolore

Se l’uragano sterminato del dolore
ha afferrato la tua fragile
terra ribelle,
se le immani spine del tempo,
hanno trapassato
la tua carne con l’anima,
non annegare nell’oceano
di piombo della disperazione
il puro volo della tua vita.
Solleva il calice amaro
delle tue lacrime
come Gesù verso la Dea Madre
la Padrona del cielo
innaffierà il prato secco
del tuo tormento
con la rugiada divina
della speranza.
La tetra ghiacciata notte,
a poco a poco rifiorirà
splendente di astri.
Si spalancherà la solitudine
della prigione del cuore
alla preghiera,
alla comunione celeste,
attendendo l’abbraccio festoso
nella patria beata.


Ritornerai dea Madre

Ritornerai Signora, ritornerai.
Frantumerai la notte
con i raggi del tuo sole.
I lupi del peccato
non divoreranno più
le pecorelle della grazia.
L’impero dell’angelo
della morte si scioglierà
come semplice brina.
Le schiere della luce
voleranno, risvegliando
l’umanità intera.
Tra diamanti di stelle,
risplenderà la Grande Madre
Sovrana della storia.
Non si udranno più
le strazianti grida
delle agonie della terra.
Le anime e i corpi,
in un indissolubile
amplesso divino,
voleranno beati
in un tripudio infinito
verso un’aurora di sogno.


A Guido

Tra i bolidi mendaci del mondo
lanciati sul duro improvvido asfalto,
Guido svolgeva la quotidiana fatica.
Ma, il tragico schianto sempre in agguato,
tra le fredde foschie di novembre
d’improvviso arrivò
e Guido, travolto dalla sorte funesta,
giacque disteso nel tempo
senza sguardo, senza movimento.
Ammantata di carità e di fede,
secondo “i sacri” principi
del clero dominante
la scienza aggrappò il suo respiro carnale
ad una solerte macchina vitale,
senza speranza d’amore e di pane.
Era condannato a consumarsi negli anni
come una pietra, come un vegetale.
Tutti i parenti insorsero uniti
contro quell’abominio infame
e dopo un inesplicabile tempo,
un giudice pietoso ed umano
sciolse dalle catene del corpo
la sua anima ansante
che volò in braccio alla vita.


Siamo piccoli/e

Siamo piccoli/e, siamo fragili,
siamo fuscelli tra le onde
in tempesta del mare.
Granelli di sabbia
tra le mostruose tormente del tempo,
microbi tra lo spazio infinito.
Siamo tronfi, superbi/e,
Icari di cera
sciolti dai vulcani del mondo.
Iceberg tra lo splendore
trionfante delle stelle.
Un ago del pianeta
trafigge il nostro cuore,
uno spicchio di terra
seppellisce i nostri sogni.
Siamo tutto, siamo Dei, siamo Dee,
se umili ci prostriamo all’amore
infinito, se in noi vola
la colomba divina.


Torna a risorgere

Lascia le feroci sgroppate
sui sentieri dell’odio,
cavalcando la morte.
Lascia le torbide paludi
dove affondi nel fango
l’orizzonte dei sogni.
Lascia i falsi allori
che il tempo si miete
e ti svuotano l’anima.
Lascia i fraudolenti tesori
posti in grembo del mondo
che ti uccidono il cuore.
Lascia le trappole dell’io,
i respiri fatui,
gli universi finiti.
Sali sul volo della vita
e torna a risorgere
nella Dea fratello, sorella.
Sentirai dal cielo
una musica soavissima
che ti infonderà
di dolcezza l’anima.
Splenderà nel tuo cuore
un eterno sole
i cui raggi diffondono
gioia e amore.
Rivestirai la terra
tutta a festa;
rifioriranno i germogli
dell’armonia universale.
Se pure talvolta
la notte del secolo
lo sguardo ti ghermirà,
se sulle tue spalle
la croce si poserà,
non ti schiaccerà
il pesante nulla
e giuliva la speranza
tra le braccia dell’Eterna
ti ristorerà.
Come ridente soffio
sarà la tua terra,
ma la vita vera
te la darà il cielo:
nell’umanità divinizzata
vivrai un’eternità beata.


Alla radio

La Dea seminò il genio creativo,
in suo figlio Guglielmo Marconi,
che dall’oceano dell’ingegno
trasse l’onda per fare volare
le voci in tutta l’aria.
La radio espande le notti,
le albe chiare della storia,
si fa bussola per il naufrago
e vento della cultura universale.
La sua orchestra di vita
fa danzare alla terra
sfrenati samba d’allegria,
nenie di mortale pianto.
Gorgheggia e strepita
la sua folla di motivi,
ammutolendo i silenzi solitari.
Come figlia
della società malata,
ospita in piazza
la fiera delle vanità.
Cara radio ti desidero,
vorrei tanto cavalcare
la tua onda, per far planare
su ogni sito della terra
la mia poesia d’amore e di speranza.


Al fumatore

Fumi le fresche dolci
note della tua voce,
il profondo respiro.
La sana buona cultura,
il cibo dei poveri.
Fumi la salubre
amorosa compagnia,
i bilanci, le utilità sociali.
La luna dei desideri,
la creanza, il buon senso.
Fumi i tuoi polmoni,
la liberà tua sposa.
La seta della tua pelle,
la virtù delle stelle.
Fumi il fiore della salute,
l’albero della vita.


Lode alla poesia

Ti voglio regalare una poesia
è tua
è mia.
Non buttarla via!
Nasce dal monte
del mio cuore,
è un fiume che va,
scorre per la terra,
sfocia nel tuo mare:
insieme vuole amare.
La poesia dà sapore,
dà senso alla vita.
Non è futile cosa!
Non è figlia del banale
del consumismo commerciale
del tempo artificiale.
Non guardarla
come fosse un sasso!
La poesia palpita di vita,
si sprofonda nel mistero
ora rosa
ora nero
dell’intimo percorso umano.
La poesia è un’emozione enorme,
una fantasia avvolgente,
un amore sempre ardente,
una sensibilità sconvolgente
che s’incarna nella storia,
nel pantano e nella gloria,
geme e grida con l’oppresso/a,
gioisce e canta al successo
della vita sulla morte.
La poesia è libertà
meraviglia
è l’anima che vola,
che contempla il creato
con lo sguardo affascinato
puro, ingenuo, della bambina.
La poesia è lode,
bellezza,
dona pace e saggezza.
È un sorriso del Divino
al tuo andare pellegrino
tra fatica e amarezza.
La poesia è filosofia
politica
cultura.
La sua strada è meno dura
non ti impedisce di sognare.
È la compagna ideale
delle occupazioni umane.
Se diventerà tuo pane
sarai molto più felice.


A un sordocieco

Non vedi le aurore di luce
che sbocciano nel giardino del tempo.
Non scorgi il mare turchino
che bacia l’orizzonte sereno.
Non guardi i luminari del cielo
che danzano nella notte incantata.
Non senti i concerti sublimi
delle orchestre del mondo.
Non afferri le sapienti parole
che squarciano il buio.
Non odi il soave mormorio
della natura festante.
Ma, nel purgatorio dell’umana tragedia,
splende sempre un raggio di sole:
anche tu puoi sentire,
puoi gustare l’amore.
È lui che spalanca la vita,
ne scopre il senso nascosto.
Si sposa stupendo
alla sapienza profonda.
Annienta la solitudine del cuore,
trasfigura l’umanità intera.
L’amore porta al mistero
dell’esistenza Divina del Cielo.


Uccisione della notte

La notte quieta si distende
rigogliosa di stelle,
imperlata di luna.
T’invita alla calma stupita,
a contemplare il mistero,
la vita.
Ti adagia a riposare
con la terra;
col giglio del campo,
con l’umile spiga,
nel bosco incantato dei sogni.
Tu dissacri la notte,
la trascini stuprata
tra sguardi inebetiti
di alcol, in allucinanti
viaggi drogati,
nei rantoli della coscienza straziata.
Tu imprigioni la notte, tra abbagli
di fosforescenti richiami,
in assordanti frastuoni
di strumenti impazziti,
nello sguazzare frenetico
del corpo affogante.
Tu uccidi la notte,
la soffochi tra scatole orbitanti
su funerei asfalti,
in folli rincorse
nel chiuso del tuo cuore ammuffito.
Fai pace con la notte.
Ammira orante i mistici astri del cielo.
Imbeviti estasiato del silenzio
che scende meravigliato
dalla natura assopita.
Addormentati nel divino
che abbraccia, solleva e trasfigura
ogni tempo.


Le tigri della guerra

In diversi paesi del globo terracqueo,
greggi circuite forse anelanti
a libertà e giustizia;
odiose milizie locali
infarcite di odio e violenza;
demoniaci, orripilanti vampiri
assetati di omicidi e torture,
inneggianti ad un Dio della morte;
si sono affrontati e si affrontano
distruggendo ogni umana risorsa,
ogni umano sentire e capire.
Imperi infausti e crudeli,
sparsi nel mondo,
forse occulti ispiratori
di ogni suprema bassezza,
affamati di potere e ricchezza,
intrecciando i più loschi, fetidi affari,
bombardano, nascosti o alla luce del sole,
le candide speranze degli ultimi/e.
Interi paesi, terre e civiltà ubertose,
sono diventate rovine fumanti
invase da rivi
di lacrime e sangue innocente.
Immensi stuoli di umane creature
per sciogliersi dalle impudiche,
immani catene dell’agonia,
dalle tenebre ormai imperanti,
si affidano alla labile accecata speranza
dei mercanti di morte.
Cadono a migliaia in orridi abissi
di terra e di mare,
divorati da quegli squali feroci.
Nel loro mesto e sconvolgente esodo,
sognano sorgenti di latte e di miele,
abbracci e sorrisi di sole.
Ma, nella ricca Europa possente,
incontrano pochi palpiti amici,
trovano ghigni di pietra,
un avvenire gelato.


A Domenico Modugno

Come un menestrello
al chiar di luna
offrivi alla gente
le tue canzoni.
Erano fantastiche, appassionate!
Eri l’imperatore dei cantautori!
Sanremo accoglieva le tue gemme
t’incoronava trionfatore.
Tra uno stuolo di favolosi interpreti
vinceva l’arte di musica e parole.
I tuoi canti
erano zingari volanti
che riempivano le atmosfere del mondo;
dipingevano di blu i cieli cupi,
con lacrime di pioggia
salutavano l’amore.
Cullando il vecchio frac sei arrivato
alla mezzanotte della vita,
ma la terra intonerà i tuoi canti,
fino all’ultima speranzosa aurora.


La felicità

Felicità tu non sei
lo sfolgorio ammaliante
dei diamanti del mondo
su cui rapaci si gettano
i seguaci del secolo.
Non sei il fiorire dei beni
che produce la terra,
la superba messe di allori
che incorniciano il tempo.
Felicità tu sei:
l’amplesso degli innamorati
che vola oltre le stelle,
la pietra del cuore
che si trasforma in pane,
la colomba della vita
nell’arcobaleno dell’incanto,
la fede che trasfigura
il dolore nell’amore,
la speranza che fa splendere
il divino della morte,
la rondine dell’anima
nell’eterna primavera.


A Rinaldo

Lievitando dentro e fuori di sé
amore, fede e speranza,
interprete della bellezza Divina,
Rinaldo svolgeva
la sua sacerdotale missione.
Le nozze con la vita di Cristo,
incarnato nei più piccoli/e e miseri/e
nutrivano ogni suo alito,
ogni sua vitale passione.
Ma, un fatidico giorno,
sul suo calendario di vita
del tutto speciale,
una dolce donna stupenda,
splendente di puro erotismo,
nel segreto della sua alcova celeste
gli confidò le sue segrete
ambasce terrene.
Alla fine, tutta raggiante,
Viola se ne andò, lasciando in lui
il profumo soave del suo fiore.
Le notti e i giorni dell’umano Rinaldo
non avevano più il loro “Divino sapore”.
Ormai un solo nome
salmodiava il suo cuore:
Viola… Viola… Viola… Viola…
Viola sei tutta mia,
Viola sono tutto tuo,
Viola senza di te non posso più vivere.
Viola ti amo.
E, senza saperlo, benediceva
la sua masturbazione.
Ma i terribili strali
lanciati dai perfidi pulpiti
dei seminari
contro il muliebre sesso,
la terribile impostura
della casta prigione rivelata,
ancora lo crocifiggevano.
Anche la bellissima Viola,
pura e libera “da ogni bestemmia”,
l’aveva eletto re del suo cuore.
Così, empita di grazia e d’ardore
la splendida femminile Dea,
dopo aver intuito sin dai primi attimi
i sussulti d’amore
di quell’uomo condannato,
a lui ritornò generosa come il sole.
Effusa di Divina tenerezza,
coi baci e le sapienti carezze
dettate dalla carne e dall’anima,
Viola riuscì a liberare Rinaldo
dal terrore del sessuale peccato.
Così i due innamorati si unirono
in una sacra beatitudine eterna.


Ad Anselmo

Forse sospinto da una brezza
sottile e divina,
o dal puro e semplice suo cuore fanciullo
dominato da una subdola
propaganda nascosta,
con tutto il plauso
della sua famiglia bigotta,
Anselmo entrò in una “farisea”,
“prigione ecclesiale”.
Nonostante le acuminate spine
in lui conficcate
dalla dittatura feroce
dei “sacri” disumani prelati,
armato di umiltà e pazienza,
Anselmo continuò quel cammino
sino a rivestire i panni
dell’inviato divino.
Tutto plasmato
“dagli eccelsi dogmi papali”
svolgeva la sua fedele missione
rivestito di “solenne”
“potere clericale”.
Ma presto, riscoprendo i fondali
della sua anima pura,
si accorse della grande fuga
dei poveri Cristi incarnati,
delle pecorelle più candide.
Vide i ghigni di pietra
dei potenti e dei ricchi
invadere le nozze pasquali;
l’obbrobrio criminale ed orgiastico
“dell’impero dei casti”.
Allora lasciò
le sagrestie tenebrose
e come Gesù s’innamorò
degli afflitti e delle deboli
spargendo semi di speranza e di luce.
Si accomiatò “dall’impura vergogna”
scoprendo la gioia e il piacere del sesso;
il suo amore omosessuale.
Lasciando le fetide dimore
degli schiavisti dell’umana natura,
con l’innocenza di un fiore,
davanti al Divino si sposò
con l’innamorato del cuore.


Alla gerarchia cattolica

Gerarchia cattolica
cosa nei hai fatto
del “divino” insegnamento di Gesù
inneggiante alla libertà e all’amore?
Lo hai racchiuso nelle più orride prigioni
che mai la storia potesse immaginare.
Sei diventata tu la grande Babilonia,
la Meretrice e la Dominatrice
di tutti gli imperi
adoranti il Dio Mammona.
Hai crocifisso i poveri Lazzari
della Terra.
Ti sei innalzata verso il cielo
ma solo per adorare te stessa
e la grande Bestia.
Ti sei fatta carnefice
e giudice divina
dell’umanità intera.
Nella tua arrogante superbia,
ti sei fatta addirittura superiore a “Dio”.
Hai straziato l’umiltà
e la bellezza degli eletti/e
coniando per loro l’ubbidienza cieca,
le “virtù” più disumane.
Alcuni li hai torturati e uccisi
elevandoli poi come immensi Dei
su tutti i tuoi altari;
facendone tuoi espiatori eccelsi/e,
indelebile magico richiamo
per tutti i sofferenti creduli/e.
Hai seminato fin dove hai potuto
le tue solenni, “sacre” e sfarzose
cattedrali sepolcrali,
annientando tutte le scienze e le culture,
schiavizzando servi
della gleba e proletari.
Hai benedetto e santificato
tutte le tue crudeli guerre.
Incendiato e distrutto col tuo inferno,
tutte le civiltà più floride.
Dalla tua sorgente impura,
hai fatto zampillare fiumi immensi
di sangue e lacrime
superando nel male anche il “Demonio”.
Anche oggi mascherata da Angelo di luce,
“imponi” il tuo farisaico feudalesimo;
calpestando ogni studio,
ogni libertà e pensiero umano.


A Italo

Italo viveva i suoi
teneri squilli di vita,
scopriva con il suo corpo sessuato,
le sue prime innocenti pulsioni.
Dipinta su una tela di sogno,
vi era la ragazzina del cuore
e lui inondato di piacere e d’amore
che verso il cielo volavano beati,
come si fa in giovinezza, si masturbava.
Ma un infausto giorno,
sospinto da una curiosità quasi fatale,
in una cattolica scuola farisea,
trovò un vecchio libro fantomatico
dei “sapienti” e insipidi
distruttori di ogni scienza.
E Italo tutto stravolto leggeva, leggeva,
mentre il suo semplice cuore cristiano
di tristezza e dolore batteva.
Il flauto sacro e gioioso
dei primi desii
della sua maschile natura,
ora giaceva calpestato e distrutto
dal terrore dell’infermità del corpo
e, ancor più, dalla cieca paura
della Divina condanna eterna.
Tutto compunto, cercò da sua madre
lumi e consolazione; ma anche lei,
allevata nella bieca
clericale ignoranza,
non poteva rispondere
alle sue domande accorate.
Contrito, fino al sommo grado,
piangendo rivi di sangue e lacrime,
ad un losco venditore di cielo,
il ragazzo confessò
quel “lubrico mortale peccato”.
“Sposato a quel Dio ottuso e criminale”,
Italo senza pietà frustava
i suoi provvidi bisogni naturali,
gli incontri e le visioni
abitanti “il peccato impuro”.
Ma, il sessuale sano desiderio
non si può sempre reprimere
e i tempi di “virtù santa”
e di “spregevole lussuria”,
nelle sue stagioni ricorrevano.
Per questo dominante motivo
la sua salute psicofisica
a poco a poco si deteriorava
e il bravo dottore di famiglia
in un centro d’igiene mentale lo mandò.
Seguito da una valente equipe
di studiosi e d’umanità ripieni/e,
la sua salute migliorò.
Ma fu la non fugace apparizione
all’orizzonte del suo cuore
di Asia grondante di bellezza e passione,
a disintossicarlo del tutto
dal “veleno Papale”.
Così, tra le calde braccia di Asia
empita di erotico puro splendore,
sfuggendo ai battiti impietosi del tempo,
per ore e ore faceva l’amore
e, il loro innamorato amplesso,
era un sublime ed eterno canto.
Alla Dea dell’amore,
del piacere e della bellezza.


A Firmo e Luciano

Due creature intrise d’umano
di nome Firmo e Luciano,
tra la primavera sbocciante,
nella plenitudine di un giorno
inviato dal cielo,
s’incontrarono immergendosi
l’un l’altro nell’anima.
In quell’abisso sereno e profondo,
scoprirono la loro nascosta,
comune natura omosessuale.
Dopo innumerevoli incontri
illuminati da un sole vitale,
sotto un cielo immanente
e cesellato di sogni,
brillò nell’universo più alto
la loro pura passione d’amore.
Firmo e Luciano, in dovizia soave di cuore,
si unirono in matrimonio.
In un’alcova accogliente
dell’Italia del nord,
ricamarono il loro splendido nido.
Ma, le persone fraterne,
che la loro pura fantasia dipingeva,
erano invece spietate omofobe tigri,
che, uscite dalle loro fetide tane,
aggredirono la loro
letizia romantica,
lasciandoli straziati
ed ebeti di terrore,
in un lago di lacrime e sangue.
Annichiliti, ma animati
da un ancor più vivo
sacro e perenne connubio
di carne e spirito,
i due innamorati partirono
alla ricerca della terra promessa.


Ai probi giornalisti

Svettante tra i pulpiti di Roma ladrona,
c’era e c’è un regno forse il più ricco,
potente e ipocrita del mondo.
I suoi agi e i sacri artistici sfarzi,
sono elevati sin nell’alto dei cieli.
Molti e semplici, poveri/e
e potenti del mondo,
s’inebriano e si accostano
a quel nuovo Impero Romano,
a quello sventolato Paradiso.
Alcuni probi ed onesti
ricercatori della “verità”
in quella scabrosa, putrida
e tenebrosa dittatura,
lavoravano.
E, un giorno, tra le maschere
inneggianti alla povertà santa, tra documenti segreti,
sconosciuti anche all’Onnisciente,
scoprirono i più reconditi alti misteri
della loro finanza imperante.
Molti loro tesori,
provenivano da prodigi mafiosi
e, i granai si riempivano
sulle spalle dei miseri.
Salendo sulle angeliche ali
del vero e del giusto,
quei giornalisti fedeli
al mondo distratto rivelarono
quella “cattiva novella”.
Ma, quei super Divini,
fautori di ogni verità e amore,
ben lungi dal vestirsi
di sacco e di cenere,
come Gesù li arrestarono
e feroci li processarono.


Noi ragazzi e ragazze del ’68

Noi, vedevamo le laide, feroci
oppressioni degli apostoli
del Dio capitale.
Guardavamo i miseri servi/e
della Dea produzione
giacere percossi dalle sferze
dell’ingiustizia.
Sorse così uno sdegno profondo
nei nostri caldi e sensibili cuori;
si accese la fiamma dell’ira,
l’incendio senza tregua
della Rivoluzione.
Con la dottrina di Lenin e Marx
marciavamo audaci verso la meta:
la soppressione dell’infimo
Stato Borghese,
la proclamazione del Comunismo.
Ma la storia non ci sorrise radiosa
e continuò con il male di sempre,
i dolori, gli strazi
sempre più straripanti
e i pochi, nascosti sorrisi.
Vedemmo molti compagni cadere
avvolti e accecati
dalle fitte tenebre stese
dall’impero dei ricchi.
E, a poco a poco, la speranza
ci sfuggì dalle mani
e, nei nostri cuori,
la terra promessa
svanì in un sogno lontano
della nostra primavera incantata.


A Papa Giacinto

Un giorno, benedetto dal cielo,
Papa Giacinto si affacciò
al globo terracqueo.
Lasciando la somma divina e crudele
teologia dei suoi predecessori,
le meste bestemmie e le ciance
dei/delle bigotti/e di ogni genere e specie,
si accomiatò dall’insulso e atroce
Medioevo e schiuse le porte del cuore
alle culture e alle scienze moderne.
Capì che gli uomini erano anche maschi
e, soprattutto, che le donne
erano anche femmine.
Ispirato dallo Spirito
invaso da molta umiltà,
frequentò la scuola di valenti/e
sessuologi/ghe, psicologi/ghe, psichiatri/e.
Capì che la masturbazione
era necessaria, lecita e bella.
Bandita ogni forma di violenza
in special modo la pedofilia,
capì che il fare sesso,
in ogni stato di vita e natura
sessuale, (anche trans, omo e lesbo)
era una cosa giusta,
benefica per la mente ed il corpo.
Ricevette in udienza
le condannate teologhe
e capì che l’erotismo, il far l’amore,
non solo non era peccato
ma poteva essere una delle più alte
forme di preghiera.
Un volo sublime verso il Divino
(anche con gli anticoncezionali).
Così, Papa Giacinto,
in ginocchio, piangente,
chiese perdono all’umanità intera
per tutti gli efferati crimini
della chiesa cattolica.
Recitò un Beato mea culpa
per l’abominevole distruzione
dell’amore e del piacere sessuale.
Emise così finalmente
la più giusta non ipocrita
enciclica della storia Papale.
Papa Giacinto, ripieno d’ardore
e misericordia Divina,
girava per il mondo invitando tutti
a far l’amore,
a non fare la guerra.
La castità era possibile
a pochissimi/e eletti/e,
forse dopo lunga maturazione,
e poteva anche non rivestire
tutta intera la vita umana.


Il mare nero

Sull’oceano immenso
che all’orizzonte si fonde
con l’azzurro del cielo,
l’uomo privo d’incanto
ha posato il suo sguardo
di rapina ripieno.
Nei profondi misteriosi fondali
brulicanti di bellezza e di vita,
ha deposto i mostruosi
suoi idoli strani
figli del dilagante profitto.
Ma laggiù, nel regno salato
della Louisiana fiorita,
la tecnica umana
d’arroganza e superbia vestita,
come un pallone nel vento
d’improvviso è scoppiata.
Così il prezioso oro nero
da quei magnati esaltato
si è mutato in diabolico
assassino del mare.
Ora, come peste impazzita,
dilaga nella pura acqua serena
infestando la fauna indifesa,
il tempio della sacra natura.
Ora, la stella del futuro
brilla di paura:
è sempre più intrisa
di veleni di morte.


Fuga dalla fame

Espanso dagli umani
assassini della creazione,
il mare di sabbia invadeva
i miseri e magri pascoli
del desinare delle ultime e dei deboli.
Con alacre forza e coraggio,
i figli e le figlie della purezza,
riuscivano ad imbandire la mensa
del loro sacro e ridente travaglio.
Ma i sommi, spietati governi,
sbriciolando il diritto umano
e Divino,
con loro immane, crudele potere,
spogliarono i fedeli sudditi
di ogni sostanza.
Dei più miseri
chicchi di vita e speranza.
Li condannarono alla tortura
di un’infame odissea
verso la distruzione e il dolore.
Verso le tombe sperdute
e ignote del deserto e del mare.
I crocifissori del cosmo,
i satanici potenti cultori
della dea del profitto,
invasero coi loro miasmi infernali
quelle terre benedette dal cielo,
intonando canti d’orrore e di morte.


Lodata sii…

Sublime onnisciente,
innamorata Signora
tue sono le mie preghiere,
le mie poesie,
tutti i torrenti di gioia,
ogni ruscello di dolore.
A Te sola va
ogni mio istante di fatica,
ogni mia canzone in riva al tempo,
ogni mio respiro per il mondo.
Lodata sii, mia Signora,
per l’arcobaleno di bellezza
dipinto da fratello sole
in lui fiorisce la vita sulla Terra
e si illumina
della tua immensa luce.
Lodata sii mia Signora,
per sorella luna e le stelle,
che dal cielo trasfigurano la notte,
la guidano raggianti
verso lo splendore eterno.
Lodata sii Dea Madre
per fratello vento,
che accarezza
le chiome agli innocenti,
li fa volare
verso l’isola del sogno.
Lodata sii Grande Madre
per sorella acqua
che inonda di vita il creato,
benedice e feconda la purezza.
Lodata sii mia Madre
per fratello fuoco,
che rasserna di calore
l’inverno gelido.
Lodata sii Grande Dea
per sorella madre terra,
che danza meravigliosa
attorno all’astro
nell’attesa
di te Celeste Sposa.
Lodata sii Dea del cielo
per l’oceano di grazia
che annega i rancori,
per il dolore e la malattia
che diventano nettare d’amore.
Lodata sii Mamma Celeste
per sorella morte
che raccoglie nel suo grembo
le creature,
partorendole nell’aurora senza fine.
Lodata sii sempre, mia Dea
da quell’universo
che a te inneggia,
colmo di stupore.


Ad Alberto

In quell’oasi della città tumultuosa
Alberto spargeva i suoi semi d’amore.
La sua voce calda e suadente
intonava canzoni
che alitavano vita
e, con agili accordi
della sua chitarra,
ritmava le tristezze e le gioie
del suo libero canto.
La gente non schiava
della frenetica corsa,
le anime docili
al richiamo del bello,
qualche istante grate sostavano
offrendo un sorriso,
una moneta col cuore.
Ma un giorno di gelo pungente
in cui eclissato era il sole,
la bieca, criminale follia
che distrugge ogni umana parvenza,
feroce si affrontò in quella via
col piombo omicida,
la tracotante violenza.
Alberto con le candide ali
lontano cercò di volare;
ma, una vagante scintilla di morte,
il suo anelito alla pace
virulenta spezzò.
Ma lassù nel regno dei cieli
il suo canto felice
ancora echeggiò.


In Cambogia

In Cambogia, l’orrido fanatismo
dei Khmer di Pol Pot,
ha stracciato i sacri vincoli
della dignità umana,
straziato in un vortice di pazzia
il sublime cammino dello spirito.
Ha ridotto in cenere
l’albero della speranza,
frantumato lo specchio
della bellezza e dell’amore.
Le tracotanti tigri,
ebbre di delirio e di odio,
si sono avventate
sulle misere persone del popolo
divorando spietate
la libertà e la pace.
Sull’altare dei loro olocausti,
si sono cibate di due milioni
di vittime sacrificali.
Il fuoco del terrore è divampato
tra la misera carne implorante.
Ora, i seminatori di morte
sono stati sconfitti;
la loro folle protervia
è stata allontanata.
Ma, come sempre, la Cambogia
giace sommersa
dalla dittatura della miseria.


Inverno

Come una superba, irriverente dama,
la terra più non porge
il suo amore al sole,
più lontana sembra
nello spazio universale
e molto tenue appare
il suo focoso amante.
La flora s’è spogliata
dell’abito consunto
e nel silenzio giace esanime
nuda e addormentata.
La fauna si ripara, si rintana,
incorre le briciole
della natura avara.
Il re e la regina del pianeta
sanno scaldarsi con sapienza,
ma se il freddo non opprime il corpo,
la triste esistenza
sembra gelare il cuore.
Ma, dopo il rigido letargo,
si risveglierà la vita
e il giardino del tempo
si rivestirà tutto a festa.
Anche il lungo inverno
dell’anima dell’uomo
e della donna
un giorno finirà
nell’eterna primavera.


A Claudio Villa

Con l’ugola d’oro
in braccio al sole,
ricamavi nel tempo
la tua melodia:
era fastosa ogni tua esibizione
eri l’indiscusso re della canzone.
La tua voce,
alta, forte e appassionata,
arrivava in ogni angolo di terra
ogni essere vivente si alzava,
taceva e ti acclamava.
Con Usignolo, Granada e Onda marina
deliziavi gli uditi più esigenti;
ma le canzoni erano miriadi,
una più dell’altra straordinaria,
ora la celeste serenata
la canti per le creature del cielo.
Ti acclama la Dea Madre
con gli angeli,
ascoltano le gaudiose
tue canzoni.


Preghiera

Che fiume azzurro Dea Mamma!
Che nuvole bianche sembrano
sorridermi dietro l’orizzonte!
Che verde intorno
e che canto di uccelli!
Le montagne specchiano ancora
la neve candida nel sole,
l’umanità si muove
pescando i tuoi beni.
Ma, Grande Madre, gli uomini
sono diventati dei pescatori
e dei cacciatori incontentabili.
La loro caccia si macchia ogni giorno
del sangue delle persone misere.
Hanno tagliato i fili
del tuo telefono.
Hanno spento la fiamma dell’amore,
mentre accumulavano i poderi e la fame
dei fratelli e delle sorelle.
Hanno trasformato il tuo pianeta
in una giungla di fiere.
Ma Signora, io vivo nei grammi
di speranza del mondo.
Desidero il matrimonio del creato.
Io spero da te un cielo
e una terra nuova.


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