Una piccola rosa

di

Eva Amore


Eva Amore  - Una piccola rosa
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 82 - Euro 8,50
ISBN 978-88-6587-6893

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In copertina: «Rose» © Marty Kropp – Fotolia.com


Una piccola rosa


Freddo mondo

Freddo! Freddo
intorno. Il cielo
grigio lassù,
sembra ormai vuoto.
Nuvole tetre s’addensano
portando messaggi
di morte.
Freddi questi volti
ormai spogliati di tutto,
questi sguardi
che fissano vuoti
l’oggi e il domani.
Ma io credo che
un giorno
un’aurora di luce
spunterà sulla terra.


A Cuba

Com’era stupenda Cuba
tra le placide
onde dell’oceano
come donna
che si crogiola nel sole!
Fascinoso splendeva il paesaggio,
come vela al vento dondolava
la tropicale flora.
Come giaceva strozzata Cuba
dal potere dominante,
dall’arroganza Yankee!
Nei ricordi era vivo il Che.
Il suo pugno serrato
colpiva ancora
tutti i lestofanti della storia
per difendere
i e le diseredate della terra.

Come tra la luna e le stelle
danzava Cuba!
Vibrava di passione
la sua musica.
Si stendeva misteriosa,
incantata la sua notte.
Com’era povera e crucciata Cuba!
Ma come accarezzava d’amicizia!
Mi stringeva tra le braccia
tutta calda.
Azzurro invitava il mare.


Vola preghiera

Vola colomba della mia preghiera,
tra il mistero di luce
dell’incanto supremo;
il tormento e la gioia
dell’attesa del cielo.
Vola tra le stanche larve
che strisciano sulle tombe del nulla;
e le deboli nane raggiunte
dalle vampate di fuoco
dei draghi della storia.
Vola tra i seguaci
degli umani vizi,
i cadaveri dei peccati del mondo.

Va’ tra le tormente di dolore
che squarciano il tempo,
i tripudianti concerti
inneggianti alla vita.
Vola tra i semplici, puri agnelli/e
che brucano amore
sui prati della grazia,
tra le pallide, tremanti, virtù assediate.
Vola tra i leoni ruggenti,
le smunte, divorate gazzelle:
porta l’ulivo della verità
che proviene dal sole.


A Perla, la mia gatta

Accarezzavi l’ulivo del mio silenzio
con la musica
delle tue fusa in festa.
Per la strada, di soppiatto,
mi seguivi
verso il mondo
misterioso di mia madre.

Quieta ti sdraiavi,
sonnecchiante sotto la luce
e l’ombra della stella.
Il tuo fiuto felino
ti destava,
quatta, quatta, strisciante
ti allungavi
e come tigre balzavi
sulla preda.
Eri tu, domestica, selvaggia,
eletta regina della casa.

Intrisa dal retaggio
degli umani,
ti ha ghermita
una loro malattia.
Ora il tuo tempo
è diventato polvere:
non avevi un’anima
per volare via.


Haiti

Haiti più non sei la rara perla
sgorgata dal mare della bellezza.
Non sei oasi ridente
di profondi incantati sguardi.

Il tuo cielo rispecchia
la melma fetente in cui sguazzano,
esiliati dai sogni, le tue frotte
di bimbi e di bimbe orfane d’amore.
E tra i detriti del rancore
si sfama la gente chiusa
in una prigione di miseria e oblio.
Le figlie di Eva,
con le anfore del dolore, affondano
tra le sabbie mobili della violenza.
Le orde dei corsari del male
senza freni impazzano
tra le dolenti stagioni.
La polvere degli allucinati desideri
transita tra le turpi branchie
degli squali della ricchezza
e l’inferno di Baltasar e di Satana
sembra schiudersi con la nera magia.

Ma sulla sommità della speranza
fioriscono i gigli della carità.


A Bernardo

La notte stendeva
i suoi silenzi,
per riposare
le corse degli affanni.
I sogni danzavano nel vento
i fiori e le spine
della vita.

Tu, nei candidi voli
delle tue tante primavere,
andavi incontro
alla luce dell’aurora.

Fiamme impazzite
d’improvviso divamparono,
il fumo acre soffocò
il tuo respiro vitale.

Ma il frumento
della tua anima,
non si è disperso
con in tempo;
La Contadina del cielo
l’ha raccolto:
sarà pane bianco
del Paradiso.


Morte sul lavoro

Non cantasti come usignolo
da quell’albero di cemento.
Non ti librasti come un airone
ansioso di sfamare i piccoli.
A fetidi cuori rapaci
ti sei affidato
per giungere al culmine
della tua speranza
e come un fagotto di oblio
ti sei sfracellato
tra le pietre dell’egoismo.

La valanga del dolore
travolge la tua tana ridente,
rigagnoli di lacrime scorrono
sul tuo sangue innocente.

Nella tomba aperta del tempo
giacciono gli e le agnelle immolate
sull’altare della cupidigia.
Con te nel silenzio urlano
per squarciare l’indifferenza.


Il vecchio

Tra il crepitio caloroso
e il frutto squisito della festa,
come nuvole bianche
passano nel tuo cielo
sogni meravigliosi
cullati nella tua primavera
e cantanti d’estate
in miriadi di voli.

Nell’autunno del tempo,
dal tuo albero
tristemente cadono
le speranze terrene.
L’inverno ghiacciato
seppellirà tutto
nella notte del mondo.

Ma dalla terra
irrigata dal pianto
sboccerà il fiore
della divinità.


Al e alla volontaria

Tu lasci le soffici poltrone
dove si sprofonda l’Io,
il fumo delle corse
sulle giostre mondane
e vai dove la voce
del bisogno chiama,
dove fioriscono le piaghe
della storia.

Non ti cattura
il laccio del denaro,
non ti seduce
il mito della gloria.
In silenzio t’affatichi e sudi,
di nascosto curi le ferite
e, sordo/a alla sirena del benessere,
porti il sole
dove la notte impera.

Tu fratello e sorella
dell’umana avventura
siete la fonte pura della carità.
Seguite le orme
di Gesù, l’agnello
fattosi cibo per l’umanità.


Ricordando Beslan

Da quando l’innocente volo
verso l’arcobaleno del sogno
degli angioletti di Beslan
è stato abbattuto
dai seguaci della morte,
da quando le dolci donne
non possono più accarezzare
i riccioli del Paradiso,
un’immensa nuvola di dolore
ha invaso il cielo sereno
di Beslan.
L’acqua dei pozzi straripa
densa, amara di lacrime.
Sui volti distrutti
dalle esplosioni dell’orrore,
non si sparge più
il miele del sorriso.
Lo sfavillante astro
non scioglie le tempeste di ghiaccio
scatenate nei cuori.

Ma il fiume disperato
della pena,
pian piano scorre
verso il mare dell’oblio.
Il buio gelido della notte
si scioglierà
in una primavera di luce.


Sul cielo dell’Iraq

Una nuvola oscura
ballava terribile
sul cielo dell’Iraq.
Inginocchiava la vita,
ogni evento, ogni senso.
Colpiva con folgori, con lampi,
gli e le incaute erranti.
Una nuvola straniera,
gonfia di stelle,
ha invaso il cielo dell’Iraq.
Ma il tempo
è sempre più nero,
impervio il sentiero.
Flagellanti meteore
si abbattono, crepita
la terra di tamburi battenti
sulle strazianti ferite
dei e delle povere,
Sataniche serpi iniettano
veleni nelle carni
prostrate dei e delle semplici.

Quando, sulle vestigia
degli antichi splendori,
filtreranno raggi di sole?
Quando, le acque
dell’Eufrate e del Tigri,
culleranno placide
i sogni d’amore?


Quando la morte

Quando i fiumi
umani dei dolori
allagheranno il mio corpo
annegando i miei placidi respiri
sulla via del tempo.

Quando il pacifico
viaggio del cuore
si schianterà contro
l’inevitabile muro
della finitezza terrena.

Quando pian piano
svaniranno allo sguardo
gli incantevoli paesaggi
del pianeta terra.

Quando non sentirò più
l’eco tremenda
del martirio dei, delle deboli.

Quando sarò alla tua presenza,
dimentica misericordiosa
Dea madre
il mio mesto crogiolarmi
nella palude della colpa.

Ricorda gli oceani
straripanti di grazia
con cui inondavi
il mio spirito.

Ricorda la tenebra
tremenda
illuminata
da Cristo risorto.

Accogli Dea madre
il volo della mia anima
stupita
nel tuo abbraccio
universale.
Espandimi
nel tutto della tua
divinità elargita,
per l’eternità.


Paradiso di bellezza

Circondata da un paradiso
di bellezza,
avvolta in un mistero
d’amore,
avanzo tra pitture
di smeraldo,
sculture d’argento,
candidi specchi
di cristallo.

Il silenzio
scende giù dal cielo,
cullando i sogni di poesia.

Sussurra un canto
lieve il vento,
ondeggiando in un mare
di fantasia.

Saltella un camoscio
un po’ monello,
gravida di pace
sibila,
sparisce una marmotta.
Il sole splende luminoso,
scacciando le nuvole
del pianto.

Sgorga fresca
e dolce l’acqua,
l’incanto della vita
accompagnando.

È un giardino
fiorito di stupore,
la montagna
vestita tutta a festa.

Ascende alta,
bacia il firmamento,
dà lode e gloria
alla Dea che l’ha fatta.


Canto di speranza

Non spargere tramonti cupi
sul tuo viso,
l’aurora dà luce ai sogni,
regàlati un sorriso.

Coltiva nel tuo orto
piantine di speranza:
la speranza scaccia via l’ombra,
la trasforma in danza.

Fai un bagno limpido
nella fontana dell’amore:
l’amore trasfigura l’anima,
fa cantare il cuore.

Inginocchiati nell’orbita
infinita della fede:
la fede splende di pace,
fiorisce il mistero,
nulla chiede.


Nel cimitero

Qui sotterreranno il guscio
consunto dagli uragani
del mondo del mio amore.
Qui riposerà la mia stanca
cicogna migratrice grondante
miele e sale di terre
lontane.

Qui, cullato
da un silenzioso requiem,
il mio chicco di tempo
si sposerà con la terra,
sperando il misterioso,
miracoloso germoglio.

Qui risuonerà
la tromba universale
dell’angelo
per radunare i risorti
e le risorte
ai piedi
della Dea in trionfo.

Qui, nella pace divina
aspetterò la fusione
totale della mia stella
ridente:
l’invito sublime
alle nozze del cielo.


Fiori di morte

Non brilla più
nel firmamento del cuore
il sole incantato
della poesia.

Non vola più
la rondine dell’anima
a cercare primavere
verdi d’amore.

Non riposa più
la luce del pensiero
nell’oceano di pace
dove canta la vita.

Non esplora più
l’astronave dei sogni
l’infinito mistero
che stupisce le stelle.

La notte del secolo
espande i suoi fiori
di morte,
che con seducenti visioni
ghermiscono
le vite degli uomini,
e delle donne
l’imprigionano in serre
fiorite di merce.

Se vuoi essere libero/a
ritorna all’aurora del tempo
ritorna nel tuo semplice
immacolato giardino,
dove l’armonia straripa
nell’universo divino.


Nel silenzio

Lasciati invadere dall’acqua
placida del silenzio.
Lava l’arcobaleno macchiato
dei tuoi sentimenti
in quel limpido mare incantato.

Ristora i tuoi cavalli
imbizzarriti dal tempo,
con la biada impastata
dalle mani splendenti del sole.

Allattati in un volo d’amore
al vergine seno della luna,
regina delle bevande dei cuori.

Contempla nella quiete
del giglio assopito
le beate lucciole
del cielo infinito.


Amore per la moto

Nell’estasi materiale
tu la contemplavi,
come la cima del mistero
la più splendida stella.

Come un sogno straripante
l’hai stretta tra le braccia,
in un amore indissolubile
ai confini dell’eterno.

Come impazzito cavalcavi
quel nitrito assordante,
come un baleno disegnavi
rette e curve sull’asfalto.

La vertigine di potenza,
ubriacava il tuo futuro,
non ti sfiorava la coscienza
della fragile tua corsa.

Il tuo respiro immortale
sorpassava ogni timore,
ma un gigante della strada,
un tetro giorno attese
il tuo ricamo di follia:
frantumò
la tua bell’Honda,
ti diede il bacio della morte.


La folle corsa

Corri e vai
per la via tumultuosa
divenuta la tua sposa,
olocausto nella sua scia
che ti riempie di frenesia.
Corri e vai
abbracciato al tuo motore,
spogliato di stupore,
ebbro di tecnologia,
annienti la poesia.
Corri e vai
senza guardarti attorno,
senza contemplare il giorno,
divorato dall’apatia,
malato di malinconia.
Corri e vai
la fretta ti s’impone,
lei ha sempre ragione,
con ogni sua malìa
t’invita alla follia.
Corri e vai
nutrito del tuo niente
al cielo indifferente,
purezza e fantasia
gettate per la via.
Corri e vai
arriva la triste sorte,
la tua ignorata morte,
la tua anima sia salvata
riposi in pace.


La tecnologia

Strepita alla porta
del tuo udito,
la meccanica macchina
che tu hai generato,
ricamando i fili
della tua genialità insaziata.

Soffoca la foce del respiro
il cavallo di metallo
che galoppa audace
tra tetri meteoriti di morte.

La tecnologia ti fa
volare placido,
produrre rapido,
nell’immenso del cielo
dell’universo matematico.

Può ubriacarti
di delirio di potenza,
inginocchiare a lei
ogni tua sapienza.
Soffocare l’usignolo dello spirito,
oscurare l’infinito sole libero.


Il maremoto

Il mattino splendeva di sorrisi
tra le magie fascinose d’oriente.
La vita palpitava di sogni
scrutando l’orizzonte turchino.

Ma gli inferi della terra,
con un urlo, crudeli si scossero
e s’inferocì il pacifico mare.

L’enorme mostro marino,
con terribile sguardo,
volò oltre il suo nido
divorando aurore,
meriggi e tramonti,
miseri castelli,
paradisiache regge,
lidi incantati.

Rivoli, fiumi di dolori
ora sgorgano da ogni emisfero,
implorando nascoste speranze.
Gabbiani carichi d’amore
fendono le nuvole nere,
forse rinascerà il sole.


**A Mario, con amicizia*

Lunedì, ultimo giorno di febbraio, in paese si diffonde la notizia che Mario Canavesio è morto all’ospedale di Carmagnola.
Martedì, primo giorno di marzo, ho ricordato il mio amico Mario e gli ho dedicato queste riflessioni, a lui che vive per sempre un tempo nuovo…

Inveivi contro l’osannato Dio
della produzione industriale.
Purificavi con la visione dell’Eden
i veleni che inquinano il mondo.
Nel tuo cielo cantavano
stormi di uccelli beati,
animali brucanti puri trifogli,
fiumi specchianti arcobaleni
d’amore.
Il sole splendeva
nell’universo dei sogni.
Ora che il tuo tempo è spirato
in braccio alla Dea,
ora che le foschie si dissolvono
nella luce divina,
prega per le nostre primavere appassite:
l’aridità dei deserti
rifiorisca armoniosa.


A Fabrizio De André

Spiccavano il volo
le tue canzoni
verso il cielo
incantato della poesia.

Non amavi il banale
borghese strillare
della musica commerciale.
I tuoi versi
salmodiavano la storia,
s’impregnavano di vicende,
di ritratti umani.

Dipingevi con acquerelli
di parole
la guerra tragica di Piero.
Del Miché
immortalavi il buio,
come dei più reietti
della terra.

I tuoi successi
sfideranno il tempo,
tignola e ruggine
mai li roderanno.
Offrirà sempre la sua rosa
in via del campo
la graziosa;
volerà sempre in cielo
su una stella
Marinella.

La morte che spesso
tu cantavi
ti ha ghermito ingrata,
non ti ha risparmiato,
ti ha coperto
col suo velo bianco,
addormentandosi al tuo fianco.

Ma Fabrizio,
tu lo sai,
il sentiero è amico
nella Dea madre,
sarà sempre fiorito
come il cuore
ti aveva riferito,
anche a te dirà:
“Vieni in paradiso,
vieni a inventar ritornelli,
a comporre strofe
da cantare con gli angeli
in un concerto all’infinito.


Il serpente maligno

Si è incarnato.
Il serpente maligno
si è incarnato
nei neri vampiri succhianti
il sudore ed il sangue
delle affannate formiche.
Nei lampi e nei tuoni
brucianti
i cuori variopinti
di vita.

Si è incarnato.
Il serpente maligno
si è incarnato,
tra le blasfeme, macabre
danze di scheletri erranti,
le orgiastiche messe
nere del male; della violenza
omicida e sessuale.
Tra le sorgenti zampillanti
miasmi e veleni allaganti
il puro Eden terreno.
Nelle sculture di pietra
adoranti la materia
del tempo.

Ma il sole del cielo
s’è schiantato
negli abissi del mondo.
Dall’oceano di morte
è sbocciata l’aurora
dell’immortale speranza.
Nel tripudio della storia
tornerà la Dea madre
annienterà il serpente.
Si scioglierà la montagna
di ghiaccio
che svetta nei cuori,
suonerà la campana
del risveglio alla vita.


Comunione respinta

La Dea madre disse: sia la terra
e la terra produca
miriadi di frutti squisiti,
allietanti la comunione
amorosa tra gli uomini e le donne:
così fu nell’alba dei tempi.

Ma la notte del drago
invase l’aurora incantata.
Il manto terrestre
avvolse il cammino
dei reprobi,
il pianto e la fame
vestirono i passi dei e delle semplici.

Nei secoli frantumati
dai secoli,
sempre più i vulcani del mondo
eruttarono fiumi di lusso
sui ricchi,
sangue e fango sui e sulle povere.

I crocefissi e le crocifisse
gridano i tormenti,
imploranti giustizia dal cielo.
La Dea splendente sorgerà
nella notte fosca e feroce,
sazierà di pianeti e di stelle
la fame infinita.
La terra intera esploderà
in un inno alla vita.


Senza terra

Circondato/a da immensi stagni
di terra, in cui sguazzano
pigri gli egoismi assassini
dei ricchi,
nelle tue mani
neanche una zolla
per seminare il verde dei sogni,
l’albero del pane della vita.

Vuoi riprenderti il dono
divino dell’Eden rubato:
invadi i peccati dei secoli
disegnando campi
fertilizzati d’amore.

Le pantere del male
ti assaltano
con unghiate feroci,
con bocche di fuoco,
con carte truccate,
per soffocare i tuoi respiri
di giustizia.

Ma tu grida ancora
fratello, grida sorella,
non ti stancare,
la tua sete
di uguaglianza universale.


Verrò da te amore

Verrò da te amore, verrò da te,
non mi fermeranno
i tuoni e i fulmini,
scagliati dai demoni
incarnati nel tempo,
sulle vergini incantate
primavere di pace.

Non cattureranno lo sguardo
del mio cuore,
le seducenti sfilate
della dominante materia.

Non uccideranno
i canti della mia anima,
gli striscianti serpenti
del disperato silenzio.

Non s’infrangerà
il volo infinito
tra le buie volte
delle orbite umane.


Il dolore

Ghermita da fauci prepotenti,
tra le vicende agrodolci della vita,
ora sorella giaci incatenata
dal mistero spaventoso del dolore.
Le lacrime scendono copiose
dal tuo immobile corpo martoriato.

Lo splendore del sole più non scioglie
i ghiacci della tua anima gelata,
la notte oscura ora ti è compagna,
inferno senza senso, senza liberazione.
Non si accende la luce dell’offerta
della pace, dono della sublimazione.

Il dolore è un orco divorante
l’armonia e la bellezza della vita.
Il dolore è una prigione limitante,
che racchiude e annulla i nostri sogni.
Il dolore è un grido forte, lacerante,
di ferite inferte alle anime e ai corpi.

Il dolore è un enigma delirante,
che ai filosofi e ai poeti tormenta il cuore.
Il dolore è il supremo tragico idillio
di Gesù col superbo Regno umano.
Il dolore assume senso nel tormento,
di Cristo che è risuscitato.

Il dolore va curato
come cibo di ogni vita,
per dei cristiani è diventato
un abbraccio amoroso
e strumento della grazia
privilegiato.


Auschwitz

Discese, l’inferno discese,
tra i placidi
sorrisi di pace.
I lupi di Satana
feroci balzarono
sui dispersi agnelli/e
pasquali,
incenerendo milioni
di strazianti belati.

Scacciati tornarono
agli inferi le schiere
dei demoni.
Mai più le bufere
dei diavoli, promisero
i popoli.

Ma ancora i malvagi angeli
pregati tornarono,
ancora spargono lacrime,
tramonti atroci
tra l’umanità.


La liberazione

La piovra nera
sempre più si allungava
stringendo, soffocando la vita.

La storia,
come muta fanciulla,
giaceva spogliata,
stuprata nel cuore.

Ma le pure colombe
si mutano
in leoni ruggenti,
per salvare i piccoli
dal futuro stracciato.

La terra piangeva
tra i tuoni
e le stelle cadenti,
i dolori ghiacciavano
le primavere dei sogni.

Ma dalla notte del tempo
sgorgava una sorgente di luce
disegnando nell’alba
un arcobaleno di pace,
la gioia danzava
con la libertà e l’amore.

Sulle rovine del mondo
nasceva
il sorriso di un fiore.


Lo hai ucciso

Era tuo fratello,
lo hai ucciso,
hai gelato di neve
i ruscelli scarlatti
che di rosa fiorita
gli dipingevano il viso.
Hai sepolto nel fango
il suo vestito di tempo,
come succulento pasto
di vermi striscianti.

Non danzerà più
la sua fragile terra,
il ritmo placido
e frenetico di vita.

Non cullerà più
nel sole
la meraviglia del tempo,
il futuro dei sogni.

Non volerà più
la sua notte
tra le divine
stelle del cielo.

Era tuo fratello,
lo hai ucciso,
trema, convertiti,
irrora il suolo
di dolore pentito.
Inonda la terra
di bene, di pace,
l’angelo della morte
mieterà un giorno
la tua spiga.

La vittima
attende il carnefice
sulla porta del cielo.
Lo fa entrare
solo munito
del passaporto d’amore.


Il violino di Massimiliano

Come piange nella notte
il violino di Massimiliano!

Le note angosciate e ferite
stillano lacrime amare,
sulle sabbie mobili stese
dagli dei dell’Olimpo del tempo,
dove affondano i miseri
castori del mondo.

Sui diademi straziati
del sole,
dai tuoni, dai fulmini umani.
Sulle nere sfingi di pietra,
cieche al sorriso del cielo.

Come attende l’aurora
il violino di Massimiliano,
per sublimare dolcissimo
gli abbracci d’amore!


Oltre il tormento

La terribile notte,
come leone ruggente,
divorava oscena, crudele,
i miei vascelli veleggianti
verso le isole dei sogni,
nel cielo sfolgorante
di miriadi di stelle.

Una pesante coltre brumosa
copriva la danza armoniosa
di vita,
e le immense praterie
di luminosa speranza.

Era la sotterranea strada
dell’abisso,
dell’inferno del tempo.

Ma il nero vestito di Satana
piano piano si stinge,
lavato dalla Dea
degli astri e un mistico
arcobaleno di gioia
è spuntato oltre le tempeste
del secolo,
il veleno del tormento.


La preghiera

La preghiera vola
nell’intimo del sole,
penetra il mistero,
lo colma di stupore.

La preghiera nuota
nell’oceano del cuore,
raduna i sentimenti,
li fa sorridere d’amore.

La preghiera viaggia
nelle anime del tempo,
le fa cantare di grazia,
ne annienta il tormento.

La preghiera zampilla
sulla terra della storia,
ne irriga i deserti,
ne anticipa la gloria.

La preghiera si sposa
con le creature del cielo,
rende santo l’universo,
ne purifica il sentiero.


Una piccola rosa

C’è una piccola rosa
nel roveto del mio giardino,
sembra triste, ignorata, smarrita,
ma la sua grazia
non si può comprare.

Schiude i petali nell’alba
per irrorarsi della rugiada
del mattino.
Si offre felice in braccio
al giorno per ricevere
i baci del re sole.
Si distende placida
la notte, cullata
dalla poesia della luna.

Le ortiche e i pruni
sono intorno per soffocare
il suo splendore,
ma gli astri la colmano
di luce,
non si può oscurare
il suo candore.

Molte rose sbocciano
nel mondo, ammantando
la terra di stupore.
Le tempeste, gli uragani
si accaniscono, ma non possono
spezzare il loro amore.


Oltre il tramonto

È ancora un altro tramonto
che il cielo ha tutto dipinto
di oro azzurro rosa chiaro

e tutti i pittori ha superato.

Godo i colori dell’Artista
ma l’arte non viene più ammirata.

Molti non hanno più lo sguardo
altri hanno paura dell’Autore.

Io non ho paura del tramonto
anzi, vorrei con lui morire,

perché so
che oltre i suoi colori
ci sono i colori sconosciuti
dell’alba infinita della Divinità.


L’uomo e la macchina

Ho visto una macchina
a fianco di essa un uomo suo servo.

Il tempo passava e sempre
l’uomo obbediva.
Venne sera e la macchina
chiese riposo,
l’uomo obbediente la lasciò
e anch’egli andò a riposarsi.

Ricominciò il nuovo giorno
con un inchino alla macchina.

L’uomo ricominciò il servizio
finché la macchina
non si fosse consumata
con lui nella polvere.


Alla solitudine

Solitudine,
tu non sei per me
pesante ancella nel vuoto
del nulla che tormenta il cuore.

Tu non sei maledizione e inferno
che inghiotte l’anima.

Tu non sei fuga dal mondo,
trastullo usato del futile,
trappola che conduce all’egoismo.

Tu sei liberazione dai falsi idoli,
dal tempo schiavo delle cose.
Sei ricerca e comunione con la divinità,
sei pace e gioia dell’anima,
amore che abbraccia l’universo:
gli uomini e le donne più vicine,
i sorrisi e i pianti più lontani,
amore infinito per Aldo.

Solitudine,
tu ti fai preghiera,
lode, ringraziamento, canto,
intercessione per le anime
bisognose della grazia della Dea.


Il tempo

Tempo, un tuo figlio piccino
ormai sta morendo,
come ogni cosa che nasce
e dimora nel tempo.

Tempo, un anno di storia
è andato fuggendo:
non sembra restare
più nulla del tempo.

Tempo, più della luce
ti muovi correndo:
inghiotti l’odio, l’amore,
la gioia, il tormento.

Tempo, senza freni, impazzito,
non ti fermi un momento:
sorpassi la morte, la vita,
ogni muro, ogni evento.

Tempo, vorrei ti fermassi
su un istante contento,
annientando col sole
la notte, il buio tremendo.

Tempo, non voglio sprecarti,
voglio viverti intenso,
non sei futile dono,
sei grazia, sei pieno di senso.

Tempo, baciato dalla Dea,
sei stato redento:
così finirai la tua strada
nell’eternità senza tempo.


Ti amo, natura

Ti amo, natura,
e con te mi sprofondo
nell’intimo soave mistero
della tua esistenza
sgorgata dalla scienza della Creatrice
che per noi ti ha emanata.

Ti amo, natura,
e in te contemplo
tutta la meraviglia
che stupisce l’anima;
l’incredibile ornamento
della Divinità, del tempo.

Ti amo, natura,
perché da te s’innalza
alla Dea una perenne lode.
Sei l’inviata dell’amore:
dentro il mio cuore
tu nutri la preghiera.


Grazie per le montagne

Ti ringrazio tanto, Dea madre,
per aver creato le montagne.
Salendo verso quelle alte cime,
mi sembra di salire verso te,
verso il tuo paradiso eterno.

Quando il cielo è tutto chiaro,
esse si stagliano nell’azzurro.
Belle, maestose, solenni,
sembrano dire all’alpinista:
«Vieni a riposare sulle vette.
Vieni a rifocillarti di pace,
vieni a riempirti di purezza,
vieni a contemplare la bellezza».

O Dea madre, come si scorge il tuo volto
tra questi giganti della terra!

Perché ogni bellezza della natura,
ogni perfezione del creato,
è un riflesso della tua sapienza,
del tuo immenso amore per noi.

Dea madre, fa’ che tutti gli uomini e le donne
riescano a conoscerti, ad amarti,
camminando tra le montagne.

Fa’ che lo stupore
si riempia di poesia e di grazia.
Fa’ che il loro cuore
si colmi di adorazione e di lode.


A Marco Pantani

Tra cime splendenti di sole,
tra ubertose valli fiorite,
felice correvi sulla bici,
azzurro sorrideva l’asfalto.

Verso il cielo
s’impennava la gloria.
Salivi, salivi, senza fatica;
solo, sul monte più alto,
il paradiso, la vita.

Con te la gente correva,
esultante gridava «vittoria»,
sempre al traguardo dei sogni:
la maglia gialla,
la maglia rosa.

D’un tratto
la strada inquinata,
l’armonia spezzata,
la tomba dei sogni,
l’allucinante fatica.
Gloria, vittoria,
passate, straziate.

Nel paesaggio del tempo
il sole trafitto, finito.
La valle bruciata, stecchita.
La vetta ghiacciata, freddata.
Il cielo ammantato
di nero vestito spettrale.

Una singhiozzante mestizia
accompagna il tuo addio alla vita.

Ma una voce sussurra:
«Guarda in alto.
Non è la notte,
non è finita».


A Tom e Hèlen

Nell’inferno di quell’attimo Tom
hai visto svanire il sorriso di Hèlen.
E non ti sembra vero
che l’orrenda daga del tempo
terribile si sia abbattuta
su quei giovani fiori in amore.
Vorresti svegliarti da un orrido sogno
e ancora contemplare con gli occhi dell’anima
la sua primavera incantata,
stringere tra le braccia dello stupore
il suo tempo di arcobaleno fiorito.

Ma il viso di Hèlen ora ti appare
di ghiaccio: sarà un giaciglio di polvere
il suo stupendo giardino.
E non vedi più nelle aurore del futuro
vividi colori di gioia.
Non sembra finire la cupida notte.

Ma la stella di Hèlen è volata
nella galassia infinita.
Dalla somma sapienza ti manda
raggi d’amore per asciugare le lacrime
che ti allagano il cuore.
Nel giorno eterno aspetta
per abbracciare il tuo angelo.


Ai fratelli musici

Ricordi Simone, quando calcavi
il palcoscenico del tempo
e il quieto silenzio del paese
vibrava delle dolci note
del tuo mandolino in festa?
E tu Giovanni, amico dei sereni accordi,
non squarci più le nubi delle sere
con l’incantato suono
della tua chitarra?
E tu Carlo, funambolo armonioso,
non espandi più
tra le amare arie del mondo
il miele della tua ocarina?
Non culli più
le danze degli innamorati
spremendo sino al vertice del sogno
i polmoni alla tua fisa?
Dove siete fratelli delle mie canzoni
gorgheggiate al lume delle stelle?
Io so che la mostruosa
falciatrice della terra
non ha reciso la musica
della vostra anima.
Forse con le beate note
ora rallegrate le figlie e i figli della gloria,
forse accompagnate il volo
dei celesti puri spiriti.
Io so che in una sinfonia d’amore
risorgerà la storia.


Se tu sapessi

Se tu sapessi come l’incanto
dell’angelo dolce invade
l’anima offerta al supremo silenzio.
Se bramassi l’amoroso, lieto
viaggiatore celeste che accompagna
il deserto della solitudine.
Se conoscessi la verità
che fa fiorire il giglio eterno
fra le tombe del tempo.
Se la tua viziosa tenebra stanca
diventasse ansia
di rivelata aurora.
Se dalle oscure fogne
dei seguaci del male
implorassi la luce.

Fuggiresti i sordi plaudenti
schiamazzi che inneggiano
ai tabernacoli del nulla,
le suadenti dimore del verme dell’anima,
le agiate carezze.

Così libero tra le prigionie della storia
si alzerebbe il tuo canto
e le lacrime sarebbero perle.


Alla sapienza

Sapienza tu non sei
l’erudita messe raccolta
nel granaio dell’intelligenza.
Non sei la superba astronave
che vola fra lo scibile umano.
Non sei l’alloro esclusivo
del cattedratico dotto.

Sapienza tu sei:
l’anima che fa splendere
il divino nell’umano.
L’intelletto che s’inchina
al mistero della vita.
Lo spirito d’amore
che canta e prega all’infinito.


A Piero

Dopo la stagione del dolore
il gelo della morte è arrivato.
Ma l’inverno del Nulla
è solo una parvenza.
Risorgerà la Vita,
sarà una primavera infinita.


In morte di Renato

Hai lasciato l’immenso
fiume del dolore
che con furia immane
inonda la desolata terra.
Le spine che crocifiggono
la carne ti sono giunte
sino al cuore.
Ma con te, oltre la cenere del tempo,
porti la radiosa alba
di un sogno diventato amore,
Il giglio puro del giardino
dell’affetto umano,
i sorrisi dolci
tra le nefaste tumultuose pene.
Ora la speranza
non è più prigioniera
delle cose caduche
e non giace gelata nella notte
dell’odissea del mondo.
La speranza ha raggi
d’infinita luce,
la beata sapienza delle stelle.


A Stefano

Ringrazia fanciullo la Dea madre
da cui sgorga la vita di ogni creatura,
il seme fecondo per te seminato,
il caldo grembo innamorato,
servo fedele del divino mistero.
Ringrazia gli amici dell’innocenza,
i puri semplici giochi
in cui diletti l’azzurro dei sogni.
Gli spiriti della sapienza,
che inondano il tuo cammino di sole,
scacciano i ragni tenebrosi.
Ringrazia il puro usignolo
che canta felice
nel tuo giardino incantato.
Il figlio dell’eterna gloria
per te morto,
per te resuscitato.


La vita brutta

La vita è scura:
se la buia notte,
ti riempie di paura.

La vita è faticosa:
se non contempli più,
il giglio e la rosa.

La vita è malata:
se il veleno, il cemento,
l’hanno abbracciata.

La vita è rovinata:
se la merce, il denaro,
l’han conquistata.

La vita è tenebrosa:
se il vizio, il peccato,
l’han fatta sposa.

La vita è gelata:
se preghiera e poesia,
l’hanno lasciata.

La vita è brutta:
se l’odio, la guerra,
l’hanno distrutta.

La vita è niente:
se il paradiso in te,
non è
presente.

La vita è un inferno:
se non credi più,
nel futuro Eterno.


Agli eroi del cuore

Un cuore,
orologio del tempo.
Un cuore,
quasi silente,
ammalato,
vibrava di speranza,
attendendo
un confratello innamorato..

Sei uomini
lo portavano in dono,
palpitanti,
frettolosi d’amore.

Volavano
tra dense foschie,
tra nubi
plumbee d’orrore,
vestiti
di fervente coraggio
verso l’aurora,
l’operazione del cuore.
Impietosa
attendeva nel buio
l’orca
divoratrice dei sogni.

Terribile,
frantumò il sole,
soffocò pensieri,
parole.

Tace
l’orologio terreno,
ma batte

per sempre
il tempo celeste.

Sei anime
alla Madre Divina sono volate,
sei anime
fiorite d’amore.


Un volo

Un volo bianco, piumato,
un volo libero, incantato,
tra l’atmosfera di pace,
del fiume sereno che tace.
S’ode cupo un latrato,
un passo feroce, affrettato;
un colpo risuona tremendo,
uccidendo il volo nel vento.


Correndo

Amore,
corro nel gelo della terra,
ma vorrei volare alto verso il tuo cielo
candido librarmi e perdermi nel magnifico
dell’azzurro.

Supererei la susina bionda della luna,
l’arancia luminosa di fratello sole,
le ciliegie sparse dei pianeti,
i rubini sfavillanti delle stelle.

Oltre il firmamento e le galassie
raggiungerei il tuo diadema infinito,
dove la gioia è la regina immortale
e gli angeli innalzano inni alla vita.

Sarò stanca ed affamata, Amore,
ma avrò tutto
riposando nel tuo cuore.


La morte

Ti osserva minacciosa già dal seno
che ti fascia la vita.
Ascolta ogni tuo vagito,
Il pianto e il grido,
la mossa che può esserti fatale.

Spia ogni tua ferita,
le cose che ti fanno stare male.
Ogni calice velenoso della vita
può aprirti al suo abbraccio mortale.

Ti segue quando mangi parli o dormi,
in tutti i tuoi mestieri quotidiani,
quando ti ubriachi di allegria
e sollazzi le tue speranze terrene,
quando ricolmi i tuoi forzieri
e non pensi a pagarti il funerale,
quando ti si deprime il cuore
ed essa sa che tu la puoi invocare.

In ogni istante ti può dare la caccia
e non fallisce se vorrà spararti.
Nessun pertugio della vita può nasconderti
se decide di scovarti.

La morte non è un gendarme diffidente,
non ti chiede età o lasciapassare.
La morte è
una dama incorrotta
che nessun potere può comprare.

La morte è un’innamorata facile,
si dona a tutti
con voglia letale.
Sposa sia lo stolto, sia il sapiente,
il povero ed il ricco:
ogni sussistenza materiale.

La morte è la spaventosa sorte
di ogni esistenza naturale,
sin dai primi aliti di vita
nel giardino incantato
della terra ma la Grande Madre
dall’immensa tomba umana
il fiore di Gesù fece sbocciare;
dono di vita, di gloria
immortale


Allo specchio

Vedi uno splendido cielo,
tutto l’oro, il rosso,
l’azzurro, il rosa
del bel giorno che tramonta.

Più in là la catena
di montagne
spruzzate di bianco,
macchiate di grigio.

Senti accarezzarti il volto
un caldo venticello
da chissà quale mare.

Ti sorprende tutta
la meraviglia
della terra lavorata
e un verde giallognolo
ti annuncia l’autunno.

Scorgi sorgere in te
una sorgente di purezza,
ti senti anima risorta
con la bellezza stessa.

Ti senti tutto e nulla,
t’inginocchi a terra
e adorando il creato
adori la creatrice.


Se morissi

Se morissi,
se morissi domani, un giorno chissà.
Se il mio corpo e la mia vita
non passeggiassero più su questa terra.

Prendete i miei occhi,
dateli a chi più non vede.
Perché ancora si possa ammirare
tutta la creazione
sgorgata dalle mani della Dea.

Prendete il mio cuore,
datelo a quel cuore malato,
impregnato da quel sottile orgoglio guasto
che nel tempo non permette più
di battere… d’amare.

Se morissi,
se dovessi morire…

Le mie braccia
datele a chi non le ha più,
che si possa ancora far viaggiare
la materia creata
verso il Regno della Dea vivente.

Prendete le mie gambe,
datele a chi più non cammina,
perché possano correre felici
sui verdi pascoli della terra.

Se morissi,
se dovessi morire…

La mia voce datela
a chi non ha più voce per cantare alla vita,
per parlare bene delle cose.

Se la mia terra animata
non respirasse più,
prendete la mia anima,
datela a chi l’ha perduta,
a chi l’ha imprigionata nel tempo
e non riesce a liberarla
nella sua eternità,
nel cielo,
nella vita.


Più avanti ne cammino

Oltre le nostre parole,
ancor oltre il nostro sapere,
al di là del pensiero umano,
oltre il fondale dell’anima nostra,
c’è una porta bianca
e un prato verde con fiori
che ci aspetta.

Più avanti del nostro cammino,
della nostra illusione o favola,
del nostro corpo, dei sensi e giudizi,
c’è una primavera senza inverno,
che ci chiama
che ci ama
e ci aspetta per sempre.


Il miracolo

Ogni mattina il miracolo:
ogni mattina la creazione ti penetra,
ti scuote, ti libera, ti incatena.
I tuoi occhi si risvegliano
e guardano le cose.
Il tuo corpo lavora la materia
La tua anima ama e odia.
Il tuo cervello pensa e
impara.
Ora tu sei vivo; sei viva:
Miracolo!


Al fratello John

Hai visto fratello John,
come fa presto la feroce notte
ad assassinare il sole?

Come i respiri attoniti
vengono ghermiti dalla belva
che non conosce riposo?

Come la materia si dissolve
e rende un nulla
il suo nutrimento quotidiano?

Come le speranze,
inebriate dal vino del futuro,
si frantumano contro
l’invalicabile muro
dell’inaspettata sorte?

Come i consolanti rosari
si mescolano a torrenti
di lacrime che sgorgano
dalle ferite laceranti
dei soppressi amori?

Consola il tuo dolore,
fratello John.
Il buio dell’orrore tramonterà
e si colorerà un’alba
di giustizia e di bontà.

Non lanciare pietre di odio
dal tuo affranto cuore.
Pensa che veloce passeggero
è il tempo umano.

Inginocchia sino al suolo l’anima,
indirizza un’implorante
preghiera al cielo.

Abbeverati alla sorgente della divinità,
scopriti servitore dell’amore.
Solo l’amore dona pace al cuore.

Solo l’amore trionferà nella storia,
solo l’amore porta i dolori umani
verso l’infinito paradiso della gioia.


A Madrid

Madrid si svegliava
spargendo i suoi sogni nell’alba;
abbracciava la luce
della giornaliera speranza.

Madrid brulicava di corse,
di respiri, di pacifici sguardi;
sposando la necessaria fatica
cantava inni alla vita.

Di colpo le tenebre assalirono
il sole di Madrid:
buio cupo, sguardo accecato,
notte feroce, demonio incarnato.

Si udirono tremendi boati,
rimbombi, risate infernali.
La carne dilaniata, stracciata,
volava tra le braccia del vento
con lancinanti urli
stupefatti di terrore.

Le anime bussavano
alle porte del cielo,
attendendo dal sorriso della Dea
l’eterno vestito di pace.

L’aurora singhiozzava
nera d’orrore.
Il dolore lacrimava
da ogni pupilla di Madrid.

L’orribile mostro ancora
ha sbriciolato la vita.
Cammina freddo nel mondo
seminando l’odio, la morte.

Per sbarrargli la strada
non è decisiva la forza.
Colomba di pace
è la guerra del cuore,
che si vince espandendo
la giustizia, l’amore.


Morte e Resurrezione

Il cielo è cupo,
nero, arrabbiato.
Il sole se n’è andato
a illuminare pianeti
amanti d’abbracci,
di chiarori vitali.

La luna si è stufata
di lanciare poetici sguardi,
sorrisi e preghiere di pace.
La sua orbita è attraversata
da ghigni di pietra,
da rombi e colpi infernali.

Le stelle, mistiche lucciole,
caravelle di luce immortale,
deluse sono emigrate
su lontane, sperdute galassie.
Gli uomini non contemplano più
la loro fulgida essenza soave.

Morto è il pianeta,
vestito di tenebre oscure,
ghiacciato di ogni speranza,
spogliato di ogni sostanza.

Ma, ecco, s’affaccia nel tempo
un barbaglio di luce.
La notte gelata pian piano
è inghiottita dall’alba:
l’universo torna a risplendere
folle d’amore per la terra.

Mai più la tremenda
tragica notte del nulla.
Mai più la spietata prigione
del canto alla vita.


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