Squarci dell'anima

di

Fedel Franco Quasimodo


Fedel Franco Quasimodo - Squarci dell'anima
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 48 - Euro 7,00
ISBN 88-8356-393-X

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Prefazione

A volte non v‘è alcun bisogno di parlare perchè ciò che si desidera esprimere è già negli occhi dell’altro: le stesse cose che ci circondano sembrano parlarci, sapere già tutto e noi ritroviamo le parole già in tasca quasi fossero in attesa di essere utilizzate da un momento all’altro.
Sono parole preziose da ascoltare seduti ad un tavolino in un piccolo giardino dove rivive la memoria poetica condensata in parole fidate che si disseminano nell’erba inzuppata di rugiada e si dimenticano finalmente i richiami all’obbedienza, alle cose da fare inderogabilmente, alle costrizioni che affliggono quotidianamente.
Ecco allora che nasce dal silenzio e da atmosfere di ardue decifrazioni la poesia di Fedel Franco Quasimodo che poi sprigiona tutta la sua forza espressiva attraverso liriche significativamente intense.
Il silenzio dei luoghi è sempre irreale e la calma regnante è apparente perchè l’uomo vive un travaso di emozioni, uno smarrimento nella luce ed una ossessione estrema nella continua lotta che è l’esistenza: ci si accorge purtroppo che a volte, ogni tentativo di superamento di tale situazione estrema è vano, altre volte perfino impossibile. La vita diventa un liquefarsi in una macerazione che si fa lamento, nel disperato tentativo di liberarsi da una situazione umana agonizzante.
Siamo di fronte alla mente vagante di un intimista che porta con sè la sofferenza quotidiana di un uomo che arriva a dire soffrire è purificarsi ed è proprio ciò che traspare dai suoi versi dove la sofferenza ed il dolore vanno di pari passo: solo chi ha sofferto può raggiungere le alte vette della comprensione umana. Discende da tale visione che il suo entusiasmo è sempre dissimulato e traspare costantemente la volontà di “non voler più soffrire”, di porre fine al travaglio, di farla finalmente finita con le dolorose esperienze anche se all’ultimo momento prevale sempre il bisogno di portare a termine qualcosa di importante e l’appuntamento è rimandato.
È la ricerca di una pace interiore per sfuggire dalle mani che non riscaldano, da orecchie che non sentono, da occhi senza pietà, da un viso consunto: un’anima in pena / che non riesce a levitare / imprigionata senza scampo / in un corpo mortale.
Ricordi, rimpianti, insicurezze, ombre vaganti e malinconia latente riempiono questo mondo personale dove la luce fatica ad arrivare al viso, dove la speranza è svanita e tutto è avvolto nel torpore.
La sua poesia a malapena riesce a sopportare un carico di sensazioni assediata com‘è dalle ossessioni che nascono da memorie di un’offesa ricevuta o da preghiere rituali; incalzata da una continua fuga dalla luce del sole e dalla ricerca pressante di un riverbero lunare.
Questo continuo scomparire nel buio, logorato dal peccato ed annullato nella terra, riesce a stento ad essere fermato nei versi grazie soprattutto alla fede che diventa sostentamento e nutrizione.
La fede che si presenta alla porta del cuore con la sua forza capace di muovere le coscienze assopite, di far riflettere che siamo solo granelli di sabbia nel deserto e che ogni istante di vita è meraviglioso.
V‘è da credere che giochi a favore di questa scelta anche l’immagine terrifica della morte che traspare in alcune liriche: ineffabile, implacabile, insensibile, divoratrice e terrorizzante.
Con la silloge «Squarci dell’anima» Fedel Franco Quasimodo riesce con acutezza ad entrare nei meandri della propria interiorità e a portare in superficie ciò che vale la pena di essere rivelato e lo fa con parole dense di umanità capaci di preservare le disperse memorie e un profondo senso religioso.

Massimo Barile


Squarci dell'anima


MEDAGLIETTA

Medaglietta regale:
scoperta dinanzi
ad un sacro portale.
Potenti fasci di luce
Si irradiano
Dalle sue mani.
Una Madonna
Sormontata da una Croce:
eterno premio consolatore
per chi ha ascoltato
la santa voce;
preludio del castigo
che toccherà al feroce.
Due cuori
Colpiti duramente:
quello del Figlio,
cinto
dalle spine dei pagani;
il suo,
trafitto
dalla pugnalata del peccato.
Dodici stelle,
fulgidi astri
degli Apostoli
e delle tribù di Israele,
testimoniano
l’immensa fede
nella Beata Vergine;
degli stolti è Redentrice,
dei peccati del mondo,
Corredentrice.
Oh Maria,
dacci la Grazia
di essere degni
del tuo celeste amore.
Illumina la strada
Di chi,
confuso e scellerato,
si è smarrito nel peccato.
Perché in ogni tuo figlio
Mai si spenga
Tra dure prove,
l’ardore, il coraggioed il fervore
di celebrar
ogni giorno
la Tua Gloria.


CATANIA

Centro fiorente, di genesi calcidese,svetti ad alta
Quota, emblema di un Paese
Agata tua martire protettrice, Vergine Santa, che dalla
Lava salvò le tue vestigia
Terremoti non hanno spezzato la tua smania vitale, ma
Ricostruita,domini indisturbata sulla costa orientale
Agricoltura e
Artigianato ti orlano con prolifici pro-
Dotti; Arti e Lettere hanno baciato la mente dei tuoi
Figli dotti
Notte quiete, minacciata invano dai forti boati di un
Vulcano
Ionio luccica abbagliante di gioiello, che fende le
Spumeggianti onde con passo da gigante
Ardi d’estate di calura soffocante, ma la brezza marina
Mitiga la tua sete opprimente


DON GNOCCHI

Il Cappellano alpino
Si veste di candore
Sulle sponde del fiume Don.
È il conforto
Di ogni soldato;
il confessore indulgente
del peccatore impenitente.
La guerra è finita.
Scomparsi i soldati,
sostieni i bambini,
dalle penne esplosive
martirizzati.
Lacrime affrante
Versa il bambino,
mentre agita con vigore
il moncherino;
abbarbicato sulle spalle
del roccioso Alpino.
Devoto omaggio
Dinanzi a una bara,
a un combattente
che va al fronte
e non spara


12 GENNAIO 2002

(La gioia dei Cieli)

È l’ultima notte:
apogeo di un lungo tempo glorioso.
Sogno eppur son desto.
Riflesso di immensa luce
Riempie il mio letto.
Non voglio pronunciar più lai:
ormai è finito
il periodo dei guai.
Le fitte assassine
Sono pallido ricordo.
Dinanzi a me
Una grande porta
Attende il mio definitivo
Ritorno.
Una grande tavolata;
stupendamente agghindata
di gustose leccornie.
Tanti Santi seduti lì intorno;
ridono e fanno festa.
Son così numerosi da sembrar
Un alveare.
Attendono con dissimulato entusiasmo
L’ultimo fedele commensale.
Un posto vuoto spicca vicino
A quel giocoso desco.
C‘è scritto un nome:
è proprio Francesco!
Lo sguardo di ghiaccio,
smarrito il respiro,
ritrova meritata quiete
nel riposo di un ghiro.


Venite benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi / Fin dalla fondazione del mondo. Perché ho avuto fame e mi avete dato da / Mangiare,ho avuto sete e mi avete dato da bere,ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito,malato e mi avete visitato,carcerato e siete venuti a trovarmi.

(Dal Vangelo secondo Matteo 25-31-46)


PAROLE PREZIOSE

Non hai bisogno
Di parlare:
l’ho già letto nei tuoi occhi.
Non piangere adesso,
mi renderesti essere inutile.
Vuoi regalarmi
Delle lacrime
Che io ho versato per te.
All’ombra
Di un piccolo giardino,
dinanzi a un tavolino
che sa tutto di te.
L’angoscia padrona,
memore dell’ironia
che vuol sopraffarla,
si camuffa da serenità.
Ho già in tasca
Le tue parole.
Son già oro e argento
Per il fidato custode.


COM‘È DOLCE...

Com‘è dolce dormir
Sotto erba
Inzuppata di rugiada.
Non sentir più la sveglia
Che richiama all’obbedienza.
Il corpo
Cancella indisturbato
Ogni travaglio terreno.
Un fresco ripostiglio
Di rovere e abete:
la gioia di non dover più
soffrir
fame e sete.
Sciami di vermi
Circuiscono
Quel corpo supino.
Per un appetitoso pasto.
E nel campo consacrato
Mano Divina
Stende
Il sudario del conforto
Sul cenere
Senza favella


ANSIOLIN

Bianco flaconcino
È a portata di mano.
Piccolo sforzo di volontà
E in un battibaleno
Il tappo si svuoterà.
La morte cova
Arcigna,
nella muta camera.
Sorso d’acqua
Con tante gocce
Di Ansiolin;
improvviso ed immenso torpore
ti cullerà.
Sprofonderai
Nell’ultimo pisolin.
Il libro
Non vuol più saperne
Di essere sfogliato.
Il boscoso parco
Preferito
Ti ha già vietato
Ogni passeggio.
Il telefono
È già staccato.
La memoria
Di quell’ultimo squillo.
Di gran lunga
Ti ha spossato.
Il dolore
Che ti porta alla morte
Ti fa più soffrire.
Il passaggio indolore
Dal sonno alla morte
È assai raro;
appuntamento con la morte
sine die rimandato.
Fino a quando ti accorgi
Che non sei
Chiuso in camera per caso.
Hai sempre qualcosa
Di importante
Da ultimare.


IL CIELO DEGLI EROI

Microcosmo dorato
Splende in eterno
In cielo stellato.
Il Missionario
Caduto in un’imboscata;
trucidato
al suono sinistro
di una risata.
Il soldato,
isolato e senza più braccia,
caduto
mentre aziona la mitraglia
col furor di denti.
Da questo cielo
Non piove mai
Sporca tempesta.
Solo una pioggerellina
Di acqua tersa.
Gocce irroranti
Il terreno
Di incrollabile speme.
Voglia di combattimento,
desiderio ardente di rinnovamento,
il cielo regala
ai pavidi e ai vili.
Eterno sorriso del firmamento.
Chiarore che illumina
Lo smarrimento.


LA RESA DI UN RISO

Un’ossessione estrema
Si fa strada
Ogni istante,
scandito e maledetto.
Non ho ragione
Di proseguir un proponimento.
Non tengo
Il tuo passo frettoloso.
Reso malconcio e sconfitto
Da una lotta ardua e impossibile.
Vane risa
Rotolano sulla via.
Riso inane,
acquistato
da un commerciante
al mercato.
Lo vendeva a buon costo;
un affare già scontato.
Ma quel riso
Era di altra taglia:
non si affacciava sulla bocca.
Provai a restituirlo.
Il commerciante disse:
“Il riso non si rende;
il riso si regala.
Io ne produco a iosa.
E la gente paga anche caro
Per avere una cosa
Che ha già con sé”.


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