In copertina: “Foglie adagiate nel tempo” di Maurizio Cavallucci
Pubblicazione realizzata con il contributo de “Il Club degli autori” in seguito al conseguimento del 1° posto nel concorso letterario Il Club dei Poeti 2015
Prefazione
Nella silloge di Filippo Inferrera, “Io abito il tempo”, la funzione lirica assume toni di sapiente narrazione e, nella propensione riflessiva del discorso poetico, prevale la maturità della sua voce recitante che sa fondere canto e recupero memoriale in uno spessore unico dal carattere lirico ed evocativo.
Il giacimento delle evidenze esistenziali emergerà compiutamente e diventerà l’atto salvifico del sistema poetico completamente dominato dall’animus del poeta creatore che sta compiendo il percorso di scoperta.
Il pregio di Filippo Inferrera è di mostrare una coscienza lucida sulle origini della sua poesia: egli possiede il dono di far coincidere, in un continuo processo che plasma e reinventa, il suo profondo impegno stilistico con l’essenza della sua poesia e il tempo storico con la testimonianza personale, generando una coscienza acuta, capace di pervenire ad una maturazione stilistica, padrona d’un linguaggio recitante e d’una dimensione rivelatrice: i segni poetici, la magia delle immagini, la presenza del paesaggio natio, la capacità di volgere anche a visioni astratte, il ricorso alla presenza di figure ispiratrici, sempre definiscono poeticamente la situazione umana caratterizzata dal corale dramma esistenziale.
La sua propensione a proiettare su un fondo cosmico i “bagliori” poetici significanti e a plasmarli ed inglobarli in un ampio tessuto lirico, innalza la sua coscienza poetica alla dimensione del romanzo della propria vita: il poeta diventa, infine, il testimone maturo e lo storico della realtà che ha attraversato.
La stessa poesia, “Io abito il tempo”, che apre la silloge e regala il titolo alla raccolta, rappresenta il simbolico tempo della memoria, dove il poeta “danza dentro il fuoco della sua bellezza”, diventa ossatura stessa del senso del tempo, “goccia di cielo” e impenetrabile contemplativo silenzio, umano impulso al desiderio di sognare “solo con la nuda parola”.
È la limpida Parola lirica di Filippo Inferrera che si espande in un intenso dialogo/colloquio negli spazi della sua umanità per recuperare ogni emozione, per trattenere i ricordi, esaltare il piacere, contemplare il muto dolore, superare la paura e rivelare segnali d’amore, quel sentimento d’amore che possa “proteggere”.
I suoi versi sono “vergati a sangue” mentre il poeta si muove lungo i sentieri della vita dove si ricompongono le “memorie più tenere”, dove si raccolgono i “frutti dal sapore asprigno”, dove la “cara terra” amata risveglia sensazioni dell’“indimenticabile infanzia”, densa di colori e vasti orizzonti, dove, infine, la luce del ricordo diventa “debito di fede”.
L’estrema facilità nel poetare, prerogativa assoluta e dominante di Filippo Inferrera, conduce il poeta ad offrire un verso che fluisce limpido, genuino e spontaneo, substantia inderogabile del suo lirismo raffinato, ricercato e calibrato.
Il desiderio del poeta è che le sue liriche si “narrino piano” come a gustarle con pazienza, per assaporarne il senso profondo, i silenzi della solitudine, la velata malinconia, il carattere “schivo e distante” d’un uomo, per viverne i mutevoli giorni ed il senso della vita stessa.
Il suo cuore è “ricco di ricordi” e la sua poesia è “storia di parole”, tra la visione del poeta e “l’inseminata vecchiaia”: testimonianza infaticabile d’un uomo che ne riconosce il “fuoco sacro”, costantemente affamato d’emozioni, fino a confessare “ancora oggi mi emoziono quando parlo d’amore”.
Ecco allora che, nella trama del suo “diario d’amore”, “l’amica poesia” trova posto “dentro una corona di stelle”, con la sua forza capace di generare alchimie, con i suoi “percorsi di parole e silenzi”, “tra sacrifici e magiche aurore” che hanno costellato il cammino, invadendo ogni spazio della memoria.
Le stagioni dell’anima diventano la necessità vitale di rimembrare quella memoria “in un carosello di luci ed ombre”: il tempo della fantasia e della speranza, l’impeto lirico a “resistere”.
Nella filigrana del Tempo Filippo Inferrera ricerca il prodigio, perché lui “non ha mai perso l’incanto”, sempre alimentando il suo universo d’emozioni e profonde riflessioni dentro le pagine di un diario che incarna la vibrante prosa lirica dove fluiscono i ricordi, tra “scenari di solitudine” e la ricerca costante del “senso da dare alle parole”: ecco la vita vissuta sulla “pelle da naufrago”, il seme vitale che s’innalza a preghiera per “cogliere il soffio eterno della poesia”.
Massimo Barile