Infanzia di un capo

di

Francesco Grande


Francesco Grande - Infanzia di un capo
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 50 - Euro 6,50
ISBN 978-88-6037-9368

Clicca qui per acquistare questo libro

Vai alla pagina degli eventi relativi a questo Autore

Prefazione

La poesia di Francesco Grande recupera le impressioni delle manifestazioni della vita e gli stati d’animo d’un lungo periodo esistenziale, infatti, le liriche di questa silloge sono state scritte durante l’arco temporale di ben dieci anni e sono, quindi, il risultato di un percorso che ha visto, infine, sgorgare dalla sorgente limpida delle proprie intuizioni, un flusso continuo di visioni e riflessioni profonde, accompagnato dal costante recupero memoriale.
Nel processo che vede questa evoluzione, tra metamorfosi e abbandoni alla malinconia, ricerca del senso autentico del vivere e confronto serrato con la precaria condizione umana, si dispiega il volo lirico di Francesco Grande, che pone a fondamenta della sua poesia la visione dell’amore profondo e sincero, “dell’amore che è Grazia”, “dell’Amore illuminato che crea prodigi commoventi”.
È proprio questo volo del pensiero nella dimensione più alta che “colma gli spazi”, che oltrepassa la ragione: nello stato di sospensione e nelle evanescenze delle atmosfere, si alimenta il suo poetare, tra “silenzi soffusi” e “fremiti segreti”, percezione dell’assenza e deflagrazione dei sentimenti, fiduciosa attesa e constatazione della limitante condizione umana.
Il mondo lirico di Francesco Grande è pervaso, e ne alimenta costantemente la forte presenza, dalla dolorosa percezione “dell’assenza muta”, da silenzi enigmatici che conducono allo smarrimento, quasi a “naufragare nella vita”, a “perdersi nei crepuscoli dell’anima”, nel “dolore che è catarsi”.
In una continua edificazione della sostanza stessa del vivere, delle manifestazioni del pensiero che diventano frammenti d’una costruzione mentale, tra poesia e tragedia umana, tra parola pervasa da “mistico alone” e fedele appartenenza alla “sua” terra calabra, tra “sguardi alla fascinosa malinconia” e la profonda volontà di ricercare “il senso vero delle cose”.
In alcune poesie emerge poi, in modo vigoroso, il connubio poeta-natura quando Francesco Grande scrive: il poeta è “come un albero maestoso”, si “slancia verso il cielo”, “respira lento e profondo”, davanti all’inesorabile scorrere del tempo, al dispiegarsi della vita.
Ecco allora che, alla fine, ci si trova davanti all’autentica “resa mistica del poeta” alla sua musa, alla presa d’atto dell’unica via salvifica concessa per avvicinarsi alla “suprema armonia” quando Francesco Grande, giunge ad una precisa constatazione, con parole decise e spontanee, che nascono dall’anima: “Propongo me stesso come fine/cessando d’essere mezzo/come possibilità, l’unica,/di salvezza”.

Massimo Barile


Infanzia di un capo

«Non è solo nei sogni,
la vita può essere davvero meravigliosa…
attimi di felicità e niente di più»


(senza titolo)

Conosco, o mia cinciallegra,
il tuo canto sottile,
la tua volontà d’acciaio,
le dolci costellazioni del tuo corpo.
Chi ti ha scritto
mille poesie
non ha forse diritto di aspettarti
in eterno?

Conosco la tua luce,
la tua bellezza rotonda,
dolce come l’onda
che si frange di sera.

Conosco le tue ali d’incenso,
il tuo mondo
delicato come spiga
o melagrana di vetro soffiato.

Canto il tuo mistero,
mistero di musica da lontano,
suoni struggenti,
incatenati alla suddivisione del tempo:

s’inseguono, da presso,
come a ricongiungersi,
si sfiorano, senza toccarsi,
per non raggiungersi mai.

Canto il tuo mistero,
occhi chiusi, bocca serrata,
musica da lontano,
pianoforte malinconico orfano di vita.


(senza titolo)

Accoglimi
al tuo focolare.
Fammi entrare
nella nostra casa,
nel silenzio
di pareti bianche
immacolate,
tra le esplosioni colorate
delle strelizie.

Guariscimi
dalla follia del mondo che
mi ammala,
fa’ che io ripari
sul tuo grembo
di ciclamini e gigli,
battezzami
nel Giordano
dei tuoi occhi.

Temporizza
il mio cuore
sempre in ritardo
per troppo pensiero,
cantami l’amore,
fammi bere
la vita
a larghi sorsi
dalle tue mani di cielo.


(senza titolo)

Come i tuoi occhi è il mare:
immenso smeraldo
traslucido.

Imbarcazioni bianche
stanno placide nella piccola insenatura
del porto,
mentre il vento blandisce le chiglie
e fa girandole di bandiere.

Il sole è venuto
a rallegrare la marina,
specchiandosi sulla superficie liquida
moltiplica le sue occhiate
di perla.

Il mio cuore è straziato
dall’assenza di te.

Planano i gabbiani
dolcemente
attraverso le correnti ascensionali.

Sarebbe bello
spiccare il volo,
seguire le rotte segrete
che arrivano alla linea d’orizzonte e poi oltre
ai luoghi dell’ombra e della notte.
Sarebbe bello
abbandonarsi all’abbraccio atmosferico
fino all’estremo inconosciuto
e liberare (finalmente) il pianto,
– così d’un tratto ecco la pioggia! –

Lacrime, pioggia,
aghi liquidi infitti
nel tuo cappotto di cammello,
vaporizzati
nel contatto erotico di te,
della tua nudità di mandorla,
dissolti nell’istante
e per sempre.


(senza titolo)

Quel che di te mi resta,

le sei partite di Bach,
allemanda, sarabanda,
poi giga, almeno mi pare, ancora stento
a memorizzare lo schema.

Non risuonano più
come quando mi sedevi
accanto e il tuo cuore batteva
forte sotto i seni fioriti.

Mi parlavi della suite e
ti brillavano gli occhi
trasparenti.

Tu vivificavi la musica.

Ora che è il vuoto,
(non c’era tempo per tutte le mie prove
e controprove),
la propagazione del suono
è un fisico paradosso.

Nel vuoto è solo legno
e metallo di vano clavicembalo,
plettri di corno che pizzicano corde tese,
placcature d’osso.


APPARIZIONE

Pregavo,
pregavo che non fossi tu oggi,
perché sei così bella!
Mi hai rapito gli occhi
prima che ti riconoscessi.

Pregavo,
eppure già sapevo fossi tu,
prima di vederti
e di riconoscerti,
prima di oggi.

Ti ho sognata
col volo del pensiero.

Il volo del pensiero
che colma
gli spazi nell’istante,
che salda
il prima e il dopo,
che salta
i gradi della ragione.

Come l’ispirazione
del poeta che non passa dalla tradizione,
così ti ho veduta
prima dei miei stessi occhi.

Ma
non sarebbe poesia
senza la resa mistica del poeta
alla sua musa,
e non sarebbe musica nelle cattedrali
se non pompassero a forza
i mantici
nelle canne.

Come un organo rotto, che non dà suono,
così non ti amo, per non averti,
così ti amo
quando non ti ho.


(senza titolo)

Come sento la tua assenza!
Invisibile e presente
empie la stanza
ermetica, impalpabilmente.

E più manchi
e più è presente.
La tua assenza
suona
muta e solida.

Come il silenzio
nel pentagramma
occupa il tempo e
lo spazio,
la tua assenza è nuova.

È nuova la tua assenza
per mancanza di passato
Ed io manco d’esperienza,
la tua assenza è ora.

La tua assenza è sempre
e non passa.


DISTACCO

Non sia epicedio
il silenzio
del tempo presente,
né pietra di sepolcro.
Sia fremito segreto,
seme
in terra feconda.


PREGHIERA

Dammi d’amare
esattamente
come il cane il padrone,
senza alcuna condizione,
con sfinimento.

Dammi d’amare
con fiducia d’attesa
incessante
eppure con sorpresa,
con trasalimento.

Dammi d’amare
esattamente
come il cane,
senza pretesa,
grato d’una carezza
data con mano distratta.

Non siamo sciocchi, amici,
l’amore non è conquista:
non ci soccorre
volontà più ardente
o cieca bramosia
o strategia
consumata
di scacchista,
non pazienza
o contrizione,
nessuna azione
o scotimento.
L’amore è grazia,
come la Fede
nel Dio Padre invisibile.


13.6.2006 (Festa di S. Antonio da Padova)

Nella cattedrale barocca
profumo d’incenso.

Sul piccolo altare
baluginìo di ori
e ceri in flammule.

Giungono, trapassando i muri,
chiassi di frotte
in convulsa fuga e
il roboante
fragore dei motori,
incrinando
il silenzio.
Ecco il Santo,
così lontano dalle umane lotte,
da noi lo discongiunge il vetro,
ci sparte
il cuore suo di gesso
e sua vita iperuranea.

A tanta indifferenza
consegno le mie pene
malchiuse
in una prece.

Ma ora il silenzio è rotto
dallo schiamazzo
di un infante
che senza reverenza
mi grida in un orecchio.
Mi levo dal banco
e mi ficco
nella via
scialante bandiere,
la figurina del Santo
in tasca.


(senza titolo)

Tu hai la coerenza dell’amore,
hai le parole
che definiscono,
hai una rosa rossa sul petto
e il corpo intatto,
donna fanciulla, hai occhi
illanguiditi,
liquefatti in specchio,
in acqua
d’acquasantiera,
benedetta e benedicente,
tu hai l’ispirazione dell’amore,
superumana.


(senza titolo)

Posa la testa sul cuscino
e riposa
che il dolore allenti
la presa e si distenda
il viso. Si chiudano
i tuoi occhi stanchi per
il molto guardare e per il pianto incessante,
si vadano insinuanti
i capelli tra le coltri.
Dormi e riposa,
nascondi, delicato cristallo,
e conserva per te
la luce che di giorno
spicciola
dai tuoi occhi.
Nel silenzio
respira,
musica di pace risuoni e
ti culli il fremito del cuore,
ti avvolga il calore
del tuo corpo,
ti protegga, che sei indifesa.
Riposi la tua bocca di
corallo e diamante
il tuo sorriso squillante
si cambi in compostezza.
Riposino le tue mani,
le dita lunghe e delicate,
frementi d’ogni singolo
moto del cuore.
Riposino le tue spalle e
le braccia delicate e forti.
Riposi il tuo seno virtuoso.


Se sei interessato a leggere l'intera Opera e desideri acquistarla clicca qui

Torna alla homepage dell'Autore

Il Club degli Autori - Concorsi Letterari - Montedit - Consigli Editoriali - Il Club dei Poeti
Chi siamo
La Rivista
La voce degli Autori
Tutti i nostri Autori
Per iscriversi
ClubNews
Il notiziario gratuito
Ultimi inserimenti
Homepage
Per pubblicare
il tuo 
Libro
nel cassetto
Per Acquistare
questo libro
Il Catalogo
Montedit
Pubblicizzare
il tuo Libro
su queste pagine