Sinbad: viaggio nell’amore di un poeta

di

Franco Franchini


Franco Franchini - Sinbad: viaggio nell’amore di un poeta
Collana "I Gelsi" - I libri di Poesia e Narrativa
14x20,5 - pp. 100 - Euro 9,00
ISBN 978-88-6037-9306

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Prefazione

“Sinbad: viaggio nell’amore di un poeta” di Franco Franchini è un volume in cui poesia e prosa si miscelano grazie ad una costante alchimia fortemente ricercata quasi a voler creare una “integrazione” profonda che possa dare luogo ad un proficuo arricchimento testuale.
Attraverso il filo conduttore che è l’Amore, chiaramente espresso ed evidente, si realizza un alterno gioco tra lirismo e narrazione, esternazioni e profonde riflessioni, offrendo la possibilità al poeta di raccontarsi, di dispiegare le proprie visioni ed emozioni, di mettere in luce le evidenze del proprio vissuto, di abbandonarsi ad una genuina osservazione di se stesso: le costruzioni mentali decadono, le osservazioni della realtà si alimentano attraverso le parole profonde ed intense, la poesia e la vita si intersecano, si amalgamano, in una fusione lirico-esistenziale.
Franco Franchini afferma “scrivo solo se e quando mi sento ispirato… e le parole sgorgano da sole”: tutto nasce sempre dal proprio vissuto, passato al vaglio della vibrante testimonianza, a volte, sapientemente mascherato ma pur sempre nascente dalla realtà interiore finanche onirica.
Sinbad è un alter ego, non a caso una “maschera dietro cui celarsi”, grazie alla quale poter trovare la formula necessaria per comunicare le proprie emozioni, per esprimere la concezione stessa dell’amore universale, e poi, dell’amore per la vita, per la poesia: la simbolica figura di Sinbad diventa la ragione stessa dell’esistenza delle parole, della nascita del desiderio di “raccontarsi”.
La concezione dell’Amore si pone così al centro della vita, come dono ed offerta, un “canto verso gli altri” nel suo divenire: ecco allora che il percorso tocca le varie manifestazioni dell’amore.
L’amore inteso in senso universale, strumento indispensabile per dare un significato alla propria vita perché “sentirsi amati” è fondamentale ed il giovane Sinbad già avverte la visione dell’amore come “unico esorcismo contro la morte” e la consapevolezza che la sua assenza non offrirà la possibilità di lasciare una traccia, una testimonianza del proprio passaggio in questa vita.
Nel percorso esistenziale si passerà poi all’età della maturità, quando sono già presenti sulla pelle i segni delle sofferenze e delle delusioni, delle gioie e dei dolori,, delle illusioni e delle speranze: ecco allora la disperazione per l’amore taciuto, il dolore per l’amore non corrisposto, l’incapacità di accettare la possibile fine di un amore e il rimorso per l’amore che, a volte, viene calpestato ed umiliato e, nella poesia “Nemesi”, Franco Franchini, mette spietatamente in evidenza tale sofferenza “Ti ho ferita, umiliata, condannata./Ti ho ferita per guarirmi,/ti ho umiliata per riscattarmi,/ti ho condannata per assolvermi”.
La sensazione che conduce alla “paura dell’amore” può quindi paralizzare e far dimenticare che “la vita non viene vissuta nella pienezza se non è presente l’amore”: l’amore è la ricompensa, l’unica occasione offerta all’Uomo per la salvazione.
Anche nella parte finale del volume che comprende “tre strane storie” (oltre a riflessioni, “opinioni irriverenti” e “pensieri allo stato brado”), tra la sofferenza provata davanti al possibile inganno dell’amore e al percorso dell’Uomo che può essere segnato da lacerazioni interiori, v’è sempre la visione della vulnerabilità dell’essere umano che può trarre la forza dalle proprie debolezze e fragilità, come ad entrare in una dimensione che permetta di rigenerarsi.
Franco Franchini, in definitiva, racconta l’Uomo, ne indaga le inquietudini e le contraddizioni, miscelando frammenti di vita e intensa visione poetica che celebra le emozioni perché la parola autentica deve cantare l’amore con trasparenza, fissarne la sostanza stessa, dichiarare apertamente ciò che esprime l’animo e da quali segreti palpiti nasce la visione lirica.
Con passione e fedele testimonianza.

Massimo Barile


Sinbad: viaggio nell’amore di un poeta


A tutti coloro che amo
e a tutti coloro che mi amano
anche se, forse, non coincidono.


PARTE PRIMA


PRECISAZIONE SUL TITOLO

Sinbad: viaggio nell’amore di un poeta.
Il titolo è meditato nella sua costruzione.

Non è, come potrebbe ritenersi più accattivante, ma assai più generico, Sinbad: viaggio di un poeta nell’amore. Sarebbe un titolo falsato perché, in questo modo, non risulterebbe evidente la matrice autobiografica dell’intera opera.

Il narrato di ogni poesia, il suo esplicitarsi nei versi è certamente frutto di un immaginario. Ma il nucleo interiore, il germoglio originario di cui il narrato è solo una ossatura di sostegno, è sempre una specifica emozione tra quelle proprie dell’universo dell’amore; una emozione profonda, spesso disperata che quando diventa vibrante, esaltante Sinbad, incapace di contenerla, cerca e trova nei versi la via maestra per lasciarla erompere da sé.

E queste emozioni, spesso diverse tra una poesia e l’altra, sono assolutamente autobiografiche. Ma dell’autobiografia, dello “scrivere di sé” riparleremo più avanti.

D’altra parte, sebbene io sia “nessuno” nell’Olimpo della poesia, mi chiedo: è mai possibile per un poeta, per quanto grande egli sia, poter scrivere dei versi d’amore senza che nulla, proprio nulla di essi, gli sia mai appartenuto?

È possibile mentire così?


LO SCRIVERE DI SÈ

Io non sono uno scrittore con la “esse” maiuscola e neppure con quella minuscola in quanto, etimologicamente parlando, il sostantivo “scrittore”, composto dal verbo scrivere e dalla desinenza “ore” sottintenderebbe lo scrivere inteso come lavoro, attività principale e mezzo di sostentamento.
A questo gruppo di persone compete certamente la “esse maiuscola” e, magari, anche “maiuscolo gotico”, a seconda della loro fama.

Poi ci sono scrittori con la “esse” certamente minuscola: i cosiddetti “anche scrittori” così definibili non solo e non tanto perché meno letti e meno conosciuti, quanto perché affidano ad un lavoro diverso la loro fonte principale di reddito, che arrotondano scrivendo.

In coda a tutti ci sono quelli che non riescono, in alcun modo, a monetizzare il loro talento ma che, pervicacemente, continuano a scrivere e scrivere convinti che un giorno, magari postumo, qualcuno, pentendosi, ne riconoscerà finalmente il valore.
Questi sono gli scrittori “per hobby” di cui il mondo è pieno.

Io non appartengo neppure a questa categoria: sono ancora al di sotto. Probabilmente siamo talmente in pochi da non poter neanche fondare un “club”.

Sono uno scrittore che scrive solo sotto “pathos”. In termini più chiari direi che scrivo solo “se” e “quando” mi sento ispirato e le parole, o i versi, mi sgorgano da soli. A me succede di scrivere un quaderno in pochi giorni e neppure un rigo per dieci anni. Commercialmente improponibile!
E siccome scrivo solo sotto pathos… e siccome, almeno per me, l’infelicità ispira e stimola assai più della felicità… mi accade che quando scrivo soffro come un cane e… mi consumo… su quei fogli.
Ma è bellissimo! Quando l’emozione che ti lacera dentro, che ti soffoca e che ti monta, smaniosa di emergere, trova all’improvviso la sua via di sfogo in una frase, un verso che te la proiettano sul foglio, e tu, stanco come dopo un parto, la vedi là… precisa, perfetta, fissata per sempre… e la riconosci così che ora, ti sembra, tutti possano capire… anche se, in fondo, per te, non ha nessuna importanza… Allora, in quel momento,… ti senti appagato. Ti senti un vero scrittore, un vero poeta.

Questo è lo scrivere di sé! In altre parole, questo è lo scrivere in forma autobiografica.

La letteratura ortodossa lo vede un po’ come un difetto. Non lo ammette apertamente ma è così. Attingere ispirazione ad una fonte – si pensa – è come un copiare. Dov’è la “genialità” dello scrittore?
Ebbene io, scrittore autobiografico conclamato ed irredento, non sono d’accordo.
La “genialità” dello scrittore, del poeta, sta nella capacità, attraverso parole o versi, di trasferire al cuore, all’anima di chi legge, e con la medesima intensità, la stessa vibrazione emotiva di cui egli stesso è stato investito.

È ovvio che si tenti sempre di mascherare una storia troppo personale, non solo per non “mettere in piazza” il proprio vissuto, che spesso racconta storie ingiuste, dolorose, non sempre edificanti anche se umanamente e/o letterariamente preziose, ma anche perché camuffando, generalizzando, la storia stessa diventa più fruibile e quindi più godibile senza dare al lettore la spiacevole sensazione di intrufolarsi nel privato di chi scrive. Ma il nucleo, l’intima essenza di un racconto, di una poesia nascono sempre da un vissuto che ci appartiene, che ci ha smosso dentro, ci ha macerato o ci ha esaltato e… ci ha ispirato. Tutto il resto dei nostri versi, del nostro racconto, veste, dilata, generalizza quel nucleo originale, quella emozione primaria profonda che ci è propria e che noi cerchiamo di raccontare astraendocene, per pudore di noi stessi e sublimandola per renderla di tutti, così che molti la percepiscano come anche propria e, magari, vi si riconoscano.

Ma ci sono, si obietterà, gli scrittori di favole per bambini, come i fratelli Grimm, H. C. Handersen, e quelli di avventure incredibili come i Verne, i Salgari, e gli scrittori di fantascienza e quelli dell’horror… Loro che c’entrano?
C’entrano! Anche loro scrivono di sé con l’autobiografia dei loro sogni o delle loro paure.


SINBAD: LA SUA RAGION D’ESSERE

Sinbad! Chi è mai questa figura misteriosa e come si colloca rispetto a quella dell’autore? Qual è la sua valenza? Quale la sua ragion d’essere?

Dopo una vita intera trascorsa indossando una divisa militare c’è molto imbarazzo, una sorta di pudore, difficilmente superabile, a mostrare il proprio universo onirico, una realtà interiore che è fatta, è sempre stata fatta, di debolezze, di palpiti, di favole, di sogni,… d’amore.

Ed ecco, dunque Sinbad: un alter ego, un travestimento, una maschera dietro cui celarsi e grazie alla quale poter trovare il coraggio necessario per comunicare le proprie emozioni.
Attingendo, in termini di paragone, ad una celeberrima opera teatrale, l’autore è una sorta di Cyrano de Bergerac e come questi, vergognandosi di mostrarsi, si serviva di Cristiano per esprimere il suo amore alla bella Rossana, così il nuovo Cyrano si cela dietro Sinbad per esprimere tutto il suo amore per la poesia o, se vogliamo, per esprimere senza pudori, con la poesia, tutti i suoi impeti d’amore.

Però, col passare degli anni, e ormai da molto tempo, Sinbad ha cessato di essere semplicemente un tramite; ha assunto, sempre di più, uno spessore proprio, una sua “materialità”, come fosse un nuovo personaggio.
Sembra quasi un doppio dell’autore ma è difficile dire chi ispira chi, chi prevale su chi.

Mi rendo conto di aver solo parlato di chi fosse Sinbad nel suo nascere. Ma se mi si domandasse, e anch’io spesso me lo chiedo, chi sia Sinbad oggi… io non lo so.


LA POESIA DI SINBAD

L’amore e la morte: universo e limiti estremi delle emozioni.
Sono questi gli unici temi ispiratori della poesia di Sinbad.

L’amore: centro del centro della vita dell’uomo. Insopprimibile anelito emotivo di cui egli è ingordo e mai pago, che ha bisogno di ricevere e di dare senza soste, senza stanchezze, nel corso della sua intera esistenza, per conservare la coscienza del suo essere “vivo”.
La morte (beninteso, non quella biologica) vista come assenza/privazione dell’amore.

La poesia di Sinbad, quindi, è sempre e comunque una poesia d’amore volta, in genere, verso una donna – innesco “principe” di esplosioni emotive – ma capace anche di “avvolgersi”, delicatissima, attorno ad un bimbo, o di “espandersi” nostalgica e rapita, verso la natura.

Il bimbo, già alla nascita, ha il bisogno vitale di sentirsi nutrito, protetto, consolato… di sentirsi amato. Ed è così che impara ad amare. Di più: se si sarà sentito amato sentirà, crescendo, la “disponibilità ad”… amare e, da adulto, “l’esigenza di”… amare.
Viceversa, non sarà capace d’amore e, di fatto, non amerà. La sua, sarà una esistenza perennemente inappagata, deprivata dei suoi bisogni spirituali più insopprimibili, alla ricerca disperata ed inconscia di quel “diritto d’amore” che gli fu negato e che nulla può più sostituire.
La sua vita sarà una “non vita”. Sitibondo d’amore, si limiterà ad esistere.

L’amore dunque, sussurrato, gridato, taciuto, cantato attraverso le emozioni più squassanti del suo divenire, le sue sofferenze indicibili, le gioie brevissime, inebrianti, irripetibili.
L’amore… che ti dà e ti toglie la voglia di vivere con la stessa violenza.
L’amore… impossibile da contenere quando ti riempie e impossibile da sostituire quando ti abbandona. L’amore: un canto verso gli altri.

E la morte… come assenza di esso,… diagramma piatto dell’anima, dello spirito vitale dell’uomo.
La morte: il silenzio di se stessi.

Questa è la poesia di Sinbad.

[continua]

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