Il cane Dick racconta - Storie di animali di terra e di mare

di

Gabriella Dell'Orto


Gabriella Dell'Orto - Il cane Dick racconta - Storie di animali di terra e di mare
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Narrativa
14x20,5 - pp. 196 - Euro 14,50
ISBN 978-88-6587-1058

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In copertina: fotografia dell’autrice


Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l’autore è finalista nel concorso letterario J. Prévert2010


La scrittrice, attraverso le avventure del cane Dick, ci consente di entrare in un fantastico mondo di animali parlanti, seguendo gli amori di ‘Occhi di Cielo’, le vicende degli abitanti della stalla, e quella dell’oca Giovannina, finita nel presepe degli animali.
Accompagnando il nostro amico a quattro zampe nelle sue peripezie, noi ascolteremo i racconti di nonno gufo, del lupo, della giraffa, di una lucertola che si confronta con i dinosauri suoi antenati o di una gallina che fa uova tempestate di gemme…
La storia di Salomon e Pink ci porterà alla ricerca delle sorgenti della vita tra le alte montagne del Canada e poi dentro all’immensità dell’oceano. Potremo così leggere le avventure della balena Nasireal o intendere la voce del mare nella magia del pesciolino dalla corona d’oro, in un susseguirsi di racconti, di leggende, di vicende, viste attraverso gli occhi degli animali, con la sapiente regia narrativa del protagonista: il nostro cane Dick, che racconta e parla ai sentimenti più veri di ciascuno di noi.


“L’incontro col mondo della natura, soprattutto con la vastità dei suoi paesaggi pullulanti di vita, è per me sempre stupefacente!
Viaggiando, lontano dagli assordanti rumori delle nostre città, resto spesso incantata, come avvolta da un arcano silenzio, di fronte ai suoni delle diverse voci del vento, delle fronde, degli uccelli, del mare…”
Nell’ascoltare i richiami di tanti animali che vivono naturalmente dentro la cornice meravigliosa del creato, l’animo umano a tratti viene rapito, quasi anelasse ancora a far parte dell’armonia di un paradiso perduto, o forse solo abbandonato a favore della comodità estraniante della vita moderna, alla quale non si sa più rinunciare.
Tuttavia è proprio dentro questo stupito incanto, che la fantasia della scrittrice riesce a dare parola agli animali, in modo che anch’essi possano narrare le loro storie.


Il cane Dick racconta - Storie di animali di terra e di mare


Alle mie carissime nipoti:
Annalisa, M. Giulia ed Elena
e anche a tutti coloro che amano
la natura e la vita degli animali.
A loro auguro di scoprire con Dick
la fantastica bellezza del creato
e insieme l’amore del suo Creatore.


Un grazie particolare a Giuseppe
e alla sua paziente amicizia.


“Potremmo fare l’ipotesi che, un giorno, l’Etologia dimostrerà analogie comportamentali profonde tra noi e le altre forme animali. (…)
Anch’essi mangiano, dormono, lavorano, cacciano, soffrono, gioiscono, apprezzano la musica e amano la pittura e forse sanno anche contare.”
Antonio Zichichi Da: “Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo”


Che cosa vuole comunicarti il tuo cane, quando ti guarda con i suoi occhioni scuri, la testa leggermente inclinata verso l’alto, e ti abbaia una, due o tre volte, ma tu non lo capisci?
Cerca del cibo? Forse una coccola…
O ti domanda di lasciarlo libero di scorazzare sul prato fuori di casa?
Ti guarda e tu non sai che cosa ti stia chiedendo, ma ugualmente dici al tuo vicino che spesso lo sente abbaiare:
“Al mio cane…, gli manca solo la parola!”

Ma proviamo a dare questa parola al cane che ascoltiamo semplicemente abbaiare, e vediamo un po’ cosa ci racconta.
Questo è ciò che ha fatto la nostra scrittrice, Gabriella Dell’Orto, lasciando a Dick la possibilità di comunicarci le sue riflessioni e i suoi sentimenti, seguendolo di nascosto, andando dietro alle sue avventure, descrivendo i suoi incontri e riportando i dialoghi avuti con altri animali che parlano con lui un linguaggio naturale, a tutti comprensibile.
Dick racconta storie di animali di terra e di mare, ma anche di aria, come quella dei gufi, ed è accompagnato sempre dalla presenza discreta di chi, accanto a lui, lo guarda, l’ascolta, impara… e vede scorrere così la storia della sua lunga vita di saggio cane vagabondo e senza padrone; non perché non si senta attratto dall’uomo, che pure non lo capisce e lo perseguita, ma perché, a un certo punto della sua esistenza, ha scoperto il valore della libertà, a cui non può più rinunciare a dispetto degli stenti, delle fatiche, della fame, delle minacce di morte.
La voce narrante dell’autrice si lascia condurre, con profondo senso di solidarietà e di adesione, dal suo errabondo andare tra una fattoria e l’altra: dalle risaie alle colline del Piemonte, attraverso le Alpi marittime, fino a Mentone, in Francia, e poi al mare della Liguria, seguendolo in quel suo cammino avventuroso di cane conta-storie che apre e chiude in questo libro i vari capitoli delle voci degli altri animali e della stessa natura, tanto bella e affascinante, quanto sconvolgente e terrificante.
Di fatto, dentro la viva cornice dell’ambiente naturale, tutte queste diverse creature sembrano essere, come lui, alla ricerca di un posto, di un senso, o solo della libertà di vivere semplicemente ciò che sono.

L’autrice adotta, come è solita nei suoi romanzi, il doppio binario grafico e narrativo, elaborando un lavoro d’intarsio in cui trovano spazio, dentro la storia del cane protagonista, le vicende di gatti, oche, giraffe e gufi, salmoni e balene, galline lucertole e lupi, e altri ancora.
Tra i tanti personaggi ci sono anche gli ‘umani’, esseri strani, che nelle loro aziende agricole allevano e curano gli animali, ma anche li vendono, li uccidono e li mangiano, solitamente indifferenti al loro sentire.
Eppure questi esseri vivono, soffrono, provano piacere e sentimenti: di paura, di rabbia, di odio, di famigliarità, di riconoscenza, di affetto, di dedizione fino a lasciarsi morire…
Recenti studi scientifici ci dicono che, a livelli evolutivi più alti, gli animali sognano. Sì, essi pure hanno e fanno i loro sogni, come ciascuno di noi!
Così non è mera fantasia se osiamo porci queste domande:
“Che cosa pensano i cani a riguardo dei bipedi umani, che li portano al guinzaglio quali padroni assoluti delle loro vite?”
“Capiscono quanto siano, invece, quest’ultimi ad aver bisogno della loro compagnia per non sentirsi troppo soli?”
“Ma sarà poi vero,” dicono gli scettici, “che un animale, un gatto o un cane di casa nostra, abbia dei sentimenti e una qualche intelligenza della realtà che lo circonda?”
Le cronache ci dicono che spesso l’uomo tratta gli animali come peluche, quasi fossero oggetti che si possono buttar via o abbandonare quando danno fastidio.
Tuttavia se qualcuno di noi desidera rispondere alle domande emerse sopra, deve solo provare a guardarli con un po’ più di attenzione e poi chiedersi:
“Che cosa sono stati in grado di apprendere, loro da noi?”
In realtà, se avremo tempo e pazienza di osservare il nostro cane, o il gatto, o un altro animaletto, nel suo progressivo adeguarsi alla nostra vita, forse ci accorgeremo di quante cose anche noi potremmo imparare da lui. E allora, pian piano riusciremo a intuire, guardando con interesse, ad esempio il cane che vive con noi, quale amicizia e quale affetto, a volte invano, egli tenti di comunicarci, in vari modi e con espressioni forti che equivalgono per lui ad altrettante nostre parole.

Infine questo libro non è solo una bella raccolta narrativa.
Esso aiuta chi lo legge ad ascoltare la voce stessa della natura, attraverso la saggia esperienza di Dick, capace di farci entrare, con un pizzico di fantasia, dentro il mondo naturale che lo circonda e dentro la vita di quei piccoli e grandi animali incontrati sul suo cammino, di cui sente e racconta le storie.

Prof. M.G. Conti


RACCONTI DELLA TERRA

La storia di Dick

C’era una volta un grosso cane dal pelo lungo e bigio, chiamato Dick.
Era il cane da guardia di un garage, addestrato per essere aggressivo e mostrare un aspetto feroce.
Di giorno stava alla catena e, abbaiando e ringhiando, segnalava l’arrivo degli estranei; mentre di notte il padrone lo lasciava scorazzare dentro il recinto asfaltato per scoraggiare i ladri dall’entrare.
La vita di Dick però era nel complesso monotona e triste: costretto per lavoro ad essere cattivo e a far paura alla gente, ormai da tempo passava le sue notti col muso infilato tra le sbarre del cancello, senza avere qualche speranza di libertà o ricevere nemmeno una piccola carezza, lui che aveva un cuore dolce e sensibile.
Non che il suo padrone fosse malvagio, infatti non gli faceva mai mancare l’acqua nella ciotola, né una zuppa condita con qualche buon osso; tuttavia non lo considerava un compagno o un amico, solo un cane da guardia, una specie di ‘antifurto animale’.
Gli anni intanto passavano e Dick sempre più spesso si trovava a pensare se la vita di un cane fosse tutta lì.
Di giorno, al di là della cancellata, vedeva passare i bambini che andavano a scuola, a volte li chiamava abbaiando, ma loro impauriti passavano dall’altra parte, e il padrone gli tirava qualche attrezzo per farlo smettere, gridando:
“Maledetto cane, buono a nulla, non hai ancora capito che devi abbaiare solo a quelli che entrano nel recinto e quando io non ci sono?”
Oh sì che Dick l’aveva capito, ma non gli andava certo di fare sempre e solo il campanello di chiamata, lui che ai tempi della scuola per cani aveva sognato di entrare nella polizia, oppure di far parte di una numerosa famiglia con tanti bambini che lo accarezzavano e che giocavano con lui!
E invece…
“Già, vita da cani!” si abbaiava dentro in silenzio e poi si metteva a fare la cuccia uggiolando, con la grossa testa appoggiata alle zampe anteriori, e pensava, anzi sognava, mentre gli anni passavano.
Finché un giorno sconsolato si disse:
“Ormai sono quasi vecchio, che vado cercando? Sono un cane da catena, con una solida cuccia sopra la testa e una ciotola piena! Che vado cercando?”
Tuttavia di lì a poco, in una notte d’inverno, arrivarono i ladri.
Erano in due e con un grosso tronchesino prima tagliarono il catenaccio che chiudeva il cancello, poi gettarono al cane, che stava già accorrendo contro di loro, un grosso pezzo di carne avvelenata.
Però Dick si ricordò dell’addestramento, non abboccò alla ghiotta esca preparata per lui, anzi la schivò e si buttò subito su uno dei due malviventi.
L’altro estrasse una pistola per sparargli, ma Dick fu più svelto e, a sorpresa, ingaggiò con il ladruncolo dilettante una lotta corpo a corpo.
Mentre il suo complice se la dava già a gambe, dall’arma partì qualche colpo, che per fortuna andò a vuoto.
Tuttavia il cane non si spaventò, anzi cercò di azzannare la mano che teneva la pistola e abbaiò tanto furiosamente che anche il secondo ladro, malconcio e sanguinante, pensò bene di svignarsela, perché già qualche luce si era accesa alle finestre del vicinato e con quel chiasso presto sarebbe arrivata la pattuglia di sorveglianza della polizia.
Dick si accorse di aver attirato l’attenzione della gente, però non si fermò: era la sua grande occasione per dimostrare a se stesso e agli altri quanto aveva imparato alla scuola per cani da guardia.
Così inseguì il ladruncolo oltre il cancello lungo la strada, fino al vicolo dietro la recinzione che dava sui campi.
Qui il giovane, lanciando al cane il suo passamontagna nero, salì sulla moto del compare.
Poi i due ladri si dileguarono nella notte.
Il cane per un po’ li rincorse ancora abbaiando: era fiero di sé e per un momento si sentì proprio un eroe.
Alla fine, però, il rumore della moto si spense lontano.
Allora Dick si fermò ansimante, gonfiò il petto, scrollò il pelo arruffato e alzò la testa, quindi tutto contento di sé si volse trotterellando vittorioso verso casa.
Ma poi?
Poi mentre era già in vista del cancello rallentò e cominciò a pensare.
Certo la gente lo avrebbero elogiato, il suo padrone si sarebbe complimentato con lui, forse avrebbe avuto anche un pranzo speciale, tutti avrebbero riconosciuto che aveva fatto proprio bene il suo dovere, che era stato veramente un cane feroce…
Ma poi?
Poi tutto sarebbe tornato come prima!
Dick guardò da lontano il cancello semi-aperto: già stavano arrivando alcune persone.
Con un profondo respiro volse lo sguardo al recinto, allo spiazzo asfaltato che per anni aveva percorso avanti e indietro, alla sua cuccia con la ciotola ancora piena di zuppa… E senza pensarci un altro secondo si girò e d’un balzo infilò di nuovo il vicolo che si perdeva tra i campi, là dove la moto era già sparita nel buio.
Corse, corse, e corse, come sempre aveva sognato di fare e come mai aveva fatto in vita sua.
Corse per tutta la notte, per i prati, lungo la strada, passò sempre di corsa tre, quattro paesi, e quando fu stanco saltò sul retro di un vecchio camion, lasciandosi trasportare oltre il fiume, oltre le colline… ancora più lontano.
“Così non avrò più la tentazione di tornare indietro!” si disse con forza, e finalmente sentì dentro di sé la sua voce di cane abbaiare libera nell’alba di un giorno nuovo.
Ormai era fatta, era diventato un cane senza catena e senza padrone.
Tuttavia, ora che era finalmente libero, doveva ancora decidere bene che cosa fare di questa sua stupenda libertà…
Intanto all’improvviso si era accorto di avere una fame da lupi.
“Cibo,” pensò “devo procurarmi qualcosa da mettere sotto i denti!”
Era un cane grande e grosso, e dopo tanto correre e vagabondare la fame si faceva sentire con morsi dolorosi.
Allora decise di saltar giù dal camion nei pressi di una fattoria e di tentare la sorte con una gallina.
I cani di guardia all’abitazione, però, abbaiarono contro di lui prima che riuscisse a penetrare nel pollaio, così rimediò solo una randellata dalla padrona che lo rincorse urlando.
“Accidenti ai colleghi!” Uggiolò.
Ma subito capì che quei cani avevano ragione, perché facevano correttamente il loro mestiere come lo aveva fatto lui.
Infatti non era giusto che per fame diventasse anche lui un ladro, e per giunta un ladro di polli!
Quindi mogio e con la coda tra le zampe si diresse verso il paese più vicino.
Per un po’ rovistò qua e là tra i cestini dei rifiuti: niente!
Intanto, mentre si aggirava per le strade, si era accorto che la gente lo teneva alla larga e tutti lo guardavano con sospetto.
In realtà non temeva che lo denunciassero all’accalappiacani, perché portava ancora il collare con tanto di medaglietta, ma il fatto che le persone lo schivassero la diceva lunga sul suo aspetto di cane vagabondo e poco raccomandabile.
“Sì, devo rendermi più presentabile!” concluse. E si diresse al fiume.
Qui si fece un bel bagno, lui che detestava l’acqua, si scrollò per bene il lungo pelo, si rotolò tra le pietre e infine si asciugò al sole.
Mentre se ne stava lì sdraiato passò un grosso gatto chiazzato.
A questo punto i morsi della fame si fecero di nuovo sentire.
Tuttavia Dick represse l’istinto di rincorrerlo e di azzannarlo, e decise invece di seguirlo da lontano.
“Un gatto così ben pasciuto e senza collarino deve avere sicuramente una fonte di rifornimento!” pensò.
E non si sbagliava.
Dopo un ampio giro, il gatto raggiunse un vecchio cottage.
Davanti ai gradini della porta c’erano già altri tre gatti in attesa.
La porta si aprì e apparve una vecchina con due ciotole piene di cibo, che depose sui gradini, poi rientrò.
I gatti accorsero, senza farsi pregare.
“O adesso o mai più!” si disse il nostro eroe.
Quindi sfoderò il suo aspetto più feroce e si avventò abbaiando contro i quattro malcapitati mici che si diedero alla fuga, miagolando terrorizzati.
Quando la vecchietta riaprì la porta, Dick stava leccando già la seconda ciotola.
“Brutta bestiaccia che non sei altro, non ti dà da mangiare il tuo padrone?” All’improvviso Dick si acquattò, posò l’enorme testone sulle zampe anteriori, e guardò l’anziana signora con occhi dolci e supplichevoli.
Allora la vecchina gli sorrise, ma continuò a rimbrottarlo:
“Dovresti vergognarti di prendertela con quelli più piccoli di te!”
Dick non si vergognava per niente di aver messo in fuga quei quattro gatti, ma abbassò ugualmente le orecchie in segno di sottomissione.
Non sapeva nemmeno lui perché si comportasse così, ma una vocina dentro gli diceva che quella vecchia signora avrebbe risolto i suoi problemi legati al cibo e forse anche all’alloggio, senza rimettergli al collo una catena.
E poi era la prima persona che non mostrasse di aver paura di lui e lo guardasse senza diffidenza.
“Dovevi avere molta fame, grande e grosso come sei! Bene, il pasto di quattro gatti dovrebbe bastarti, su muoviti, adesso, va’ via, va’ via!”
La porta si richiuse, ma Dick non andò via, si limitò a ripulire le ciotole e poi si mise a fare la guardia sull’ultimo gradino.
La vecchia signora lo guardò dalla finestra e capì che non si sarebbe liberata facilmente di quel cane.
In realtà Dick aveva deciso di rimanere a far la guardia tutta la notte per ripagare con il suo lavoro il pasto ricevuto.
Non voleva obblighi.
Infatti se ne andò solo quando giunse il garzone del lattaio.
Ma ritornò la sera stessa.
Questa volta aspettò in un angolo che i gatti mangiassero, poi salì i tre gradini e abbaiò quattro o cinque volte dietro alla porta e si mise a cuccia.
La signora, che aveva visto dai vetri la scena, spezzettò del pane secco in una vecchia pentola, lo bagnò di brodo e ci aggiunse una zampa di gallina.
“Allora sei anche un cane educato e onesto! Va bene, va bene… Ti sei guadagnato il tuo pasto!”
Posò la pentola, raccolse le ciotole, fece una carezza al cane e poi rientrò.
Era la prima carezza che Dick riceveva in vita sua e non l’avrebbe mai dimenticata.
Quella vecchia signora gli aveva dato molto di più di un pasto, gli aveva dato una vera casa!
Giorno dopo giorno quello strano rapporto continuò: Dick faceva la guardia tutte le notti sullo stuoino del portichetto, col suo pelo folto non temeva il freddo, il pasto era buono e abbondante e la vecchina non dimenticava mai la sua carezza, che il cane ricambiava lambendo delicatamente la piccola mano rugosa.
Di mattina se ne andava via sempre un attimo prima che arrivasse il garzone della latteria, ma aspettava dietro l’angolo che il suo furgoncino ripartisse.
Poi guardava l’anziana signora, che si affacciava in vestaglia, ritirava la bottiglia e sorridendo richiudeva la porta.
A quel punto Dick considerava terminato il suo lavoro.
Ma cosa faceva tutto il giorno il nostro eroe, ora che aveva risolto i problemi di vitto e alloggio, e non aveva più una catena al collo?
Per i primi tempi si limitò a gironzolare qua e là, godendosi la sua libertà di cane indipendente, intanto era diventato amico dei quattro gatti e li seguiva nei loro vagabondaggi, proteggendoli dagli altri cani; ma essi passavano la maggior parte della giornata dormendo, e Dick si sentiva ancora troppo attivo e pieno di energia per starsene senza far nulla.
Intanto le giornate si facevano tiepide, con marzo si annunciava la primavera e il parco della cittadina si andava riempiendo di mamme e di bambini.
Dick cominciò a frequentarlo senza farsi troppo notare, cercava di assumere l’aria più buona che poteva, si sdraiava mollemente tra l’erba e sembrava dire al mondo intero:
“Lasciatemi stare qui, non faccio del male a nessuno!”
E in vero nessuno lo importunava, perché tutti lo consideravano ormai il cane da guardia della vecchia signora che abitava nella villetta in fondo alla strada, qualche mamma tuttavia lo teneva d’occhio, perché era pur sempre un grosso cane senza museruola.
Però nessuno lo scacciava.
Dick amava soprattutto guardare i ragazzini che tiravano calci a un pallone, avrebbe voluto giocare con loro, ma non osava avvicinarsi.
Un giorno, tuttavia, gli arrivò una pallonata tra le zampe: Dick buttò in aria il pallone, lo colpì con la testa e lo rincorse, abbaiando allegramente, mentre saltava nel campetto…
E fu così che come mascotte entrò a far parte della squadra di football, facendo divertire un mondo i bambini che tutti i pomeriggi dopo la scuola venivano a giocare a calcio nel parco.
Ben presto imparò le regole e divenne un bravo attaccante. Ogni volta che segnava un goal, quelli della sua squadra lo accarezzavano e lo abbracciavano. Allora Dick si sentiva improvvisamente al settimo cielo.
“Questa sì che è vita!” si diceva alla sera, quando si presentava puntuale per la cena davanti alla porta del vecchio cottage.
Quindi montava la guardia e tutto il mondo gli sembrava girare davvero a meraviglia.
Una mattina, però, Dick attese invano che si aprisse la porta e che la signora si affacciasse a ritirare la bottiglia del latte.
Il cane si fermò ad aspettare ancora per un po’, poi, vedendo che il tempo passava e nessuno si affacciava, andò alla porta e cominciò a raspare e ad abbaiare.
“Sicuramente è successo qualcosa” pensò allarmato da quell’assenza. “È impossibile che non mi senta!”
Dick fece il giro della casa, ma nessuna finestra era aperta, così corse in strada e cominciò ad abbaiare, ma la gente passava all’altro marciapiede; allora attraversò la strada e si avventò su un anziano passante: gli addentò la giacca e, saltandogli addosso, gli fece cadere il cappello, che subito afferrò e, tenendolo tra i denti, corse a sedersi sui gradini del portichetto davanti alla casetta.
Mise il cappello sotto le zampe e iniziò nuovamente ad abbaiare.
Al passante non restò che chiamare la polizia.
E fu così che di lì a poco l’ambulanza portò via la sua vecchietta ormai ridotta in fin di vita.
Il cane rincorse e seguì l’automezzo, ma non gli permisero nemmeno di avvicinarsi al portone dell’ospedale.
Dick allora si acquattò a qualche metro di distanza e lì si preparò ad attendere con pazienza il ritorno della sua vecchia amica.
E sarebbe rimasto là per giorni e giorni senza mangiare e senza bere, se la notizia non si fosse diffusa per la cittadina e i bambini del campetto non fossero andati a prenderlo e non avessero fatto a turno per ospitarlo a casa loro.
Il cane, tuttavia, rimaneva in quelle case solo alcune ore, mangiava, e poi tornava a montare la guardia a pochi metri dall’entrata dell’ospedale.
La notizia intanto era finita su un giornale locale, con tanto di foto del cane e il titolo: “Anziana signora salvata dalla prontezza del suo cane”.
Fu così che mentre la vecchietta lentamente si riprendeva dall’attacco di cuore, il vecchio padrone di Dick, con guinzaglio e giornalisti al seguito, venne a recuperare il suo prodigioso cane, che non solo aveva sventato una rapina al suo garage, ma che, trascinato lontano da casa dai ladri, anche in quella nuova città era riuscito a salvare una vita!
Insomma il caso era di quelli che facevano aumentare la tiratura dei giornali di provincia e Dick era diventato all’improvviso un eroe.
“Certamente,” diceva il suo ex padrone ai giornalisti “non è un cane qualunque, è di allevamento e ha frequentato una scuola per cani…”
Saldamente legato al guinzaglio dentro di sé Dick piangeva: non solo non avrebbe rivisto più la sua vecchia e gentile signora, ma nemmeno i suoi amici gatti, e tutti quei ragazzini che gli avevano voluto tanto bene.
“No, la mia vita non può finire in questo modo!” Pensava tra sé e sé amaramente.
“Ancora quel garage, ancora la stessa catena…!” e si guardava a destra e a sinistra in cerca di scampo, ma inutilmente.
Il padrone non lo lasciava un attimo:
“Vieni, Dick, dai su bello! Vieni che a casa tutti t’aspettano!”
“Tutti chi?” si chiedeva Dick, mentre lo spingevano dentro il furgone del garage e lo sportello sbatteva come una condanna ai lavori forzati.
Il furgone ora correva lungo la strada che solo sei mesi prima Dick aveva percorso baldanzoso e con tante speranze.
A quel punto non gli restava altro che una preghiera, affinché succedesse qualcosa, anche se i cani, si sa, non hanno neanche un dio in cui confidare.
O forse sì…
A un certo punto il veicolo sbandò leggermente: il rumore era quello di una ruota bucata, le imprecazioni del padrone erano invece le stesse.
La ruota di scorta era dietro e Dick fu fatto scendere e legato ad un palo della segnaletica stradale.
“Forse questa è la mia ultima occasione” pensò.
E con le zampe, non senza qualche piccola lacerazione, riuscì finalmente a sfilarsi il collare e a darsi alla fuga.
Non si guardò indietro, ma sentì chiaramente le minacce del suo padrone, un padrone che l’aveva comperato quando era poco più di un cucciolo, ma a cui lui non aveva mai sentito di appartenere.
“Ora sono un randagio!” si disse. “Senza un collare e una medaglietta, chiunque mi può sparare addosso! Ma che importa, meglio morire di stenti o per un colpo di fucile, che ritornare ad essere un cane con la catena al collo!”
E così Dick, vivendo di espedienti, incominciò a girare di paese in paese.
Passando da un’avventura all’altra, apprese a sentire le voci più profonde della natura; conobbe tanti altri animali, anche i più strani, e finì con l’ascoltare le loro storie.
Riuscì in parte a capire anche il cuore dell’uomo, perché il cane per sua indole ne è il miglior amico, ma l’uomo non sempre tiene in giusto conto la fedeltà e la preziosa amicizia di un cane.
Comunque, andando in giro per il mondo, Dick imparò che non si finisce mai d’imparare.
Quindi, sebbene rimanesse un randagio, a poco a poco divenne un vecchio cane saggio rispettato da tutti.

Così capitò che, in una fredda notte, mentre la neve cadeva, si trovasse nella stalla con un piccolo gruppo di amici, coi quali da qualche mese viveva presso una fattoria. E qui, per caso, giusto per riscaldare un po’ l’atmosfera, cominciò a narrare una delle tante storie che sapeva…

[continua]


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