Mare e Vento

di

Gabriella Pesce


Gabriella Pesce - Mare e Vento
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
14x20,5 - pp. 68 - Euro 8,50
ISBN 979-1259510594

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In copertina: fotografia dell’autrice


Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l’Autrice è 2^classificata nel concorso letterario Città di Monza 2020



Mare e Vento


Ad Angelo,
che vive in me

A Simona ed Elena,
che hanno il suo stesso azzurro negli occhi:
cielo e mare


Angelo, eri il mio mare

Col tempo, amore, sembravano sbiadite
le nostre parole di seta e di luce,
velate dalla polvere della quotidianità.
Col tempo, avevamo quasi dimenticato
il miracolo che covava sotto l’opaco
di tanti gesti dati per scontati.
Oggi, vorrei vestirti di parole e di baci,
ma il nostro tempo insieme è ormai finito.
Sei morto solo, senza una carezza,
senza una mano a stringere la tua.
Marzo è lontano, con le sue bare in fila,
ma il sudario di morte avvolge ancora
il nulla dei miei giorni, delle notti.

Torna l’estate e con impudenza
indossa nuovamente i suoi colori…
ma l’eco di risate e spiagge accese
penetra appena dentro il mio silenzio.
È il primo mare che vedo senza te.
Germogli bianchi esplodono nel blu,
forse lacrime, o scia che se ne va.
La barca intanto continua il suo cammino,
ondeggia, trema, ignora la sua meta
e lascia una ferita dentro l’acqua.
La strada bianca s’allunga, s’allontana…
saluto il mio passato e lo rimpiango.

Angelo, eri il mio mare, la mia onda,
ora tutto è inghiottito, cade e muore.


Lampare

Scivolavano a sera, le barche,
e accendevano luci sul mare.
Qualcuno, per strada,
consumava la notte a parlare
ed a bere un bicchiere.
Si sentivano storie di pesca,
di quelle che il vecchio
racconta ai bambini
le sere d’inverno,
quando il mare è cattivo
e non s’esce,
si resta in attesa.
Sono storie già scritte,
che le rughe han scolpito
sopra un viso esperto
di onde e di venti,
quando a notte gettava le reti,
aspettando che il sole
sbucasse dall’acqua,
a mandarlo a dormire.
Sono storie di sguardi e silenzi,
sono storie di mare.

Cirò Marina, estate 1970


Mercato dei Saraceni

La notte ha stracciato via
la luce, regalandoci
una pace di stelle.
Intorno è silenzio: solo
il mormorio complice
di grilli insonni.

Fresco, il vento del mare
cancella pensieri, incertezze
e riporta il sapore
di un mondo lontano, immutato.

Fresco, il vento del mare,
ma il tuo corpo è caldo
e profuma di sale la pelle.
Ti stringo più forte
e ti chiamo con nomi d’amore:
so che è qui, il senso.

Un attimo, effimero ed eterno:
essenza – o parvenza – di felicità.

Ad Angelo, 1970


Sughero e vento

Quante volte,
riandando a lontane memorie,
ti rivedo, nonna:
in quelle vecchie frange di nero,
nella tua saggezza antica,
come la tua Sardegna
di sughero e di vento,
di olive e di pietre.
Tra le dita sfogliavi
assolati contorni,
recitando serena
la tua vita già scritta
dagli altri.
Ti riconosco, nonna,
nel tuo largo cielo
sgombro di desideri,
nella tua coscienza chiara,
come il cristallo delle tue certezze.

Io,
non ho in me che domande,
nella mia notte
priva
di stelle fisse.


A mia madre

Vado indietro
a raccogliere attimi,
rari,
per ritrovare un’immagine
del primo volto amato.
Cammino in silenzio,
mi chino
a guardare i ricordi,
uno a uno…

Il mio abbraccio,
quel giorno:
tu, un po’ ubriaca,
ridente, per una volta,
vicina, per una volta.
(il tuo odore era buono)
E quand’ero malata:
sole d’ombra e di nebbia,
i tuoi occhi…
ricordi?

Solo attimi,
pochi,
a segnare
un profilo di vetro:
fragile e tagliente,
ignaro di parole,
di sguardi in ascolto.

Il resto
è un silenzio di mani,
di carezze sospese.


Ricordo un batuffolo rosa

Ricordo un batuffolo rosa
che piange e si quieta d’un tratto.
Poi passano i giorni e un sorriso
disegna un pensiero di luce…

Ricordo una bimba che gioca
nel verde e rincorre le nubi.
Ricordo una bimba che ride
e culla i suoi piccoli sogni:
sentore di mare negli occhi,
ricami di bianco ed abissi…

Ricordo… hai ventiquattr’anni
e ancora il tuo sguardo è indeciso:
rincorre frammenti di cielo,
confusi d’azzurro e di blu.

Insegui i cavalli di vetro
e tenta di prendere il sole:
esistono i fili d’argento
che legano i sogni alla vita…

Ma non trascurare la terra:
se manca, l’azzurro non vive,
se manca, anche il mare è sospeso.

Simona


Sotto il cappello… sulle ventitré

Mani in tasca e calzoni militari,
un seno sbarazzino sotto il golf.
In corsa con anfibi e zaino in spalla,
i ricci che accarezzano l’azzurro…
L’espressione è grintosa ed aggressiva,
ma il tuo cuore è un bambino ed un poeta:
nello sguardo hai l’incanto di chi ride
ma sa amare e soffrire, sa tremare.
I tuoi occhi: gabbiani in chiaroscuro,
sotto il cappello… sulle ventitré.

Elena, 2000


Tridimensione in un incontro

Tridimensione in un incontro:
una ragazza di vent’anni,
una donna di trentacinque,
una signora di cinquantasei:
sedute in cerchio,
l’una all’altra specchio.

Visi diversi, eppure consonanti,
si scambiano battute, cortesie.
Conversazioni in un salotto buono
ed una corsa di pensieri in volo…
Si discute del tempo, delle strade,
di un traffico convulso, senza uscite.

Ragazza:
“Io cambierò il cammino,
la mia via sarà un’ala:
sarà una linea-luce!”
Donna:
“Il sentiero è di vetro
e ad ogni andare
è un sentore di crepe, precipizi…”
Signora:
“Io vedo – ovunque –
segni d’asfalto grigio: solo bitume
che schiaccia l’erba e i sogni.”

Sospensione di tempi, di parole…
Tre sguardi che si studiano, intuendo
fragili trame, domande urgenti e mute…
La signora è lontana, quasi assente,
sembra amare, però, ragazza e donna:
sente in loro ricordi mai sopiti:
un che di noto, un che di familiare.

Sorride stanca,
le abbraccia e le consola
in un ballo di tempi sovrapposti:
di sogni, di cadute, di rimpianti.


Linea di confine

Noi siamo destinati a toccarci
quando sulla linea del tramonto
i corpi annichiliscono,
e così le anime.
Come nebbia, le geometrie del pensiero
si perdono nel sapore di terra,
di muschio, di carne.
Sospensione di attimi:
limbo di realtà incompatibili.
Sogno o intuizione
– forse –
di un altrove inesprimibile.


Quante volte, a scrutare le notti

Quante volte, a scrutare le notti:
d’alabastro le palpebre bambine
che inventavano sogni, fantasie.
Dalla persiana sfilava un po’ di luce:
strane ombre e presenze in agguato
aggredivano il buio, ad impaurire.
Una carezza sbiadiva poi i timori
e la notte di nuovo si faceva amica.

Schegge antiche di vita, nella mente:
il ricordo di un nido, di un abbraccio,
difesa d’un azzurro ancora ignoto.
Poi il volo si fa urgenza, il cielo chiama
per inseguire i giorni ed i colori.
Ha un tempo il nido, un tempo il volo adulto.
Il filo della vita ci allontana,
ma il mio sguardo non teme la distanza,

rimane teso l’arco dell’amore
che resta nido, tela di ricordi.

Volgo il viso al passato, eppure rido
vedendo l’orizzonte che si allarga
a riflettersi in occhi azzurro cielo.

[continua]


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