Il mondo che si è perso

di

Giovanna Brancatisano Sciarrone


Giovanna Brancatisano Sciarrone - Il mondo che si è perso
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
14x20,5 - pp. 32 - Euro 6,00
ISBN 978-88-6587-9795

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Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l’autrice è finalista nel concorso letterario J. Prévert 2008


Prefazione

Con la silloge di poesie “Il mondo che si è perso”, Giovanna Brancatisano Sciarrone conduce la sua visione lirica ad una dimensione armonica che, da un lato, assimila gli incanti del passato e i ricordi affidati “alla sottile febbre del rimpianto” e, dall’altro lato, si abbandona “all’aperto spartito del cuore”, quasi a voler essere artefice lirica in un processo temporale che riunisce i frammenti esistenziali per “ritrovar le parole” che possano alleviare il rimpianto e, ancor più profondamente, per “ritrovarsi e ricostruirsi”, come lei stessa scrive, nella piena coscienza di sé.
Ecco allora che emergono i colori dell’infanzia, le favole e i giochi, le passeggiate in campagna, i “ruzzoloni dentro l’abbeveratoio” e il turbinio dell’acqua del suo torrente; l’immagine delle donne che si recavano al fontanile a prendere l’acqua ancora con le “quartare”; il frinire delle cicale e il fruscio delle foglie dell’antica quercia “agitate dal solito vento di libeccio” quasi a voler cercare, metaforicamente, una sensazione rassicurante nel tempo che passa inesorabile, come le amorevoli mani della madre che ritornano nelle “preghiere di bambina”.
Nei continui rimandi al passato “diluviano i ricordi” a occhi chiusi, le “tenere lentezze”, i “dettagli irrisolti”, le attese che hanno logorato i sogni, le ombre che hanno insediato i pensieri e le dissonanze tra il senso di vuoto e la consapevolezza del vivere.
In alcune composizioni emerge prepotente il senso del rimpianto, la percezione che i “desideri sono sopiti sotto la cenere” e si avverte la sensazione che fa sentire, dentro di sé, il lento “sgretolarsi degli anni” con il passare delle stagioni che accompagna, al contempo, la volontà di cercar di riportare in luce “l’animo nascosto sotto le rughe” e le parole rimaste imprigionate nel “buio della mente”.
Come a ricomporre un mosaico, lirica dopo lirica, tutto viene passato al vaglio di una personale lente attraverso la quale osservare attentamente e scrutare minuziosamente anche le labili percezioni: riemergono le memorie, gli incanti del cuore, il tempo perduto delle attese, la sensazione di disincanto e le mutazioni intervenute nel percorso di una donna che indaga nel “silenzio delle ombre della memoria” e, constata che, nel “solco dell’oblio”, rimangono “vivi” solo i ricordi.
Nella tessitura poetica, è proprio la trama dei ricordi che si intreccia con l’ordito rappresentato dalla consapevolezza della propria identità, del proprio cammino esistenziale, sovente, pervaso da un senso d’inquietudine che riconduce, nell’atto liberatorio della sua visione, alla necessità di avvicinarsi al grande mistero della vita.
Nel continuo flusso di pensieri, scorrono le emozioni e simbolici ritorni al passato, come a distillare il senso della vita attraverso il costante disvelamento del proprio mondo interiore.
La forza lirica si apre a impensate riscoperte e alla efficace rivisitazione delle atmosfere memoriali e delle immagini del mondo circostante in una miscela che alimenta, da parte di Giovanna Brancatisano Sciarrone, il desiderio di scrivere poesie intense, in un profluvio di sensazioni, che illuminino passato e presente.

Massimo Barile


Il mondo che si è perso


Come non feci mai

L’autunno si scioglie in fretta
ai cauti colori della sera;
lo percorriamo con tenera lentezza.
Il sorriso, oggi meno largo,
si apre in una vuota giostra di corallo.

Tu, più avanti negli anni, io,
poco più svelta nell’andare,
camminiamo accanto sull’orlo
del viale, stanca la memoria,
lontane le nostre primavere.

Le nostre promesse sono ormai storia,
le attese brevi, senza più sospetto;
non prendo decisioni senza tuo consiglio,
obbietti solo per offrirmi aiuto
e mi tieni stretta per mano come sempre.

Ti seguo consenziente come non feci mai.


Dissonanze

Darei ogni cosa per rivedervi
come al tempo dei nonni,
ciclopiche mura apriche
con i balconi sulla piazza.

Un oceano di note che si apre
sull’aperto spartito del cuore,
fresie e geranei sbocciati
d’assalto contro le ringhiere.

Dietro una finestra lontana
sorridono, invece, dai vasi
asfittiche violette africane;
reclino il mento sopra esse.

Diluviano ricordi a occhi chiusi,
calde lacrime rigano le gote.


Ed ora

Un filo di luce elude le nuvole
e si filtra tra il pallore delle tende.

Cade sui colori della mia infanzia,
sull’abbecedario, le favole, i giuochi
che ho abbandonato sotto il patio.

Assorta sopra i libri di letteratura
un lavoro ad incastro con me stessa
per ritrovarmi, ricostruirmi al vero.

Rime di nostalgia con i capelli bianchi
ed ora nascoste sotto la prima ruga.


Dettagli

Ti ho dato volto col ricordo
e nella fatica del giorno
sento il tuo sguardo,
riscalda l’attesa che mi resta.

Ti ho dato voce col silenzio
e nella calma della sera
non mi opprimono più
dettagli irrisolti.

Ritrovo le tue parole,
alleviano onde di rimpianto.


Delirio

Anche questo giorno arriva a sera
e non mitiga il delirio di tornare a casa,
ha già sapore di pianto il vuoto che vi trovo.

Vagolano le ombre sopra i muri,
recitano litanie di giorni e di ricordi
affidati alla sottile febbre del rimpianto.

Allarga il sogno l’attesa senza scampo,
polvere di gloria logora la speranza,
in grembo mani vuote e stanche.


Come le rondini

Breve la luce della sera
ed ecco partono le rondini,
vuota la gronda di stridii.

Sopra i campi arsi di fatica
si accorcia con i giorni
il tempo delle mie vacanze.

Rondine forestiera, anche io
volo verso lontana primavera,
ma penso già al ritorno.


Cercherò

Cessata la febbre dei sogni
cercherò la gloria
nell’ombra del pensiero,
troverò le parole
nella quiete della mente
che si apre in canto
di preghiera.
Esaurito il filo dell’attesa
cercherò la strada
al lucore delle lucciole,
troverò il respiro
sui cerchi dell’acqua
che si allarga colpita
dal ciottolo per gioco.


Armonia

Turbinio d’acqua e foglie di quercia
agitate dal vento di libeccio.

Una fioritura di ville chiacchierine
mi trascina d’incanto nel passato,
dentro la vertigine dei giovani anni,
al mio paese, lungo il suo torrente.

Sorride il volto della lontana infanzia
e mi riporta al mare che mi manca,
dietro ineluttabile seghettio di cicale
che brucia l’apatia della siesta.

Le estive passeggiate in campagna,
ruzzoloni dentro l’abbeveratoio
tra teste di asini, di muli e di cavalli;
altalene alla Tarzan tra rami di carrubo.

Senza rimpianti, senza pentimenti,
in armonia della natura con la gente.


Le mani

Si allacciano sul grembo
le mani di mia madre
nel sonno senza attesa.

Sull’oblio dal mondo,
mani nelle mani,
le stringo nel soliloquio
della preghiera che ha messo
sul mio labbro di bambina.

Le aspetto sulle mie,
che l’hanno adagiata nella bara,
per aiutarmi a planare
oltre il muro del mistero.


I colori del rimpianto

Muore l’autunno, livore di neve
arrotola le foglie sul viale,
trucioli abbruniti tra i saltelli
dei passeri sul vuoto delle aiuole.

Dietro il lento singhiozzo della sera
cresce una luna sfumata di scirocco,
sbriciola il suo oro sul maggese
e insaporisce la quiete di quest’ora.

Come vapori mescolati alla bruma
fumano desideri sopiti e il rimpianto
di questa stagione si colora
di giallo, di viola e di marrone.

[continua]


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