Le cornacchie e la guerra civile

di

Giuseppe Matera


Giuseppe Matera - Le cornacchie e la guerra civile
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Narrativa
14x20,5 - pp. 120 - Euro 11,00
ISBN 978-88-6587-130

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In copertina fotografia tratta dall’archivio fotografico fam. Matera


Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto la silloge è finalista nel concorso letterario J. Prévert 2011


La storia di un amore bello e antico, di una semplice famiglia della piccola borghesia italiana e di una guerra civile
che forse non è ancora finita.

Il romanzo è il racconto di un intenso amore fra Oreste, ufficiale del regio esercito e la sua donna, Concetta: entrambi, giovanissimi, ma già profondamente consapevoli del loro comune destino.

L’inizio della storia è ambientato, nell’estate del 1943, in Sicilia nelle vicinanze della città di Trapani, mentre i soldati americani stanno sbarcando in Italia, a poche decine di chilometri di distanza.

Durante la narrazione emergono i ricordi di una fantastica impresa vissuta dal protagonista nella sua infanzia e di un terribile episodio di guerra accaduto invece, in un luogo non lontano dalla Sicilia, poche settimane prima dell’invasione.

Gli eventi di quella torrida e violenta estate riescono infine a dividere i due ragazzi e la guerra civile sembrerebbe disperderli definitivamente, mettendo la parola fine alla loro appassionata relazione.

Quell’amore invece prosegue, per giungere ad un finale drammatico ma intriso di profonda e sincera spiritualità.


Ringraziamenti

Un ringraziamento particolare va all’amico Carlo Di Martino che mi ha aiutato, per la stesura di questo breve romanzo, con i suoi preziosi consigli nel difficile utilizzo della “lingua” siciliana.



Le cornacchie e la guerra civile

A Dionisio e Maria Luisa


Ma ora è chiaro che l’anima non ha morte.
Platone, «L’anima»


1.

Gli animali attraversarono improvvisamente e a volo radente lo spazio sopra la testa dell’uomo, per lanciarsi verso uno spoglio terreno recintato proprio di fronte al bosco, in quello che poteva sembrare, a prima vista, un curioso gioco.
I loro acuti krah krah, attirando l’attenzione di Giovanni lo indussero a fermarsi, togliersi gli auricolari, attraverso i quali sino a qualche istante prima si stava godendo le liquide sinfonie di Ludovico Einaudi e osservare meglio la scena.
Ma lo spettacolo non era affatto un gioco, bensì subito gli si rivelò come un crudele e mortale duello, combattuto in quella gelida domenica mattina.
L’uccello più pesante e lento, raggiunto all’interno del campo, crollò alla fine rovinosamente al suolo, ferito dai feroci e rapidi colpi delle unghie e del becco dei suoi simili.
Le grida erano divenute spaventose e la lotta fra gli animali, terribile a vedersi, era altrettanto angosciante a sentirsi.
L’uccello più debole, lottando ancora con tutte le sue forze per un istante riuscì ad alzarsi dal terreno, ma subito gli altri precipitandosi su di lui gli furono di nuovo addosso riportandolo a terra e avventandosi senza pietà.
L’animale, pur avendo oramai il morbido ventre dalle piume chiare squarciato e sanguinante, seguitava ancora ad agitare, pur se con sempre minore energia, le grandi ali grigie mentre i nemici, senza pietà, continuavano ad affondare le loro armi in quel povero e indifeso corpo.
Così dopo pochissimi altri istanti, con l’alzarsi in volo e lo scomparire nel cielo terso dei due aggressori, l’agonia ebbe termine.
Giovanni, arrampicandosi sulla recinzione del campo, tentò allora di individuare il luogo dove l’uccello era caduto e, ad una decina di metri da lui, ne scorse il corpo immobile.
Il silenzio era di nuovo tutt’intorno e l’uomo, superato lo stupore, non poté far altro che riprendere a percorrere la sua strada.
Nonostante il sole fosse oramai alto adesso però gli sembrava facesse un po’ più freddo di prima.
Il ricordo di quella scena così cruenta non si decideva poi a lasciare la mente di Giovanni anzi, l’uomo nel tentativo di attribuirgli un qualche significato razionale, si inoltrava senza più far caso al mondo circostante, in innumerevoli ipotesi:
Quale mai potrebbe essere stata la causa di quello che è successo?
Magari quell’uccello aveva invaso un territorio non suo? Oppure aveva corteggiato una femmina già accoppiata?
O l’accanirsi degli uccelli più veloci era dovuto a semplice crudeltà?

Ma a distogliere Giovanni da quelle insistenti congetture fu il rumore dei passi di qualcun altro vicino a lui.
Voltando il capo l’uomo scorse così a pochi metri Emilio, il suo giovane vicino di casa, appassionato anche lui di corsa in campagna.
Spesso capitava che i due scendevano insieme per andare a correre o si trovavano per caso sulla stessa strada.
Emilio, professore di scienze dal cranio prematuramente calvo ma con una folta e lunga barba scura, in quanto molto più giovane di Giovanni, teneva di solito un passo più veloce e anche stavolta era in procinto di superarlo allegramente.
Ciao Giovanni, già in giro a quest’ora?
Ciao Emilio, lo sai che ho una certa età e la mattina mi sveglio presto.
Già, l’età c’è tutta infatti vai come il solito alla velocità di una lumaca.
Bravo, fai lo spiritoso! Ma sai che poco fa ho assistito ad un brutto spettacolo e ancora ci stavo pensando su.
Cioè?
Un vero e proprio combattimento fra quelle grosse cornacchie che si vedono qui intorno un po’ dappertutto, un paio di loro ne hanno attaccato un’altra e in pochissimo tempo l’hanno ammazzata. Se guardi in quella direzione dovresti vederne la carcassa. Sai che proprio non mi era mai capitato di osservare niente di simile!
Ho capito benissimo, perché anche a me è successo più di una volta di assistere a qualche scena del genere, è una consuetudine di quel tipo di uccelli, quando uno di loro che magari fino a poco tempo prima era stato un capostorno diventa vecchio, gli altri lo attaccano, per eliminarlo!
Quindi quella guerra fra di loro è come una specie di selezione naturale?
Direi di sì, la loro natura è fatta così.
Già, ma è stata una scena veramente orrenda, te l’assicuro.
Non lo metto in dubbio: sai questi uccelli mi hanno sempre affascinato un bel po’, così presenti nel nostro ambiente, eppure ancora misteriosi.
Misteriosi?
Perché vedi oltre a questi comportamenti diciamo abbastanza singolari per quella che dovrebbe essere la natura di pacifici volatili, c’è dell’altro!
Sarebbe a dire?
Alcune popolazioni primitive consideravano la cornacchia un animale totem molto particolare!
E perché?
Secondo loro proprio quest’uccello è dotato di una facoltà magica e cioè del potere, trasgredendo le leggi naturali, di trasferirsi nello spirito di un’altra creatura e essere così presente in più luoghi contemporaneamente.
E a me che sembrava un innocuo e un po’ stupido uccellaccio!
Ma caro Giovanni, anche se in natura le cose spesso non sono quelle che sembrano, non vorrai credere alle leggende di popoli selvaggi?
Leggende? Mah… e se ci fosse qualcosa di vero? Piuttosto sai che ti dico, che a me invece è passata pure la voglia di correre e penso proprio che me ne torno a casa! Ciao, ci vediamo.

L’uomo, sorridendo e salutando con un cenno il giovane amico, invertì allora la direzione per avviarsi finalmente verso a casa.
Ma ripassando per il luogo dove poco prima era stato testimone della lotta, non riuscì a soffocare, dentro di sé, un’irragionevole sensazione di disagio: magari quell’episodio non era altro che un segno dell’avvicinarsi, anche per lui, di un’imprevedibile tempesta, di un qualche improvviso cambiamento che mai si sarebbe aspettato di vivere in quei giorni.


2.

Le onde del mare, nel loro fluire quieto, parevano indifferenti al rumore cupo delle bombe da 250 chili dei Liberator che stavano esplodendo sul porto, sulle strette strade cittadine, sui tetti in tegola antica delle case del centro.
E a solo pochissimi chilometri di distanza da quell’inferno Ninni non poteva far altro che osservare, immobile e inorridito, la scena dalla spiaggia.
La sabbia scottava ancora come nelle lontane giornate d’estate quando da piccolo si divertiva a costruire, insieme agli amici, delle invincibili fortezze, in attesa dell’attacco del più feroce fra i nemici, il mare.
Ma il bambino, in silenzio, se ne era andato via e diventato uomo stava adesso, guardando quelle colonne di fumo denso e nero causate dal bombardamento della sua città, maledicendo in cuor suo quei ben più spietati nemici.
Allo stesso tempo però la luce brillante del mare, abbagliando i suoi occhi, evocava in lui un sentimento molto diverso dall’odio, il suo nuovo amore.
Lei, prepotente e solare, trovava sempre più spazio nella mente del giovane e la sua immagine era come un rifugio segreto dove non potevano arrivare nemmeno i luccicanti B24 americani.
Anche se nella realtà, invece, gli aerei arrivavano puntuali, assetati di sangue e così alti da non esser infastiditi né dalla contraerea, né dai pochi spericolati Macchi, rimasti a difesa di quella parte dell’isola.
I bombardieri giungevano non solo per distruggere quel poco che era rimasto intero del porto, rovinando anche tante case antiche e splendide del settecentesco centro storico, ma per terrorizzare e sterminare, uccidere a caso.
I sopravvissuti poi, terminato lo scempio, uscivano dai rifugi, per lo più in silenzio e con sguardi rassegnati, anche se il portamento e l’incedere dei più rimaneva altero e dignitoso.
Per la verità, proprio quell’incrollabile e dura forza d’animo interiore, una dignità profonda e d’altri tempi, era sempre apparsa a Ninni quale la caratteristica della gente della sua terra.
Ma poi improvvisamente, gli aerei finalmente scomparsi dal cielo e il bombardamento cessato, sulla sterrata che costeggiava la spiaggia, apparve Tina, in sella alla sua vecchia bici nera.
La ragazza, splendida e innamorata, pur spaventatissima, non riusciva, in quei giorni, ad essere né triste né rassegnata.
I suoi occhi colore della mandorla, la cui curiosa forma all’insù ricordavano quelli di una morbida gatta, erano sempre sorridenti, mentre le labbra carnose e dalla forma perfetta, spesso si aprivano per lasciare uscire un fiume di parole, come solo può accadere ad una ragazza di diciotto anni, felice, nonostante tutto quello che stava accadendo intorno, della propria gioventù.
I capelli lunghi, nerissimi e ricci, raccolti dietro la nuca, brillavano al sole formando un contrasto incantevole con il bianco e rosso della pelle del volto.
Ninni rimase così per qualche attimo incantato ad osservarne la straordinaria e giovane bellezza, messa ancor più in evidenza da un semplice vestito di cotone bianco strettissimo in vita.
Ma, dopo pochi istanti, si alzò scuotendo la sabbia appiccicata sulle maniche della camicia militare, rimettendo rapidamente in ordine la divisa e andando incontro alla ragazza, per abbracciarla e baciarla sulla bocca fresca e profumata.
Ciao amore mio, ma hai visto, giù in città? E tutta la gente che è rimasta, mischina, ma come fanno a resistere? Gli chiese subito lei, slacciandosi a fatica e respingendolo dolcemente, nel timore sempre presente di vedere comparire, la madre che, arcigno cane da guardia, non la lasciava quasi mai da sola.
Ho visto, Tina. Per fortuna che gli americani se ne sono andati quasi subito, anche se purtroppo torneranno presto.
Ma non smetteranno mai?
Certo, ma non so proprio quando! Per adesso dobbiamo solo resistere, non farci prendere dalla paura e vedrai prima o poi finirà. E tu come è che sei qui sola, soletta?
Con mamma mi sono inventata una piccola scusa. Dai però adesso facciamo una passiata, che poi me ne devo tornare subito a casa.
Va bene, arriviamo agli scogli?
Va bene! Ma tu le hai sentite le notizie di quello che è successo a Medusa?
Sì, ho sentito, ma non vuol dire niente sai!
Ninni io ho una pena tremenda: ogni notte sogni orribili mi fanno scantari da morire!
Me lo immagino, ma non devi sai! Io sono convinto che laggiù si sono dovuti arrendere soprattutto perché non avevano più acqua da bere: questi americani non sanno fare la guerra, non l’hanno mai saputa fare! Prima bombardano a caso, dappertutto, poi a terra mandano avanti i poveracci come i marocchini francesi o gli indiani Cherokee, ubriachi o pieni di benzedrina che non sanno nemmeno dove si trovano e perché stanno combattendo questa guerra! La verità è che loro, gli americani o gli inglesi hanno semplicemente paura di battersi con noi! E poi ricordati che qui in Sicilia non siamo soli, ci sono i camerati della Goering: vedrai che, se gli americani hanno voglia di venire a terra gliela facciamo passare! Li aspetta una bella sorpresa!
Speriamo che sia proprio così! Ma Ninni, tu quando devi rientrare al reparto?
Ho ancora tre giorni di licenza e poi devo tornare ad Alcamo; ma non pensiamo alla guerra adesso, parliamo di noi piuttosto. Hai qualche novità da dirmi?
Nenti, i miei non vogliono sentire parlare di te, dicono che sono troppo giovane, che la tua è una famiglia così importante e che comunque prima di tutte le cose deve finire questa maledetta guerra!
Una famiglia importante… e che cos’è un peccato? Eppure mi conoscono e sanno bene chi sono tutti i miei parenti!
Già ed è questo il punto! Proprio perché a Trapani il comandante Canepa è così conosciuto è nata tanta invidia per questa nostra storia! Anche fra le persone che meno te lo aspetti! Ma lo vuoi sapere cosa ha riferito il parroco a mia matri?
Dimmi.
Ha detto che una ragazza per bene non deve pensare a uno come te, se lo deve togliere dalla testa!
E perché mai avrebbe detto queste cose?
Perché don Rino, grazie ad un sacerdote molto importante e informato, ha saputo, che tu a Roma sei stato un gran fimminaru, sempre a correre dietro a tutte le ragazze, insomma uno poco serio! E poi anche altro…
Altro?
Sì! Lui ha anche raccontato che i tuoi genitori non hanno lu piaceri che tu ti fidanzi con me, perché… perché io sono la figlia di un semplice maestro di scuola elementare.
E i tuoi gli hanno creduto?
Ma cosa vuoi, mia madre è così religiosa, che la parola del parroco per lei è oro colato, anche se è un prete vecchissimo e un po’ rimbambito! Ma tu a me devi dire la verità!
Certo i miei sono persone all’antica e a volte capisco che per loro le differenze di ceto sono difficili da accettare! Ma tu veramente pensi che per me sia più importante il loro giudizio del tuo amore?
No amore mio, io non lo penso per niente! Io non credo a nessuno, solo a te, lo sai che sono nata quando ti ho incontrato!
E se ti impedissero di vedermi?
Amore mio, anche di questo tu non ti devi preoccupare: nulla e nessuno mi staccherà mai da te, nulla e nessuno!

La splendida coppia, lui con quel suo bel fisico alto e dalle larghe spalle con lei accanto piccolina, ma armoniosa e perfetta, camminarono ancora per un bel po’, in quella lucida mattina d’estate, in silenzio, posando i piedi nudi sulla sabbia e tenendosi per mano.
Poi la ragazza si fermò, abbracciò forte Ninni e salutandolo appassionatamente con un lungo bacio gli disse fissandolo negli occhi:
Ciao amuri mio, io adesso devo proprio scappare, ma ci vediamo, sai, ci vediamo qui domani mattina!
Poi, correndo veloce come il vento, raggiunse la strada sovrastante la spiaggia, salì sulla sua bicicletta e si diresse in direzione di casa, poco lontana dal luogo del loro appuntamento.
Anche la famiglia di Tina aveva trovato ospitalità in quel borgo, risparmiato, fino ad allora, dai rovinosi bombardamenti.
Ciao Tina, piccola mia a domani! le gridò dietro Ninni, mentre si apprestava a raggiungere anche lui la bicicletta.
Ma giunto sulla strada, volgendo lo sguardo verso il mare e gli scogli sottostanti, si fermò tornandogli in mente forte la nostalgia delle lontane e tranquille stagioni calde della sua infanzia.
Il ricordo di quei pomeriggi assolati, quando con gli amici, gridando forte per farsi coraggio, proprio su quella spiaggia, saltavano giù nel profondo e fresco cristallino del mare per fare a gara a chi raccoglieva più ricci neri.
E dalla memoria emerse così, felice e inaspettata, anche quella lontana e aspra avventura, progettata e realizzata insieme al più amico fra tutti, Peppino, e intrapresa con l’incoscienza dei loro tredici anni: la fuga verso il nuovo impero!
Pur se da allora ne era trascorso di tempo, quel ricordo permaneva ancora dentro la sua anima vivo e luminoso, pronto a materializzarsi come fosse accaduto solo qualche mese prima.


3.

L’arrivo a Palermo della nave dei legionari diretta verso l’Africa Orientale era previsto per quel giorno e dunque per imbarcarsi era sufficiente solo fare il breve viaggio in treno da Trapani a Palermo.
L’Africa sarebbe stata allora, finalmente, il sogno trasformato, nella vita dei due ragazzini, in una fantastica e avventurosa realtà.
Peppino strillò Ninni dalla strada Peppino, e dai che si fa tardi!
Eccomi! gli rispose immediatamente l’amico affacciandosi al piccolo balcone, dalle ringhiere in metallo arrugginito, della casa dove abitava, a pochi isolati da quella di Ninni scinnii subbitu! Ma talia che non è tardi!
Non fa niente, è meglio movirsi in tempo!

I due ragazzi, così diversi fra loro, i capelli biondi come i limoni Ninni, neri come le more Peppino, camminavano però insieme, fieri della loro amicizia, nelle sgargianti uniformi da Balilla, i calzoni corti, la fascia elastica alla vita e la camicia nera.
Il giorno prima, come previsto nel loro piano, avevano comunicato ai genitori di voler assolutamente andare a salutare le truppe pronte ad imbarcarsi per l’Africa e per questo, quella mattina, erano stati lasciati liberi dalla scuola.
Una volta in strada, camminando con passo affrettato verso la stazione, Peppino sussurrò all’amico:
Ninni, ma siamo proprio sicuri di quello che stiamo per fare?
Sicuri? Ma che razza di domanda vai facendo? Io non sono più nella pelle alla sola idea di quello che ci aspetta, ma tu non è che ci stai ripensando?
Ripensando… io ho solo timore che una volta sulla nave ci scuprunu!
Peppino, ma dai ne abbiamo parlato per giorni! Una volta a bordo e partiti, la nave certo non torna a Palermo per noi!
Ma sì, hai ragione tu e poi lo sai io ne ho voglia quanto te di questa avventura!
E allora basta con questa parlantina, è arrivato il nostro giorno, non si torna indietro!
Non si torna indietro!
Gridarono così insieme gli amici, scoppiando in una gran risata liberatoria.
Sul treno nessuno fece caso ai due anche perché era affollato sino all’inverosimile di gente: balilla e avanguardisti convocati per le cerimonie di saluto insieme a militari che si stavano recando, con quel vecchio e lento treno, proprio a Palermo per imbarcarsi.
Una volta giunti in città e scesi dal treno i due si trovarono così immersi in una folla confusa e festante di persone, bandiere e gagliardetti.
Arrivarono al porto proprio nel momento in cui era apparsa, all’orizzonte, l’imponente sagoma della bianca nave traghetto diretta verso l’Africa, verso l’impero da conquistare, gli infiniti deserti, le belve feroci da affrontare e i selvaggi da civilizzare!
Alla vista della nave la confusione si accrebbe enormemente: la fanfara della regia marina militare iniziò ad accordare gli strumenti, i militari, le fidanzate e i genitori si strinsero, vociando rumorosamente, sempre di più intorno al folto gruppo di giovani legionari i quali, con il tipico casco coloniale, la divisa cachi e i loro zaini ricolmi, attendevano tranquilli il fatidico momento dell’imbarco.
Ma all’approssimarsi del traghetto anche loro, i legionari, presi dall’emozione iniziarono ad agitarsi e così d’improvviso, tutt’insieme, spontaneamente e a squarciagola iniziarono a cantare le allegre strofe della canzonetta tanto nota di quei tempi:

faccetta nera, bell’abissina,
noi per bandiera ti darem quella italiana
quando saremo vicini a te,
noi ti daremo un’altra legge e un altro re
faccetta nera bell’abissina,
aspetta e spera che già l’ora s’avvicina…

Eccoli gridò all’orecchio di Peppino l’amico ora dobbiamo solo trovare Tonio!
Il piano dei due ragazzi era stato concertato insieme con Tonio, un ventenne di Trapani, militare volontario per l’Africa che aveva promesso loro li avrebbe fatti imbarcare di nascosto, esclamando in fin dei conti di mascotte il regio esercito e le camice nere ne hanno un po’ dappertutto!
Ninni e Peppino, forti dell’incoscienza dei loro pochi anni e della presunzione che esser figli di militari gli avrebbe consentito di superare ogni ostacolo, si erano fidati, elaborando sopra quella promessa il loro sogno d’avventura.
La folla, però, non consentì ai due ragazzi nemmeno di avvistare il militare loro complice.
Forse, gridò Peppino sforzandosi di rimanere vicino all’amico non dovevamo fidarci di Tonio, magari non è nemmeno vero che si deve imbarcare oggi!
Ninni voltandosi verso il ragazzo lo guardò negli occhi e stava per rispondergli, ma poi, perplesso, se ne rimase zitto, tentando solo di resistere alla pressione della gente intorno che li divideva uno dall’altro.
Dopo un po’ i due ragazzi riuscirono, allontanandosi di qualche metro dalla banchina affollata, a parlare fra loro con un po’ più di calma.
Ninni, ma secondo te Tonio potrebbe averci tradito?
E perché mai, che male gli abbiamo fatto?
Ma non lo so, forse ha avuto paura della reazione dei nostri genitori! Certo non mi sembra proprio di averlo visto fra i legionari!
Già, questo è vero! Senti Peppino tagliò allora corto Ninni l’unica soluzione a questo punto è chiedere a qualche altro legionario se conosce Tonio!
Così facendosi coraggio uno con l’altro i due ragazzi si avvicinarono al militare più vicino.
Potete farci un favore? domandò Ninni a un ragazzo sui vent’anni, intento a preparare lo zaino per l’imbarco, il quale alla domanda alzò immediatamente uno sguardo incuriosito su di loro.
Ma certamente, cosa vi serve?
Stiamo cercando, per salutarlo, un nostro parente di Trapani, è un legionario che deve partire per l’Africa, proprio oggi con questa nave…
Oggi tutti dobbiamo partire, l’impero ci attende! E come si chiama questo vostro parente?
Tonio rispose Peppino prendendo la parola Tonio Aguzzi, legionario!
Nenti, io non lo conosco! Però aspettatemi qui, vediamo cosa posso fare!
I due piccoli ardimentosi videro così scomparire il militare fra la folla e con l’animo oramai insidiato da mille dubbi rimasero immobili ad aspettarlo, senza più parlare fra di loro, senza nemmeno tentare di rivolgersi a qualche altro militare fra i tanti, che peraltro indaffarati come api in un alveare non li degnavano nemmeno di uno sguardo.
Ma non passarono che pochi minuti, la nave traghetto era oramai vicinissima alla banchina e i ragazzi ne erano completamente affascinati, quando ricomparve il legionario, stavolta in compagnia di un milite, in grigio verde e moschetto a tracollo.
Il quale subito chiese loro ma voi dove state andando? Come vi chiamate?
Era la fine, i due non tentarono nemmeno di fuggire né di inventare una qualche scusa.
La visione di quella grande nave, la folla rumorosa, il suono della banda militare, tutto contribuiva a creare nella mente dei ragazzi una sensazione come di ubriachezza tale che si lasciarono, così, docilmente e gli occhi lucidi, condurre via verso gli uffici della polizia marittima, nello sfumare di un sogno, in un’arrendevolezza forse nemmeno tanto infelice: il pensiero di tornare a casa, dai propri genitori, alla vita e agli amici di tutti i giorni, non era poi così triste, anzi…

[continua]


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