Fratelli si nasce

di

Guglielmo Vismara


Guglielmo Vismara - Fratelli si nasce
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 122 - Euro 12,00
ISBN 978-88-6587-5773

eBook: pp. 109 - Euro 5,99 -  ISBN 978-88-6587-5940

Clicca qui per acquistare questo libro

Vai alla pagina degli eventi relativi a questo Autore


In copertina: fotografia dell’autore


Nota dell’autore

I luoghi hanno nomi veri, ma sono inventati. Così come le persone citate in questo libro. Ognuno può leggerci la propria vita o quella di qualcuno che conosce. Ciò che conta è che le parole che si leggono qui, facciano pensare un po’ alla realtà, non sempre favolosa.

Le occupazioni che si sono «consolidate» nei primi sei mesi del 2014 sono 482: oltre due terzi, in un solo semestre, di tutte quelle registrate nell’intero 2013 (furono 668). È il segno di una crisi sociale che arriva a proporzioni disastrose e sconfina nell’illegalità, affidandosi sia all’«immobiliare politica» (quella di alcuni centri sociali che favoriscono le occupazioni soprattutto a San Siro, al Ticinese, ora anche al Corvetto), sia all’«immobiliare criminale» (le gang di nomadi, maghrebini o italiani che sfondano le porte e «vendono» le case per 2-3 mila euro tra Lorenteggio, Calvairate, ancora Corvetto). Solo in zona San Siro, in questo momento, ci sono 477 occupazioni abusive e 667 alloggi sfitti, e intorno a questi ultimi si concentrano i tentativi di occupazione che si ripetono a ciclo continuo, a una media di almeno 10-15 al giorno (in tutta la città). E quello è il punto chiave: la crisi dei bilanci non permette di ristrutturare e assegnare gli appartamenti. Che rimangono a lungo vuoti, preda delle bande criminali. Il Comune sta tentando di assegnare le prime 50 case affidando i lavori agli inquilini, ai quali verranno scalati poi i costi dall’affitto. Se il meccanismo funzionerà, potrebbe diventare un’efficace azione contro l’abusivismo. (Corriere della sera, 5 agosto 2014)


Fratelli si nasce


Non ci sono più di due cose:
la realtà e la finzione.
Ma una, la realtà,
ormai, può accadere
solo nei modi dell’altra.


Quando i fratelli vanno d’accordo, nessuna fortezza è così solida come la loro vita in comune.
(Antistene)


Ai miei fratelli e sorelle:
Camy, Nina, Bau e Matty


1

“Notizia”: Oggetto di comunicazione o diffusione, ritenuto di particolare importanza ai fini dell’interpretazione di fatti contingenti o a proposito delle reazioni che può provocare nei singoli o nella collettività.
Ci sono notizie che si apprendono con l’esperienza e ci sono quelle che si imparano con l’intervento di altre persone. Ci sono notizie allegre, quelle tristi, quelle che ti cambiano la vita e quelle che ti lasciano indifferente.

La televisione era ancora accesa in parecchie sale di quei palazzoni popolari, nel quartiere San Siro.
Era appena stata trasmessa una notizia che, ormai, non faceva più notizia. Un ragazzo sui venticinque anni, non ancora riconosciuto, era stato trovato con il cranio aperto e il volto sfigurato, in un cortile delle case Aler nel quartiere San Siro.
Nessuno lo aveva notato. Nessuno poteva dare l’allarme. Era stato trovato, per caso, da un bambino mentre girava per quei paraggi con la sua bici. Spaventato, andò a chiamare la mamma che avvisò i carabinieri. Con loro arrivarono anche gli avvoltoi, i giornalisti. Per tre giorni ci fu un viavai di gente e persone nuove. Per qualche momento si era accesa un po’ la vita in quella zona dimenticata anche da Dio.
Nel corso di quei giorni, nuove notizie informarono che il ragazzo si chiamava Carmelo Esposito, di ventiquattro anni, e si era buttato da un balcone di un appartamento del settimo piano, che era stato occupato abusivamente.
“Giustizia è stata fatta”, si diceva in giro.
Poi tutto tornò come prima: le case popolari non fecero più notizia e gli avvoltoi andarono a cercare altri cadaveri per potersi cibare.


2

“Vaffanculo stronza! Ora è nostro! Voglio vedere che faccia fa quella vecchietta quando rientrerà a casa e ci trova dentro”, disse con una faccia più che soddisfatta, Carmelo.
“Vorresti dire la sua ex casa. Comunque sia, buon compleanno, fratellino”, sottolineò Ambrogio, mentre gli tirava per diciotto volte le orecchie.
“Era già anche nostra… se no che cazzo le chiamano a fare “popolari” ‘ste catapecchie?”, ribadì Carmelo con un ghigno arrogante.
Mentre tiravano calci e spallate a quella porta, che non decideva a scardinarsi, i due fratelli Esposito bestemmiavano ad alta voce.
Lessero anche il nome sul citofono: “Rosa Scaburro”, dissero ridendo con un accento meridionale.
A quei rumori nessuno avrebbe fatto caso, perché in quelle zone si sentivano spari e grida ogni giorno. I calci e le spallate ad una porta erano ancor più monotoni della quotidiana routine.

Aspettavano quel momento da settimane. Aspettavano come falchi la preda giusta. Si erano appostati per intere giornate, con la pioggia e il sole, col vento e con la grandine. Si sedevano sui marciapiedi del cortile o sulle scale interne dei palazzoni. Facevano finta di parlare senza conoscersi o sonnecchiavano sulle panchine.
E la preda era arrivata. Un’anziana se n’era appena uscita dal proprio appartamento al settimo piano. Come al solito chiuse la porta a doppia mandata. Ma non in tutti i quartieri del mondo basta una porta a due mandate per custodire la propria tranquilla dignità.
Avevano capito che andava nel minimarket lì vicino, perché teneva una borsetta di plastica in mano ed era vestita come quando si sta in casa: ciabatte e grembiule.
Dovevano sbrigarsi per entrare e restare al sicuro.

Erano sessanta metri quadrati ben curati. Notarono subito che la pulizia era un passatempo frequente di quella vecchia: c’era un ordine spaventoso e sul tavolo in cucina c’era addirittura un piatto di insalata, con tonno e mozzarella, pronto da mangiare.
“Starà aspettando qualcuno quella stronza?”, disse indifferente Ambrogio, mentre si metteva in bocca metà mozzarella.
“Che cazzo ce ne frega? Da qui non ci sposta più nessuno, a meno che ce ne andiamo noi”, rispose fiero Carmelo.

Di certo tra quelle mura faceva più caldo che fuori e, se avesse piovuto, non si sarebbero bagnati. Fecero il giro delle stanze. Non ci impiegarono molto a vedere la camera col letto matrimoniale di legno scuro, in stile catafalco; la saletta con il divano letto e il tavolo rotondo; il bagno con la vasca con, innestata, la doccia. Per due persone era l’ambiente ideale. Sulla credenza c’erano tante foto che ritraevano una donna e un uomo in diverse età della vita. Tutte ritraevano due volti sorridenti e soddisfatti. Se i due fratelli Esposito si fossero fatti una foto in quel momento avrebbero avuto proprio quelle facce.
Solo una fotografia raffigurava l’uomo da solo.
Ambrogio la prese e la girò: “Chi vive nel cuore di chi rimane non muore mai”, lesse ad alta voce con un tono sgradevolmente finto.
“Cazzo vuoi?”, chiese dalla stanza matrimoniale suo fratello.
“Vieni di qua che ci divertiamo un po’ con alcune cose”, lo invitò Ambrogio.
Quando arrivò nella saletta, Carmelo vide le foto e guardò quella con il ritratto dell’uomo da solo. “Sei proprio uno stronzo a prendere per il culo i morti!”, disse dispiaciuto. “Già, stiamo sfrattando la vecchia… almeno il marito lasciamoglielo stare.” Così prese la foto e la adagiò con la faccia sul legno. “Almeno non ci vede”, aggiunse con un sorriso beffardo.
Ambrogio tirò la tenda che dava sul cortile: “Minchia come siamo alti. Se saltiamo da qui, anche se fossimo uccelli, non arriveremmo interi di sotto”, disse sorpreso. “Guarda che panorama che s’è vista la vecchia finora!”, aggiunse orgoglioso. Così si girò e prese in mano alcune cornici con le foto.
“Guarda come volano” e ne lanciò una. In meno di sette secondi si sentì un piccolissimo rumore. Si affacciarono entrambi verso il cortile e videro il legno della cornice in mille pezzi. Notarono schegge di vetro che brillavano ovunque. La foto che ritraeva marito e moglie nel giorno del loro matrimonio, invece, era rivolta verso di loro. Quei due sposi stavano guardando quei due ragazzi. Carmelo si sentì colpito da quell’avvertimento, mentre Ambrogio continuava a lanciare come aerei di carta le fotografie.
Al decimo lancio sentì che il braccio era stanco e quindi si mise a guardare il disastro che aveva commesso al piano terra. Tra le foto e le cornici rotte vide la signora anziana che le stava raccogliendo per mettersele in tasca. Guardò in direzione della sua casa e si chiese come potessero essere finiti lì i suoi ricordi.
“Melo” disse ridendo Ambrogio “vieni a vedere! Sta tornando la vecchia. Tra dieci minuti busserà e noi la cacciamo fuori da casa sua.” E cominciò a ridere a crepapelle da solo.

In meno di dieci minuti, Rosa era davvero sul suo pianerottolo e si trovò davanti la sua porta divelta. Cercò di aprirla, ma era bloccata dall’interno. Allora cominciò a bussare.
“Chi è? Chi cazzo è?”, disse una giovane voce sbruffona da dentro l’appartamento.
“Sarei la proprietaria dell’appartamento”, disse timidamente impaurita Rosa.
“Mi spiace per te, vecchia mia, ma ora ti conviene cambiare aria”, disse la stessa voce “se no potresti fare le scale a rotoli.”
“Chiamerò la polizia!”, controbatté decisa e sicura l’ex inquilina.
“Faccia con comodo”, replicò, per l’ennesima volta, sempre la stessa voce.

Nel giro di mezz’ora due poliziotti furono sul pianerottolo in compagnia di Rosa. Carmelo guardò fuori dalla finestra e chiamò il fratello: “Ambro ce ne sono giù ancora un paio. Cosa facciamo adesso?”, domandò impaurito.
“Lascia fare a me Melo”, disse sicuro Ambrogio. “Ti tirerò fuori dalla merda anche stavolta. Stai solo a vedere… e impara”, concluse con un occhiolino.
Un agente bussò alla porta.
“Chi è?”, domandò nuovamente Ambrogio. Stavolta con voce tranquilla e accogliente.
“Sono un agente di polizia. Apra per favore.”
“Un attimo, sistemo il tavolo e arrivo al volo”, disse l’inquilino.
Meno di un minuto dopo Ambrogio era sull’uscio, mentre si asciugava le mani con uno straccio, davanti ai due agenti e Rosa. “Cosa desiderate?”, domandò innocente il ragazzo.
“Questa signora afferma che è la proprietaria dell’appartamento e voi lo avete occupato abusivamente. Una prova è la porta rotta”, disse sicuro di sé il poliziotto.
“Scusatemi, ma questa signora non l’ho mai vista”, disse con occhi gentili Ambrogio. “Probabilmente soffre di allucinazioni”, aggiunse in tono convincente.
“Possiamo entrare per constatare che non ci siano effetti personali della donna?”, chiese il secondo agente.
“Non ci penso proprio”, disse contrariato il ragazzo. “In questa casa abito con mio fratello minore da quando i miei genitori sono morti. È l’unica cosa che ci rimane di loro. Questa notte abbiamo sentito dei rumori molesti e abbiamo messo in fuga dei ladri che ci hanno rotto la porta. Ho chiamato il falegname, ma non è ancora arrivato.”
Ambrogio si fermò per avere il tempo di tirare su col naso e far finta di asciugarsi una lacrima. Sembrava nato per fare l’attore. Poi gli venne un’illuminazione:
“Se varcate la soglia senza avere un mandato di perquisizione vi denuncio per violazione di domicilio”, concluse il ragazzo, fiero di sé.
A quelle parole i due agenti rimasero sorpresi per la fermezza con cui vennero pronunciate. Di fronte a quelle stesse parole la povera donna si sentì persa. Cominciò a piangere e a urlare tra i singhiozzi: “Farabutti! Spero bruciate in quella casa! Possiate patire le pene dell’inferno nei giorni che vivrete sulla terra e per il resto dell’eternità. Nel comò del mio cassetto c’è l’atto di proprietà della mia casa! Siete dei luridi esseri immondi!”
Gli agenti dovettero calmarla e sorreggerla, perché stava per cadere a terra.
“Bene” disse un agente “per oggi abbiamo terminato.”
“Arrivederci agenti”, disse Ambrogio mentre chiudeva, con un sorriso, ciò che rimaneva della porta d’ingresso.

Appena i quattro agenti e Rosa se ne furono andati dal cortile Carmelo abbracciò il fratello: “Non immaginavo fossi così un fottuto stronzo”, disse esaltandosi. “Non avrei immaginato che inventassi una storia strappalacrime come quella.”
“Gli orfani fanno sempre pietà… anche al giorno d’oggi”, aggiunse il fratello maggiore. “Ora però diamoci una mossa. Dobbiamo buttare tutte le cose di quella vecchia stronza, atto di proprietà compreso. Così se tornano ancora gli sbirri li freghiamo definitivamente.”
Passarono in rassegna tutte le stanze. Portarono nella sala tutte le cose che erano appartenute a Rosa: vestiti, occhiali, scarpe, rosari e libri con il suo nome, fotografie, oggetti da bagno e tazzine con le sue foto. Trovarono l’atto di proprietà proprio dove aveva indicato Rosa agli agenti. Cominciarono a buttare tutto dalla finestra e, un po’ alla volta, il cortile si coprì di indumenti e oggetti vari.
L’atto di proprietà prese fuoco nel water dopo averlo cosparso di una bottiglia di alcool. Staccarono anche il nome dal campanello. “Che rincoglioniti quegli agenti”, sbuffò Ambrogio. “Se avessero letto il nome sul campanello eravamo fottuti, Melo.”
Nessuno si lamentò per lo scempio che regnava nel cortile. I due fratelli sapevano di averla fatta franca anche questa volta. Nessuno sarebbe riuscito ad incastrarli.

Arrivata la sera, i due nuovi inquilini scesero nel cortile. Radunarono tutta la roba in due grossi mucchi e gli diedero fuoco. Cominciò a salire un fumo nero e denso che ammorbava l’aria di tutto il vicinato. Le fiamme raggiungevano parecchi metri di altezza e qualcuno, protetto dalle tende, apparve alle finestre per capire cosa stesse succedendo. Nessuno, però, osò chiamare i pompieri o le forze dell’ordine.
Ambrogio e Carmelo tenevano sotto controllo un mucchio a testa in modo da controllare che tutto si consumasse completamente. Dopo un paio d’ore le fiamme trasformarono tutto in brace ma, tra la cenere, Carmelo trovò una statuetta di ferro di una donna che stringeva una cornucopia. “Fanculo anche te”, disse estraendola dal fuoco con un calcio e pestandola.
“Chi ha buttato giù queste?”, disse Ambrogio, con tono furioso, indicando delle posate d’argento tra i tizzoni ardenti.
“O te o io”, ironizzò Carmelo.
“Potremmo venderle a qualche mercatino dell’usato e fare due soldi”, propose Ambrogio.
“Comincia a farle raffreddare e poi ci pensiamo.”

Quando gli agenti tornarono, ancora con Rosa, il giorno successivo vennero accolti in casa dopo aver mostrato il mandato di perquisizione. Non trovarono nulla di quanto la donna aveva detto loro. Nemmeno l’atto di proprietà venne ritrovato nel comò. L’unica cosa che gli agenti notarono fu che i due ragazzi non possedevano vestiti e nemmeno effetti personali in bagno, ma questo, pensarono, era frutto dell’eccessiva povertà nella quale vivevano.
Ancora una volta Rosa crollò in lacrime e urla disperate, ma gli agenti non poterono fare altro che dare credito alla versione dei due ragazzi: la donna soffriva di depressione ed allucinazioni. Sarebbe stato meglio portarla a farsi curare in qualche centro di igiene mentale.
“Scusate”, disse un agente mentre Ambrogio stava richiudendo la porta “sapreste cosa sono quei due mucchi di cenere in cortile?”
“Mucchi di cenere?”, rispose disgustato il ragazzo. “No. Non siamo usciti da qui da quando siete andati ieri…e non abbiamo notato nulla.”
“Magari qualcuno si è fatto una grigliata ieri sera”, concluse Ambrogio e chiuse la porta.

[continua]


Se sei interessato a leggere l'intera Opera e desideri acquistarla clicca qui

Torna alla homepage dell'Autore

Il Club degli Autori - Concorsi Letterari - Montedit - Consigli Editoriali - Il Club dei Poeti
Chi siamo
La Rivista
La voce degli Autori
Tutti i nostri Autori
Per iscriversi
ClubNews
Il notiziario gratuito
Ultimi inserimenti
Homepage
Per pubblicare
il tuo 
Libro
nel cassetto
Per Acquistare
questo libro
Il Catalogo
Montedit
Pubblicizzare
il tuo Libro
su queste pagine