Al posto suo

di

 Homobruno


 Homobruno - Al posto suo
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 164 - Euro 13,50
ISBN 978-88-6587-3069

Libro esaurito

Vai alla pagina degli eventi relativi a questo Autore


In copertina: fotografia dell’autore


I dieci racconti contenuti in questo libro narrano l’incontro ravvicinato fra due mondi apparentemente diversi, due galassie lontanissime fra loro, ma non è un libro di fantascienza, bensì, piuttosto, un libro che parla della realtà che spesso non vediamo o che ci sforziamo di non far esistere, per andare più veloci e senza ostacoli.
Il messaggio fra le righe di questa raccolta di racconti è che se facessimo più attenzione alle “piccole cose” forse, saremmo in grado di rispettarci di più a vicenda.
E questo è solo l’inizio.


Al posto suo


Un ringraziamento particolare a mia moglie.


A Pippa, a Eva


La fontana

Dal primo istante in cui la vide se ne innamorò.
Il suo incedere, le sue forme, avevano dato inizio a impulsi ed emozioni di vario genere, tutti però ancora circoscritti nell’area della nobiltà d’animo e dei buoni sentimenti.
Sentirla vicino invece, potersi parlare da soli, innescò ben altro che sentimenti di amicizia e cameratismo, nascondeva dietro di sé la più decorata delle emozioni, la passione. Vivevano non distanti l’uno dall’altra, stesso edificio, stesso numero civico, eppure la mattina, quando uscivano per andare al lavoro, prendendo due direzioni opposte, descrivevano nel loro percorso iniziale, l’acqua che zampilla da una fontana.
75 aveva intuito che anche lei nutriva un certo interesse nei suoi confronti, un sentimento ancora indefinito probabilmente, poco chiaro a entrambi, ma se non altro la sua vicinanza, i suoi approcci da neofita, non erano respinti e questo era già qualcosa. Con il passare del tempo poi, questa prossimità si trasformò in una innocente partecipazione. Scherzavano e ridevano trovandosi spesso d’accordo su molti argomenti che si trovavano ad affrontare, ma nonostante ciò non divennero mai amici, nessuno dei due lo voleva, recitavano solo una parte, una sorta di teatro di strada. Volontà condivisa, almeno per ora, era quella di mantenere il contatto, lo stare semplicemente insieme, poi si sarebbe visto. Movimenti e gesti si incrociavano spesso sullo stesso canale e trasmettevano in chiaro, e senza parabole, la complicità dell’amore, l’intimità, quella vera. Una partecipazione diretta che ancora non si era dischiusa, ma in compenso le azioni di 75 continuavano a salire. Gli ultimissimi progressi, i tentativi di avance non respinti ad esempio, lo avevano reso molto più sicuro e questo era un bene. Fino ad allora, la timidezza, il suo essere semplice e senza esperienza alcuna, lo avevano mostrato come composto da cellule indifferenziate, una specie di essere asessuato, anche se spesso simpatico. Carico di certezze adesso invece, viaggiava a mille all’ora, verso livelli di sicurezza sempre più elevati, ma nel modo in cui spesso accade, quando si sale in fretta e troppo in alto, le elevate cime di quelle sensazioni, che pian piano stava cercando di assimilare con urgenza, gli fecero girare la testa. Durante il giorno, nell’orario di lavoro, i loro destini s’incontravano per ben due volte, cifra assolutamente rilevante in un tentativo di approccio amoroso, due appuntamenti che non si faceva mai sfuggire e che allietavano di parecchio la sua grigia routine. Ritrovarsi spesso con lei però, la semplicità e la frequenza di questi incontri, non avevano ancora generato nessun contatto, era questa la realtà che andava smontando, che cercava di sgonfiare ogni giorno con tutte le sue forze.
La controversa questione, che passeggiava formalmente ancora sprovvista di un felice epilogo, era ferma davanti a un ostacolo che man mano diveniva sempre più arduo da superare. Nonostante l’impegno con cui si era prodigato e i traguardi raggiunti, non era riuscito ancora a dichiararsi senza sottintesi.
Nell’ultimo periodo, quando la vedeva avvicinarsi cercava di illuminarla con il suo sorriso, nella speranza che, alla maniera di un vecchio radiofaro della marina, una trasmissione o un appunto potesse arrivarle nel cuore, nell’oceano della vita. Data l’inesperienza, non aveva molte armi da impiegare per farsi più vicino come voleva, quelle che trovava usava e quella del sorriso sonar gli piaceva particolarmente. Non immaginava che così facendo stava avviando una corrispondenza unilaterale, troppo generica per essere perfettamente interpretata, un messaggio senza obbligo di risposta. Credeva invece, nella sua reiterata ingenuità, di poter avanzare, conquistare acri di terreno, solo modulando l’intensità e il vigore dello sguardo, se poi il messaggio ritornava indietro inalterato, era fatta.
Prova, gira e spegni oggi, accendi e abbaglia domani, sorriso dopo sorriso, guadagnava tuttavia solo pochi centimetri al giorno. L’informazione era giusta, quello che non andava era la frequenza, sempre la stessa, senza alcun cambiamento. Lui pensava di sì invece, credeva stesse funzionando, ne era convinto, anche se a volte stufandosi di continuare nella costruzione di quell’interminabile puzzle, avrebbe voluto sbarrarle la strada e parlarle a cuore aperto, dimostrarle che c’era ben altro dietro la simpatia reciproca. 36 era sempre indaffarata, sembrava non avesse mai un minuto da perdere e questo di certo non facilitava la sua missione, anzi, rendeva tutto più difficile. I miglioramenti c’erano, ma non erano costanti, troppi su e giù, si passava dalla sete all’ubriachezza nello spazio temporale di poche ore e questo evidentemente lo confondeva, gli faceva perdere l’orientamento, gli faceva dimenticare a che punto era arrivato.
Ogni tanto lei, come se volesse ricompensarlo di siffatta passione, ricambiava con un sorriso altrettanto dolce e pieno di complicità, allora tutto ricominciava daccapo. Significavano qualcosa quei sorrisi, le occhiate? Per lui sì, e quelle giornate, in cui solo per un istante lei lo guardava con affetto, erano le più belle del mondo, non c’era più la fatica e lo stress a cui era sottoposto durante il lavoro, spariva pure la pioggia. Il freddo e il caldo svanivano come svanisce l’aria fresca del mattino sulla spiaggia, al mare, quando il sole di agosto comincia a divertirsi con noi. In fondo non stava andando malissimo, stava rispettando le scadenze e anche se procedeva a fari spenti, nell’oscurità dell’amore, era comunque sulla buona strada. La faccenda nondimeno doveva essere seguita attentamente, un pigro ritardo poteva far sagomare quella che stava per diventare una bella storia d’amore, in una accolita amicizia, i tempi erano nei tempi, ma erano ristretti e questo, almeno questo, 75 lo sapeva. Le varie realtà di vita quotidiana si susseguivano in maniera disordinata e confusa, i messaggi che il suo corpo mandava al suo corpo erano inequivocabili, diretti, così diretti da farlo trasalire nel cuore della notte in preda a incubi di ogni genere, notti in cui il primo pensiero quando si risvegliava di soprassalto, erano solo per 36, per la sua amata. Non erano solo queste le uniche ripercussioni con cui doveva misurarsi, aveva iniziato ad avvertirne l’essenza e quindi l’assenza, la mancanza fisica, non sopportava più i periodi trascorsi senza di lei, il tempo ritornava e si trasformava in agitazione, sonde esploratrici della gelosia cominciarono a invadere il suo mondo. Il più delle volte era tranquillo e sereno, anche se bastava un piccolo imprevisto e le ombre si trasformavano in dubbi, in foschi pensieri. Temeva che, in un’occasione qualsiasi, un altro potesse avvicinarla e mettersi con lei, qualcuno più furbo, più sottile, più veloce e sicuro di lui, un pig inside the gentleman. Erano questi i fantasmi contro cui combatteva e in alcune occasioni riusciva perfino a uscirne illeso. Ci riusciva attraverso il sonno, l’oblio, sonno che quando terminava lo riportava alla realtà che stava vivendo, di nuovo al punto di partenza, il punto scelto per viaggiare lontano e che invece, suo malgrado, funzionava al contrario. Era inesperto e innamorato, procedeva al buio, non conosceva i sentieri su cui ci si inerpica pensando a colei che si crede di amare, quello che sapeva lo aveva origliato durante il lavoro, nei frammenti di discorsi che riusciva a intercettare. Discorsi durante i quali lui cercava sempre di defilarsi, mai un’osservazione, ascoltava, elaborava, non approfondiva, rimaneva sul vago, al massimo annuiva. Quando incontrava qualcuno che non conosceva, un suo nuovo collega, che gli domandava come era stata la prima volta che aveva fatto sesso, lui rispondeva con un sì, poi annuiva pensieroso, come per scrutare il cielo nel ricordo di chissà quale esperienza, infine cambiava discorso. Il problema esistente era fin troppo chiaro, non stava dicendo la verità, inventava, non ometteva particolari piccanti, non stava coprendo con l’anonimato la sua ipotetica amante, interpretava solo un ruolo che non era il suo. Era faticoso fingere di essere qualcun altro, ma ormai i giochi erano iniziati e non poteva più tornare indietro, fatto sta che nonostante interpretazioni da teatro dell’opera, non riusciva a convincere nessuno. I suoi amici, in un volontario atto di solidarietà però, fingevano di credere a quelle mezze verità, incoraggiavano le stravaganti avventure amorose ai limiti del plausibile, una sorta di ricompensa per la realistica interpretazione. Lui assecondava loro e loro assecondavano lui che assecondava loro. Tutti sapevano meno che lui. Al di là di questo teatrino però, 75 era ben voluto da tutti, una figura assolutamente di compagnia, sempre allegro e pronto a dare una mano quando serviva, in assoluto l’amico che tutti vorrebbero avere. L’amico ideale, che con i suoi discorsi profondi, con il suo sguardo profondo senza ostacoli, verso il più intimo dei pensieri di chi lo sta guardando, riusciva sempre a dare un buon consiglio. Si faceva rispettare. Il tempo modellava se stesso, diventando tuttavia immateriale, anche 36 correva questo rischio, il pericolo di farsi invisibile alle attenzioni di 75. Un’immagine rarefatta che strada facendo stava diventando sempre più difficile da decifrare, cambiamenti che sfuggivano ai significati, trasmettendo al cervello un’immagine disturbata, sfocata, dai confini appena percettibili. Nonostante gli elementi giocassero a sfavore, 75 tutto sommato era tranquillo, possedeva la verità. Una sola verità, una notizia sicura, afferrata durante i lunghi e solitari percorsi notturni sui viali della città, prima di tornare a casa. La tesi era quella che se lui provava questo sentimento per lei, anche 36 avrebbe dovuto, per forza di cose, nutrire attrazioni e aspettative nei suoi confronti. È sufficiente che io la ami, prima o poi ricambierà. Una sorta di regola universale, un dogma finalmente spiegato, di cui era diventato non il santo, ma il profeta. Sperava sempre che qualcuno gli domandasse cosa ne pensava dell’attrazione, in che modo e perché avvenisse, solo per poter rivelare la sua dottrina, solo per evangelizzare tutti quelli che avevano la fortuna di ascoltarlo. Andava fiero di esserne l’originale ideatore, era certo che neanche uno, prima di lui, avesse anche solo immaginato di formulare questa semplice ed efficace ricetta, il problema era che era arrivato il momento di metterla in pratica, dal vivo, in prima persona. Per il momento nessuno gli chiedeva niente, anzi i suoi colleghi gli sembravano tutti molto esperti in materia, così esperti da non parlarne mai, e fra la narrazione di una scena di sesso e una vertenza sindacale, gli unici argomenti sul banco delle discussioni erano sempre gli stessi. Avrebbe voluto interrompere quei discorsi sempre uguali, ripetitivi a cui lui di malavoglia si prestava, per parlare di altro, della sua teoria ad esempio, ma lo sapete che se provate amore per qualcuno, questo qualcuno ricambierà sicuramente? Invece no, giù a parlare di forme atomiche, anatomiche, di curve mozzafiato e straordinari a pagamento.
Un giorno di tanto tempo fa, in un episodio il cui ricordo era ormai sbiadito, si era innamorato di una belga. Questo sentimento era partito da lei, da semplici sguardi, sguardi incrociati, condivisi e praticanti, che purtroppo non portarono a niente di concreto, ma che suscitarono in lui un’accesa curiosità. Lo guidarono a capire, lo condussero a formulare la sua teoria. La belga doveva ripartire poche ore dopo e quindi non ci fu il tempo per approfondire, ma poco importava, aveva visto accendersi una luce e questa luce si era accesa in modo simultaneo. Questo piccolo trailer fu sufficiente, perfettamente idoneo per costruirci sopra una dottrina, la profezia che portava in giro per il mondo, inascoltato e messo da parte. Quell’episodio, quel passaggio intenso e veloce come una sequenza di scatti fotografici, destarono in lui emozioni forti e il tenero sentimento che andava scoprendo giorno dopo giorno era un pungolo che provava a trascinarlo sempre più vicino a 36. Un’assoluta novità. Mai si era sentito così turbato, per tanto tempo e senza alcuna pausa. Niente era definito però, nulla era certo, la sua situazione era simile a quella di una nave porta container stipata fino all’inverosimile, che lotta con il mare in burrasca, container pieni di amore che ondeggiavano al susseguirsi dei cavalloni. Se non fosse riuscito subito ad arrivare al porto, rischiava di affondare.
Una notte, in preda all’ennesimo sogno romantico, che ben presto si era trasformato in incubo, si svegliò di colpo e decise che il giorno dopo si sarebbe dichiarato, durante il turno di lavoro, quando lei avrebbe incrociato il suo cammino. Il porto era in vista, adesso bisognava avvicinarsi facendo attenzione a non rompere nulla, senza l’aiuto di nessun rimorchiatore, anzi in questo caso era lui che doveva rimorchiare lei. La mossa a sorpresa, l’atto audace, quello da cui non si torna più indietro, consisteva nello scrivere a chiare lettere e senza numeri fuorvianti, TI AMO sul suo display, quindi aspettare.
Quella mattina 75 avviò il motore presto, prima dei suoi colleghi, 36 ancora non si era vista e quindi per non rischiare, pensò di anticipare la sveglia, doveva muoversi se voleva incontrarla prima di partire per il lavoro. Nell’attesa si unì agli altri nella solita danza che facevano ogni giorno all’interno del deposito, prima di uscire, una sorta di slalom, una rotazione fra le colonne portanti del grosso hangar. Attività non svolta a caso, necessaria piuttosto a scaldare per bene il motore e a controllare lo stato delle reciproche sospensioni. Durante il girotondo aveva anche simulato un paio di spegnimenti improvvisi, ma non andò oltre, non riusciva a vedere 36 da nessuna parte, ma non poteva aspettare, i conducenti si sarebbero preoccupati e lo avrebbero lasciato nelle mani dei meccanici. Nonostante i dubbi riuscì comunque a non agitarsi troppo, in fondo se non la vedeva adesso, l’avrebbe incrociata durante la giornata e quindi, subito dopo era in marcia verso il suo solito giro. Dopo le prime fermate però, si accorse che stava accadendo qualcosa di insolito, i passeggeri che salivano a bordo erano più numerosi e come se non bastasse trasudavano odio nei suoi confronti. Il traffico, sebbene fosse appena spuntata l’alba, era già diventato insostenibile, denso e stranamente popolato di macchine, furgoni, scooter che cercavano senza profitto di accompagnare i rispettivi proprietari sul posto di lavoro. Di autobus in servizio neanche l’ombra, quei pochi che vide marciavano a luci spente, si inoltravano velocemente in oscure corsie preferenziali, di loro non si percepiva nemmeno la presenza, quello che era evidente invece, era la scritta FUORI SERVIZIO.
Dopo una breve riflessione e porzioni irregolari di battute carpite ai suoi passeggeri, percepì la verità, quello che non doveva capitare stava accadendo. Quello era il giorno dello sciopero dei mezzi di trasporto, Bus e Metro, per i lavoratori di tutte le sigle sindacali. Impegnato com’era a raggiungere una stabilità emotiva se n’era completamente dimenticato, programmando proprio quel giorno lo sbarco sul predellino di 36. La buona notizia era che lui era in servizio e quasi sicuramente anche lei; la brutta invece era che con quella confusione 36 poteva essere distratta, nel momento in cui lui le avrebbe mostrato il display illuminato. Un giusto grado di romanticismo difficile da ottenere in quelle condizioni. Altri dubbi. Questi però, al contrario dei primi, si erano imbucati, avevano detto di conoscere un dubbio che era stato ufficialmente invitato da 75, quando quella mattina aveva mancato l’incontro al deposito.
Un’altra cosa si rivelò importante, il maggiore traffico avrebbe costretto i due autobus a sfiorarsi più lentamente, a passo d’uomo, con una maggiore probabilità di guardarsi da vicino, sfiorarsi con gli specchietti retrovisori, l’incognita restava l’atmosfera. La decisione era stata presa, l’incontro sarebbe avvenuto, concitazione popolare o no e se quel giorno doveva essere, quel giorno sarebbe stato. Il display con la sua dichiarazione d’amore era pronto, non poteva più attendere, sciopero o guerra civile, la tensione e lo stress lo stavano consumando, adesso o mai più. Il piano ormai era partito, quello che al limite poteva rendere il traffico più sostenibile era forse un po’ di pioggia. Certamente il caos sarebbe aumentato, ma il suono, gli odori, i colori intricati e ingrigiti del suo cadere dal cielo, avrebbero garantito un dolce e ovattato effetto sentimentale, come direbbe un commentatore sportivo, 75 sperava nella pioggia. Viaggiava a testa alta, fiero e coraggioso in questo scorrere placido, come sulle acque di un fiume, trasportando persone, calmo, silenzioso, paziente, per certi aspetti teso, con un’efficienza mai dimostrata prima. Si stava inoltrando in zone inesplorate, pericolose, le insidie non si distinguevano dalle intenzioni, ma c’erano, se ne intuiva l’odore, le vibrazioni, era il segnale. Nascosta nella boscaglia della giungla, una cerbottana lanciò un messaggio, ma a colpirlo non fu una romantica goccia d’acqua, tutt’altro, a ferirlo fu un dardo avvelenato, una notizia terrificante oltre ogni immaginazione. Non c’era solo lo sciopero, c’era anche una manifestazione, un corteo che attraversava il centro della città e che avrebbe costretto gli autobus in servizio, a fare i salti mortali. Ciliegina sulla torta, per via dell’adesione allo sciopero all’ultimo momento, del suo conducente, quella sarebbe stata l’ultima corsa. Il piano venne aggiornato di nuovo, si iniettò l’ultima fiala di pazienza e rifletté sul fatto che doveva portare avanti il progetto a tutti i costi, di occasione ne bastava una, ma l’amore doveva uscire dal suo bozzolo quanto prima, una sorta di sgombro forzato. Stavano facendo casino lì dentro, voleva buttare tutti fuori, tutto il suo amore, tutti i suoi pensieri, un’evacuazione da allarme rosso, per poi farli rientrare più calmi e ordinati, ma quello che desiderava veramente era che al rientro, di amori, ce ne fossero due. 36 rimaneva irreperibile, tuttavia era fiducioso di incontrarla al più presto. Sperava di farlo sulla via che porta alla stazione, una strada molto romantica, piena di fascino, un luogo ideale per una dichiarazione d’amore, perfettamente identica a una delle sue innumerevoli rappresentazioni passate, quelle che lo turbavano ogni notte. Stava per fare qualcosa di importante, qualcosa di atteso da troppo tempo e che voleva portare a termine a ogni costo. Due linee parallele che sfilano insieme, realtà e immaginazione che per cause ancora sconosciute si divaricarono, diventando improvvisamente nemiche, la sua piccola barca era vuota, procedeva, ma non era più lui a guidarla. Avrebbe dovuto solo resistere pochi istanti in più, un soffio di vento che sta per arrivare, ma non riuscì a trattenersi. Non fu un vero crollo stile palazzo in demolizione, piuttosto uno scadimento, un’invasione che in modo lento e senza farsi accorgere da nessuno, lo aveva dapprima invaso e poi demolito, una rovina. La misura era colma, bastò un banalissimo pensiero su 36, sul motivo del suo ritardo, sulle sue qualità e sul suo fascino femminile, che tutti i suoi progetti non ebbero più un referente. Di lì in poi fu una folle discesa, un tramonto stile vecchio testamento, un’immersione verso il luogo disabitato da cui cercava di fuggire dall’inizio, poco prima di conoscere 36, iniziò perfino a piovere. La prima struttura a crollare risultò essere la fiducia, poi fu il turno delle sue teorie, o forse sarebbe meglio dire della sua unica teoria, quella dell’amore reciproco ricambiato, i piani, le strategie, le neuroscienze invece, presero fuoco. Nel motore di 75 le parole si stavano sovrapponendo ai pensieri, i pistoni si ingolfarono, paura e presupposizioni più o meno fondate lo fecero cadere nella più totale agitazione. Le circostanze difficili, impegnative, che fino a poco prima erano sembrate facilmente superabili e persino in grado di capovolgersi a proprio favore, ora facevano un frastuono terribile, impedendogli di rimanere calmo. Adesso lo temeva il traffico, non era più l’alleato che lo aiutava ad avvicinarsi più lentamente, ora era diventato il nemico numero uno, colui che con l’abilità e l’esperienza lo avrebbe ostacolato ad esprimersi con la luminosità e la limpidezza che auspicava. Cominciò a percepire intorno a sé una strana sensazione, un vortice energetico che occupava interamente il contorno delle sue lamiere, ma invece di avvolgerlo delicatamente, lo circondava, lo accartocciava, costringendolo a ripiegarsi su stesso, a muoversi in maniera innaturale. Non riusciva a liberarsene, era impacciato, goffo, maldestro, provò in tutti i modi a divincolarsi, ma niente. Era questa l’immagine che dava di se stesso, quello di un autobus che cerca di riacquistare la sua tranquillità interna, quella che possedeva poco tempo prima e che era sempre stata a portata di freno a mano. Un disagio analogo a quello di una persona che si accorge di aver perduto le uniche chiavi della macchina, durante un viaggio all’estero, questo si percepiva di lui, era evidente. Aveva coscienza di essere turbato, ma non immaginava che qualcuno potesse accorgersene, invece si vedeva benissimo. Quella sua crescente inquietudine? Perfettamente. La frenesia dei suoi movimenti? Quella e solo quella.
Tutto il suo corpo emanava disagio e malessere, le stesse identiche cose che percepì 36 quando lo vide. Anche lei quella mattina era pronta a un avvicinamento sentimentale con 75, lo capiva perfettamente che i tempi erano semi stagionati, aveva deciso che se non fosse stato lui a muovere il primo giro di ruota, l’avrebbe fatto lei, al diavolo quello che potevano pensare le altre vetture. Ma quando lo vide così teso e preoccupato, pensò che era successo qualcosa. Forse lui intuendo le sue intenzioni e non gradendo la cosa, trasmetteva disagio per allontanarla. Questo messaggio sotto forma di sospetto le arrivò più veloce di una email, l’atteggiamento imprevisto di 75 per certi versi impossibile da prevedere, la paralizzò. Crollò tutto il castello. Un castello in costruzione, a cui serviva un’ultima autorizzazione per terminare i lavori, ma che invece ricevette una bella cannonata sul ponte levatoio. Bam! In quell’altro film, quello che stavano proiettando contemporaneamente, 75 quando la riconobbe si sentì ancora più ingombro di prima, in imbarazzo completo, devitalizzato, incapace di dimostrare niente a nessuno, inerte come un tronco che galleggia in mare aperto. Il lento scorrere del tempo e della vita si presentò in successione davanti ai suoi fanali, oltrepassandolo, mentre 36 scivolava nella direzione opposta. Come in un gioco di specchi, la vedeva allo stesso modo di come 36 vedeva lui, distante e senza quel sorriso che lo aveva fatto tanto innamorare, così di scrivere TI AMO sul display, non ci pensò nemmeno. La passione, l’ultimo baluardo prima della resa incondizionata, tesoro custodito gelosamente solo fino a poche ore prima, ora incuteva timore. Il forziere si era aperto e ne era uscito un mostro potente e imprevedibile, capace di minacciare chiunque osasse avvicinarsi, ma non era solo, c’erano perfino i suoi tirapiedi, la paura, la vergogna di un rifiuto disorientato e il timore di essere deriso. L’amicizia era data per dispersa. Un black out così inopportuno, così fuori dal tempo che, nel momento stesso in cui i due autobus sfilarono lenti uno di fianco all’altro, con una velocità di sequenza simile al bullet time di Matrix, 75 e 36 non riuscirono neppure a lanciarsi un sorriso o un ammiccamento, anzi. Simulando di essere impegnati per via del traffico, si salutarono con una veloce e scarsa porzione di abbaglianti. Il peggior viaggio del mondo, parafrasando il titolo del tristemente noto libro di Apsley Cherry-Garrard, quello sulla spedizione Antartica di Sir Walter Scott, tutto male quell’incontro con 36, dall’inizio alla fine, se avesse perduto olio sull’asfalto non si sarebbe sentito così avvilito come adesso. Un’evidenza della realtà, l’immagine di un confine. Passarono due ore e il traffico aumentò in città, non si capiva più cosa stesse avvenendo, c’erano molte persone a piedi e molti autobus erano stati deviati nelle vie non interessate alla manifestazione. Era finita. I loro destini cercarono invano di riavvicinarsi una seconda volta, ma fu solo una formalità, in quella occasione 36 viaggiava incolonnata dietro a una fila di autobus e macchine, c’era così tanta confusione che a stento riuscì a riconoscerla. Il caldo gli stava facendo bollire il motore e per poco non andò a sbattere contro una macchina quando si accorse che lei era in fila dietro al 60 Express, un Jumbo bus noto per le sue innumerevoli avventure galanti, e come se non bastasse, ci stava provando. Tutto impolverato, fece il suo ingresso ufficiale nelle sofferenze d’amore. Benvenuto signor 75, benvenuto all’Hotel Le pene del cuore, non si preoccupi, vedrà si troverà bene da noi, i nostri frigo bar sono i più forniti della città.
Forse era il primo cliente della giornata in quell’hotel, o forse le stanze erano tutte occupate, fatto sta che cominciò a pensare a quanti come lui, in quel momento, stavano soffrendo su un disperato e perduto cuore. Non poteva essere da solo, riusciva a sentirlo e questa percezione inaspettata, questo odore di tristezza collettiva, lo fecero rinfrancare con il destino. Quella che stava percorrendo era l’ultima corsa, tra poco sarebbe tornato al deposito e questo era un bene, perché come amava ripetere un suo collega, anche se in una giornata ti è capitato di tutto, alla fine tornerai a casa. Di fatto era ancora innamorato, ma di un amore dal sapore amaro, senza speranza, contemplativo, geloso, parallelo. Non si era di certo aspettato di stare così, quando durante le domeniche pomeriggio le parlava di quel mondo che avrebbe voluto scoprire insieme a lei. Alcune gocce d’olio iniziarono a uscire fredde dai suoi organi meccanici, ma non era una scia, una traccia che ti porta alla fonte, piuttosto erano lacrime, lacrime che cercavano di dissolvere le tracce del suo passaggio. Arrivato al deposito non spense subito il motore, lo tenne ancora accesso, con la speranza di poterle ancora parlare. Era suo dovere imprescindibile spiegare e farsi spiegare cosa era accaduto, in quella sventurata giornata. Forse non era ancora tutto perduto, forse con un pizzico di diplomazia sarebbe riuscito a recuperare almeno l’amicizia. Più aspettava però e più risaliva in lui l’inquietudine, tutte le deviazioni che lo avevano impegnato quella mattina erano di nuovo di fianco a lui, non se n’erano andate, stavano solo aspettando il momento giusto per riapparire.
Quando venne parcheggiato nel suo solito posto in fondo al deposito, era tardi, se lei fosse giunta in quel momento non avrebbero potuto parlare, ma ormai nulla contava più nulla, anche perché 36 non tornò più. Durante quella notte, nel bel mezzo di uno di quei sogni riparatori, sogni dotati di bulldozer e caschi gialli di sicurezza, sempre molto abili nell’opera di ricostruzione, trovò risposte alle sue domande. Il rifiuto, anche se non formalmente, c’era stato, e questo divenne evidente ai suoi specchietti retrovisori, ora doveva solo iniziare il più presto possibile ad accettare la situazione, doveva acquisire chiarezza, quella che si riceve gratuitamente quando si accoglie il triste destino. Passò un mese, un lungo periodo passato senza ricevere notizie di 36, nessuno sembrava sapere che fine avesse fatto, dove fosse finita a lavorare, ma fortunatamente per lui questi interrogativi non esigevano soluzione, non gli chiedevano di essere ascoltati, la storia era terminata prima di cominciare e ormai ci si stava abituando. Poi un giorno, per caso, venne a sapere che 36 aveva cambiato percorso e deposito, si mormorava vivesse una tormentata relazione con il 60 Express, lo stesso che la mattina dello sciopero aveva visto flirtare con lei. Girava voce che la facesse soffrire, trattandola male e tradendola di continuo con altre vetture, comprese quelle elettriche. Una brutta e parassita storia, ispida e spinosa, che con le sue nervature tentacolari intrecciava pericolosamente il suo cammino, con quello di uno stato d’animo ancora lontano dall’essere immune. La collina somigliava alla sua mente, la sua mente somigliava a una collina bruciata da un incendio spento ormai da tempo, dove l’erba però stenta a ricrescere, dove alcuni tizzoni ancora accesi, dopo una giornata di pioggia, emanano un’invisibile nuvola di fumo.
Per fortuna o per volontà reciproca quelle informazioni, rubate nel silenzio notturno del deposito, nei loro destini ebbero lo stesso risultato dell’incontro avvenuto con 36 la mattina del loro silenzio reciproco, sguardi bassi e ognuno per la sua strada. Sebbene avessero qualità proprie di uno scossone violento, nonostante la tracciabilità portasse dritto verso un’esperienza dolorosa, le notizie che arrivarono alle sue prese d’aria non riuscirono a farlo vacillare. L’epicentro era distante dalla collina, si stava spostando velocemente, lasciando dietro di sé la scia di un ricordo, un dolce ricordo. I problemi non avevano neppure iniziato a risolversi, ma il peggio era passato, i suoi sentimenti erano ormai spenti, bagnati volontariamente.
Comunque sia gli dispiaceva sapere che stesse soffrendo, gli voleva ancora bene, avrebbe voluto aiutarla in qualche modo, da amico, ma i loro percorsi di lavoro erano distanti e di occasioni non ne capitavano più da tempo. Ragionò a lungo anche sui pettegolezzi che si avvicendavano ai vari capolinea, alcuni li considerò falsi, frutto di immaginazione e passa parola gonfiati, altri molto sul serio, ma la sostanza non cambiava, in ogni modo e in ogni caso, c’era di mezzo l’amore. Un sentimento che gli aveva procurato molte sofferenze e che, a quanto si diceva, stava facendo ammattire 36. Arrivò a paragonare l’amore a una strana moneta d’oro, un doblone caduto nel fuoco, impossibile da recuperare se non scottandosi amaramente, ma ne valeva la pena. Il gesto lo avrebbe fatto ricco per sempre, così ricco da sembrare avvantaggiato anche solo osservando la vita scorrere davanti al parabrezza. Lui la mano l’aveva tolta subito però, il perché non era ancora stato compreso in pieno e all’inizio questa passiva inoperosità, che era stato costretto a portare avanti, gli aveva procurato tanto dolore. Era riuscito con sforzi più o meno volontari a improvvisare un documento falso per quella stupida inerzia assalitrice. Spacciò la staticità come figlia del tempo, un episodio, un’esperienza fondamentale con cui era necessario fare i conti e che in futuro, solo in un lontano futuro, avrebbe espresso conseguenze positive. Riuscì ad accettare una molteplicità di cose in quel mese, dovette firmare una montagna di cambiali al suo equilibrio mentale, ma non c’era altra scelta: o così, o pezzo di ricambio vivente, stile Non lasciarmi di Ishiguro Kazuo. Il tempo faceva il suo onesto compito e anche qualcosa in più, sosteneva, dava una mano, faceva fotocopie, curava le ferite, lo aiutava a risalire sulla terra ferma e a quanto pare ci stava riuscendo.
Una mattina viaggiando lungo il suo abituale percorso la rivide, senza persone a bordo, adibita a scuola guida per autisti.
La prima cosa che gli venne spontaneo di fare, come in un riflesso condizionato, subordinato a chissà quanti secoli di sedimentazione e sopravvivenza, fu di mettersi a ridere. Un gesto che emanava atmosfere serene e disponibili, un gesto che stavolta non cercava di allontanare nessuno. Lei risplendeva di luce propria, una luce profonda e nello stesso tempo intensa, una radiazione, un segnale luminoso che fu in grado di sciogliergli il cuore. L’incrocio divenne rotatoria, lo stop diritto di precedenza, si scambiarono abbaglianti, luci di posizione, doppie frecce e prima che 75 riuscisse anche solo a pensare di fare qualcosa, sul display di 36 apparve la scritta DEPOSITO. Il messaggio era trasparente, quella sera lei sarebbe tornata a casa, nella stessa rimessa dove lui abitava, il luogo che era stato fonte d’ispirazione, artefice di sogni proibiti. Un territorio che lo aveva protetto quando i pensieri su 36 erano sempre pronti a fargli del male, un rifugio pieno di calore che lo accoglieva a porte aperte quando ritornava sfiduciato dopo una dura giornata di lavoro, deluso e con l’aria sotto le gomme. Lì per lì non seppe cosa fare, cosa pensare e dove pensare, ma non si sentiva né confuso né arrabbiato, nessun rumore anomalo usciva dal motore. Si prese del tempo, per riflettere, per organizzarsi, per capire come muoversi senza combinare danni, ma il tempo era già trascorso, lo avevo preceduto, non servì impostare nessuna idea preconcetta, nessun automatismo riuscì a distrarlo, 75 intese subito le giuste proporzioni. Un vento nuovo scorreva attraverso i finestrini e lo stava già guidando nella giusta direzione. La collina bruciata, la sua auto ricostituzione ecologica era a buon punto, non più idranti a pressione massima, basta con il gettare sabbia sul passato, le cose in lui erano cambiate, una certa serenità si era impossessata dei suoi pistoni. Si era fatto placido, placebo, sicuro, quasi distaccato e proprio con questa limpidezza di emozioni, a testa alta, fiero e coraggioso, attese serenamente il suo arrivo.
Quando 36 lo raggiunse tutti gli altri autobus erano già spenti e addormentati, portiere chiuse fuori, sonno profondo dentro, tutti meno che lui. Dal fondo del parcheggio, con un delicato lampeggio di frecce, segnalò la sua presenza, lei si avvicinò. 75 questa volta era pronto ad amare sul serio, senza dichiarazioni e tentennamenti, il coraggio non serviva più, ora c’era la trasparenza del suo stato d’animo, chiara e ben visibile a tutti, lui compreso.
Non servirono immagini e tantomeno parole, i due autobus l’uno di fronte all’altra si scambiarono tutte le emozioni che erano state nascoste dagli eventi, il passato non c’era mai stato, nessuno dei due chiese niente, soltanto pura vicinanza fisica, lei finalmente gli era accanto come lui aveva sempre desiderato. La luna filtrava attraverso gli enormi finestroni del deposito illuminando i loro profili, trasformandoli in un’unica sagoma, in un contorno che via via andava scomparendo, si amavano e si amarono, felici di poter confondere le loro attrazioni senza il rischio, senza alcun rischio. Gli altri autobus dormivano discreti come monaci inesistenti, come a sfidare la forza di gravità, mentre loro, nella magica atmosfera del deposito, nel silenzio di quella notte sospesa nel tempo, s’immersero nel loro amore.

[continua]


Se sei interessato a leggere l'intera Opera e desideri acquistarla clicca qui

Torna alla homepage dell'Autore

Il Club degli Autori - Concorsi Letterari - Montedit - Consigli Editoriali - Il Club dei Poeti
Chi siamo
La Rivista
La voce degli Autori
Tutti i nostri Autori
Per iscriversi
ClubNews
Il notiziario gratuito
Ultimi inserimenti
Homepage
Per pubblicare
il tuo 
Libro
nel cassetto
Per Acquistare
questo libro
Il Catalogo
Montedit
Pubblicizzare
il tuo Libro
su queste pagine