Il Manager

di

Lino Lecchi


Lino Lecchi - Il Manager
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
15x21 - pp. 376 - Euro 17,00
ISBN 978-88-6037-8811

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In copertina: elaborazione grafica di Lino Lecchi


Nonostante le sue origini misteriose, il protagonista emerge nel campo degli affari attraverso le proprie capacità acquisite in anni di sfide e meriti conquistati sul campo, fino a raggiungere il successo.
Il destino si accanisce quando all’apice della carriera egli viene colpito da una disgrazia che stravolgerà radicalmente la sua vita, causando il crollo della sua immagine.
Ma nel momento più disperato del suo devastante declino, la sorte gli propone l’opportunità di uscire dallo squallore che lo circonda e dalla mediocrità nella quale è precipitato.
Ecco riemergere il carattere e la forza del personaggio vincente di un tempo, che non si arrende di fronte al pericolo e la sfida riprende da dove era stata interrotta.
Un incontro casuale gli farà conoscere una donna straordinaria ed un amore grande, senza fine. Ma altre sorprese si presenteranno, colmando lacune delle sue origini misteriose ed anonime.


Il Manager

Ad Anna e Laura con affetto
ed agli adorati nipoti
Arianna, Lucrezia e Filippo


Capitolo Primo

5 maggio 1955
Oleggio Castello – Clinica privata S. Agata

Quando la ragazza si svegliò nel lettino di quella squallida stanzetta della clinica, era sfinita e sudata per gli sforzi che aveva fatto circa un’ora prima.
Non c’era nessuno lì accanto a lei e subito le tornarono alla mente i dolorosi attimi del parto e la sensazione di liberazione non appena quell’esserino era uscito insieme ad un fiotto di sangue.
Suo figlio. Un figlio che aveva voluto contro ogni volontà della famiglia, anche se era troppo giovane per fare la mamma, con i suoi sedici anni!
Ma non importava, in qualche modo ce l’avrebbe fatta, anche senza l’aiuto dei suoi ricchi e ostili genitori, che le avevano consigliato fino all’ultimo di liberarsi dell’ingombrante fardello, che costituiva uno scandalo per il buon nome della famiglia.
Era sola ad affrontare quella situazione più grande di lei, perché anche il giovane padre, studente di liceo come lei, si era spaventato declinando ogni possibile responsabilità.
E così si era defilato, scomparso, come nelle favole e quella non era una favola.
La porta della cameretta all’improvviso si aprì ed entrò quasi di soppiatto suo padre.
Aveva uno sguardo contrito, quasi volesse scusarsi per averla svegliata e congratularsi perché era diventato nonno.
Lei non sapeva ancora se era maschio o femmina, perché, il neonato era stato portato subito in un’altra stanza, per le prime visite dell’ostetrico e lei era crollata sfinita in un sonno profondo.
Il padre si avvicinò lentamente al suo letto e prendendole la mano le disse con una voce rotta dall’emozione:
“Il bambino è morto dopo pochi minuti che è nato. Non ce l’ha fatta…”
La figlia scoppiò in un pianto dirotto, e tra i singhiozzi riuscì appena a dire: “Voglio vederlo, voglio vederlo, è mio figlio!”
“Non è possibile, piccola, è stato portato via poco fa.
Non li lasciano qui quando nascono morti.”
“Ma io ho sentito i vagiti, appena nato, piangeva!” gridò la ragazza.
“No bambina mia, purtroppo dopo qualche respiro, il cuoricino non ha retto e si è fermato.”
“Era ciò che volevate, non è così?
Adesso il buon nome della famiglia è salvo!” gridò, scostando la mano che il padre aveva stretto per qualche istante.
“Non dire così! È il destino che ha deciso, non la nostra volontà.” le rispose con un tono solenne.


Milano Agosto 2008

“Vorrei sforzarmi di condividere tutto questo ottimismo, ma purtroppo non posso essere d’accordo con voi,” disse quasi fuori dai denti, Rossi, il direttore amministrativo della CMS, Chemical Modern System.
Era uno dei dodici dirigenti che sedeva al tavolo di quella esasperata riunione che per volere del maggior azionista, si stava svolgendo al dodicesimo piano della Torre Velasca di Milano, ove risiedeva anche la sede e tutti gli uffici annessi.
L’amministrazione era gestita da Rossi in modo accurato e specifico, che non lasciava adito a possibili dubbi.
Il suo verbo era riverito, ma anche temuto dal consiglio di amministrazione, poiché quanto esponeva non poteva essere che l’esatta fotografia della situazione gestionale del momento.
Alto, estremamente magro e leggermente ricurvo a causa della scoliosi che l’affliggeva fin dalla tenera età, non aveva propriamente una prestanza fisica da atleta.
Era, come si dice, il classico tipo senza età, di quelli che nascono con una fisionomia già vecchia e non mutano nel tempo.
Inoltre anche il suo umore non era certamente tra i più brillanti, raramente qualcuno l’aveva visto ridere.
Sembrava che fosse nato triste. Aveva uno sguardo malinconico, perfettamente in sintonia con gli abiti che portava, sempre rigorosamente scuri.
Per completare l’aspetto da impresario di pompe funebri, due occhietti freddi ed inespressivi, fissavano gli interlocutori, penetrando diritto nel cervello. Dietro a spesse lenti montate su occhialini non cerchiati, il suo gelido sguardo da funzionario della gestapo, incuteva inquietudine.
“Ho presentato in copia i documenti che mostrano la situazione che con l’andar del tempo è andata via via peggiorando, assottigliando sempre più la nostra liquidità, mettendo in serio pericolo le nostre esposizioni nei confronti dei nostri creditori e lo scetticismo che stanno mostrando ultimamente le banche nel concederci nuovi fidi.”
Il presidente, il cavalier Lambertenghi, uno dei vecchi fondatori della società, intervenne per chiedere ulteriori precisazioni, mentre osservava con preoccupazione la copia dei tabulati contabili avuti da Rossi.
“Vedo dalle situazioni contabili che abbiamo una notevole esposizione creditizia nei confronti della clientela.
Attraverso un giro di vite dovremmo recuperare un’importante massa di denaro, almeno per far fronte alle esigenze immediate…”
“Non facciamoci influenzare dai crediti,” gli rispose Rossi con tono drastico, “Alcuni clienti stanno peggio di noi e temo che da un momento all’altro qualcuno possa finire in contenzioso.
Il credito è uno dei maggiori problemi, se non inseriamo dei blocchi sull’afflusso ordini e continuiamo a vendere a cani e porci, presto dovremo fare i conti con i nostri costi fissi, poiché non avremo sufficienti entrate che ci garantiscano la copertura.
Il direttore commerciale intervenne quasi risentito, punto sul vivo dal vecchio amministratore.
Falchi era stato inserito nell’organico commerciale una decina di anni prima, proveniente da una piccola azienda concorrente.
Apparteneva alla fauna generazionale di quei giovani dirigenti rampanti, che non si fermano davanti a nulla, pur di emergere e di ambire nel più breve tempo possibile, di raggiungere importanti apici carrieristici.
Aveva un fisico appesantito nonostante avesse appena compiuto i quarant’anni, evidenziato dalla bassa statura, che lo facevano assomigliare a un puffo.
La sua obesità era ormai fuori controllo ed in crescente evoluzione.
Cercava di correggere la sua immagine non certo dinamica, con vari ritocchi che spesso cadevano nel grottesco, come l’esagerata ondulazione dei capelli creata dal suo parrucchiere, rifinita con tinte nero corvino.
Acquistava abiti griffati con misure drop, nel tentativo di sminuire quell’esagerato fondoschiena e l’evidente protuberanza di uno stomaco che sembrava una mongolfiera.
Non si era mai posto il problema di seguire diete monitorate o di fare alcuna attività sportiva, e a tavola era considerato un’ottima forchetta, ingolosito da succulenti piatti ai quali non sapeva rinunciare.
La sua goffa figura era l’antitesi dell’atleta, ma nonostante queste carenze di carattere fisiologico, si era costruito la fama di formidabile scopatore.
Contrariamente all’apparenza, gli era stato affibiato, forse con troppa generosità, l’attributo di “sciupafemmine”, dotato di una inesauribile carica erotica, paragonabile soltanto a quella insaziabile di Rasputin.
Nell’ambiente di lavoro erano proliferate voci probabilmente un po’ fantasiose, originate da spudorati approcci con disponibili impiegate, affamate e di bocca buona, in cerca di possibili scalate alle categorie occupazionali.
A livello professionale era considerato un buon venditore, che senza eccessi di meriti era emerso negli anni, probabilmente perché all’interno dell’azienda non aveva altri antagonisti commerciali con cui misurarsi.
Era un uomo statico, che si lasciava trascinare in balia degli eventi, scansando impegni onerosi ed evitando con maestria ogni senso di responsabilità.
Dopo anni di militanza in un settore in regresso, si considerava un arrivato, ormai privo di grinta e spirito di iniziativa.
In tutto quel tempo aveva portato clienti nuovi poco affidabili, attraverso una rete commerciale aggressiva, gonfiando il fatturato della società, creando notevoli pericolose esposizioni. Tutto ciò contribuiva sicuramente ad incrementare le vendite, ma minava un credito già precario.
I suoi agenti agivano a volte più d’impulso che con razionalità, l’importante era vendere.
Falchi aveva attaccato il mercato senza mezzi termini, a volte sconfinando nei suoi limiti di competenza, senza guardare in faccia nessuno, pur di accaparrare clienti.
Ma il mercato era cambiato, non era più il tempo di incrementare i volumi a discapito della redditività, senza tener conto della solvibilità di una certa clientela ormai diventata inaffidabile.
“Io ho un budget ogni anno da raggiungere! Sono stanco di sentirmi sempre accusare di creare nuove esposizioni.
I clienti oggi si muovono in un mercato marcio, ove la competitività a livello qualitativo non conta più nulla. A volte i nostri prodotti più specialistici vengono paragonati ad altri distribuiti dalla concorrenza con criteri da discount, a prezzi che la nostra azienda non coprirebbe i costi.
Incontriamo ogni giorno enormi difficoltà per restare nel mercato, per proteggere i clienti abituali e tentare di aprire nuove porte.
Inoltre da qualche anno non portiamo alcuna novità che possa consentire una maggiore attenzione sotto il profilo innovativo…”
“Non esagerare Falchi…” lo interruppe quasi risentito dalla presunzione del collega, Berti, responsabile dell’ufficio ricerche. Voi venditori pensate che si possano tirare fuori idee tutti i giorni, come i conigli dal cilindro.
Le novità sono frutto di ricerca di materie prime e prove di laboratorio quotidiane che non portano risultati immediati, e quando le portano è sempre necessario verificare se il nuovo prodotto è garantibile nel tempo ed efficace per le prestazioni a cui è stato destinato. È inoltre estremamente importante valutare se può essere trasformato a livello industriale per renderlo redditivo per la società…”
Il clima si stava surriscaldando ed il presidente intervenne per interrompere queste inutili schermaglie e rasserenare gli animi, che stavano reagendo in modo tendenzioso, ognuno arroccato sulle proprie posizioni, per proteggere i feudi di appartenenza.
Ogni responsabile di servizio cercava disperatamente di difendere la propria immagine, di piccolo imperatore del proprio regno.
Il cavaliere era un vecchio saggio, relegato da anni sopra una sedia a rotelle, a causa di un incidente stradale che gli aveva paralizzato gli arti inferiori molti anni addietro. Quella menomazione non gli impediva tuttavia di imporre le proprie direttive, anche dopo averle discusse con i propri collaboratori diretti.
In tanti anni aveva combattuto mille battaglie e tante ne aveva perse, ma si era sempre prontamente rialzato e dopo essersi leccato le ferite, aveva ripreso a combattere, come un indomito guerriero.
Apparteneva ovviamente ad un’altra generazione, erede di una stirpe battagliera, abituata a scendere in campo per far fronte ad avversari spesso più potenti ed agguerriti, ma senza mai arrendersi, sacrificando ogni risorsa a disposizione, nel tentativo di annientare il nemico, ferirlo e sconfiggerlo, se possibile.
Dopo essersi laureato, aveva cominciato la sua carriera lavorando come analista in un laboratorio chimico della sezione ricerche di una storica industra di vernici industriali di Milano.
Portò la sua esperienza nella piccola azienda fondata dal padre che si chiamava a quei tempi “La chimica” e produceva materiali chimici speciali applicati all’edilizia.
Egli si occupò in particolare dell’attività commerciale e ricerca nel settore delle materie prime, fino a giungere al gran salto, in una occasione che lo metteva davanti ad una svolta della sua vita professionale.
Dopo la morte di suo padre infatti, ereditò la piccola azienda a carattere artigianale ed associandosi con un importante imprenditore di prodotti chimici, che aveva apprezzato le spiccate doti tecniche del giovane Lambertenghi, con la fusione delle due aziende, crearono la CMS.
Quella fu la pietra miliare della sua carriera di imprenditore.
In seguito, dopo la scomparsa del socio, Lambertenghi divenne proprietario unico della CMS, e grazie alle sue geniali intuizioni ed a una intelligente conduzione gestionale, in pochi anni sviluppò il potenziale della società, portandola ai vertici della hit parade di importanza nazionale.
Erano anche altri tempi, ove la lealtà negli affari era quasi sinonimo di rispetto e stima nei confronti degli stessi avversari, come antichi cavalieri che si affrontano lealmente, senza sotterfugi o inganni.
I suoi punti di riferimento nel corso della sua carriera erano stati: il professor Giulio Natta, premio Nobel nel 1963 per la ricerca chimica della sintesi dei polimeri ed Enrico Mattei grandissimo imprenditore degli anni ’50, fondatore dell’ ENI, che fu l’unico con grandissimo coraggio ad opporsi allo strapotere dei potenti del petrolio, rimettendoci la vita, in modo non ancora ben chiaro a tutt’oggi.
Il mercato era cambiato e soprattutto gli uomini che ne facevano parte non erano più investiti di quello spirito.
I gentiluomini erano stati spazzati via da gente senza scrupoli, dotati di un cinismo sprezzante, cattivo, molto vicino alla crudeltà.
La gestione degli affari dei nostri giorni non dà tempo agli operatori di guardare in faccia a nessuno, sia amici che nemici. Si può tradire, pur di concludere una interessante fornitura, un ordine consistente, che permetta all’operatore commerciale di guadagnare provvigioni sempre più ricche.
Alcuni convegni ipocriti tra concorrenti, includono nell’ordine del giorno argomenti che tendono ad operare sul mercato, nel rispetto dei canoni prestabiliti, che possano creare una sorta di santa alleanza, nel condurre affari proficui in modo più leale e meno aggressivo.
Ma dal giorno successivo, la tregua è finita e si riprende a combattere in trincea, ognuno con i propri mezzi, soprattutto se non convenzionali, purché possano centrare ambiti obiettivi, anche facendo del male.
Lambertenghi aveva accettato non senza riserve le nuove regole del gioco, anche se con molta amarezza, ma aveva costruito una grande azienda basata su sani principi, ed oggi non era più il tempo di cavalieri e di onore, ma di sotterfugi e di giochi sporchi.
E se questi erano i nuovi metodi, pur di salvare l’azienda per la quale tanto aveva dato, era disposto ad adattarsi alla situazione.
Nonostante tutto, non era mai sceso a compromessi con nessuno e non si faceva influenzare da false lusinghe avanzate da parte di qualche dirigente rampante, che desiderava fargli brillare il culo per fare carriera, né si faceva intimidire da capetti bramosi di confermarsi come elementi insostituibili in azienda.
In ogni discussione manteneva la massima calma e non alterava mai il tono di voce, conservando un controllo assolutamente granitico.
Quando cominciava a parlare, si interrompeva ogni discussione ed il silenzio scendeva spettrale nella sala riunione.
Il suo carisma in azienda aveva conservato l’impronta del leader indiscusso. Nulla era cambiato, neppure dopo la menomazione sofferta, che lo inchiodava a quella maledetta sedia a rotelle.
Sotto questo aspetto non aveva mai permesso che qualcuno avesse discusso o tantomeno si fosse opposto alle disposizioni direzionali, da lui diramate.
“Lo scopo di questa riunione è quello di identificare i punti più nevralgici e vulnerabili dell’azienda, per poter intervenire e tentare di sanare una situazione che ci sta sfuggendo di mano.
Ciò riguarda tutti, poiché tutti facciamo parte di questa azienda.
Non stiamo facendo processi, ma per giungere ad una soluzione è necessario fare qualche autocritica con tutta onestà, per verificare se questa società può continuare a svolgere la propria attività in questo difficile settore, oppure essere messa in vendita o qualcos’altro di peggio a cui non voglio neppure pensare.
Fino a questo momento non ho ascoltato altro che critiche tra colleghi e notato molto pessimismo.
Atmosfera che non mi sento di condividere. Voi rischiate il posto, io rischio tutto il lavoro della mia vita, perciò non voglio più sentire altri piagnucolii in questa sala di riunioni.
Non ho ancora sentito qualcuno che mi suggerisca quale medicina provare per rimediare ai nostri mali. Devo forse pensare che tutti i miei dirigenti siano rassegnati a subire questo andamento negativo?
Ebbene uno dei nostri mali posso individuarlo proprio da questa riunione, dalla quale si evince che ognuno bada al proprio orticello, cercando di addebitare più agli altri che a se stesso la responsabilità per il cattivo andamento della situazione.
Tutte giustificazioni del cazzo!” esclamò aumentando il tono di voce.
“Questa, signori, è una società, ed io desidero che si crei uno spirito di corpo che attualmente non vedo da parte vostra, e se necessario cercherò di imporlo.
Nessuno di voi è indispensabile, ma tutti utili!
Non costringetemi a rivoluzionare il mio gruppo di vertice, e ricordatevi che se per il bene dell’azienda sarò costretto a fare delle scelte, ebbene le farò!
Il momento è grave e non avrò riguardo per nessuno, indipendentemente dagli anni di servizio.
Questo è il momento di dimostrare di avere i coglioni!
Se qualcuno invece non li ha, beh è meglio che faccia parte di un’altra parrocchia.
Chi mi vorrà seguire, sappia fin d’ora che dovrà sputare sangue per garantirsi il posto che occupa e pretenderò dei risultati in tempi rapidi, poiché è proprio il tempo che ci manca, per cercare di salvare l’azienda in cui noi tutti operiamo.
Incaricherò il vicepresidente di creare tempestivamente una commissione in grado di analizzare a fondo la situazione, risvoltando ogni settore della società come un calzino.
Non chiamerò consulenti esterni per farci dare dei pareri, proprio perché confido nella vostra esperienza e nel vostro senso di responsabilità e poi non ne abbiamo neppure il tempo.
Non voglio che siano degli estranei a indicarci come dobbiamo lavorare, poiché per anni mi sono fidato dell’attuale staff dirigenziale e credo che in questo momento di emergenza, ognuno saprà dare il meglio di sé. Senza tirarsi indietro.
Desidero che nasca un coordinamento di tutti i responsabili di gruppo e che ogni dirigente sia disponibile ventiquattro ore su ventiquattro.
Terremo una riunione ogni fine settimana, come una redazione di giornale ed ognuno dei capiservizio dovrà relazionare al consiglio direttivo ogni idea, progetto, piano che tenda a portarci fuori da questa crisi, non accetto lamentele o scuse del cazzo!
Da questo momento, signori, ognuno di voi si gioca il proprio culo in prima persona! Dimostrate ciò che valete, oppure, se volete la vita comoda, andate a fare il travet da qualche altra parte. Buongiorno!”
Aiutandosi con le mani fece retromarcia con la carrozzina e la indirizzò verso la porta senza girarsi. La riunione era finita!
Non era la prima volta e pertanto questo atteggiamento non sconvolse più di tanto i presenti, salvo qualche occhiataccia maliziosa che non poteva essere raccolta da chi ormai se ne era andato.
L’imbarazzante silenzio fu interrotto dal figlio Franco, che formalizzò le decisioni del presidente suo padre.
“Formeremo una commissione di tre dirigenti che toccheranno ovviamente il settore amministrativo, commerciale, produttivo.
Domani pomeriggio cominceremo a consultare tutti i documenti necessari, tabulati, certificati, contratti, brevetti e tutto ciò d’altro che possa servire per impostare un piano comune da presentare alla presidenza.
Ogni spesa dovrà essere analizzata e verificata sulla necessità e sull’esigenza di continuare ad esistere. Nel caso alcuni costi siano superflui, saranno tagliati, è una questione di sopravvivenza.
Ognuno si rimise in ordine le proprie carte e senza commentare, né fare un minimo accenno di osservazione, scivolò fuori dalla stanza quasi con un senso di liberazione.
Più tardi Franco raggiunse suo padre nel suo ufficio e lo trovò dietro alla sua scrivania assorto davanti ad un giornale finanziario. Ogni volta che Franco entrava in quella stanza, aveva l’impressione di entrare nel santa santorum di un sommo sacerdote.
Più che un ufficio somigliava ad un mausoleo. Pochi dipendenti erano entrati in quell’ufficio presidenziale, eppure quella era la stanza dei bottoni, da cui partivano tutte le direttive e le disposizioni gestionali.
Le pareti erano interamente rivestite in legno di noce scuro.
Una di queste pareti era completamente arredata con una nutrita libreria composta di volumi di pregio, completamente rilegati in pelle, con le coste titolate in lettere dorate.
C’era una vecchia edizione dell’enciclopedia Treccani rivestita in cuoio antico molto consumata dal tempo. Altri testi di chimica completavano quella poderosa raccolta di libri di estremo valore, sia per il contenuto che per la rarità editoriale degli stessi volumi. Un mobile di lucido palissandro, portava sul ripiano una fila di ritratti d’argento, con immagini di premiazioni ricevute da personaggi internazionali politici e tecnici di primo piano.
Sul muro attiguo vi era un quadro immenso dipinto ad olio, incorniciato con una elaborata cornice dorata intarsiata artigianalmente, che rappresentava un’immagine attribuita ad un famoso pittore impressionista francese di fine Novecento, della scuola di Touluse Loutrec.
Il soggetto riproduceva la scena di una giornata piovosa in una affollata strada parigina, piena di negozi dalle vetrine addobbate per la festa di Natale.
Molta gente che camminava con ombrelli aperti, carrozze trainate da cavalli, strilloni che vendevano giornali, fiorai ambulanti, sotto un cielo grigio, carico di nuvole piene di pioggia.
C’era molta vita in quel quadro, ed era sempre stato appeso in quel posto da quanto Franco si potesse ricordare.
“Ebbene?” lo interruppe suo padre, distogliendolo da quella meditazione che lo attraeva tutte le volte che osservava quel quadro.
“Ogni volta che lo vedo resto affascinato…”
“E lo credo bene” rispose avvicinandosi con la carrozzina verso il dipinto.
“Questo quadro l’aveva comprato tuo nonno parecchi anni fa ad un’asta. Anch’egli era stato colpito da questo dipinto.
Soprattutto le espressioni dei visi delle persone che passeggiano. Le tinte sfumate degli sfondi e la definizione quasi fotografica dei particolari. Sembra tutto così realistico in una prospettiva cittadina di fine secolo racchiusa in un’istantanea.”
“Già” rispose il figlio.
“Sono stanco di presiedere riunioni con degli incapaci!” disse poi all’improvviso, rompendo quel momento di riflessione culturale.
“Solite faccie da ebete, inespressive e prive di idee. Possibile che non ci sia mai una reazione, un cenno di risveglio o una scintilla che possa far scaturire un’opinione, una bozza di progetto, un pensiero anche strampalato…
Mi sono stufato, da ora in poi te ne occuperai tu…” disse seccamente, rigirando la carrozzina e dirigendosi dietro alla gigantesca scrivania anch’essa di palissandro.
“Io non sono un direttore generale, ne abbiamo già parlato. Né aspiro ad esserlo.
Amo il settore pubblicitario ed è l’unica cosa che ho imparato a fare con il massimo dei risultati.
Noi qui non abbiamo una persona con queste caratteristiche e non si tratta solo di tenere insieme il gruppo dirigente. Abbiamo bisogno di una persona con grande esperienza in ogni segmento dell’azienda, qualcuno che possa sviluppare nuove idee, creare nuovi stimoli, aprire strade che possano condurre fuori da questa empasse.”
“Già, una specie di extraterrestre! Da dove lo preleviamo un simile elemento? I buoni manager sono già accasati presso le aziende di primo piano e non si muovono tanto facilmente, salvo che con carrettate di soldi, che al momento non possiamo permetterci di spendere. Oltretutto non mi sono mai piaciuti i mercenari. Ma purtroppo ti devo dare ragione.
Questa azienda è invecchiata con me ed io me ne sono accorto tardi.
Sono stato legato per troppi anni a metodi tradizionali ed estremamente conservatori che oggi sono superati, in un mercato moderno che cambia repentinamente e con una rapidità cui soltanto una mente estremamente elastica e giovane è in grado di far fronte.
Serve sangue nuovo da parte di qualcuno che abbia le palle per rivoluzionare tutto il nostro sistema aziendale. Qualcuno che abbia il coraggio e la fantasia di rilanciare la nostra immagine nel mercato.”
Il presidente osservava con uno sguardo quasi compassato dalla finestra, come aveva fatto in altre occasioni, le guglie del Duomo di Milano che spuntavano dall’agglomerato della grande metropoli.
Il figlio lo osservava e provava un po’ di compassione per quel vecchio che aveva costruito quasi dal nulla quella grande azienda ed ora stava assistendo quasi al suo declino, così come stava avvenendo della sua esistenza.
Dopo l’incidente d’auto che lo aveva privato dell’uso delle gambe alcuni anni prima, sembrava aver perso parte delle sue energie, quasi come una resa incondizionata.
Inoltre soffriva di una disfunzione mitralica e qualche anno prima era stato operato al cuore.
In un intervento difficile e complesso gli era stata trapiantata una valvola che sostituiva artificialmente le naturali funzioni del cuore, e doveva sottoporsi a periodici controlli ed elettrocardiogrammi.
Inoltre doveva quotidianamente trangugiare una decina di pillole, che regolavano l’esercizio cardiaco, la circolazione del sangue.
Da anni era rimasto vedovo e viveva da solo, con una governante che si prendeva cura di lui.
Ormai da tempo non usciva di casa se non per farsi portare dal suo autista in azienda ed evitava qualsiasi incontro privato domestico ed esterno.
Anche la partecipazione alle riunioni con la Federchimica indette per argomenti industriali del settore, erano da tempo state delegate al figlio, che aveva pieni poteri decisionali in quella sede.“Trova qualcuno, Franco!” disse all’improvviso, girandosi verso il figlio, “non ho ancora molto da vivere e vorrei vedere questa azienda rilanciarsi prima di ritirarmi.
Dammi questo conforto. Cerca di fare in modo che tutto ciò che ho costruito, non finisca con me.”
“Mi dispiace di non poterti aiutare. Io non posso essere il tuo successore, non ho mai avuto le tue capacità manageriali, né il tuo carattere, credo che tu capisca cosa intendo. Non voglio illuderti, ma ti prometto che mi impegnerò per trovare qualcuno che ti possa sostituire degnamente.
Dammi un po’ di tempo però.”
“Non c’è tempo Franco, purtroppo non ne è rimasto molto…” rispose fermamente il vecchio.
“Cosa vuoi dire?”
“Voglio dire che dalle ultime analisi che ho fatto, sono emersi risultati poco rassicuranti… Franco ho un cancro che si sta estendendo alla colonna vertebrale e non è operabile, date le altre condizioni cardiache di cui ben sai.
Sto sottoponendomi a dosi massicce antidolorifiche di cortisone, ma è solo un palliativo ed eventuali applicazioni di chemioterapia non farebbero altro che rallentare l’evoluzione del tumore, senza poterlo arrestare, con tutte le conseguenze fisiche che questo tipo di terapia comporta.
Sarebbe come prolungare inutilmente questa sicura agonia.
Ormai il tumore si è esteso in metastasi ed è impossibile arrestare questo processo con terapie ordinarie.”
Il figlio rimase senza parole ed avvicinandosi lo guardò, quasi terrorizzato dalla notizia che gli aveva appena dato.
“Mi hai sempre detto che questi tuoi disturbi alla schiena, non erano altro che attacchi di artrosi, che curavi con degli antidolorifici ed antibiotici.
Non mi hai mai accennato a sintomi di un male così tremendo, perché non mi hai detto nulla?”
Il padre abbozzò un sorriso.
“Tu hai una famiglia stupenda, con una moglie deliziosa e due gemelline che stanno crescendo in modo stupefacente.
Quelle due bambine oggi costituiscono l’unica efficace medicina ad ogni mio problema fisico.
Il loro affetto colma tutti i vuoti della mia esistenza e mi auguro che in futuro tu possa essere in grado di garantire loro la massima protezione, per preservarle dalle insidie di questo difficile ed incomprensibile cinico mondo in cui oggi viviamo.
Non avevo diritto di turbare la vostra serenità. Solo ora è venuto il momento di avvertirti, poiché non c’è più molto tempo.”
“Si può tentare un intervento per un trapianto di midollo osseo?”
“Non farebbe altro che protrarre questo calvario. Ho consultato i migliori specialisti e mi sono rassegnato ad accettare questa situazione.
Tutto ciò che ti chiedo è di darmi questa ultima soddisfazione, vorrei andarmene, dopo avere dato qualche ultima zampata da vecchio leone…” gli disse abozzando un forzato sorriso. Franco aveva un carattere molto asciutto ereditato dalla madre, ma l’emozione era troppo forte ed inginocchiandosi lo abbracciò.
“Ti prometto che cercherò anche in fondo al mare, pur di trovare ciò che ci serve.”
Poi scese il silenzio insieme al buio che era calato con la sera.

[continua]

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