Rosso tramonto

di

Maria Organtini


Maria Organtini - Rosso tramonto
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
12x17 - pp. 40 - Euro 5,68
ISBN 88-8356-025-6

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Prefazione

Con questo piccolo ma prezioso volumetto Maria Organtini, nota poetessa monzese, ci consegna una corolla di nuove liriche, quasi una collana di perle piccole e preziose anch’esse. Un’occasione, per chi ancora non la conoscesse, di incontrare un’autrice che, dopo aver molto scritto, continua a rivelare una vena feconda. Attingendo a un vasto serbatoio di esperienze, ricordi e immagini, la Organtini rivela ancora una volta il gusto di raccontare, con garbo e tenerezza, piccoli episodi di vita quotidiana; di descrivere paesaggi scorti attraverso la finestra; di ricordare grandi figure di donne più o meno note: tutto con un gusto, che è veramente la cifra del suo poetare, per il particolare umile e dimesso, per il lessico colloquiale e quotidiano. Ne risultano liriche che hanno qualcosa di crepuscolare sia nelle scelte formali sia nell’atmosfera: nelle scelte formali perché il lessico è modulato in versi dall’andamento prosastico e discorsivo, lontani dalla celebrazione e dal canto spiegato; nell’atmosfera perché le frequenti pause, l’isolamento di certe parole fanno sì che, lungi dal concludersi nel dato veristico, il verso si ampli caricandosi di corrispondenze simboliche e di stupore per le cose osservate. Ciò che si immagina è una dizione a mezza voce, che lasci emergere il senso di stupefatta ammirazione e di attesa che si respira in ogni lirica. Si veda ad esempio quella con cui si apre la raccolta: i molti particolari tratti dalla quotidianità (il telefono, la fotografia del figlio Lorenzo, le lenzuola, la sveglia, il caffè) non fanno che accrescere il sentimento di raccolto ascolto dei sussurri del vento, che porta con sé la memoria delle cose andate; gli oggetti sembrano trascolorare in un sogno ovattato, caldo e lindo come le lenzuola e il pane, benefico come il sentimento della memoria. Memoria che rappresenta una costante di queste liriche, tutte giocate sul filo di un ricordo declinato al femminile: la memoria delle donne, quella che consente di raccontare fiabe ai figli che diventeranno uomini (“Società e ambiente”), quello strumento eccezionalmente duttile con cui le donne sanno dimenticare gli orrori delle loro esistenze violate (“Il tuo canto ultimo”, “Figlio della violenza”) pur conservando la consapevolezza del loro ardore e della loro generosità; quella capacità benedetta di andare al cuore delle cose, raccogliendo fili dispersi e lontani per tessere ancora una volta la trama di una, di tante esistenze. Sono liriche, queste, scritte sotto il segno della differenza, con la precisa volontà di leggere e intendere il mondo attraverso la propria femminilità, senza con questo rinchiudersi nel ghetto che la storia dell’uomo (nel senso di maschio) ha costruito per le donne; e difatti il sentimento di stupore, di attesa e di mistero cui approda l’autrice ha valore universale , ed è significativo che una tra le liriche più riuscite (“Il canneto dipinto”), metafora della condizione esistenziale comune a tutti, non includa né il termine uomo né quello di donna, ma si concluda con un semplice “noi”, che rende evidente il sentimento della partecipazione a un sentimento collettivo, a un’umanità di uguali ugualmente stupiti di fronte al mistero dell’esistenza. Diversi nella storia, uomini e donne non possono che conoscere se stessi, e ritrovarsi, nella medesima consapevolezza della propria condizione di canne immerse nel baluginio della luna.

Olivia Trioschi


Rosso tramonto


Il cielo si veste d’ombre.
Si acquieta
il passero nel nido
la prima stella fiorisce
illuminando la notte.

Maria Organtini


Rosso tramonto

Negli anfratti della memoria
è stato consumato tutto.
Il ricordo dell’amico:
“vieni al balcone
i rossi gerani ti colorano il viso”.

Un cerchio d’oro all’anulare
segna l’era del tuo tempo.
Con moto alterno filtrano le ore
dalla clessidra accanto al telefono
dove la statuetta della Madonna di Lourdes
traspare lucido di lacrime celate
e la fotografia del figlio Lorenzo.

Nel dormiveglia, un sussulto
suona la sveglia
preparo il caffè
e il pane caldo.
Mi cerchi
tra le lenzuola bianche di bucato
mentre uno Zefiro lontano
porta ricordi sopiti:

“Toi et moi
Mais qu’est-ce encor?”

Spira la sua influenza
sul rosso tramonto.


Il giocattolo

All’allodola che sbatte l’aria impazzita
con l’ali ferite da lastre di vetro rotte
da un bimbo che ha profanato il giocattolo
togliendogli l’energia e votandolo alla solitudine
di una stanza antica, non serve l’illusione
di un cielo riflesso nello specchio.

Il suono di un carillon copre il dolore
e nella solitudine si compie la metamorfosi.


I tre Re

Venne il Re di cuori
e la fanciulla
colmò le braccia di fiori.

Venne il Re di denari
e la fanciulla
divenne donna d’affari.

Venne il Re di fiori
e la donna
ritrovò le gioie di ieri.

Venne il Re di picche
e trovò schierati
gli altri tre Re.

La donna-fanciulla
raccolse il suo fascio
di rose e le spine
le punsero il cuore
ma, per i tre Re
riprese a danzare.


Il bosco della memoria

Nel bosco atavico
penetrata da aghi verdi
mi sono persa in laghi oscuri
senza guida
la palude dopo il confine

attesa

di un amore plasmato
impossibile

arriverà

da lontano il suono
del corno che annuncia
il suo ritorno

non vedrò

ali bianche di colombe
volteggiare pure
sul magico passato
ne disperderò petali

raccoglierò

rami di vischio
dorato nel capodanno.

Il verde sarà un ricordo
chiuso nell’immaginario.


La noia

Ad aprire il cielo notturno
solo una stella solitaria
in fuga dall’afa quotidiana.

I pensieri non vogliono obbedire:
come cavalli liberi si rincorrono
senza mèta apparente, vagano.

Incontrare questa immagine
mi attrae, ripenso ai canti
omerici delle sirene:
Ulisse, per quante e quali
strade errante, mendico,
hai vagato senza mèta?
Da chi fuggivi, se non da lei?

E questa sera t’insinui melliflua
adagiandoti sulla sedia vuota
come un gatto che fa le fusa.

Non ti farò compagnia
ma, ancorata ai versi
di una poesia aspetterò
che passi oltre la mia ombra
per non confondermi con te.


Alle radici di un amore: “I Celti”

Sibila il vento del Nord
accarezzando antiche querce
che celano miti e leggende
in nido di Gufo dagli occhi neri.

Occhi neri che interrogano
malizie celate, desideri
che tornano e si scoprono
uguali ad altri, velati
dalle consuetudini.

L’altare nel bosco:
al centro dell’Universo
prepara l’incontro incalzato
dalla nenia del vento
che percorre l’antico cammino
di vita e di morte.

Amore e dolore
si calpesta sulla Terra
dove gli Esseri si riproducono
lasciando impronte di calce
che segnano la via
all’incauto viandante
ebro di sogni.

Tu, riproponi qui, l’antico rito.

Mentre io che salgo alla montagna
in vesti bianche, sfido la Luna.


Dedicata

(a Paola Borboni)

Ti possiedono mille piovre
deliranti e in fuga
nel mare della solitudine.
Dai voce a personaggi
illustri, e volto nuovo
ad antichi Dei.
Il palcoscenico è vita
e ogni giorno crea trame
oscure, personaggi
che non sentono più i morsi
della fame ma, del desiderio
negato agli eroi.
Sorgi, in questa nuova aurora
con l’elmo di Marte
e combatti nell’Ellade
i Nettuno insidiosi; accetta
Andromeda e sali sul suo carro.


Sarai Eterna!

Omaggio a Maria Callas

Nata nell’Aurora
baciata dal Sole
simbolo di alte melodie
vibranti nell’infinito
di cieli limpidi
come la tua voce
che s’innalzava libera
dall’involucro terreno
ad alte solitudini.

Volto dai mille volti
immagine devota
al testo lirico:
una scena d’amore
ti ha partorito.

Breve nella gloria
l’impronta umana
come stella fissa
nel firmamento.


Tahirih

(martire persiana)

Sei l’acqua muta
che scorre silenziosa
nel vortice della vita.

Hai segnato il tempo
con rivoli di lacrime:
spaccato la terra arsa
e un fiore purpureo
di Fede novella
è nato dalle lacerazioni
del tuo giovane corpo.

Eri tenera
dolce e forte
come la palma del deserto.
Alla tua ombra
porteremo le nostre anime
per trovare ristoro
e sentire vivida e feconda
la tua presenza.


Il tuo canto ultimo

Donna, mistero profanato
dimentica
secoli d’abbandono
dimentica
secoli di schiavitù
dimentica
albe senza tramonti
ricorda
giorni fecondi, progenie futura
sensibilità barattata per una carezza
e il pianto dei tuoi figli
serba per loro il tuo canto ultimo
a te
l’acqua di una pozza di lacrime
dove si riflette l’antico sembiante
e l’azzurro del cielo.


Società e ambiente

I fiumi ci raccontano storie,
leggende di popoli che in cammino
hanno raggiunto la civiltà.
Gli alberi ci parlano
di uccelli liberi tra verdi
foglie e robusti rami.
I prati sconfinati hanno visto
calpestare l’erba da mille zoccoli
di animali in fuga per la vita.
Le madri raccontano fiabe
ai figli che diventeranno

uomini

donando loro uno spicchio di cielo
da conservare come ricordo.


Figlio della violenza

Il seme dell’uomo si è tinto di rosso
rosso violenza
rosso per non dimenticare
donne bosniache
donne vittime
in tutti i tempi di guerra
e in ogni guerra è la donna il bersaglio
dell’odio.
È nel sesso che l’uomo punisce
esalta se stesso in un abbaglio d’immortalità.

Di chi questi figli?

Chi avrà il coraggio di amare queste innocenze violate?
Tu, madre costruisci con amore
una nuova veste per loro
cancelli le tracce
di tanto orrore.
I tuoi figli sono puri
e avranno sorrisi per il tuo volto.


Voglia di primavera

Veglio da troppe notti
le membra indolenzite
aspetto il giorno con il suo chiaro.
La barca che sbatte sul molo:
avrà vegliato anche lei?
o le onde pietose l’hanno ninnata.
Oltre la porta, il rumore della lavatrice
che centrifuga cigolando come il mio umore.
Il geranio sul balcone è fiorito anzitempo.
Torno ai ricordi dell’infanzia:
la mia bambola dalle trecce bionde
ha un’espressione attonita e conserva
sotto la cuffietta di pizzo il segno
della prima ferita mai rimarginata.
Voglia di Primavera
non è un sogno, ma il desiderio
d’un incontro.


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