Nel segreto del confessionale

di

Massimo G. Bucci


Massimo G. Bucci - Nel segreto del confessionale
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 176 - Euro 12,80
ISBN 88-6037-141-4

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In copertina: «Oltre la grata» di M. G. Bucci


Prefazione

“Nel segreto del confessionale” di Massimo Bucci è un appassionante romanzo sospeso tra oscura macchinazione ed enigmatiche presenze. Giocando sul filo di lama, fra ragione e sentimenti, l’Autore sa orchestrare con maestria gli effetti d’una intricata e avviluppante trama nella quale i continui colpi di scena e le costanti rivelazioni di verità inaspettate dominano la narrazione dalla prima all’ultima pagina.
Tutto ha inizio con il protagonista, Roberto Sommi, che ascolta casualmente, vicino ad un confessionale, le parole d’una donna che confessa d’aver ucciso un uomo. La sconcertante rivelazione getta l’uomo nello sgomento e, improvvisamente, si trova a dover decidere come comportarsi: tacere e far finta di niente o rivelare alla polizia la notizia anche tenendo conto che la misteriosa donna abita proprio nel suo palazzo. Di certo si rende conto che non può rivolgersi alla moglie Corinne, ricercatrice biologa, dirigente dei Laboratori di Genetica cellulare dell’European Eugenetic Center che, con la sua équipe, ha fatto una scoperta straordinaria e cioé come coltivare cellule staminali con una maggiore capacità riproduttiva e che ora, insieme ad un suo vecchio amico di nome André, sembra coinvolta nel traffico illecito di queste colture cellulari. Improvvisamente ed inaspettatamente, pare essersi dissolta nel nulla, lasciando solo un breve e banale messaggio sul cellulare del marito. E poi, come se non bastasse, ormai da tempo il rapporto con il marito è alle strette e non funziona più, anche perché lei pare interessata solo alla sua avvenenza e al successo professionale.
Quasi subito, il protagonista Roberto, constata che la presunta “donna del confessionale” e quanto mai improbabile rea confessa è la famosa Marlene Kremach, corrispondente del Rheinische Post, donna originale e decisa, giornalista di gran talento e scrittrice di romanzi thriller per passione.
Senza perdere tempo sarà proprio l’intraprendente Marlene Kremach che cercherà di arrivare alla verità seguendo ogni probabile pista come un segugio: senza perdersi d’animo e con tenacia da detective riuscirà a venire a capo dell’intricata vicenda e grazie alla sua capacità indagatrice svelerà l’intrigo fino al sorprendente epilogo.
Nella trama rimarrà invischiata anche una giovane e rampante giornalista, Polly, legata da una profonda simpatia e una evidente “innocente complicità” con Roberto ma disposta a tutto pur di riuscire ad ottenere lo scoop della sua vita.
Massimo Bucci è magistrale nel rendere l’insieme narrativo, senza respiro, senza cadute di ritmo, quasi fosse una spietata caccia al colpevole condotta dalla solerte scrittrice Marlene Kremach. Si assiste ad un susseguirsi di eventi che di continuo sorprendono il lettore tra intrighi, inquietanti interrogativi, la losca figura d’un avvocato coinvolto nella vicenda, un sequestro e il conseguente riscatto della ricercatrice Corinne, l’immancabile spionaggio scientifico, l’avidità e l’arrivismo d’una giovane giornalista senza scrupoli nonché azioni delittuose che daranno del filo da torcere a chi tenterà di conoscere la verità.
La trama è decisamente complessa e densa di risvolti sorprendenti ma avvincente fino all’ultima pagina anche grazie ad una altalena di inaspettati coup de théatre e l’Autore, capace d’una scrittura accattivante e sempre puntuale, riesce a far scorrere velocemente le misteriose vicende mantenendo sempre con il fiato sospeso come si conviene ad un thriller d’azione: e il lettore si trova nella condizione di dover continuamente rivedere i possibili convincimenti che fino a quel momento parevano essere inconfutabili.
In ultimo v‘è da dire che è perfetto il dipinto realizzato da Massimo Bucci e utilizzato per la copertina, sintesi estrema, degna d’un Santomaso, della presenza d’un luogo, “oltre la grata” del reale, quasi a concettualizzare ciò che sta “al di qua” e ciò che sta “al di là” d’un ipotetico e quanto mai labile confine terreno: la soglia tra la verità e l’apparenza.

Massimo Barile


Nel segreto del confessionale


I

Roberto non era ateo, ma neppure un fervente cristiano praticante. Credeva nell’esistenza di una realtà trascendente, di un’intelligenza superiore, cui tutto doveva essere fatto risalire. Ma nulla più. Non riconosceva la necessità di un rapporto “religioso” fra l’immanente e il trascendente, fra l’uomo e Dio. Non accettava l’autorevolezza della Chiesa, né ascoltava la voce della gerarchia ecclesiastica: fantasiose sovrastrutture e retoriche elucubrazioni, partorite da una riconosciuta incapacità di capire i misteri che ci circondano e di trovare una soluzione a problemi altrettanto insolubili. Dove la ragione non arriva, può arrivare la fantasia, l’emotività, sollecitate dall’insopprimibile esigenza di credere in qualcosa e in qualcuno.
Ma allora, se così stavano le cose, se solo a questo si riduceva il suo rapporto con la divinità, perché ora se ne stava seduto su una panca della navata centrale nella chiesetta parrocchiale di S. Basilio, con lo sguardo rivolto al nulla?
Abitava a poche centinaia di metri dalla chiesa, ma nonostante ciò, non riusciva a ricordare l’ultima volta che vi si era recato. Forse un’esasperata necessità di solitudine, un desiderio di meditare e di confrontarsi con se stesso, lo avevano ora indotto a varcare la soglia del luogo sacro. Profondo silenzio e mistica atmosfera di devozione. La navata centrale e le quattro piccole cappelle laterali erano deserte. Un leggero aroma di incenso suggeriva che da poco era terminata una funzione religiosa.
A pochi passi da Roberto, all’interno di un confessionale con le tendine semiaperte, era possibile intravedere la figura di un sacerdote che in attesa dell’arrivo di qualche penitente, leggeva il breviario.
Alcuni passi leggeri, ma veloci, improvvisamente profanarono il silenzio.
Una figura femminile si avvicinò con decisione al confessionale. Abito grigio perla e capo coperto da un velo di pizzo nero. Età indefinibile, anche se da alcuni tratti somatici, appariva piuttosto evidente che un’avanzata maturità era stata raggiunta. Il suo passaggio vicino a Roberto fu seguito da una folata di profumo molto delicato.
Roberto la seguì con lo sguardo, distraendosi per qualche istante dai suoi pensieri.
Non appena la donna si avvicinò al confessionale, trattenendosi brevemente a conversare col sacerdote ancora intento alla lettura, Roberto si sentì come assalito dal desiderio di confessarsi, sensazione per lui molto insolita, non tanto per chiedere l’assoluzione dai suoi peccati, quanto per avere l’opportunità di conversare con qualcuno, anche se sconosciuto, al quale confidare i dubbi e le amarezze che da qualche tempo lo angustiavano.
Si alzò e si diresse verso il confessionale, ad un lato del quale, la donna che lo aveva preceduto si era già inginocchiata.
Senza esitare, Roberto si inginocchiò pure lui al lato opposto del confessionale.
Inavvertitamente accostò l’orecchio alla grata della finestrina che consentiva di comunicare con l’abitacolo del confessore.
Il religioso, rivolgendosi alla penitente, pronunciò alcune sommesse parole, di cui Roberto non fu in grado di capire il significato, nonostante la finestrella non fosse stata, come di consueto, opportunamente chiusa dopo la confessione di chi lo aveva preceduto.
Molto più nitido e deciso fu invece l’intervento della donna: “Padre, ho ucciso un uomo!”
Superati alcuni istanti di smarrimento e di imbarazzo, Roberto istintivamente si alzò e si sedette ad alcuni passi dal confessionale. Si sentì come paralizzato e nel contempo assalito dalla morbosa curiosità di osservare più distintamente il viso della donna. Assunse un atteggiamento disinvolto, alzando distrattamente lo sguardo verso l’alto come se, improvvisatosi turista, ammirasse per la prima volta gli affreschi della cupola.
L’ansia che lo stava sempre più attanagliando, aveva come fermato il tempo.
Tutt’a un tratto la donna sollevò le ginocchia e si allontanò dal confessionale, dirigendosi con passo sicuro verso l’uscita dalla chiesa.
Come spinto da un riflesso condizionato, Roberto la seguì. Andatura veloce e decisa.
Dopo aver percorso alcune centinaia di metri, incurante del traffico caotico e della folla che disordinatamente camminava sui marciapiedi, la donna si fermò ed entrò in un portone con le ante semiaperte.
Roberto ebbe un sussulto: il portone era quello dell’edificio in cui lui abitava da oltre dieci anni, dal giorno delle nozze con Corinne.
Il matrimonio era naufragato da alcune settimane, anche se di vero e proprio naufragio non si poteva parlare. Corinne se n’era improvvisamente andata da casa, senza una comprensibile giustificazione, un evento improvviso, un litigio o un tradimento.
“Sono a Parigi, da Andrè. Non preoccuparti.” Che senso dare ad un messaggio inviato sul cellulare, chissà da dove?
Andrè era un vecchio amico di gioventù della moglie, forse un suo spasimante degli anni passati o forse era il suo amante da sempre.
Un tempo aveva lavorato nell’‘Intelligence’ francese, ma da qualche anno era il titolare di un’Agenzia di Import-Export, a Parigi. Così almeno risultava dalle notizie fornite da Corinne. In passato, era stato pure loro ospite a Roma, in occasione di un campionato internazionale di tennis, sport di cui lui era fortemente appassionato. Certo, questa improvvisa sparizione poteva avere tutta l’aria di una fuga d’amore, di una travolgente passione, di una crisi esistenziale: interrogativi ai quali non era possibile trovare risposta.
Roberto aveva notevolmente accusato il distacco dalla moglie alla quale si sentiva profondamente legato, ma lo aveva ancor più addolorato il mistero che avvolgeva questa incomprensibile decisione. Forse, pensava, la giovane età e l’esuberanza di Corinne, esigevano un ritmo di vita molto diverso da quello imposto dalla convivenza con lui, solerte e rispettato funzionario della Union Bank, onesto ed affettuoso marito, ma senza iniziative ed entusiasmi che non riguardassero solo il suo lavoro che, partecipato indirettamente, poteva riuscire indubbiamente noioso.

“Buon giorno, dottore!” Proruppe Dino, il portiere del palazzo. “Anche oggi il caldo non scherza. Di notte poi, è un vero tormento. Non si riesce a prendere sonno. Mia moglie ha piazzato in camera da letto un paio di ventilatori che quando entrano in funzione, pare che si sia alzata la tramontana…”
“Hai ragione, Dino, d’altra parte siamo in pieno agosto.” Soggiunse Roberto mentre non cessava di seguire con lo sguardo la donna che si stava avvicinando all’ascensore.
Preferì mostrarsi indifferente e trattenersi qualche istante col portiere.
Dalla spia luminosa dell’ascensore, Roberto rilevò che la donna si era fermata al quarto piano dell’edificio, nell’appartamento sovrastante la sua abitazione.
Si chiese che rapporti avesse la sconosciuta, con la famiglia dell’avvocato Ortona, da molti anni proprietario dello stesso immobile. Non riuscì a resistere alla curiosità.
“Da qualche tempo in casa dell’avvocato Ortona regna il silenzio più assoluto.” Soggiunse rivolgendosi a Dino. “Non sento più la camminata lenta dell’avvocato ed il rumore secco del bastone quando veniva appoggiato al pavimento.”
“Se n‘è accorto tardi, dottore. Da più di due settimane l’avvocato e la moglie si sono trasferiti all’estero, dalla figlia. Non so per quanto tempo. Mi ha lasciato solo il numero del cellulare. È rimasta Daria, la domestica polacca. Viene due o tre volte la settimana; a volte si porta pure un’amica. L’avvocato si era rivolto ad un’agenzia per affittare l’appartamento. Da una decina di giorni è arrivata una signora che l’ha preso in affitto. Viene dalla Germania. Ha uno strano cognome che ancora non ho imparato. Di nome, però, fa Marlene. Questo me lo ricordo perché è lo stesso nome della canzone che i tedeschi cantavano durante la guerra… ma lei è troppo giovane, non può ricordare.”
Roberto guardava Dino mentre parlava, ma non si preoccupava di seguire il senso delle sue parole.
“Padre, ho ucciso un uomo!”. Non riusciva a cancellare neppure per un istante dalla mente, quelle parole che lo avevano colpito così profondamente. Sospetto, ansia,turbamento. Turbamento ossessivo. Un miscuglio indefinito di interrogativi non cessava di tormentarlo: chi era quella donna? Chi, quando e perchè aveva ucciso? E la confessione? Cercava un’assoluzione o solo un conforto per il rimorso?... Che fare? Avvertire la polizia o forse consultarsi col sacerdote confessore? Dubbi, solo dubbi angosciosi, domande senza risposta.
Aperta la porta del suo appartamento, Roberto la chiuse con accurata delicatezza, come per evitare ogni rumore che gli impedisse di ascoltare quanto si stava svolgendo al piano soprastante. Occorreva carpire in qualche modo ogni particolare che lo aiutasse a conoscere meglio Marlene, la misteriosa signora, le sue frequentazioni, i suoi movimenti, la sua vita.
Per tutta la giornata, silenzio assoluto.
Durante la notte, mentre stava riposando da un paio d’ore, improvvisamente si trovò con gli occhi aperti. Osservò l’orologio con i numeri fosforescenti: le due e trenta. Le martellanti battiture di una macchina per scrivere lo avevano svegliato. Cercò più volte di riprendere sonno, ma l’incessante martellio non dava segni di tregua. Marlene scriveva a macchina con estrema rapidità e nel silenzio notturno il rumore diventava ossessivo ed intollerabile. Roberto avrebbe voluto salire al piano superiore per lamentarsi con la signora, ma preferì soprassedere. Si rassegnò con la speranza che il tormento cessasse quanto prima.


Spinto da chissà quale impulso, Roberto ritornò un paio di volte nella chiesa di S. Basilio. Voleva forse rivivere quei momenti che lo avevano così profondamente turbato, sperando che la rinnovata emozione gli suggerisse qualche consiglio.
Quel tardo pomeriggio le sue speranze furono in parte appagate.
Da una porticina laterale, alla sinistra della navata centrale, vide uscire un sacerdote che, camminando con molta circospezione, conversava con una signora. Che il sacerdote fosse il confessore, non poteva esserne del tutto certo, mentre non ebbe alcun dubbio che la signora fosse Marlene.
La donna parlava e gesticolava. Alcuni passi, e poi di nuovo ferma a confabulare, mentre il prete, con il busto un po’ inclinato in avanti, ascoltava in silenzio annuendo ogni tanto con movimenti lenti del capo. I due si salutarono ed il prete tornò sui suoi passi, scomparendo nella porticina dalla quale era da poco uscito.
Roberto esitò alcuni istanti. L’occasione non si sarebbe più presentata. Forse il prete non era il confessore, o forse lo era. Occorreva tentare.
“Mi scusi, padre, ho bisogno di parlarle.”
In breve, e con parole incerte e confuse, Roberto raccontò tutta la vicenda che lo aveva casualmente coinvolto.
“Sì, ho confessato io la signora.” Sentenziò con espressione autorevole e solenne il sacerdote. “Anche se involontariamente, lei però ha profanato il santo sacramento della confessione. Non è certo colpevole di nulla, ma è stato investito di una pesante responsabilità. Lei è tenuto al silenzio più assoluto, come lo sono io. Dimentichi tutto. Rimuova dalla mente ogni ricordo che in qualche modo si possa riferire a quanto le è accaduto.”

Rientrato a casa, Roberto si sentì ancor più turbato. – Come posso dimenticare tutto? Quella abita sopra di me: è un’assassina. Non so chi sia. Forse è ricercata dalla polizia. Può darsi che sia un soggetto pericoloso. E poi, che c’entro io col prete e con i suoi doveri? Chi ha detto che io sia tenuto al silenzio come lui? Avrà paura che io mi rivolga alla polizia e che poi quella donna pensi che il delatore sia stato lui… così ci scappa un altro cadavere. – La notte seguente, dopo alcuni giorni di silenzio, il martellante crepitìo della macchina per scrivere lo svegliò nuovamente. – Domani vado a parlarle. Questo tormento deve finire. – Il giorno dopo, verso le diciassette, udì l’ascensore fermarsi al piano superiore. Alcuni passi e quindi il rumore secco della porta di ingresso dell’appartamento, che veniva chiusa con ferma decisione.
Roberto attese alcuni minuti. Uscì di casa, superò le due rampe di scale e suonò alla porta.
Senza indugio, la porta si aprì. Come età non poteva superare i sessant’anni. Capelli biondo cenere, occhi glaciali e sguardo dall’espressione allucinata. Non erano certo i caratteri somatici di una donna mediterranea. Al collo, una sottile catena d’oro con appesa una vistosa stella di David. Roberto ebbe come un attimo di esitazione. Si sentì intimidito.
“Mi perdoni, signora. Mi chiamo Roberto Sommi e abito esattamente sotto il suo appartamento.”
“Marlene Kremach.” Rispose, porgendogli la mano ed invitandolo ad entrare nel salone di ingresso. “Cosa desidera?”
Roberto spiegò con poche parole il motivo della visita.
“Certo, ha ragione,” riprese Marlene “ma anch’io debbo lavorare, e purtroppo riesco a scrivere solo di notte. Durante il giorno, i rumori, le telefonate e le faccende domestiche, mi distraggono, mi deconcentrano… non posso farci nulla. Mi rendo conto che è una cattiva abitudine. L’ho contratta durante gli anni liceali. Studiavo solo di notte, turbando anche i ritmi e le abitudini della vita familiare. Un vero disastro. Comunque, posso andare a scrivere in un’altra stanza, lontano dalla sua camera da letto… nella stanzetta degli ospiti che si trova sul lato opposto dell’appartamento. Non dovrebbe più avvertire alcun rumore, penso.”
Col progredire della conversazione, le parole di Marlene assumevano un tono sempre più gentile ed accattivante, in stridente contrasto con il suo aspetto, decisamente severo ed autoritario.
Prima che Roberto aggiungesse altre parole, Marlene spiegò di essere giornalista, corrispondente del ‘Rheinische Post’ di Düsseldorf, ma che la sua vera passione era quella di scrivere romanzi gialli, thriller o roba del genere. A questa attività dedicava gran parte del suo tempo, stimolata anche dal crescente successo della sua recente produzione. – Una persona del genere, può essere un’assassina? – Continuava a chiedersi Roberto mentre con estrema attenzione ascoltava le parole di Marlene. Intelligente, colta, gratificata dal suo lavoro, e poi estremamente gentile e disponibile. Stava conversando con lui come fosse un vecchio amico. D’altra parte, però, molto spesso la difficoltà degli investigatori risiede proprio nell’insospettabilità del colpevole. Nessuno ha scritto sulla fronte: io sono un assassino!
Avrebbe voluto trattenersi ancora un poco per meglio conoscerla e possibilmente per dare un senso più definito a quanto gli stava accadendo, ma temette di abusare della sua gentilezza e forse di insospettirla. Si salutarono molto cordialmente.
Il maggior turbamento, tuttavia, gli era stato provocato dal recente colloquio col sacerdote, dalle sue rigorose raccomandazioni che avevano quasi il sapore della velata minaccia: silenzio assoluto e dimenticare, dimenticare. E poi, quell’inatteso incontro del prete con Marlene? Che si erano detti? Perché Marlene si era rivista col confessore?
L’esigenza di comunicare con qualcuno si faceva sempre più incalzante. Parlare con la polizia, ma a quale scopo? Chi poteva essere stata la vittima? Dove poteva essere stato commesso l’omicidio? Forse all’estero e chissà quando. La confessione poteva essere avvenuta dopo mesi o anni di incertezze, dubbi, rimorsi. Meglio seguire il consiglio del prete: silenzio e dimenticare.
Tutto questo, però, gli provocava una vaga sensazione di complicità. Non riusciva ad affrancarsi da questo pensiero opprimente che si stava lentamente trasformando in un senso di colpa. Non era poi certo che anche il seguire i consigli del prete, fosse la soluzione più giusta e lecita. Non vi era dubbio che col suo silenzio sarebbe forse diventato corresponsabile della condanna di qualche innocente. Non c’era alternativa. Doveva in qualche modo informare la polizia. Ma sarebbe stato creduto? Avrebbero prestato fede ad un racconto che aveva tutta l’aria di essere la farneticazione di un mitomane? E poi, il prete. Lo avrebbe messo nei guai, anche se di Marlene probabilmente non conosceva né il nome e tanto meno il luogo in cui poterla rintracciare. Solo lui, Roberto, era in grado di fornire alla polizia tutti questi preziosi elementi.


Alcuni squilli del telefono lo svegliarono. Si era da poco appisolato dopo aver consumato un pranzo molto frugale che si era preparato con cura: insalata mista con tonno di cui era ghiottissimo e uova sode. Gianni, il salumiere del negozio sotto casa, sapeva di queste sue preferenze gastronomiche, e quando era possibile, gli riservava sempre i prodotti migliori.
Da quando era rimasto solo, si recava con insolita frequenza a rifornirsi da Gianni che, grazie alle dettagliate informazioni ricevute da Dino, aveva appreso della scomparsa di Corinne. Con molta discrezione però, Gianni non aveva mai chiesto notizie in proposito, come se non avesse rilevato nulla di insolito.
Roberto alternava il ristorante al fai-da-te. Non poteva certo essere definito un buongustaio, e si accontentava di molto poco, specie durante il periodo estivo in cui era solito alimentarsi soprattutto con verdura fresca e frutta di stagione. Certo, qualche bel piatto di spaghetti col sugo, riusciva a cucinarselo. La moglie di Dino, che si occupava delle pulizie dell’appartamento anche quando era presente Corinne, più volte si era offerta per preparargli qualche pietanza di sua creazione, ma Roberto aveva sempre preferito fare da sé. Il ristorante non era lontano, ma lui non poteva sopportare il chiasso e la confusione che si creavano in questo periodo di eccessivo afflusso turistico.
Una settimana di ferie era ormai passata. Forse gli ultimi giorni del mese li avrebbe trascorsi in qualche località di mare, anche se la solitudine che lo deprimeva, non gli stimolava certo il desiderio di allontanarsi da casa e di divertirsi.
“Pronto!” Esclamò una squillante voce femminile.
“Chi è?” Rispose Roberto ancora sonnecchiante.
“Da quanto tempo non risponde più Corinne al telefono? Non sarai mica diventato geloso…”
“Polly… che bella sorpresa!” Replicò stupito Roberto che riconobbe subito l’amica dall’inequivocabile accento americano, ancora spiccatissimo, nonostante avesse lasciato da oltre quindici anni gli Stati Uniti. “Ma dove ti trovi?”
“Sono atterrata a Fiumicino da una decina di minuti. Il tempo per prenotare una stanza in qualche albergo e sono da voi… come state? Beh, lasciamo perdere, mi racconterete a voce tutte le novità.”
“Ma quale albergo! Lascia perdere, la sistemazione la troveremo insieme. Ti ricordi l’indirizzo, vero?”
Polly era una vecchia amica di Corinne, giornalista rampante e corrispondente dell’‘Helvetic News’, quotidiano di Berna. Anche Roberto la conosceva dai tempi in cui non era ancora fidanzato con Corinne. Li univa una profonda simpatia che in alcuni momenti sembrava destinata ad esitare in qualcosa di più intimo e profondo. Sguardi, gesti, espressioni affettuose e coinvolgenti con qualche nota di complicità. Insomma, un rapporto un po’ insolito, ambiguo, indubbiamente stimolante.
“Ciao, brigante!” Esclamò, abbracciandolo con trasporto. “Dov‘è quella santa donna di tua moglie che ti sopporta ormai da troppi anni?”
Non avrebbe potuto scegliere frase più infelice. Roberto abbozzò un’espressione smarrita, ma rapidamente si riprese.
“Dammi il tuo bagaglio… ti conduco nella tua stanza, anche se non hai pensato a prenotarla…” aggiunse sorridendo.
“Per carità, non disturbarti… ma Corinne, che fine ha fatto? Sta dilapidando il patrimonio di famiglia nell’atelier di qualche stilista?”
“Non è in casa… ti dirò, ti dirò.”
Durante la cena al ristorante vicino a casa, Roberto raccontò dell’improvvisa scomparsa di Corinne, del laconico messaggio sul cellulare e dell’incontro che la moglie avrebbe avuto con Andrè.
“È una storia incredibile. Ancora non posso crederci. Una decisione del genere non può essere maturata in una persona come Corinne. Ci dev’essere dell’altro. Tu forse hai avuto una storia con qualche donna, di cui Corinne sia venuta a conoscenza? Mi sembra una reazione dal sapore vendicativo.”
“No, nessuna storia. Anch’io non riesco a capire. E poi, diciamolo pure, tutto questo fascino, in Andrè non ce lo trovo proprio…”
“Non so che dirti, però penso che la figura di Andrè non abbia un ruolo determinante in tutta questa storia. Ci deve essere sotto qualcosa che ancora mi sfugge.”
La conversazione, fatta di dubbi, ipotesi e fantasiose macchinazioni, continuò anche al loro rientro a casa.
Alternando sorsi di vodka a boccate di fumo, fecero le ore piccole. Nessuno mostrava segni di stanchezza e tanto meno il desiderio di riposare. Sembravano in attesa che accadesse qualcosa di imprevisto, di desiderato e nello stesso tempo, di temuto. Speranza che l’altro prendesse qualche iniziativa.
Che tra Roberto e Polly esistesse anche ora molto più di una semplice simpatia, era palesemente avvertito ed ostentato da entrambi. La cosa, tuttavia, era del tutto sfuggita a Corinne, sempre troppo interessata a se stessa, in una narcisistica devozione della propria avvenenza e del crescente successo professionale.
Corinne dirigeva i Laboratori di Genetica cellulare all’‘European Eugenetic Center’ (EEC). Da alcune indiscrezioni, si era saputo che l‘équipe da lei diretta aveva messo a punto una nuova metodica per individuare e coltivare cellule staminali la cui capacità riproduttiva e di differenziazione era di gran lunga superiore a quella di altre fino ad ora conosciute e presenti solo in alcuni ben definiti tessuti, sia embrionali che adulti. Una scoperta indubbiamente rivoluzionaria. Si trattava, tuttavia, solo di notizie frammentarie e non ancora pubblicate su riviste scientifiche, condizione indispensabile per poter ottenere il brevetto della scoperta.
L’atmosfera di perplessità e di amarezza che si era venuta creando fra Roberto e Polly, a causa della misteriosa scomparsa di Corinne, non era certo la più adatta per concedere spazio ai sentimenti ed ancor meno per abbandonarsi ad effusioni amorose. Che però stesse maturando una recondita intesa, era indubbiamente avvertito, anche se con simulata indifferenza, da entrambi.
“Beh, non voglio abusare della tua amicizia e soprattutto della tua pazienza.” Concluse Roberto. “Sei appena arrivata e già ti annoio con le mie disavventure…”
“Vi conosco da troppo tempo. Come potrei rimanere indifferente a quanto mi hai detto?”
Si augurarono la buona notte e si ritirarono a riposare.


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