Racconti sottovoce

di

Massimo G. Bucci


Massimo G. Bucci - Racconti sottovoce
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14X20,5 - pp. 188 - Euro 13,00
ISBN 978-88-6037-7654

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In copertina: «Ginestre» di M. G. Bucci


Prefazione

“Racconti sottovoce” di Massimo G. Bucci è una raccolta di nove racconti eterogenei eppure legati fra loro da un sottile filo conduttore che può essere ritrovato ed identificato in una visione surreale e disincantata che contamina le vicende della vita, le rende sorprendenti, le scoperchia fino a svelarne una nuova verità o una nuova identità che oltrepassano le apparenze, le nebbiose immagini, le artificiose parole e le maschere pronte per le diverse occasioni della vita.
Ecco allora che i protagonisti si rivelano assai differenti da ciò che potrebbero sembrare all’inizio del racconto, si disvelano lentamente, aprendo il ventaglio delle possibilità esistenziali.
Nel primo racconto di Massimo G. Bucci ritroviamo la storia sorprendente di un uomo, un professore, che decide di fare la vita del barbone dopo che la moglie lo ha accusato di aver causato la morte del loro amato figlio Giovanni. Lui è un uomo qualunque che però non riesce a perdonarsi se ripensa a quella tragedia nella quale, in fin dei conti, è stato anche lui una vittima indiretta e si rende conto che la moglie è stata una figura così negativa che lui preferisce vivere come un barbone e constaterà che molte situazioni che si verificheranno in seguito non saranno altro che gli effetti di questa sua inevitabile scelta.
La sua decisione di allontanarsi dalla vita consueta è definitiva. Ormai deluso, amareggiato e desolatamente soffocato da un senso di solitudine che nasce dal fatto di avere davanti agli occhi la realtà straziante di “come sono andate le cose”: ora è un barbone, chiamato il Poeta. Da qui la consapevolezza che la vita può innalzare al settimo cielo ma può anche schiacciare un essere umano come fosse una lattina vuota: ecco allora che si devono sempre fare i conti con il proprio “essere”, con la propria coscienza, impresa certamente ardua e coraggiosa. In definitiva, non rinunciare mai ad essere “se stessi.”
Nel racconto “Il primo amore”, Massimo Bucci racconta la storia di un uomo, un avvocato, che incontra casualmente la donna che era stata il suo primo amore, ma è passato molto tempo da allora e lei si rivelerà totalmente differente, completamente cambiata e si dimostrerà una donna capace di mentire senza ritegno eppure…
In altri racconti si possono ritrovare le consuete illuminazioni e lo slancio creativo che sono una peculiarità della narrativa di Massimo Bucci che riesce ad affascinare attraverso una serie di racconti decisamente interessanti.
La scrittura di Massimo Bucci è, come al solito, precisa e nitida, sempre penetrante nel profondo scandaglio del mondo interiore dei protagonisti, sempre capace di fissare le figure dei personaggi che propone dalla sua personale galleria narrativa, plasmandoli su un simbolico piano letterario, proponendoli come persone “misteriose” da scoprire, a poco a poco, o, quanto meno, capaci di procurare delle visioni.
Nella stessa visione della vita con le sue manifestazioni si potrebbe parlare d’una atmosfera dal sentore di magia come nel racconto “Dialoghi negli scaffali” con la sua storia surreale.
Logicamente scaffali pieni di volumi nello studio d’un dottore.
La qualità indubbia della scrittura di Massimo G. Bucci riesce a rendere vive e pulsanti le diverse storie che rappresentano un cammino simbolico alla ricerca di sé, alla riscoperta della propria essenza, della coscienza di sé.
Non si può temere la verità, è come mentire a se stessi, al contrario, bisogna condurre un’indagine introspettiva, “riconoscersi o respingersi” come scrive Massimo G. Bucci nel racconto “Il profumo del muschio” a proposito della protagonista, una donna che deve collaborare per una nuova collana di narrativa e abbandonare la sua attività di saggista storico-filosofico: una sorta di sfida con se stessa, per vedere se riesce ad inventare storie e personaggi dando libero sfogo alla fantasia. Ne emergeranno riflessioni e considerazioni importanti, l’accertamento di uno stato di insoddisfazione mai voluto riconoscere, la disamina della propria vita, fino a quel momento, nient’altro che un’autentica fuga dal mondo, dalla realtà e da se stessa.
La consapevolezza che non si può temere la verità e quando vengono messe in evidenza le fragilità e le insicurezze nell’affrontare la vita, significa che si devono fare i conti davanti allo specchio: dare fondo alle proprie forze, conoscere profondamente se stessi.
Una continua lotta per ricercare il significato della vita, di ciò che si scrive, di ciò che si sogna e si spera, l’amore e le illusioni, la felicità e il dolore, il senso ultimo del nostro esistere.

Massimo Barile


Racconti sottovoce

Anche se sei convinto di comunicare cose importanti,
di proporre formule magiche e svelare misteri inaccessibili,
anche se sei convinto di dire la verità e vuoi essere creduto,
non è necessario urlare. Parla sottovoce.

Richard Watson


IL BARBONE

È difficile sottrarsi, anche solo emotivamente, all’arrivo dell’autunno. Durante l’estate sembrano sprigionarsi tutte le energie vitali non solo della natura, ma anche degli individui. Quando inizia l’autunno, tuttavia, queste risorse interiori risultano tutt’altro che esaurite e pur assumendo connotazioni diverse, finiscono col sollecitare i nostri istinti e le nostre passioni. Sono indubbiamente reazioni molto soggettive che esitano negli stati d’animo più disparati ed inattesi.
Con l’arrivo dell’autunno, infatti, alcuni si sentono come avvolti da un’atmosfera di sconforto e di malinconia, che finisce col soffocare ogni entusiasmo e desiderio di agire e di operare; sensazioni queste, che non sempre risultano spiacevoli. Ci si può infatti sentire come dolcemente cullati ed abbandonati ai propri sogni. L’atmosfera autunnale solleva da terra e ci fa navigare per l’aria come le foglie, trasportate dal vento.
È una condizione dello spirito che a volte può anche riuscire gradevole e feconda, proponendo pacati e sommessi suggerimenti, idee e stimoli creativi.
La natura, già sul finire dell’estate, sembra cominciare a prepararsi il giaciglio per riposare e per immagazzinare quelle energie che affioreranno poi con l’avvento della primavera. Ma la natura è solita riprodurre serenamente le stesse cose, come ubbidisse rigorosamente a delle imposizioni cui non le è consentito sottrarsi. L’uomo invece crea e si gestisce liberamente, e per creare deve necessariamente attingere a nuove e stimolanti sollecitazioni, esterne od interiori, che rendano possibile l’attuazione del suo programma.

Quella sera, quando uscì dallo studio ed aprì il portone di ingresso per affacciarsi sulla strada, il dottor Rosi fu come assalito da una zaffata d’aria fresca che lo indusse istintivamente a sollevare il bavero della giacca. Mancavano pochi giorni alla fine di ottobre. La presenza del sole rendeva il clima ancora mite e gradevole, anche se, già pochi minuti dopo il tramonto, improvvisamente l’autunno annunciava la sua presenza con un venticello freddo o con qualche fugace scroscio di pioggia.
Luca Rosi aveva un carattere molto chiuso e riservato. L’avvento dell’autunno lo rendeva triste, e nonostante il recente e prolungato riposo estivo, lavorava senza entusiasmo come in uno stato di deconcentrazione. Anche in famiglia, era spesso taciturno e distaccato da qualsiasi evento. Aveva conseguito da oltre quindici anni la laurea in giurisprudenza ed esercitava la sua attività professionale nello studio del padre, pure avvocato, venuto a mancare da alcuni anni. Abitava con la moglie ed i due figli a circa venti minuti d’auto dallo studio, conducendo una vita serena e tranquilla. Aveva conosciuto Enrica durante gli anni liceali, e poco dopo la laurea, i due innamorati avevano deciso di sposarsi. Era, come si è soliti dire, una coppia ben affiatata, che aveva costituito un nucleo famigliare solido e sereno.
Quel giorno, era stato costretto a lasciare l’autovettura nel garage poco distante dallo studio, per un improvviso guasto al carburatore.
La stazione della metropolitana non era molto distante, per cui poteva raggiungere con tale mezzo la propria abitazione, piuttosto agevolmente. E d’altra parte, da quando quel tratto di metropolitana era stato ultimato, non aveva mai avuto occasione di servirsene.
Con andatura abbastanza sostenuta raggiunse l’ingresso del sottopassaggio che conduceva alla stazione della metropolitana. Scendendo le scale avvertì subito la presenza di un’aria stranamente maleodorante. Il pavimento era cosparso di rifiuti di ogni genere e le pareti del corridoio, imbrattate con scarabocchi e parole indecifrabili. Percorsa una trentina di metri, notò sul lato sinistro del sottopassaggio una sagoma scura ed immobile, che dopo qualche esitazione, identificò in un uomo, seduto sopra un cartone steso sul pavimento.
Una coperta grigia copriva le spalle ed avvolgeva in parte anche il corpo di un piccolo cane che sonnecchiava appoggiandosi al padrone.
Avvicinandosi lentamente, gli apparve sempre più distinta la figura dell’uomo: capelli lunghi e grigi, barba folta ed incolta, sandali ai piedi. Con lo sguardo sembrava fissasse qualcosa di indefinito di fronte a lui.
Non fu difficile capire che si trattava di uno di quegli individui definiti genericamente come barboni. Appoggiata sul pavimento, una bottiglia di plastica contenente forse acqua, ed un bicchiere di carta capovolto sul collo della bottiglia.
La presenza del piccolo cane, ma soprattutto il suo affettuoso atteggiamento nei confronti del padrone, non sfuggirono all’attenzione di Luca che da tempo desiderava possederne uno, anche per accontentare il desiderio dei figli.
L’espressione del viso del barbone, i suoi delicati lineamenti e l’atteggiamento molto distaccato, incuriosirono talmente Luca da indurlo ad avvicinarsi, col pretesto di deporre ai suoi piedi qualche soldo.
Mentre si chinava per offrire il denaro, quasi inavvertitamente e con un’espressione imbarazzata soggiunse: “Che razza è questo bel cagnolino?”
Il barbone alzò lentamente il capo e con lo sguardo rivolto al pavimento, dopo qualche secondo di esitazione, sussurrò: “Non lo so; comunque il denaro non mi serve. Se vuole aiutarmi, mi porti un po’ di pane e qualche sigaretta.”
“Sì, certamente…” rispose imbarazzato Luca.
Rientrato a casa, parlò dell’accaduto con Enrica, la moglie.
“Accontentalo,” commentò, “in fondo quel poveraccio non chiede molto; un pezzo di pane non lo si nega a nessuno.”

Il giorno seguente Luca lasciò l’auto nel garage, anche se la riparazione era stata ultimata. Voleva ad ogni costo incontrare nuovamente il barbone. Acquistò mezzo chilogrammo di pane ed un pacchetto di sigarette, e si avviò verso l’ingresso del sottopassaggio per rivedere lo strano personaggio.
“Grazie!” esclamò, allungando la mano per afferrare il sacchetto di carta che Luca gli porgeva.Portò subito alla bocca un pezzo di pane e ne offrì alcune briciole al cane che gli stava fedelmente vicino.
Luca non riuscì a trattenersi, e chinandosi leggermente verso il viso del barbone, con atteggiamento quasi confidenziale, soggiunse: “Mi scusi, ma perché ieri non ha voluto accettare il denaro che le offrivo?”
Seguirono alcuni secondi di silenzio. Continuando a mangiare piccoli pezzi di pane e senza alzare lo sguardo, il barbone mormorò sommessamente: “I soldi non mi servono, mi basta vivere, vivere come il mio amico Dick.” Ed accarezzando il cane, continuò: “Vero, Dick, che a te il denaro non serve? Che ne faresti?”
“D’accordo,” riprese Luca “però al suo amico Dick, pensa lei.”
“Certo,” rispose il barbone “come lei ha pensato a me.”
Luca non seppe più cosa dire, e salutando con un gesto della mano, lentamente si allontanò.

Trascorsero alcuni giorni durante i quali Luca si recò come sempre al lavoro con l’auto.
Un sabato pomeriggio, mentre passeggiava con la moglie curiosando nelle vetrine dei negozi per eventuali acquisti, ebbe un’idea.
“Che ne diresti, Enrica, se andassimo a vedere che fine a fatto il mio amico barbone?”
Pochi minuti di taxi ed il sottopassaggio della metropolitana fu subito raggiunto. L’idea di rivedere lo strano personaggio, lo incuriosiva oltre misura. Le poche parole pronunciate nell’ultimo incontro, gli erano rimaste scolpite nella mente. Esprimevano indubbiamente una strana filosofia di vita. Ma forse, dietro quell’apparente semplicità, potevano nascondersi problematiche più complesse ed intriganti.
Mentre scendeva le scale che immettevano nel sottopassaggio, Luca scrutò con lo sguardo il lato sinistro del corridoio ove sedeva il barbone nei loro precedenti incontri. Le numerose persone che entravano ed uscivano dal sottopassaggio, rendevano la ricerca molto difficoltosa. La moglie seguiva a breve distanza camminando con passo incerto fra i pedoni.
Fatti pochi passi, Luca intravide il barbone che discuteva animatamente con una figura femminile. Si avvicinò alla moglie e con un gesto del capo glielo indicò.
La donna, dall’aspetto giovanile, piuttosto alta, bionda e vestita con un abbigliamento elegante, indubbiamente contrastava con l’immagine trasandata e quasi selvaggia del barbone.
Luca e la moglie si fermarono per assistere a distanza all’incomprensibile colloquio.
Dopo alcuni minuti, la signora strinse la mano al barbone e con passo lento si diresse verso l’uscita del sottopassaggio.
Il barbone si chinò, si appoggiò sulle spalle la coperta e afferrando la solita bottiglia di plastica, si avviò lentamente, seguito dal cane, in direzione di Luca. Questi si fece coraggio, e quando si trovò a breve distanza, istintivamente, gli si avvicinò.
“Buona sera, si ricorda di me?”
“No, non ricordo, e penso che neppure Dick si ricordi, altrimenti le avrebbe fatto festa, vero Dick?“
“Il pane… le sigarette… il denaro che le offrii e che lei rifiutò…”
“Sì… ora ricordo, ma lei che vuole da me?”
“Nulla.” Replicò Luca, mentre la moglie osservava incuriosita e sospettosa i due che dialogavano.
“Volevo offrirle un po’ di pane, ma l’ho vista occupato con una signora…”
“Ah… sì, mia moglie, anzi la mia ex moglie. Poveraccia… però ora devo rientrare, anche perché comincia a far freddo.”
“Questa è mia moglie,” continuò Luca indicando Enrica “possiamo offrirle un caffè?”
Enrica guardò il marito con un’espressione di decisa disapprovazione, anche se ormai l’invito era stato fatto.
“Grazie, però preferirei un brandy” Soggiunse il barbone, “mi scalda un po’.”
Giunti davanti ad un bar, Luca, seguito dalla moglie, entrò. Si recò alla cassa ed ordinò due caffè ed un brandy. Il barbone non entrò nel bar e con un cenno della mano segnalò che avrebbe atteso fuori dal locale.
Luca ed Enrica bevvero il caffè e con un piccolo bicchiere colmo di brandy, raggiunsero il barbone.
“E così, la sua ex moglie si occupa ancora di lei?” Riprese Luca.
“Veramente sono io ad occuparmi di lei.” Rispose il barbone sorseggiando le ultime gocce di brandy. “Non riesce ad andare d’accordo con il suo nuovo compagno. È gelosa e teme sempre di essere tradita. Ha avuto addirittura il coraggio di chiedermi di pedinarlo, come se la cosa mi interessasse; ma a me queste cose non piacciono, e poi sono affari loro. Viene spesso a trovarmi per scaricare con qualcuno la sua tensione e la sua ansia. Penso che abbia veramente dei problemi psichici…”
Luca e la moglie si guardarono con una malcelata espressione di stupore. Non riuscivano a dare un senso logico a quanto stavano ascoltando. Avrebbero voluto fare altre domande, ma temettero di apparire indiscreti. La loro curiosità non poté quindi essere soddisfatta.
“Si è fatto tardi; devo proprio rientrare. Andiamo, Dick… e grazie per il brandy.”
Il barbone salutò con un cenno della mano, e senza attendere risposta, se ne andò.
Il sole era da poco tramontato e già si erano accese le luci dei lampioni. Le strade erano piene di folla indaffarata. Gli alberi del viale si stavano spogliando dalle loro ultime foglie che cadevano ondeggiando a ricoprire l’asfalto, trasformato in un soffice tappeto color ocra.

Durante la cena, il discorso cadde inevitabilmente sull’incontro con il barbone.
“Certo che è uno strano personaggio, indefinibile e forse un po’ pazzo.” Intervenne Enrica.
“Pazzo forse no,” replicò Luca “indubbiamente è una persona civile e apparentemente colta che ha fatto una scelta di vita discutibile, ma ben precisa. Sarebbe interessante sapere il perché.”
“E dello strano rapporto con la moglie, che ne dici?”
“Questo poi, è veramente un mistero… come non capisco dove potesse andare quando disse che doveva rientrare. Rientrare dove?”
“Ma di chi state parlando?” Intervenne Mariolina, la figlia maggiore che aveva da poco compiuto otto anni.
Enrica raccontò brevemente dell’incontro, descrivendo sommariamente il personaggio.
“Lo vogliamo conoscere pure noi, vero Gigi?” Replicò la figlia rivolgendosi al fratello, di tre anni più giovane.
“Sì, sì… pure noi. Quando lo andiamo a trovare?”

Per soddisfare la curiosità dei figli, ma soprattutto quella sua personale, Enrica decise alcuni giorni dopo di ritornare a rivedere il barbone.
“Andate pure voi,” commentò Luca “poi mi racconterete. Ma non uscite troppo tardi, perché comincia a fare freddo piuttosto presto nel pomeriggio.”
Quando uscirono di case subito dopo colazione, la temperatura, ancora molto mite, sembrava contraddire le raccomandazioni di Luca, al punto che Enrica ed i figli decisero di raggiungere, passeggiando, la vicina stazione della metropolitana per recarsi con tale mezzo ad incontrare il barbone.
“È vero che questi uomini rubano i bambini?” Intervenne Mariolina tenendo per la mano il fratellino come se volesse difenderlo da possibili insidie.
“Ma no, non è vero niente” intervenne la madre “ sono uomini buoni che vogliono vivere da soli e non fanno male a nessuno.”
Raggiunta dopo qualche minuto la terza stazione della metropolitana, il gruppetto si avviò per il sottopassaggio con passo piuttosto veloce. A parte qualche persona che camminava indaffarata, il corridoio ove in genere stava seduto il barbone, era deserto.
La delusione fu profonda, come pure divenne sempre più sostenuta la protesta dei due piccoli che si sentirono come ingannati.
Uscirono dal sottopassaggio. Improvvisamente uno strillo di Gigi.
“Mamma, mamma, voglio anch’io un cagnolino come quello!” sbottò improvvisamente il piccolo, indicando con la mano un cane che scodinzolava fra i cespugli del giardinetto.
Enrica riconobbe subito Dick, e con lo sguardo scrutò tutt’attorno con la speranza di individuare il barbone. Infatti, a distanza di pochi metri, lo scorse semisdraiato su una panchina.
“Buon giorno! I miei figli sono innamorati del suo cagnolino. Da tempo non mi lasciano in pace perché vorrebbero a tutti i costi possederne uno pure loro.”
“Lei è la signora del brandy, vero?”
“Sì, certo, ha buona memoria…”
“E suo marito?”
“È al lavoro. Sono venuta a trovare una mia amica che abita qui vicino.” Cercò confusamente di giustificarsi, Enrica.
“Si accomodi.” Riprese il barbone indicando con la mano la panchina sulla quale era seduto e spostandosi su di un lato di questa, come per consentire ad Enrica ed ai figli, di sedersi.
“Se avessi immaginato di incontrarla,” riprese Enrica “le avrei portato qualcosa… non so, un po’ di pane…”
“Grazie, ma per oggi, io e Dick siamo a posto. Un amico mi ha appena regalato un bel pezzo di pecorino.”
Enrica si sedette sulla panchina poco discosta dal barbone. I due figli, ammutoliti e tenendosi per mano, le stavano stretti a fianco.
Superato qualche momento di imbarazzante silenzio, Enrica riprese: “E della sua ex-moglie, ha qualche notizia recente?”
“Non la vedo da alcune settimane; quando non si fa viva, vuol dire che tutto va bene, altrimenti la sua prima vittima, sono io.”
A questo punto Enrica non seppe resistere alla tentazione e con un’espressione di velato stupore, aggiunse: “Non si può certo negare che il vostro sia un rapporto un po’ strano, o quanto meno, insolito…”
“Giustifico la sua curiosità, ma la mia è una storia triste; e poi lei non capirebbe. Certe realtà si capiscono solo se si è avuta occasione di viverle.”
Enrica si convinse che il barbone era tale solo apparentemente, e che dal modo con cui si esprimeva e dalla delicatezza dei suoi gesti, rivelava un’insolita cultura ed un’educazione quasi raffinata.
“Mamma, noi andiamo a giocare col cagnolino… possiamo?” Intervenne Mariolina, alla quale il barbone, a parte la trasandatezza del vestire e l’aspetto della persona, non suscitava più alcun interesse. La sua curiosità era stata soddisfatta o forse si sentiva delusa. Contrariamente a quanto stava accadendo alla madre, sia a lei che al fratellino, il pensiero, i problemi e la vita del barbone non interessavano affatto. L’ingenuità e l’innocenza consentono ai bimbi di essere molto più discreti e riservati di quanto non lo siano gli adulti. I bimbi si accontentano di ricevere dal prossimo quello che il prossimo può dare. Non vogliono a tutti i costi penetrare nell’intimità degli animi ed indagare nelle cose più riservate, a volte per sola curiosità, ma più spesso per non lasciarsi sfuggire l’opportunità di giudicare e criticare, spesso malevolmente, il prossimo.
“Dopo la morte di nostro figlio Giovanni,” riprese il barbone “la vita si trasformò in un insopportabile tormento, in un inferno. Mia moglie mi incolpò di essere il solo responsabile dell’incidente in cui Giovanni trovò la morte.
Si era brillantemente laureato e avrebbe intrapreso la mia stessa professione. Nonostante il parere contrario di mia moglie, gli regalai un’auto sportiva. Morì in un incidente insieme alla sua ragazza. Non mi perdonò mai questa tragedia, al punto che io caddi in una crisi depressiva, aggravata da un angoscioso, quanto ingiustificato, senso di colpa. Finii con odiare mia moglie, e se avessi avuto il coraggio, l’avrei pure ammazzata. Pensai però che la vendetta migliore fosse di abbandonarla e di vivere come sto vivendo, per farla soffrire e per far sorgere anche nel suo animo, un terribile senso di colpa. Ma il mio piano non funzionò; addirittura lei sembrò essere felice di questa mia decisione. Tutto questo rappresentò per me un’insanabile delusione. Mi sentii ingiustamente incolpato, tradito e profondamente solo. Vidi crollare tutto quello che avevamo progettato e realizzato insieme. Pensai che forse non mi aveva mai amato. Amarezza e profonda delusione.
“Se questo è il senso della vita” pensai “a che serve vivere come la società vuole e pretende? Che significato ha seguire i canoni che gli altri quotidianamente ci impongono e le regole morali che dovrebbero informare la vita di tutti? Mi sentii come distrutto, disperato.
Un giorno, passeggiando per i viali sotto la mia abitazione, incontrai casualmente Dick. Lo osservai a lungo e pensai che forse lui era, se non felice, almeno sereno e che non doveva necessariamente trovare un senso alla sua vita. Decisi di vivere come lui e con lui. Lo volli sempre con me perché mi fosse quasi esempio di vita. E da allora ho riacquistato la mia serenità. Non creda che io sia pazzo, e neppure rassegnato.Vivo nel modo più semplice possibile, senza inutili sovrastrutture e senza condizionamenti imposti dall’anonimato che ci circonda e che spesso gestisce, anche se inconsapevolmente, la nostra vita. Ora mi ritengo vincente. Mi sento sereno. Non provo grandi gioie, ma neanche amare delusioni. Mi difendo. Mia moglie seppe subito di me da un’amica che casualmente mi riconobbe. Cercò in ogni modo di convincermi quasi pietosamente a ritornare a casa. Troppo tardi. Ormai ero stato sedotto dal fascino della solitudine e della semplicità. In fondo, la natura ci chiede solo di vivere, di gestire nel modo migliore quello che essa ci ha regalato, la vita. Il resto non conta. Sono solo cose inutili, ipocrisie, convenzioni. Per vivere, basta poco, pochissimo. Mia moglie? Come già le dissi, ora è lei che si trova nei guai con il suo attuale compagno. Non sarà più felice finché io non morirò. E questo, spero che avvenga il più tardi possibile. Lei penserà che questa sia la mia vendetta. No, non sono così meschino. Questo genere di vita mi consente di pensare, di meditare su tanti problemi, di vivere ed assaporare consapevolmente ogni minuto della giornata, di starmene solo con me stesso e di considerare la vita per quello che è. Le ho già detto che un tempo odiai mia moglie con tutte le mie forze. Ora invece, mi fa solo pena; addirittura l’aiuto come posso, con qualche consiglio.”
Enrica non seppe cosa aggiungere.
La determinazione e la sicurezza che trapelavano dalle parole del barbone, non consentivano alcun commento. Si intuiva che il suo animo era stato lacerato da una crudele esperienza, che pur avendo lasciato tracce indelebili, non aveva tuttavia annullato le sue risorse interiori.
Enrica cercò in qualche modo di superare l’imbarazzante silenzio, spinta dalla sua insaziabile curiosità.
“Non vorrei sembrarle indiscreta, ma quando ci incontrammo la prima volta, disse a me ed a mio marito, che doveva rientrare perché era tardi… ma abita qui vicino?”
“A Piazza S. Giacomo, lungo Corso Mazzini, c’è un dormitorio gestito dalla San Vincenzo, l’associazione della parrocchia. Sono molto generosi. Quando non c’è posto, mi indirizzano in altre parti. Comunque, una soluzione me la trovano sempre. Al mattino ci danno pure una tazza di caffè e latte. Alla sera, però, dopo le venti non si può più entrare. Sono rigorosi, ma anche molto buoni. Quando qualcuno di noi si ammala, provvedono loro ad aiutarci.”
“Siete in molti?” Riprese Enrica, sempre più presa dalle parole del barbone.
“Dipende; a volte tre o quattro, ed a volte c’è il tutto esaurito, quindici o venti amici.”
“Ma vi conoscete tutti?”
“Beh, sì… quasi tutti. Ci salutiamo, qualche parola, ma ciascuno vive la propria vita. Quando serve aiuto però, nessuno si tira indietro.”

In serata, quando Luca rientrò dal lavoro, Enrica raccontò tutto al marito.
Durante la cena, mentre continuavano i commenti sull’avventura pomeridiana, improvvisamente intervenne il piccolo Gigi: “Anche noi vogliamo un cagnolino come Dick!”
“Certo,” soggiunse sorridendo Enrica, “chissà che anche vostro padre non segua l’esempio del barbone, portando con sé il cagnolino…”
Luca non riuscì a trattenere una fragorosa risata: “Sì, però toglietevi dalla testa di venirmi a rompere le scatole, perché tanto non sapreste mai dove trovarmi, ammesso che vi interessasse.”


Il desiderio del piccolo Gigi continuava a non essere esaudito. Solo promesse, con la speranza che presto o tardi si sarebbe dimenticato di Dick e della possibilità di avere un cagnolino tutto per sé. La sorella, ormai più avvezza alle promesse non mantenute da parte dei genitori, spesso interveniva con crudele cinismo: “Se vuoi giocare con un cagnolino, devi andare a trovare Dick! la mamma non ne comprerà mai uno. Teme che sporchi la casa e che sia un impegno condurlo a passeggio ogni giorno…”
“Io lo porterò sempre a passeggio!” ripeteva Gigi “Voi non dovrete toccare… Rocco.”
Al colmo dell’entusiasmo, il piccolo aveva già deciso anche il nome del desiderato quanto fantomatico amico a quattro zampe.
Come era già accaduto recentemente, un po’ per accontentare Gigi ed un po’ per incontrare nuovamente l’insolito ed intrigante personaggio, Enrica condusse un paio di volte i figli a trascorrere un po’ di tempo con Dick, che cominciava a familiarizzare con Gigi. Enrica cercò di giustificare al barbone questa sua iniziativa.
“Spero di non disturbare troppo la sua tranquillità e di non approfittare della sua pazienza… ma per mio figlio Gigi, incontrarsi con Dick è motivo di gioia. Appena possibile, lo accontenteremo, regalandogliene uno, anche se so per esperienza che un cane non può entrare in una famiglia come fosse un oggetto… esige cura e rispetto, non le pare?”
“Come già le dissi” osservò il barbone “l’incontro con Dick è stato decisivo per me e per la mia vita. Devo molto a questo piccolo animale. Gli sono molto legato, come d’altra parte, lui lo è a me. Cerchi di non dissuadere i suoi figli dall’amare gli animali, anche se a volte tutto ciò può risultare impegnativo e faticoso. Sono felice che Dick abbia familiarizzato così rapidamente con i suoi figli. Avrà avvertito i sentimenti che loro provano per lui e cercherà di ricambiarli, giocando con loro.”
“Quello che dice è molto vero. Quando mi sposai e lasciai la casa paterna, mi costò molto allontanarmi dal piccolo barboncino che da oltre tredici anni viveva con noi e che ormai consideravamo tutti un membro della nostra famiglia. Quando morì, fu una vera tragedia. Per la prima volta vidi piangere mia madre, che in genere reagiva a questi eventi con notevole autocontrollo.”
“A volte penso al giorno in cui dovrò separarmi da Dick,” aggiunse il barbone con un tono di voce rassegnato, “spero con tutto il cuore di andarmene prima io, anche se l’idea di lasciarlo solo, mi tormenta.”

Mancava ormai una settimana al Natale. Le speranze di Gigi, che il suo desiderio si avverasse, aumentavano ogni giorno.
“Ho promesso a babbo Natale che se mi porterà Rocco, sarò più buono e non litigherò più con Mariolina…”
Che il piccolo non vedesse esaudito questo suo desiderio, cominciava a preoccupare Enrica ed il marito. Entrambi volevano evitargli questa delusione. D’altra parte, l’ingresso in famiglia di un cane avrebbe indubbiamente creato qualche problema.
A completamento dell’atmosfera natalizia, il giorno precedente la vigilia della natività, la neve fece la sua comparsa e la fece in maniera molto doviziosa.
Gigi e Mariolina, si unirono ad altri piccoli amici nel cortile condominiale per abbandonarsi al nuovo genere di giochi, colpendosi con le palle di neve e creando ridicoli pupazzi. Naturalmente partecipavano con entusiasmo ai giochi anche altri piccoli cani che abbaiavano festosi. Non poteva essere peggiore provocazione per Gigi.
“Dobbiamo portare un piccolo panettone a Dick… che avrà pure freddo…” sbottò il piccolo durante il pranzo.
I genitori si scambiarono uno sguardo di intesa. Questo non lo si poteva negare.
E così l’intera famiglia organizzò una spedizione natalizia per accontentare Gigi.
Scesi dalla metropolitana, il gruppetto famigliare si avviò verso il sottopassaggio i cui era solito soggiornare il barbone. Panettone e una bottiglia di brandy.
Il pavimento del sottopassaggio era reso scivoloso per la presenza di uno strato di nevischio, in parte sciolto ed in parte ridotto ad una impraticabile poltiglia. Occorreva procedere con molta prudenza e circospezione. Un alternarsi di sguardi in avanti per individuare il barbone e verso il fondo stradale per evitare pericolosi scivoloni.
Percorsi alcuni metri, “ecco Dick!” esclamò Gigi. Il cane accucciato ed arrotolato su se stesso era veramente Dick, mentre del barbone, nessuna traccia.
Vicino al cagnolino, un’anziana donna che non fu difficile riconoscere come una barbona, alimentava un piccolo fuoco con qualche pezzo di cartone e di legno stropicciandosi energicamente le mani e rivolgendo il palmo verso la fiamma per godersi un po’ di tepore.
Luca si avvicinò alla donna, ed interpretando il desiderio di tutti: “Mi scusi, ma il padrone del cane, di Dick, non c’è?”
“Chi cerca, il poeta?” soggiunse la barbona.
“Sì…” azzardò Luca, simulando di sapere chi fosse ‘il poeta’, ma temendo pure di essere caduto in un equivoco.
“Il poeta sta molto male… si è beccato una polmonite. E poi è solo. Ieri sono andata a trovarlo con Guantone, ma non ci hanno fatto entrare nell’ospedale.”
“Quale ospedale?” intervenne Enrica.
“Al S. Giovanni. Al reparto medicina. Prima del ricovero, mi ha lasciato Dick… si è tanto raccomandato…”
“Se vuole” sbottò d’impulso Enrica “possiamo prenderlo con noi.”
Luca, coinvolto dalla patetica atmosfera che si era creata, non osò avanzare alcuna osservazione.
“Sì, sì, lo prendiamo noi…” esclamò con infrenabile entusiasmo Gigi.
Riconosciuta la voce di Gigi, Dick, incurante della temperatura piuttosto rigida, si sollevò da terra e con un balzo cominciò a fare le feste al piccolo amico con guaiti e scodinzolii.
“Vi ringrazio…” osservò la donna “ma dovrei chiederlo al poeta… mi ha fatto promettere di tenerlo sempre con me fino al suo ritorno… per lui è come un figlio…”
“Forse avrà bisogno di aiuto.” Riprese Enrica.
“Beh, quelli della San Vincenzo gli danno una mano, fanno quello che possono… certo, si sentirà solo.”
“Ma mi pare che avesse una moglie…”
“Come no! Una grandissima figlia di… Quella è stata la vera rovina del poeta… e poi lo veniva pure a trovare. E lui, invece di spararle una fucilata, la stava ad ascoltare… troppo buono! Chissà dove si trova quella… in vacanza con qualche marpione…”
“Ma perché lo chiama ‘il poeta’?”
“E come dovrei chiamarlo, professor Croce? Solo io e Guantone sappiamo chi è veramente il poeta. Qui da noi, il nostro passato viene dimenticato e sepolto. Anche Guantone, nessuno sa chi sia e come si chiami… lo chiamiamo così perché porta i guanti di lana anche a ferragosto. Lui dice che lo fa per non sporcarsi le mani. Il poeta ci leggeva spesso le sue poesie che ci commuovevano… belle, sentimentali… è molto istruito. So anche che insegnava all’università. Un giorno, un suo vecchio studente lo riconobbe, ma lui negò di essere professore.”
“Gli avevamo portato un piccolo pensiero… so che il brandy gli piaceva.” Intervenne Luca. “Possiamo lasciarlo a lei.”
“Grazie, ma io non potrò mai consegnarglielo… voi, invece…”

Rientrati a casa, sia Enrica che il marito continuavano ad osservarsi in un silenzio che non poteva essere più loquace. Alla fine, una decisione quasi simultanea: non si poteva lasciare tutto solo il povero barbone ammalato, in un ospedale, proprio il giorno di Natale.
“Il panettone ed il brandy non gli servono” osservò Enrica, “sarà più utile una vestaglia da camera ed una maglia di lana…”
La spedizione di tutta la famiglia venne programmata per il giorno seguente, vigilia di Natale.
Parcheggiata l’auto nell’ampio piazzale retrostante il nosocomio, Enrica e il marito si avviarono verso l’ingresso principale.
“Voi aspettateci qui ,” rivolgendosi ai figli. “Fate i bravi. Torniamo subito.”
“Va bene.” Assicurò Mariolina.
“Mamma, mamma!… quello è Dick!” sbottò improvvisamente Gigi, allontanandosi di corsa dall’auto e dirigendosi verso la direzione opposta all’ingresso principale. “Dick! Dick!” cominciò ad urlare correndo verso il cane ed agitando le braccia per farsi notare.
Il cane, riconosciuto il piccolo amico, non esitò ad abbandonare lo sparuto gruppo di persone con cui si trovava e con entusiasmo gli corse incontro. Nessuno del gruppo si accorse dell’accaduto. Qualche istante di smarrimento e quindi un doloroso sospetto. Luca si avvicinò lentamente e riconobbe la donna che avevano incontrato nel sottopassaggio pochi giorni prima e che li aveva informati del ricovero del barbone.
Conversava con alcune persone dall’aspetto e dall’abbigliamento non dissimile dal suo. Sembrava attendessero qualcuno o qualcosa.
“Mi scusi, si ricorda di me?… che è successo?”
“Sì, mi ricordo… il poeta se n’è andato. Da tempo non stava bene. Il cuore ha ceduto… ma voi, come avete saputo?”
“Non sapevamo nulla. Eravamo venuti a trovarlo…”
“Bravi… bravi… sarà contento… ve ne sarà riconoscente.”
“Mio figlio Gigi ha riconosciuto Dick…”
“Non mi ero neppure accorta che Dick se l’era squagliata. Mi segue sempre e non c’è bisogno del guinzaglio. Queste bestiole, quando si affezionano, non sentono ragione, non se ne libera più nessuno… ma ora devo lasciarvi… con Guantone e gli altri amici accompagniamo il poeta al Verano… Dick ormai non ha più bisogno di me. Con voi sarà in buone mani.”
Enrica e il marito, presi alla sprovvista, finsero di non accusare il colpo, ma di fronte al fatto compiuto: “Non possiamo rifiutarci di portarcelo con noi…” Bisbigliò sommessamente Luca alla moglie.
“Certo,” annuì Enrica rivolgendosi alla donna “anche perché… il poeta ne sarà felice.”
Ma la vera felicità sarebbe stata quella di Gigi che, abbandonandosi alle corse più sfrenate con l’amico ritrovato, non aveva assistito al colloquio dei genitori con l’amica del barbone.
“Comunque” concluse Luca, cedendo ad una certa deformazione professionale, e porgendo alla donna un suo biglietto da visita, “se vorrà avere notizie di Dick… questo è il mio indirizzo…”
“La ringrazio, ma sono certa che Dick andrà a stare meglio… si dimenticherà presto anche di me.” L’entusiasmo di Gigi esplose quando, ormai rassegnato a lasciare forse per sempre il piccolo cane, si rese conto che, aprendo uno sportello, Enrica stava invitando Dick a salire sull’auto.


La primavera era ormai alle porte. L’aria tiepida che accompagnava anche le tarde ore pomeridiane, consentiva a Gigi di cimentarsi nei giochi più spericolati in compagnia di Dick nel prato del pubblico giardino adiacente l’abitazione. Ad essi si univano anche altri giovani amici, alcuni accompagnati dai genitori residenti negli altri palazzi del quartiere.
L’arrivo in famiglia di Dick, non aveva creato quel trambusto così temuto specie da parte di Enrica. Al contrario, la gioia di Gigi si trasmise anche agli altri componenti la famiglia, che ormai condizionava i programmi quotidiani alla presenza nel nuovo arrivato.
All’ora di pranzo, giunse inattesa una telefonata.
“L’avvocato Rosi? Qui è l’associazione parrocchiale San Vincenzo.”
“Le passo mio marito.” Rispose Enrica con un’espressione di sorpresa.
“Ci scusi, avvocato, ma questa mattina, una persona che afferma di conoscerla, e che è pure una nostra vecchia conoscenza, ci ha lasciato un biglietto da visita con il suo numero telefonico, pregandoci di contattarla.”
“La ringrazio, ma a che proposito?”
“Questa persona è una donna alla quale lei ha consegnato un suo biglietto dopo aver ricevuto in dono un piccolo cane di nome Dick. Ricorda?”
Qualche istante di esitazione e poi l’immagine dell’amica del barbone incontrata l’ultima volta il giorno del funerale, all’ospedale S. Giovanni, si presentò nitida.
“Certo, ricordo, ma la ragione di questa comunicazione?”
“La donna ha urgente bisogno di parlarle. Ha detto che la può trovare al sottopassaggio della metropolitana che lei conosce, ma solo nel tardo pomeriggio.”
Luca ritenne inutile porgere altre domande. Era evidente che all’interlocutore telefonico era stato affidato solo il compito di contattarlo.
Nonostante la fervida fantasia, alimentata anche dall’esperienza professionale, nella mente di Luca non si affacciò nessuna accettabile motivazione che giustificasse la proposta dell’incontro.
“Si sarà innamorata di te!” scherzò Enrica, nel tentativo di ammorbidire l’atmosfera di tensione che inevitabilmente si stava creando.
Mariolina e Gigi non parteciparono per nulla all’evento, anche perché abituati alle telefonate professionali che il padre riceveva con molta frequenza.

Dissuadere Enrica a non accompagnarlo all’incontro, non fu certo facile.
“Può essere una trappola!…” insisteva Enrica.
“Può darsi,” osservò Luca con una mezza risata “tu comunque prepara i soldi per il riscatto….”
I timori, indubbiamente eccessivi e forse irrazionali avanzati da Enrica, rivelavano tuttavia il suo stato d’animo. Luca, al contrario, a parte una legittima curiosità, si sentiva quanto mai tranquillo. D’altra parte, la presenza mediatrice della San Vincenzo, era di per sé sufficiente a dirimere malevoli sospetti. In caso contrario, la donna avrebbe potuto telefonare personalmente od affidarsi a qualche anonimo complice.
Incontrare e riconoscere l’amica del barbone, riuscì a Luca piuttosto agevole. La donna non era sola. Due altre persone, una seduta con lo sguardo rivolto al soffitto del sottopassaggio e l’altra indaffarata a sistemare scatole di cartone e varie cianfrusaglie.
“Buona sera!” soggiunse Luca porgendo la mano alla donna.
Un istante di esitazione e quindi, “Ah, è lei… allora le hanno telefonato quelli della San Vincenzo…” così dicendo si allontanò dal gruppo dei presenti ed avvicinandosi a Luca, voce sommessa: “Qualche giorno fa è venuto un uomo. Cercava qualcuno che avesse con sé Dick, il cane, disse, che gli era stato affidato dal professor Croce, cioè dal poeta, come diciamo noi. Io ho pensato che Dick avesse combinato qualcosa di grave, magari morso qualcuno… insomma, mi sono spaventata. Gli ho detto che il poeta aveva affidato Dick a lei perché ne avesse sempre cura… ho fatto male? Ma forse Dick ne ha combinata una delle sue?”
“No, è buono e tranquillo. Trascorre quasi tutto il tempo con mio figlio Gigi. Ormai sono inseparabili. Ma questo misterioso signore non le ha spiegato meglio il motivo del suo interessamento?”
“No, e poi io non gli ho chiesto più niente. Gli ho dato il suo indirizzo che l’ha copiato dal bigliettino da visita. Io non voglio saperne più niente. L’ho voluta avvertire perché sicuramente quel tale si farà vivo. Io però non c’entro niente. Ho solo detto e confermato che con Dick io non c’entro e che l’ho visto solo qualche volta in compagnia del poeta quando era vivo. Ho fatto bene? Confermi quindi che Dick è stato consegnato a lei per espressa volontà del poeta, d’accordo?”
“Benissimo!” Osservò Luca, rendendosi conto che non valeva la pena di approfondire ulteriormente l’argomento soprattutto perché la donna non sembrava molto disposta a continuare la conversazione. Cresceva comunque sempre più, il mistero che avvolgeva questi ultimi eventi.

“Mi dispiace per tutti voi” esclamò Luca al suo rientro a casa, “ma come potete constatare, non mi hanno rapito.”
“Perché dovevano rapire papà?” Osservò con stupore Mariolina del tutto all’oscuro dei recenti avvenimenti.
“Ma chi se lo prende questo mascalzone?…” Intervenne sorridendo Enrica.
Sopita la curiosità di Mariolina, rimaneva da soddisfare quella molto più incalzante di Enrica, che con impeto trascinò il marito nello studio.
“Allora, raccontami…”
Con ogni dettaglio, Luca descrisse l’incontro con la donna riportando fedelmente tutto quanto gli aveva raccontato.
Decisero con molta prudenza di porre qualche domanda a Gigi, sul comportamento di Dick quando insieme si recavano nel prato a giocare e soprattutto sulla possibilità che l’animale avesse morso qualcuno od arrecato qualche danno ai passanti.
L’indagine si rivelò infruttuosa.
Trascorse una settimana, e l’arrivo di una lettera raccomandata alimentò nuovamente lo stato di ansia che da poco si era attenuato.
Nella raccomandata, si invitava l’avv. Luca Rosi a contattare telefonicamente uno studio legale per definire un incontro.
“Questa volta, non ti lascio solo!” Assicurò Enrica.
E così fu.
Lo studio legale, di cui Luca conosceva il prestigio e la competenza, si occupava della soluzione di vari problemi della giurisprudenza, grazie alla collaborazione di provati esperti uomini di legge.
“L’avv. Rosi?” Chiese molto gentilmente una giovane segretaria.
“Sì, ho ricevuto questo invito.” Rispose Luca porgendo la lettera raccomandata.
“Mi segua.” Continuò la giovane.
Luca ed Enrica entrarono in una delle stanze di cui si componeva l’ampio studio. Pareti ricoperte da una libreria che conteneva volumi molto corposi e con la stessa rilegatura, un tavolo, un ampio divano e due comode poltrone.
All’improvviso si aprì una delle porte di accesso alla stanza.
“L’avvocato Rosi?”
“Sì, e questa è mia moglie.”
“Sono il notaio Gentili. Il motivo del mio invito, fra l’altro doveroso, sicuramente la sorprenderà.”
Così dicendo il notaio estrasse da un cassetto della scrivania ricolma di plichi e libri, una busta sigillata che conteneva un foglio manoscritto.
“Come potrete rilevare, leggendo lo scritto, il professor Edmondo Croce, recentemente scomparso, ha eletto come erede universale del suo ingente patrimonio il proprio cane di nome Dick perché possa essere nutrito e accudito fino alla fine dei suoi giorni. Naturalmente, responsabile di quanto espresso nel testamento dovrà essere la persona alla quale il cane è stato affidato. Tale persona, alla morte del cane, diverrà unica beneficiaria di tutto il patrimonio. Da indagini da noi effettuate risulta che attualmente in possesso del cane sia lei e che, da accertate testimonianze, tutto ciò corrisponde alla volontà del defunto.”
“Non capisco…” Si lasciò sfuggire Luca.
“Mi rendo conto che si tratta di una notizia piuttosto insolita,” ribatté il notaio ”ma questa è la realtà. Le volontà testamentarie sono a volte molto strane ed imprevedibili. Il professor Croce era mio amico da molti anni ed ho seguito molto da vicino le sue amare vicissitudini famigliari che lo indussero ad abbandonare anche l’insegnamento universitario. La sua morte mi ha molto addolorato, come mi angosciò la sua decisione di scegliere una vita non certo confacente ad una personalità come la sua. Quando il professore venne ricoverato al S. Giovanni, mi contattò telefonicamente. Era consapevole della gravità della sua malattia e mi raccomandò di non avvertire per nessuna ragione la sua ex moglie dalla quale era da tempo divorziato. Lo preoccupava solo Dick il suo amato cane, al quale ha lasciato un ingente patrimonio immobiliare ed in liquidità. La moglie non ha alcun diritto di successione. Nel testamento non se ne fa alcun accenno. Inoltre da ricerche da noi effettuate, non esiste nessun legittimo erede che possa avanzare diritti ed impugnare il testamento. Tutto ciò mi ha autorizzato a procedere alla lettura delle sue ultime volontà, in presenza di legali testimoni. Naturalmente lei confermerà ed attesterà che Dick vive nella sua famiglia e che si impegna da questo momento ad attenersi ai desideri del professor Croce. In caso di morte del cane, il beneficiario del lascito sarà lei in qualità di capo famiglia.”
Luca ed Enrica, ammutoliti, si scambiarono uno sguardo che esprimeva stupore ed incredulità. Quasi balbettando, Luca tentò di rispondere.
“Mio figlio Gigi e Dick sono ormai inseparabili. Se li allontanassi, mio figlio si ammalerebbe…”
Espletate alcune necessarie procedure, Enrica e Luca si congedarono dal notaio.

Come era prevedibile, l’incontro con il notaio e le novità da lui comunicate, anziché renderli felici, sollevarono nell’animo di Enrica e Luca, un insopprimibile turbamento ed una serie di interrogativi. D’altra parte, il poter improvvisamente disporre di una consistente, quanto imprecisata fortuna, non avrebbe certo modificato il loro ritmo di vita, nel complesso sereno e soddisfacente. Al contrario, si rendevano conto che tutto ciò avrebbe sollevato una serie di problemi di non agevole soluzione.
Ma il maggior turbamento condiviso da entrambi i coniugi era rappresentato da una incontestabile realtà: Dick non era stato loro affidato direttamente dal barbone, o meglio dal professor Croce, ma da quella sua strana amica che in fondo non si era lasciata sfuggire l’occasione per disfarsi subito di Dick. Il patrimonio cui si faceva cenno nel testamento spettava quindi di diritto non a loro ma a quella amica del professore.
L’argomento continuava ad essere oggetto di discussione, ma una soluzione non appariva molto semplice. Sia Gigi che Mariolina non riuscivano a capire quale fosse l’oggetto dei colloqui a volte animati che si intrecciavano fra i genitori. Rinunciarono ben presto a capire, anche perché le risposte che ricevevano erano sempre disarmanti: “Non sono problemi che devono interessare i bambini! Cercate di essere buoni e di non fare arrabbiare….”
Sulle prime si pensò di ritornare dal notaio e di renderlo edotto dei fatti. Ma questi avrebbe giustamente chiesto il perché di questa tardiva comunicazione, che poteva essere stata fatta al loro primo incontro.
Alla fine prevalse la soluzione di Luca: incontrare la barbona amica del professore e raccontarle tutto. In fondo solo lei avrebbe potuto avanzare legittimamente qualche diritto all’eredità.
Dopo un paio di tentativi, finalmente Luca riuscì ad incontrare la donna, nel sottopassaggio della metropolitana. Enrica non aveva potuto accompagnarlo.
Scambiate alcune frasi di circostanza, Luca affrontò il problema, dichiarando apertamente che lei poteva godere di tutti i diritti di successione previsti dal testamento del professor Croce.
Quasi non si rendesse conto dell’importanza della notizia, la donna rispose con una sonora risata e rivolgendosi ad un’altra persona ancor più malconcia di lei, che le stava piuttosto vicino: “Senti un po’, Guantone, la tua amica Lattuga è diventata milionaria.”
“Ah sì?” Ribatté Guantone, “peggio per te… mo’ so’ cavoli tuoi….”
“Ha capito?” continuò la donna di cui finalmente Luca conobbe il soprannome “a noi dei milioni non ce ne frega proprio niente! Ma perché, m’allungherebbero la vita? Guardi il poeta, con tutti i suoi soldi se n’è andato per primo… e poi lui era felice di stare fra noi… certo ha fatto bene a lasciare tutto a Dick… gli voleva bene come ad un figlio… ma pure Dick non era da meno nel ricambiarlo.”
“Allora lei rinuncia ad ogni diritto?”
“Ma quale diritto… io rinuncio a star male… capisce?”
“Lattuga!” intervenne improvvisamente Guantone. “Lascia perdere i milioni e aiutami a travasare un po’ di vino nella tua bottiglia. M’hanno regalato un fiasco di Frascati di prima qualità.”
“Eccomi!” soggiunse Lattuga che rivolgendosi a Luca, continuò “allora la saluto… e mi saluti anche sua moglie…”
Terminata la frase, la donna si avvicinò a Guantone per dare inizio alla delicata operazione di travasare il vino di Frascati nella sua bottiglia di plastica. Pareva ignorasse tutto quanto Luca le aveva appena comunicato.
Luca riuscì ad aggiungere solo un cenno di saluto.
Rientrato a casa, tentò con Enrica di fare il punto della situazione. Commentarono insieme quasi allibiti, le parole della donna e convenirono che in fondo esprimevano la stessa filosofia che era stata abbracciata dal professor Croce. Aveva abbandonato un genere di vita apparentemente più sofisticata e seducente, ma per lui divenuta insopportabile, banale, e quasi senza significato.

Contrariamente a quanto si potesse temere, l’arrivo in famiglia di Dick non aveva turbato il consueto ritmo di vita.
Ognuno faceva a gara per accattivarsi la simpatia del piccolo animale che a sua volta non era da meno nel ricambiare con generosità le attenzioni e le affettuosità che gli venivano rivolte.
Per Gigi, Dick era divenuto l’amico inseparabile. Si era rapidamente creata una profonda intesa ed una reciproca complicità. Un richiamo, un gesto, e Dick si precipitava fra le braccia del piccolo amico.
Enrica si sentiva soddisfatta.
“Se fai il bravo puoi scendere in giardino a giocare con Dick!” Questo il premio per non aver fatto capricci ed essere stato ubbidiente.
Può risultare pertanto comprensibile lo stato di prostrazione in cui cadde Gigi quando un tardo pomeriggio Dick, sceso come di consueto nel giardino per le sue necessità, non era più rientrato in casa. Ipotesi, dubbi e timori. Timori sempre più angoscianti.
Al tramonto, quando ormai i dubbi cominciavano ad assumere il carattere della certezza, Gigi si abbandonò ad un pianto disperato. Rifiutò il cibo e durante la notte riuscì ad addormentarsi, vinto dalla stanchezza, solo alle prime ore del mattino.
Le prime ricerche condotte fra le altre famiglie del condominio ed i conoscenti che abitavano nei palazzi vicini, risultarono infruttuose.
Le ipotesi più stravaganti ed impensabili sembravano raggiungere sempre maggiore consistenza.
Nell’affettuoso tentativo per consolare il fratellino, Mariolina uscì con un’espressione che risultò molto infelice, se non crudele.
“Non preoccuparti, Gigi, la mamma ti regalerà un altro cagnolino!”
“Nooooo!” proruppe Gigi, che fra le lacrime non cessava di ripetere, “voglio Dick, voglio Dick!…”
Enrica interveniva spesso con le espressioni più rassicuranti: “Si sarà smarrito…qualcuno lo rintraccerà e quanto prima ce lo riporterà a casa…”
Ed infatti, trascorse quasi quarantott’ore, una telefonata arrivò.
“Famiglia Rosi?”
“Sì” rispose con apprensione Enrica. “Ma chi parla?”
“Arcangeli, comandante del quarto distretto dei vigili urbani. È stato investito da un’auto nei pressi di piazza Verdi un piccolo cane di razza imprecisata. Sulla targhetta del collare compare il nome Dick con un indirizzo ed un numero telefonico che a quanto pare corrisponde al vostro. Siete voi i proprietari?”
Enrica si sentì venir meno e con una voce appena percettibile, sussurrò: “Sì, certo… Dick è nostro… è scomparso da un paio di giorni…”
“Le condizione del cane” riprese il comandante Arcangeli “sono molto serie. Attualmente si trova nell’ambulatorio veterinario del canile comunale. Se le condizioni cliniche lo consentiranno, potrete venirlo a riprendere.”
Enrica contattò telefonicamente Luca allo studio.
“Stai tranquilla,” assicurò il marito “chiamo subito un taxi e mi faccio condurre al canile, che fra l’altro non so neppure dove si trovi.”
Il veterinario fu molto deciso: “Il conducente dell’auto che ha investito Dick non ha alcuna responsabilità. Il cane gli ha improvvisamente attraversato la strada. È sbucato dal sottopassaggio che conduce alla stazione della metropolitana. Gli ha prestato i primi soccorsi prima che intervenisse un vigile urbano che casualmente si trovava nei paraggi.”
L’accenno alla stazione della metropolitana nei pressi di piazza Verdi ed al sottopassaggio non consentiva alcun dubbio. Dick era riuscito, forse con molte difficoltà, a causa della distanza non indifferente, a rintracciare il luogo in cui aveva trascorso con il barbone, il “poeta”, gran parte della sua vita.
Difficile immaginare cosa avesse spinto Dick ad avventurarsi in questa non facile impresa. Nella famiglia che lo aveva così amorevolmente accolto, poteva disporre di tutto quanto un animale domestico potesse desiderare. Ma con la morte del barbone, un misterioso quanto profondo legame si era drasticamente interrotto. Il ricordo del padrone non lo aveva mai abbandonato. L’intuito ed il fiuto avevano avuto la meglio. La meta era stata raggiunta, anche se una profonda delusione lo attendeva. Il padrone, l’amico di sempre non c’era più. L’insopprimibile desiderio di rintracciare il barbone lo aveva con ogni probabilità indotto a condurre una ricerca disperata, incurante del traffico e di altri insidiosi pericoli. Aveva duramente pagato il prezzo dell’affetto e della riconoscenza.
Purtroppo, le gravi condizioni di Dick, non ne consentivano il ritorno a casa.
“Ha subito gravi lesioni agli organi interni con profuse emorragie e la frattura delle zampe posteriori.” Precisò il veterinario.
Luca confidò al medico il problema di Gigi, dello stretto rapporto affettivo che lo legava a Dick e della preoccupante reazione accusata dopo la scomparsa della bestiola.
Il medico non ebbe dubbi.
“Ho avuto altre esperienze del genere. Conduca suo figlio qui in ambulatorio. Già la notizia del ritrovamento lo conforterà. Purtroppo Dick non vivrà a lungo…forse qualche giorno. È bene che suo figlio segua personalmente l’evoluzione degli eventi, stia il più possibile vicino al piccolo amico e si senta personalmente partecipe di tutta la vicenda. È preferibile una verità anche se cruda, ma della quale lui si sia sentito protagonista, piuttosto che la straziante attesa di un ritorno a casa che non sarebbe mai avvenuto e che avrebbe creato solo delusioni. Il tempo trasformerà questa triste storia in un ricordo che andrà lentamente spegnendosi con l’affrontare nuove e più piacevoli esperienze.”

Rientrato a casa, Luca si confidò con la moglie. Il consiglio del veterinario risultò molto opportuno. A Gigi non venne fatto alcun cenno del luogo in cui era avvenuto l’incidente di cui Dick era rimasto vittima. L’inatteso desiderio di ritornare nel sottopassaggio della metropolitana per incontrare il suo vecchio padrone sarebbe potuto apparire come una carenza affettiva avvertita dal piccolo animale, una palese dimostrazione che la convivenza con Gigi e la nuova famiglia non era riuscita a fargli dimenticare le amorevoli attenzioni del suo vecchio padrone.
Come previsto, Gigi riuscì a rivedere Dick una sola volta. Le sue condizioni precipitarono rapidamente. L’incontro fu commovente e nel contempo, come aveva supposto il medico, anche salutare. Il piccolo si rese subito conto delle gravi condizioni in cui versava l’animale e della possibilità che non potesse farcela. Una triste, ma consapevole rassegnazione. Un’esperienza in cui, tuttavia, si era sentito in qualche misura protagonista.

[continua]

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