Darkoine

di

Matteo Sardo


Matteo Sardo - Darkoine
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 34 - Euro 7,50
ISBN 978-88-6037-9696

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In copertina: Fuoco su sfondo nero © Screenexa – Fotolia.com


Scoppietta quel nido di languide falde,
fremono i rami di puro dolor.
S’innalza nel vespro un pallido grido
di secche stagioni irte d’amor.

Fra fusti dorati or naviga il vento
grava leggiadro destando il mio viso.
Come riverso in serio silenzio
si schiude il petalo del fiordaliso.



Darkoine

Effige del cielo

I Gelidi occhi di una statua bianca mi guardano
dall’alto della foresta amazzonica. Sono sparsi
e vivaci i fiori di questa serra colorata, amano
sentire il calore dei raggi solari, amano tuffarsi

in questa tavolozza di colori: verde, rosso, blu
non sono che pennellate giocose, ma perché
quegli occhi neri continuano a fissarmi? Sei tu
oh! Effige del cielo che mi vuoi punire? Perché

non posso godere appieno dei frutti di questa
natura? Potrei dondolarmi per ore e ore sulla
liana degli alberi se il tuo sguardo, tempesta
di rimproveri, smettesse di agitare la fanciulla

della foresta che dorme nel mio cuore deluso
e infranto. Vorrei vivere al giorno, con felicità,
senza timori e angosce, senza tormenti, illuso
dalle apparenze delle cose, avere la mentalità

di un animale qualsiasi, dimenticare l’intenso
e vellutato sospiro della realtà, così pesante,
così asfissiante, come il profumo dell’incenso
del tempietto sparso fra le foglie. E l’ansante

pianto delle nubi, così grigie. Vorrei piangere
anche io, sotto questa palma verde oro; ecco
un fiumiciattolo scorrere lontano per frangere
gli scogli del tuo mare. I tuoi occhi neri, ecco,

ora li vedo…chiudersi confusi.


Canto di un malinconico

La luna splende ma nel cielo stellato
me ne andrò come un soffio di vento.
Quanto ho odiato, quanto ho amato
questo triste, malinconico momento.


Oh, mia cara taciturna

La stanza è buia. La finestra aperta.
Suon di passi nella strada dormiente.
Sto seduto con il cor nell’aria deserta
che vaga, canticchiando soavemente

canzoncine tristi, parole tese, piccoli
tormenti. Sono solo una esile goccia
di bimbo, che cade sopra i moccoli
delle candele quasi spente. Sboccia

e fiorisce la stupenda, delicata viola
di quel terrazzo. Si muove la foglia
della primula rossa e nel cielo vola
il petalo della rosa. Tutto germoglia

tranne il fiore che mi accompagna.
Ti guardo svigorire fra le mie mani
bianche e aspre. La tua compagna
ti è morta in viaggio, fra i vulcani

d’oriente. Nel cielo di cenere, ora,
volteggia in questa volta notturna.
E io sono qui, che ti penso ancora
e ancora. Oh, mia cara taciturna!


Carnevale nero

Vorrei dire alle foglie che cadono tristi pensieri,
per l’ultima volta. Mostrare le schegge di vetro
che empiono le tasche di un povero matto, veri
frammenti di vita, annebbiati da un cielo tetro,

pieno di corvi, di putridi odori. Vorrei parlare
di quella donna che tanto mi piace, ma la nera
scure della notte è sempre in giro a decapitare
fiori innocenti. Quante belle maschere di cera,

quante luttuose toghe vedo tristemente danzare
fra le piazze delle città medievali. Paiono tutte
così perfette e raffinate, ma quel dolce poetare
che ci distingueva così tanto che fine ha fatto?

Carnevale nero! Siamo tutti nella stessa coltre
avvolti e soffocati, a parte quel povero matto
che fra le mani stringe i suoi cocci taglienti.


Fra le onde e la tempesta

Il tuo viso, fragile scrigno, galleggiava fra le frastagliate
colline del gelido pacifico. Intorno vagava il latrato della
tempesta monsonica, forse l’urlo di un pazzo. Le smerlate
coste aveva mutato in denti da pirata. Era nella

bolgia dei venti una piccola zattera, frustrata dalla quiete
degli abissi notturni e dalle onde; io cercavo il tuo respiro,
il tuo dolce profumo, i tuoi fulgidi occhi, con quella rete
da buon pescatore che portavo ogni volta. Il mio sospiro

non era altro che un palpito profondo, un nodo alla gola
che mai più scorderò; penetrai il sangue nerastro,violetto
che scorreva sotto la barca. Una sagoma bianca, da sola,
si stava contorcendo fra le torbide acque, nel tetro letto

del fondale marino. “Eccomi! Sono qua!” pareva avesse
detto. Mi tuffai per portarla in salvo. Oh! Candido faro,
spicchio di luna fra le angosce della notte. Nel calesse
dell’oceano ti riportai e ti strinsi forte. Intanto l’amaro

della bufera stava sfumando. Nell’aria si diffuse l’odore
dell’ alba fresca ed esangui raggi solitari si tuffarono
dall’alto del cielo.
Tu fra le mie braccia dormivi, amore,
finalmente.


L’amore

L’amore è un carro empio di carezze
di sorrisi e di baci che vola nell’arco
del cielo turchino, fra dolci amarezze
e spicchi di sole. Ritagliatosi un varco,
fra le nubi dorate, ora scompare, ora
ritorna, nel campo di fiori. Ricordi?
Nell’azzurro dei tuoi angelici occhi.


Tu, con le querce

È cieco il corpo e nulla prova
se non il dolor d’una netta lama
che trapassa il cuor che dunque cova
il desiderio di colui che ama.

E con le querce lei sorride
il vento fresco di chi riposa
presto giunge e lei lo vide
avvicinarsi con una rosa.


Luci notturne

Scosso dalla bronzea spira
ondeggia un lume fluttuante.
E si erge dalla molle pira
il rancore d’una nube fumante.

E l’amaro incupisce le foglie.
Una lucciola soltanto increspa la sera.
Afflitte e annerite le avvolgenti soglie
baciano, inghiottono la primavera.

E In fondo l’odor di campagne.
Spenta la torre, cupe le chiome
celano le fosche montagne.
Solo una luce provien dall’addome.

E si accartoccia l’etere nero
e il folgore dell’ unico astro
cova il profondo mistero
barbugliato dal vivente pilastro.


Dolce Malinconia

Porto con me l’anfora del mare
e la bianca polvere della spiaggia.
Quanto adoro rievocare! Liberare
i miei ricordi da quella gabbia.

Porto con me il fiore delle mimose.
L’odore delle candide, aulenti viole
mi riporta fra foreste stupende, bramose
d’amore. Fra le nuvole, il vento ed il sole.

Porto con me la radice delle fattorie.
Le dita dei nonni erano ferrei rastrelli.
Gli spaventapasseri delle masserie
spaventavano i merli, non i fringuelli.

Porto con me la prima pietra della scuola.
Il primo libro, la prima penna che ebbi in dono.
La prima ciocca di capelli, la bionda aiuola
che la maestra mi regalò cent’anni or sono.

Porto con me la freccia del primo amore.
Rivedo nei miei sogni il suo corpo ignudo
danzare fra le rose del mio ingenuo cuore.
La sua pelle era forse il mio più caro scudo.

Porto con me la triste goccia del saluto;
melanconico fluido riservato agli amici
che sono scomparsi dal mio occhio muto
e ora li penso, solcando nubi infelici.

Porto con me il maglione della musica.
Groviglio di spartiti leggeri, di note
lanose, di pause colorate e l’empirica
formula dello Chopin che ancor mi scuote.

Porto con me un pezzetto della luna
e il luccichio delle stelle sepolte
dalla sabbia di una tormentosa duna
che le ha inghiottite, che le ha avvolte.

Porto con me il miele del crepuscolo.
Colava denso sulle ali di un gabbiano
che dolcemente varcava il pulviscolo
delle nubi arancioni. Piano piano.

Porto con me la brocca della solitudine
e la rosea, violacea sabbia del dolore.
È stato posto fra il martello e l’incudine
questo triste, malinconico mio cuore.


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