L’inganno di Ofelia

di

Monica Dalla Torre


Monica Dalla Torre - L’inganno di Ofelia
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
15x21 - pp. 44 - Euro 6,50
ISBN 978-88-6037-7746

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“Arrivo dalle onde del mare, arrivo dalle nebbie spettrali, per portarvi le mie stelle, che vi inonderanno di una luce accecante.
Perché voi siete la mia pace, la mia libertà, il mio essere.”

In questa raccolta di pensieri, dallo stile fortemente poetico, c’è una donna, ci sono due uomini e un amore controverso che ondeggia tra bene e male, salvezza e autodistruzione. Gli eventi si susseguono al di là della loro ovvia sequenza temporale, collocati in un marasma emozionale di luci e ombre.
A far da padrone è un amore senza pregiudizi, schietto e romantico quanto mai, un sentimento presentatoci nella sua irrazionalità e prepotenza.

Ne «L’inganno d’Ofelia», la scrittrice attua un ambizioso e riuscito lavoro stilistico, in cui i contenuti trovano piena corrispondenza alla struttura del testo.

a cura di Silvia Busilacchi


L’inganno di Ofelia


Ricordo le spiagge buie su cui camminavamo insieme durante
l’inverno.
Aride come te, come il tuo cuore tutto intento a farmi
conoscere il suo indicibile abisso.
Giocavamo col cane in riva al mare, nel gelo di quell’atmosfera
rarefatta dalla percezione del vuoto.
Io NON esistevo, persa in quelle cupe evanescenze.
Esistevi solo tu.
Con il tuo passato, che mi facevi masticare poco a poco.
Ero convinta di vivere l’amore, ma ero sola, sola con le mie
speranze, mentre già
nell’inconscio sapevo del deserto che avevo innanzi.
E tu, che guardavi avanti e indietro al tuo teatrale oblio, con me
partecipe e tacita comparsa di una morte annunciata e
superficiale.
Perché tutto era vivo e si consumava nell’acido dell’apparenza.
Quella del tuo dolore vissuto e cicatrizzato, che io dovevo
condividere per poi dipartire in un fosforescente inferno.
A mia volta io sarei poi stata dallo stesso corrosa, giorno dopo
giorno.
E lo sapevi.
Sapevi dove volevi arrivare.
Rendermi partecipe e muta compagna del tuo percorso verso il
nulla della tua anima.


E tu Franz?…
Che mi dici del tuo oblio?…
Lo sai che hai il vuoto dei tuoi giorni e l’ansia dei tuoi incubi di
adolescente.
Tutte le paure che non osi confessare.
Fra queste l’amore vero che ti profumava la mente…


A cena con te… dopo che un’assurda comparsa aveva
rivendicato al telefono il vostro incontro…e ti ha fatto
vomitare quel cibo costoso in nome della tua beffa e delle tue
bugie.
Io ti ho odiato, mentre ti dichiaravi vittima innocente di un
complotto misterioso.
Cosa puoi dirmi, amore mio…
Cosa puoi dirmi di quello che è successo dopo…
Di come ho reagito io alla paura che mi avevano lasciato le tue
menzogne…
Semplicemente.
Con il tradimento più cupo, serio e studiato che mai potessi
commettere.


E tu Franz?…
Lo sapevi di tutto ciò?…
Sapevi il dolore che mi aveva reso cieca all’amore e che fingevo di
perdermi…
Mentivo sulla tua unicità.
Non avevo scordato l’atroce solitudine in cui mi avevi lasciata anni
prima, quando te ne andasti da me per orgoglio, facendomi
sprofondare nel nero melmoso della nostalgia.


Venivi a dormire a casa mia ogni notte, dopo che lei entrò nella
nostra vita per vendicarsi del tuo abbandono.
Usò me per ferirti.
Ma non ti fece del male.
Le sue parole colpirono solo la mia ingenuità ed erano così
cariche di odio, che mi entrarono nell’anima,
Secondo te esageravo: non era successo nulla di grave in fondo.
…Per te.
Io mi ammalai.
Nel rifiuto del cibo c’era il rifiuto della vita.
Nel vomito c’era la volontà di dimenticare quell’angoscia che
mi stava corrodendo…e di morire.
Intorno a me era il buio ed io lo percepivo, ne avevo paura.
Temevo le tue probabili menzogne.
Io non sapevo più chi eri.
Io non ti sentivo più dentro di me.


Ricordi Franz, quand’ero persa e tu dal nulla tornavi per
consolarmi?
…Prendevo il tempo indispensabile per raggiungerti e mi perdevo
nella tua dolcezza.
Da te avevo le carezze che avevo dimenticato nel grigiore del
tormento.
Tu eri un etereo vortice su cui cullarmi…tu eri il ricordo…l’idea di
amore che gridava soffocata in me.
Mi portavi a casa tua, sul tuo letto.
Non ci spogliavamo neanche.
Restavamo così, abbracciati in un candore senza tempo.
Per te avevo rimosso il dolore estremo che provai, quando in un
impeto di pura follia mi abbandonasti…Ora sembravo non
rammentare più nulla.
Il tuo ritorno aveva lenito ogni tormento, curato ogni ferita.
Tu eri tornato ad essere il mio TUTTO.
Ed io credevo nel tuo potere di farmi dimenticare la mia accecante
attualità.


Durante l’Estate ascoltavo la musica in quella spiaggia semidesolata,
di fronte a casa tua, in attesa che mi raggiungessi,
terminato di lavorare.
Arrivavi sempre sorridente.
Ti osservavo mentre avanzavi verso di me.
Eri bello.
Rassicurante.
Ce ne andavamo in un’altra spiaggia.
Al tramonto tornavo a casa a cambiarmi, perché la sera ci
saremmo rivisti.
Ti ricordi?
Nella tua stanza ballavamo abbracciati nella penombra quelle
melodie adorate da entrambi.
Avevamo gli stessi gusti e detestavamo le stesse cose.
L’evento sensazionale era dormire insieme…Stretti, in un
abbraccio intenso e disperato.
Eterno, come per supplicare il destino di non separarci mai.
Durante il sonno poi ci baciavamo.
Nel dormiveglia ci giuravamo amore, annusavamo i nostri
volti…
Era quella l’essenza della nostra vita.


Lo sto guardando.
Immobile, candido ed etereo.
Così mi appare il suo viso.
Non un monito.
Nella bianca fissità percepisco il suo respiro.
Lieve, come tutto il suo essere.
Come la sua innata soavità.
La vita scorre sul mio pensiero avvolto da un fiume di inquietudine
e la stessa ansia mi chiede continuamente di fuggire per trovarlo di
nuovo.
Nella mia mente s’addensano i ricordi.
Rivedo la farfalla, che libera si appoggiava sul mio braccio, mentre
ci baciavamo..ed il suo stupore..
La prima volta che ci trovammo soli, fu per nascondere della
“polvere” distrattamente lasciata da un suo amico sul cruscotto
dell’auto.
Eravamo fuori da una discoteca.
Dopo, solo molto dopo che la volante della polizia fece il suo giro
di turno, mi disse che avrebbe voluto baciarmi.
Da quella notte capimmo che non ci saremmo lasciati mai più ed
in seguito compresi anche la nostra essenza.
Mi bastò fissarlo, una sera in una camera d’albergo, mentre nudo,
nell’entrare in bagno, si voltò verso di me un attimo in modo
straordinario
Lì lo vidi nell’anima.
Etereo, precario, quasi irraggiungibile.
La sua evanescenza mi riportava in un mondo di sensazioni
autentiche e capii che lo avrei amato sinceramente fino alla morte.
Eravamo capaci di perderci nella nostra intensità.
Riducevamo le camere d’albergo ad un “bivacco”: bottiglie,
disordine, sigarette e vestiti ovunque.
Passavamo in realtà molto tempo a parlare, anzi sembrava che il
senso dei nostri incontri fosse nell’insolita affinità intellettuale che
ci univa al di là di ogni gioco.
Poi c’era il resto.
La passione, le docce insieme, dopo le quali ci buttavamo, ancora
bagnati, sul letto inumidendo le lenzuola, le corse fatte mano nella
mano di notte, lungo il nostro fiume.
La promessa di non perderci mai.
Mi chiedeva di essere sua amante per tutta la vita…
Le sfide, le provocazioni…
Voleva essere importante per me, ma allo stesso tempo fuggiva da
un pericoloso contatto amoroso…che lo avrebbe minacciato per
sempre.


All’inizio è la novità.
Poi più nulla, solo il tempo che corrode il mio entusiasmo.
All’inizio è il tuo amore, che mi cerca e avvolge il mio bisogno di
te.
Poi il ricordo scorre in un fiume, dove specchio il mio volto in
lacrime.
Tu mi credi pazza e ridi della mia tristezza.
Io ti guardo, senza dire una parola
e nel silenzio c’è un dolore immenso: la piatta normalità, che
lentamente conduce ogni sogno verso il suicidio.

Camminando per i lunghi corridoi della tua casa, respiravo un
odore di morte e sofferenza, in un’accecante spettralità che si
consumava fra le innumerevoli stanze disadorne.
Rammentavo, in un tetro silenzio, i tuoi racconti sui tentativi
falliti per porre fine alla tua dissoluta esistenza, che in passato
stava per condurti alla follia.
Solo il vento forte del mare faceva sbattere qualche finestra.
Sembrava un’entità malvagia, che bussava con forza per
venirmi a prendere o per ricordarti tutto il male che avevi fatto.
A chi di sicuro non eri mai stato grato.


[continua]

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