Lacrime al cioccolato

di

Monica Tantardini


Monica Tantardini - Lacrime al cioccolato
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 150 - Euro 12,00
ISBN 978-88-6587-3410

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In copertina fotografia di Gabriele Albertazzi con Antonio e Paolo Artusi


Flora ed Emma, madre e figlia, oltre ad essere unite dal più stretto legame di parentela, sono legate da una passione comune: il cioccolato.
Sin da bambina il sogno di Emma è quello di creare un suo cioccolatino e immetterlo sul mercato ma la morte del padre, la mancanza di soldi e il dover crescere in fretta, dirottano i suoi piani.
L’incontro con l’uomo della sua vita e il matrimonio danno la priorità a nuovi progetti, alla voglia di maternità. Tuttavia, le liete prospettive per una vita felice si fanno attendere, dopo tre aborti e la perdita di una persona cara, Emma perde completamente la fiducia nella vita e in se stessa. Ai sogni però non piace stare troppo chiusi in un cassetto, basta uno spiraglio per farli riaffiorare e ricordare desideri ormai assopiti.
Fra forti emozioni e colpi di scena il viaggio che Emma intraprenderà non sarà solo quello da Ballabio a Bormio ma un vero e proprio viaggio alla ricerca di se stessa e delle sue lacrime.


Prefazione

Il romanzo di Monica Tantardini rappresenta, emblematicamente e nel modo più autentico, la valenza di un percorso esistenziale compiuto da una donna coraggiosa capace di oltrepassare la linea di confine che separa la dura realtà dal sogno.
Il simbolico viaggio diventa paradigma della ricerca del proprio Essere, continua sperimentazione per ritrovare il nucleo primigenio di se stessa: tutto ciò che sarà percepito nel profondo e vissuto intensamente condurrà, infine, al giusto coronamento di un sogno, dopo aver superato le sofferte scelte, le difficoltà con le quali bisogna fare i conti, i dubbi e le incertezze che nascono dalle vicissitudini dell’esistere.
In “Lacrime al cioccolato”, romanzo dedicato a tutti i “sognatori”, Monica Tantardini racconta, infatti, la vita stessa nella sua sostanza più pura, che si incarna nella figura della protagonista Emma.
Le parole di Monica Tantardini sono “calde” ed accendono il cuore, fanno vibrare le corde dei sentimenti più ardenti, delle sensazioni più forti e delle emozioni vibranti: lei sente nel profondo del suo animo ciò che scrive ed ogni pulsione viene resa in modo “vero”.
La sua capacità di raccontare e raccontarsi (perché si ritrova sempre qualcosa di noi stessi in ciò che scriviamo) è sempre efficace, riuscendo ad offrire un’alternanza di passaggi tra l’esistenziale, con accenti ironici, talora, divertenti e, al contempo, facendo riferimento a riflessioni sul significato della vita e alla necessità vitale di fare delle scelte, anche difficili, pur di continuare ad essere se stessi.
La narrazione, intensa e pulsante, alimenta in divenire l’idea stessa del predetto simbolico viaggio di una donna e Monica Tantardini sa essere coinvolgente e riesce ad appassionare, quasi a condurre ad una immedesimazione nella figura di questa donna che lotta nella sua vita con tutte le forze attraversando e superando anche periodi di sfiducia e sconforto.
Nel processo narrativo si evidenzia ben presto che la passione per il cioccolato accomuna la protagonista Emma alla madre Flora: e sarà questa passione che la condurrà a Bormio dove lavora il famoso cioccolataio Patrick Zolder, con l’idea di apprendere i trucchi del mestiere della “dolce arte”.
L’impulso per intraprendere questa avventura nascerà dall’ultimo desiderio della madre che esorta Emma ad esaudire il “suo” grande sogno di creare il cioccolatino “più buono del mondo”.
Da quel momento, il suo desiderio sarà cercare di racchiudere il ricordo dei suoi genitori in un cioccolatino: la madre adorava il cioccolato fondente e il padre le ricordava il sapore di latte e menta.
L’alchimia era già in atto e, grazie al suo ritrovato entusiasmo, nasceranno le famose “lacrime al cioccolato”, il preludio di un sogno che le permetterà di assaporare la gioia immensa di essere madre.
Monica Tantardini sa essere romantica e pungente, dolcemente sognatrice e, al contempo, amaramente realista: in fin dei conti, specchio fedele del continuo dibattersi tra il dolce e l’amaro della nostra vita, tra la gioia e il dolore, la presenza e l’assenza, la faticosa realtà e la necessità di riuscire ancora a sognare.

Massimo Barile


Lacrime al cioccolato


RINGRAZIAMENTI

I ringraziamenti sono d’obbligo, ognuna di queste persone fa sì che io possa portare avanti la mia passione.
Grazie a:
Mio marito che mi supporta e mi sopporta.
I miei figli, eccellente fonte di qualsiasi tipo di sentimento.
Anna e William Giuliano per essere sempre dannatamente disponibili.
Gabriele Albertazzi per l’impegno e la passione che ci mette (ottenendo splendidi risultati) nel realizzare le copertine dei miei romanzi.
Paolo e Antonio Artusi, i miei ragazzi copertina.
Manuela Malugani che mi sprona a scrivere e mi dà una mano nelle più svariate necessità.
Claudia Barbieri per essere semplicemente “la mia amica”.
Gli amici della biblioteca d’Indovero e dell’associazione “Le nostre radici” per il supporto.
Andrea Vitali per l’incoraggiamento e la disponibilità.
Tutta la mia famiglia al completo per quello che hanno fatto e fanno per me e i miei figli.
Alla redazione della casa editrice per la gentilezza, la pazienza e la professionalità.
Tutte le persone che hanno pubblicizzato e venduto i miei libri.
Infine, grazie a chi riesce ancora ad emozionarsi leggendo un libro.

Monica


Nessuno arriva in Paradiso
con gli occhi asciutti.
(John Adams)

A tutti i sognatori, me compresa!


PROLOGO

Un romanzo a volte è finzione, altre è prendere spunto dalla realtà, io questa volta mi sono divertita a mischiare le due cose. E se ora vi chiedete cosa del mio racconto è vera oppure no, è probabile che non ve lo dirò mai!


PRIMA PARTE
Ballabio

I

Correndo per un’ora si consumano 800 calorie. Per eliminare un chilo di grasso, un essere umano, deve bruciare 7000 calorie, quindi, partendo dal presupposto che una donna ha bisogno di circa 1800 calorie giornaliere, se ne assumevo 1500 e ne bruciavo altre 300 correndo da casa mia a quella di mia madre, nel giro di 93 giorni avrei perso quegli antiestetici otto chili accumulati negli ultimi due anni.
Il calcolo me l’aveva fatto mio marito che non è un dietologo ma un commercialista; l’aveva letto su una rivista di medicina a cui è abbonato e forse, se invece di assillarmi con tutti quei calcoli mi avesse semplicemente detto: “Amore, anche con qualche chiletto in più sei bellissima” probabilmente, in questo momento, non avrei la faccia verde e la milza che sembra esplodermi da un momento all’altro. Se poi avessi saputo cosa sarebbe successo di lì a un mese, mi sarei evitata tanta fatica.
«Chi è?» chiese mia madre con la voce metallica che usciva dal citofono.
«Mamma, hai il videocitofono perché domandi sempre chi è?» dissi ancora ansimante.
«Che sciocca hai ragione, non mi ci sono ancora abituata. Emma, ma vedo male io oppure è il tuo colorito? Sembri la moglie di quell’orco del cartone animato, aspetta, non ricordo come si chiama…»
«Fiona?»
«Ma quale Fiona. Ti sembra che un orco si possa chiamare in quel modo?»
«Dicevo che la moglie… ma mi vuoi aprire o devo chiamare Shrek a buttare giù la porta.»
«Shrek, ecco come si chiama, troppo forte quel…»
«Mammaaa» sbuffai spazientita.
«Sì, sì, ti apro» disse finalmente premendo il pulsante.
Stavo per fare i tre piani di scale ma decisi di prendere l’ascensore non tanto per la stanchezza ma per paura d’imbattermi nella signora del secondo piano, non avevo mai sopportato quell’impicciona rompiscatole.
Appena varcai la soglia sentii il profumo di sugo al ragù invadere la stanza, trovai la mamma in terrazza, inginocchiata a invasare i gerani, per lei era come un rito, da che mi ricordi lo faceva tutti gli anni al 2 di maggio.
«Ciao mamma.»
«Ciao figlia» disse alzandosi a fatica portando una mano alla schiena.
«Mamma, stai bene? Hai una faccia!»
«Hai visto la tua? Come mai sei così sudata?»
«Sono venuta qui di corsa.»
«Tu? Di corsa?»
«Sì, devo perdere qualche chilo e poi fa bene al cuore, alla circolazione e al colesterolo.»
«Aah brava, brava. Prendi un caffè o vuoi una flebo?»
«Un decaffeinato, miss sarcasmo.»
Mentre preparava il caffè notai che si muoveva a fatica e che i jeans sembravano essere di una taglia più grande.
«Perché mi stai fissando?» mi chiese posando la tazzina davanti a me.
«Sei pallida, sembri stanca.» Gli occhi azzurri e brillanti sembravano velati da una leggera patina.
«Sarà la primavera, o probabilmente sarà perché è la mia cinquantanovesima primavera.»
«Lo dici come se avessi ottant’anni.»
«Tu ne hai trenta meno di me e dopo nemmeno due chilometri di corsa sei distrutta» disse accendendosi una sigaretta.
«Ma non avevi smesso di fumare?»
«Ne fumo una ogni tanto, cosa vuoi che sia…»
«Ma cosa dici? Lo sai che il fumo è una delle prime cause del tumore alla gola e ai polmoni?»
«Tu invece lo sai che cominci ad assomigliare a tuo marito? E guarda che non è un complimento.»
«Spiritosa.» Mia madre trovava Stefano noioso, mammone e fissato con la salute, a volte quando eravamo sole, esagerando, lo chiamava l’ipocondriaco.»
«Giuro che con il tuo carattere avrei giurato che avresti sposato un tipo all’Indiana Jones, invece…»
«…ho sposato un noioso commercialista» dissi rubandole le parole di bocca.
«Non sto dicendo che Stefano non sia un bravo marito ma un uomo a trentacinque anni dovrebbe essere meno misurato e più passionale.»
«Chi ti dice che non lo è?»
«Beh tesoro, in viaggio di nozze ti ha portato a Bruxelles al convegno di quel guru della medicina.»
«Era il suo sogno incontrarlo.»
«In viaggio di nozze?»
«Ha saputo del suo seminario dopo aver fissato la data del matrimonio, così ne abbiamo approfittato per vedere l’Europa.»
«Prima notte di nozze a un convegno. Che romantico. Tuo padre sì che era un uomo passionale…»
«Lo so che vi siete sposati solo dopo tre mesi che vi eravate incontrati, che avete fatto il viaggio di nozze in tenda e che dopo nove mesi sono nata io», dissi cantilenando le parole come una poesia imparata a memoria per ricordarle quante volte me lo avesse già raccontato.
«E ti ho detto che uscivamo solo per mangiare?»
«Mamma fermati, mi metti in imbarazzo.»
«Dopo sei giorni eravamo sfiniti e più innamorati che mai, ricordo che avevamo i muscoli delle gambe e della braccia distrutti.»
«Lalalala non sento niente lalallala» canticchiai con le mani sulle orecchie, le tolsi solamente quando vidi che le sue labbra avevano smesso di muoversi.
Erano cose da raccontare a una figlia!
«È passato così tanto tempo che se non ci fossi tu come prova, a volte, penserei si fosse trattato solo di un bel sogno» disse diventando malinconica.«Pensi spesso a lui?»
«L’unica immagine nitida è in questa cucina quando avevo undici anni. Ero triste perché sarebbe stato via per lavoro due settimane così mentre mi consolava mi ha preparato il latte con la menta, prima che partisse gli ho dato tanti baci appiccicosi e lui invece di lavarsi la guancia mi ha detto che gli avrebbero tenuto compagnia per il viaggio, così è partito tutto appiccicoso e profumato di menta. Quella fu l’ultima volta che lo vidi…»
«Non me lo avevi mai detto.»
«Quando sentivo la sua mancanza e faticavo a ricordare il suo volto mi preparavo una tazza di latte e menta e, mentre l’assaporavo, il suo viso magicamente riaffiorava nella mente, a dire il vero nei momenti di difficoltà lo faccio ancora, più di una volta Stefano mi ha trovata a parlare con il bicchiere.»
«Io non ho mai lavato il suo pigiama, è ancora sotto al cuscino.» mi confidò.
«Lo so.» Dopo l’incidente l’avevo vista più di una volta piangere abbracciata al pigiama, davanti a me cercava di essere forte, ma quando credeva che dormissi, la sentivo singhiozzare sommessamente con la testa sotto il cuscino. Essendo una bella donna aveva avuto molti corteggiatori ma non era stata più con nessun altro uomo. Aveva provato l’amore assoluto, quello che se si è fortunati si prova almeno una volta nella vita, probabilmente sapeva che nessuno avrebbe mai più colmato quel vuoto.
«Come mai ha fatto le lasagne?» dissi guardando nel forno e cambiando argomento.
«Ho invitato Silvio per pranzo.»
«Silvio il notaio? O forse dovrei dire il tuo eterno corteggiatore. Non mi dirai che tra voi…»
«Ma va’. Figurati se alla mia età penso a queste cose, lo sai che è solo un caro amico, ci ha aiutate molto dopo la morte di tuo padre, invitarlo a pranzo ogni tanto è il minimo. Ti fermi con noi?»
«No, vado a casa a fare un doccia, oggi poi dobbiamo andare dalla ginecologa per i risultati degli esami.»
«Sei preoccupata?»
«Un po’» Ero terrorizzata, dopo tre aborti spontanei in un anno e mezzo, la ginecologa ci aveva consigliato di eseguire degli esami e avevo paura di non poter avere dei bambini.
«Vedrai andrà tutto bene» mi rassicurò.
«Speriamo.»
«Ne sono sicura» disse passandomi dietro alle spalle slegandomi lo chignon. Una folta chioma castana scese morbida lungo la schiena. «Con quella pettinatura sembri più vecchia e poi con i capelli sciolti assomigli molto a me alla tua età» disse guardando la foto in cui era abbracciata a mio padre per trovare conferma. Anche se un tantino le assomigliavo lei era molto più bella di me, nel guardare l’immagine provai una fitta allo stomaco, ma non era la bellezza che le invidiavo. Io desideravo soltanto quell’enorme pancione che mio padre accarezzava dolcemente con la mano.
«Ora vado, ci vediamo domani sera.»
«Domani sera?»
«La cena da mia suocera per i suoi sessantacinque anni, non ricordi?»
«Certo che mi ricordo, me lo avrai ripetuto almeno venti volte questa settimana, non essere sempre così ansiosa.»
«Non sono ansiosa è solo che ti conosco troppo bene.»
«Ma se le ho già preso il regalo.»
«Ho paura a chiederti cos’è.» Mia madre e mia suocera non potevano essere più diverse; una abituata a rimboccarsi le maniche e a lavorare sodo, l’altra avvezza ai comfort e con la puzza sotto il naso. Inutile dire che i loro punti di vista erano alquanto contrastanti.
«Le ho regalato una giornata nel nuovo centro benessere fuori Lecco. Sauna, idromassaggio, percorsi della salute, massaggi…»
«Hai avuto un bella idea ma… non so se è consigliato a persone con problemi di pressione.»
«È sconsigliato a chi ha la pressione molto bassa.»
«Lei ha proprio la pressione bassa.»
«Appunto.»
«Mamma, spero tu stia scherzando» dissi sgranando gli occhi.
«Non preoccuparti nessun attentato alla sua salute. Le ho regalato un trattamento di bellezza, diciamo pure che ho sprecato dei soldi inutilmente» disse facendosi una risata. «Non ti nego che la accompagnerei volentieri solo per chiuderla nella sauna alla temperatura massima.»
«Riconosco che non è la donna più simpatica del mondo ma tu sei esagerata.»
«Sai cosa mi piace di tua suocera?»
«Cosa?» chiesi curiosa.
«Niente» disse decisa.
«Flora, sei tremenda.» La chiamavo per nome quando non condividevo le sue idee.
«Non so come tu faccia a sopportarla, non c’è dubbio poi che suo marito sia andato in paradiso e l’abbiano già santificato» disse alzando le mani e gli occhi al cielo.
«Dai non essere così acida, in fondo non è poi così cattiva, bisogna imparare a conoscerla. Ora è meglio che vada altrimenti faccio tardi.»
«Signora “De Vignasi” vuole che la riaccompagni in macchina a Ballabio “superiore”?» Rimarcò la seconda e l’ultima parola come faceva sempre mia suocera. Quando invece diceva “inferiore” arricciava il naso imitandola.
«No, torno a piedi, con questa bella giornata ne approfitto per prendere un po’ di colore, dovresti farlo anche tu.»
«Sei pazza, il sole invecchia la pelle e con il buco dell’ozono rischio di beccarmi qualche tumore.» La guardai stranita, «lo dice sempre tuo marito» disse prima di scoppiare a ridere.
«Scherza, scherza…ciao mamma» dissi sorridendo a mia volta. All’inizio mi arrabbiavo quando faceva battutine su Stefano ma ormai mi ci ero abituata.
«A domani amore mio e in culo alla balena.»


II

L’appuntamento dalla ginecologa era per le due e trenta, prima che la lancetta scattasse sulle due eravamo già in sala d’attesa, dopo tre quarti d’ora, quando l’infermiera ci chiamò, smisi di respirare.
«Buongiorno» disse facendoci accomodare.
«Buongiorno» rispose Stefano anche per me, oramai mi si era estinta la saliva.
La dottoressa seduta di fronte sicuramente aveva già letto i risultati degli esami, come un radar cercavo di captare ogni piccolo segnale. Con un sorriso tirato prese una delle due buste. Ero sicura, anzi, a questo punto ero certa che stesse per dire che non potevo avere figli.
«Avete mai sentito parlare di traslocazione cromosomica?»
“Ecco” pensai, non avevo la minima idea di cosa fosse ma era chiaro che ci stava girando attorno, quel termine poi non preannunciava niente di positivo.
«È un problema cromosomico?» la voce di mio marito sembrava arrivare da lontano o forse ero io ad essere distante.
«Sì, diciamo che nella vita di tutti i giorni non comporta nessun tipo di problema, le cose si complicano invece al momento del concepimento.»
Per una buona mezz’ora la dottoressa, aiutata da uno schemino e dalla mappa dei miei cromosomi, ci illustrò la situazione. Sulla coppia numero 8 un cromosoma si era rotto e il pezzettino aveva “traslocato” sulla numero 11, a scoppio ritardato realizzai il perché si chiamasse così. La dottoressa Bianchi aveva poi precisato che era genetico, una cosa che veniva tramandata da generazioni, se si tramandava dunque, era chiaro che anch’io a questo punto avrei potuto avere dei figli.
«Vi vedo perplessi, avete delle domande?»
«Quindi anche mio padre o mia madre aveva questa cosa?» chiesi.
«No, scusate ho spiegato il problema senza specificare che stavamo guardando gli esami di suo marito.»
«Non è possibile, nella nostra famiglia siamo tutti sani» dichiarò senza rendersi minimamente conto di quanto fosse stato inopportuno.
La dottoressa Bianchi lesse il mio disappunto, «Come ho spiegato prima, nessuno della sua famiglia è malato o invalido, ci sono tre possibilità durante il concepimento. Uno: se la scelta cade sui due cromosomi non “difettati” la gravidanza procederà senza problemi e il bambino nascerà senza ereditare la traslocazione. Due: se vengono presi i due “difettati” la gravidanza procederà senza problemi ma il bambino erediterà questa cosa. La terza ipotesi, quella che a questo punto si può dire che è la causa dei tre precedenti aborti, se viene preso dalla coppia 8 il cromosoma “difettato” e dalla coppia 11 quello “giusto” o viceversa il bambino avrà dei grossi problemi di sviluppo, di conseguenza verso la settima od ottava settimana s’interromperà la gravidanza» spiegò senza troppi giri di parole.
«E se la gravidanza proseguisse nonostante i problemi di sviluppo?» domandai preoccupata. Non credo sarei riuscita a superare questo mio limite.
«Ho parlato con il genetista di questa possibilità, dice che nel vostro caso i problemi di sviluppo sono talmente gravi da risultare incompatibili con la vita. Possiamo dire che è come se avvenisse una selezione naturale.»
Restammo tutti e tre in silenzio, a questo punto era chiaro che avrei potuto avere dei figli, il problema era se me la fossi sentita di riprovarci.
Fu la Bianchi a rompere il silenzio. «Vi spaventa questa cosa?»
«Mi lascia perplesso, che io sappia a nessuno della mia famiglia è capitato di avere un aborto.»
E ridai, possibile che fosse l’unica sua preoccupazione? «Si vede che hanno avuto più fortuna di noi» sbottai questa volta seccata.
A quel punto, sentendo il tono della mia voce Stefano mi prese la mano.
«Capisco che la notizia possa avervi disorientato, dovete comunque cercare di restare tranquilli. Non vi nego che possa succedere un altro aborto, la probabilità è di uno su tre ma se davvero desiderate un figlio il mio consiglio è di insistere.»
Subito dopo, usciti dallo studio, la mia mente vagava nell’aria tiepida di quel pomeriggio di primavera.
«Tutto bene?» chiese mio marito cingendomi le spalle.
«Diciamo di sì» sospirai «Io desidero tanto avere un figlio ma non me la sento di riprovare, questa situazione mi crea troppa ansia e ogni volta sto male.»
«Vorrà dire che aspetteremo fino a quando ti sentirai pronta, non abbiamo nessun contratto da rispettare. Anch’io ti devo chiedere un favore; per il momento possiamo evitare di spiegare l’argomento a mia madre? Sai com’è fatta, si agiterebbe, insisterebbe per far ripetere gli esami, direbbe che non può dipendere dalla nostra famiglia.»
«Come hai fatto tu.» Gli rinfacciai.
Rimase un attimo perplesso. «Io cercavo solo una spiegazione, ti sei offesa?»
«Da come lo hai detto sembra che nella vostra famiglia perfetta non possa succedere una cosa del genere, mentre se fosse avvenuta nella mia…» adesso ero io a parlare come mia madre.
«Ma cosa dici? Lo sai che non lo penso, la mia è stata solo una reazione, non penserai davvero che sia così maligno?»
Mi guardava teneramente, con quei suoi grandi occhi neri, gli stessi che mi avevano fatto innamorare. Cedetti. «Non parliamone più, in questo periodo sono troppo nervosa.»
«Cosa ne dici se annullassi gli appuntamenti di sabato e ce ne andassimo nello chalet di Vendrogno per il week-end. Potremmo andare a cena “Da Gigi” quel ristorante a Crandola che ti piace tanto. Ti va?»
«Sì, è da molto che non saliamo in montagna, sarebbe anche l’occasione per stare più insieme.»
«Ok allora è deciso, ora però devo tornare al lavoro, ho un milione di cose da fare.»
«Beato te, io a stare tutto il giorno a casa mi annoio da morire. Ora che sappiano che gli aborti non sono dovuti allo sforzo fisico potrei riprendere a lavorare.»
Dopo il primo aborto, mio marito, mi aveva consigliato di licenziarmi dalla ditta in cui lavoravo da dieci anni come impiegata. Io non me l’ero sentita così avevo chiesto sei mesi d’aspettativa.
«Non siamo milionari ma lo sai, riusciamo tranquillamente a vivere senza che tu debba lavorare.»
«Lo so ma lavorare mi serve per occupare le mie giornate e principalmente la mente, soprattutto in questo periodo.»
«Ne riparliamo stasera con calma, ora devo proprio scappare, ti riaccompagno al parcheggio a prendere la tua macchina?»
«No vado a piedi così faccio un giro in centro.»
«Ciao Emma, ci vediamo stasera» disse dandomi un bacio sulla fronte.
«Ciao amore.»


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