Fuochi d’allegria

di

Orazio Tognozzi


Orazio Tognozzi - Fuochi d’allegria
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
14x20,5 - pp. 82 - Euro 9,00
ISBN 978-88-6037-9092

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L’allegria del cuore cancella la tristezza


In copertina e all’interno fotografie di Orazio Tognozzi


Pubblicazione realizzata con il contributo de Il Club degli autori in quanto l’autore è segnalato nel concorso letterario «J. Prévert» 2005


Fuochi d’allegria


A Cristina, Mirella, Delio, Maria, Daniele, Renato, ai carissimi nipoti Lorenzo, Andrea, Victoria, questa piccola scelta di poesie antiche e recenti, vuole essere un modo di parlarvi di me e dei miei ideali.
Con tanto amore


PRIGIONIERI

C’è una domanda
che ogni giorno m’interroga:
“Se non è d’aiuto
provare sensi di colpa
(o sollevare la spada),
cosa sto facendo
per dare soccorso ai fratelli
tormentati dall’ingiustizia
avviliti dalla povertà
prigionieri di una notte
che non conosce l’alba”?


UN VOLTO BAMBINO

Diritta sopra il marciapiede
sostenevi decisa
il prezzo delle tue attenzioni
di fronte a due teppisti
che premevano come lupi.
Avevi un volto bambino
la maglia verde
sopra il piccolo seno,
la minigonna nera
che rivelava
il grembo adolescente.

File d’auto smaniose
agitavano la notte d’estate
lungo il Viale delle Tamerici.
Un signore distinto
ti chiama con un cenno
dal finestrino
d’una Maserati nera.
Esci dal cono di luce
e corri verso di lui
mentre i balordi t’inseguono
con occhi cattivi.

Una sera d’inverno
t’ho vista sostare da sola
sotto lo stesso lampione
mi sono fermato,
ti ho chiesto:
“hai freddo?
quanti anni hai”?
Mi hai risposto:
“fregatene”
nascondendoti
dietro una maschera di sdegno.


LE ORE E I GIORNI

L’anima mia
è un pendolo che oscilla
fra pace e timore
fili intrecciati di dolore
lo tengono appeso
a un chiodo di speranza
conficcato
dentro la roccia della Fede.

Con moto continuo
ripete lo stesso periodo
ritmando i secondi
le ore e i giorni.


IL DONO

Convinto d’essere forte
se guastava
il tuo corpo indifeso,
infastidito dai gridi d’aiuto,
t’ha colpita ripetutamente
gettandoti nel coma
là dove hai lasciato
la memoria degli amori rubati,
delle percosse e dello scherno,
e, incontrando la morte,
hai ricevuto in dono
la libertà.


GIUSEPPE M.

(Affermava
e in qualche modo documentava
d’essere Il nipote “marrano”
di Francisco Franco).

Seme d’ebreo
impiantato
nell’utero castigliano
di Carmencita,
creatura
non presentata a palazzo
per timore della legge iniqua
(e del giudizio della gente),
pensiero sempre presente
nel cuore della mamma,
oggi hai raggiunto la comune meta.

Fanciullo “buono e studioso”
sei cresciuto a Tivoli
nel collegio di lusso
dove hai imparato l’italiano
il greco antico ed il latino
lo spagnolo e il tedesco
e ti sei diplomato a pieni voti.

Per la prova di volo
sei salito a Firenze
(Hotel Leonardo
studi di legge in Via Laura).
Ti sentivi sperduto
dentro un mondo
troppo grande ed ambiguo,
ricevevi conforto
da lettere “segrete”
nelle quali la mamma
ti chiamava
“il mio caro Peppino”.

Un Console t’attese
nell’atrio dell’albergo,
ti consegnò un libretto di banca
e il messaggio che “mamma”
era “defunta”.
T’afferrò un indicibile
senso di vuoto.
Ti sentisti solo
e perduto per sempre.

Hai lasciato gli studi e la città,
hai conservato come una reliquia
i soldi della mamma
e sei vissuto libero e ramingo
svolgendo piccoli servizi
nei cortili e nei campi,
per i quali accettavi
un piatto di minestra
(o una camicia)
se erano offerte con rispetto.
Un giorno chiedesti
il permesso di passare la notte
nel mio fienile,
t’offersi rifugio al Legno Rosso
là dove hai vissuto quarant’anni
a tuo modo felice:
impegnato ad evitare il prossimo
e a cercarne l’amore.

Nel mezzo della notte
sognavi la “mamma”
ti alzavi
e andavi a cercarla.
Percorrendo la via verso l’Ombrone
od il viale saturo di traffico,
ti s’incontrava sul primo mattino
in compagnia di un cane nero
calamitato dai tuoi stracci
e dal tuo cuore
che chiedeva aiuto
con battiti velati
percepiti soltanto
da quel compagno tremolante
sopra quattro zampe
affamate e randagie.


ATTESE

Una pallida luna
s’eclissa dietro colli
ricoperti d’olivi,
intorno ai nidi
dove le uova stanno già per schiudersi
ali colorate
alzano un canto,
i boschi,
i prati e gli orti
accarezzati dalla brezza
e ancora bagnati di rugiada,
attendono impazienti.

Trattengo dentro il cuore
germogli di speranza
per tutto ciò che un flusso di secondi
di minuti
di ore non ancor conosciute
recherà al nuovo giorno,
giungendo dal seno del mio essere,
o di là dal muro dell’orto
lungo il quale s’arrampica
la nera riga delle formiche.

Chiedo al Cielo
di potermi stupire ad ogni aurora
e contemplare ancora
l’ombra solenne del cedro
che veglia sopra la mia casa.


PORTAVI LA TUA PENA

(A quattro anni combatteva l’anoressia,
e undici anni dopo
non sa ancora
su quale sponda attraccare
la barca della propria vita).

Portavi la tua pena
per vie traboccanti di persone
che passavano e non ti vedevano
o che, sfiorandoti,
rivolgevano un sorriso distratto
al camminare incerto
e al volto bambino.

“Vedi
(ti ho sussurrato)
quell’uomo con il viso scuro
e la cartella di lucido cuoio
tenuta stretta sotto il braccio destro?
Digli il tuo tormento”!
Mi hai stretto il palmo
con piccole dita:
“Io non capisco
se tu e la mamma mi volete bene”!
hai gridato due volte
in direzione dei passanti
che gremivano i marciapiedi
della Via Larga
densa di traffico veicolare.

Un signore distinto
s’è fermato ad osservare
il bambino che camminava
per mano all’adulto
e afferrava il coraggio
d’esplodere parole
contro la diga dell’indifferenza.
Una signora
ha tolto dalla borsa il cellulare.
“Che volete
cosa guardate
che sapete voi”!
hai gridato.

Quella sera d’estate
“c’era tanto sussurro e tanto fresco
intorno a te Santa Maria del Fiore”!
Siamo entrati stupiti
nel colorato fiume di turisti
che ti lambisce
compiuto un cerchio intorno al Battistero
abbiam ripreso per antiche strade
scalpellate dal rombo dei motori
che respingeva contro le facciate
dei palazzi rinascimentali
gli scalpiccii e le voci dei pedoni.


ASCESA

Sono salito sul monte
per osservare Marte
nella notte che a noi è più vicino
nel concavo spazio turchino
oltre il pianeta rosso
ardevano infinite
miriadi di stelle.

Dentro il cuore stupito
bruciava il desiderio
di poter salire
contemplare
comprendere.


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