Voci nel bosco

di

Orazio Tognozzi


Orazio Tognozzi - Voci nel bosco
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 76 - Euro 8,60
ISBN 88-8356-512-6

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Prefazione

La poesia di Voci nel bosco affonda le sue radici nell’appartenenza dell’autore a un mondo di tradizioni contadine e di stretta familiarità con l’ambiente naturale: quello del suo luogo natale – e d’elezione -, la Valle della Brana, a nord di Pistoia, descritta nella lirica omonima. Da qui l’inflessione fondamentale del sentimento della natura che si coglie nel libro: l’essere consapevole esperienza di un’armonia che è gioia e al contempo fondamento di vita morale e spirituale. In questi versi la bellezza naturale non è dunque idillicamente vagheggiata quale scenario propizio a una voluttuosa evasione, ma piuttosto sentita profondamente nella sua purezza e maestà.
Tale rivelazione avviene com‘è ovvio attraverso i sensi: l’immersione nel paesaggio culmina in un ´panico incantoª nel quale si compie il rigenerante abbandono all’influsso benefico dell’energia vitale. L’esperienza panica desta fantasmi di bellezza femminile che ne catalizzano la latente sensualità, espressa in modo franco e diretto ma filtrata dalla dimensione del sogno o del ricordo e temperata da accenti di delicata venerazione per la grazia e la sensibilità muliebre. La gioia, anche sensuale, della partecipazione all’armonia della natura non è però – come già accennato – risolta in un appagamento disimpegnato, ma è invece percepita come fonte inesauribile di serenità e pace interiore per l’uomo, risorsa preziosa nel quotidiano confronto con le difficoltà della vita. Il motivo centrale della ´gioia sempliceª si intreccia infatti, in Voci nel bosco, con temi che spostano l’attenzione sulla complessità a volte angosciosa della condizione umana, come l’infanzia violata o incompresa, i recenti drammi della scena internazionale o i moti più riposti ed ambigui della vita interiore.
Il bosco, sfondo ideale e al tempo stesso geograficamente determinato della trama di idee e sentimenti del libro, echeggia delle voci antiche della natura come anche delle diverse, inquiete voci umane: un’alternanza che rispecchia l’esperienza di vita del poeta, partecipe di tradizioni improntate al devoto rispetto dei ritmi e degli equilibri naturali, e d’altra parte impegnato professionalmente in un continuo confronto con i difficili percorsi esistenziali di tante persone in preda alle nevrosi contemporanee. Attraverso eloquenti figurazioni di bellezza armoniosa, Voci nel bosco riesce a comunicare al lettore il fascino di una vita semplice e lieta, e per questa via capace di cordiale disponibilità umana; nell’efficacia di questa rappresentazione è la – sottintesa – proposta di un conforto di fronte alle storture della modernità e alle scelleratezze della storia.
Una scrittura nitida e sobria, rilevata da figure retoriche accortamente dosate e fluida nei suoi versi liberi, contribuisce a rendere sempre piacevoli queste liriche, tanto varie nei soggetti e nei toni: grazie anche a un lessico accurato e a un’espressione felicemente sintetica il poeta sa essere incisivo sia quando riflette sul nuovo divampare della guerra sia quando si volge a sondare il proprio mondo sentimentale popolato di affetti, ricordi, incontri. I versi più intensamente suggestivi del libro risultano comunque quelli dedicati alle descrizioni paesistiche, di sapiente e sensibile realismo e dal tratto misurato: qualità formali che sottolineano i valori metaforici addensati da una partecipe attenzione su ogni dettaglio di questa natura così intima e così universale.

Silvio Ulivelli


Voci nel bosco


Alla mia mamma
che da cento anni
prende parte alla vita
di questa valle.


VOCI NEL BOSCO

Il folto ombrello verde
dell’altissimo pino
ch’estende i propri rami
sopra una larga ombra
vibra ed oscilla,
ecco ora cade
rovinando al suolo
avvolto in una nuvola
di note spezzate.

Un’onda d’infinita nostalgia
percorre la valle.
Un vento
carico di emozioni
scuote i rami degli alberi
sibila fra i cespugli
solleva gridi di sgomento.
Perforata da fili di paura
l’anima procede incerta
nel rifiuto inconscio della Grazia.

Mentre muovo i passi
per un’ampia radura
percepisco l’essenza
dell’erba calpestata
e scorgo
oltre un verde
intreccio
di rami
la fiamma delle ciliegie
brillare dov’erano nubi
di candidi fiori.

Il rosso, il bianco,
il verde

il rosa, l’oro,
esalano dalla tavolozza del bosco
formando il volto
e l’ornamento
che rendono perfetta la tua immagine.

Del luogo il panico incanto
esaurisce ogni sentire,
mi sdraio sopra una pietra
levigata dall’acqua e dal vento
fiorita di ricami bianchi e rosa
di silicio e di calcio
abbandonandomi al sonno.

Mi risveglia una pioggia notturna
che discende come un dono
e placa la sete di vero
dentro un umido manto di silenzio.

Verdi giganti
alzano al cielo
braccia odorose di muschio
lucide foglie gocciolanti
muovono nel vento
onde di pensieri.

Dai fili d’erba
dai cesti di stipa
dai teneri arboscelli
dalle chiuse corolle dei fiori
da tutto il bosco,
e dalle lontane strade
delle città tentacolari
inondate di ruote e di rumori,
dai remoti
abissi,
da ogni parte della terra
e del cielo lucente,
infiniti viventi
aprono bocche assetate
cercando sollievo.

E intanto l’acqua che cade
placando l’arsura
inonda l’anima
e libera la mente
dai fantasmi
dell’insicurezza
e della paura.


I DONI DELL’AMICIZIA

Com‘è dolce abbandonarsi al sonno
mentre lampi e tuoni
scuotono il velo della notte,
la pioggia cade improvvisa
frusciando nell’aria scura
e rimbalza sopra gli embrici del tetto
come dita sulla cassa della chitarra,
così è la presenza di un amico
in mezzo alle tempeste
che scuotono l’esistenza.

La sua voce
è musica che accompagna il cammino
la sua lontananza
attesa fondata sulla certezza
amarlo
è voler bene con gratitudine e pace.

Essere libero
gioire dell’altrui gioia
non affaticarsi ad ascoltare,
condividere i pesi
salire insieme nella fiducia:
ecco i doni
dell’amicizia.


O Signor

O Signor del ciel turchino
umilmente a Te m’inchino
e Ti dico la mia pena:
ogni di son pesticciato
da chi al mondo m’ ha educato.

Son maestri, professori,
suore, preti, genitori,
tutti colmi di esperienza
e deserti di sapienza
che mi gridano sul viso
un programma assai diviso
dal qual io non so capire
se riuscirò a sortire.

Questi adulti incompetenti
sono tanti e son potenti:
sanno sempre far del danno
sia col ver sia con l’inganno,
oh Iddio! prendili in gloria
e cancellali dalla storia.

Ma se poi non è possibile
se è troppo futuribile
liberarci da coloro
che sviliscono anche l’oro,
dacci sempre puro il cuore
e una fonte dell’amore
che a noi piccoli dell’uomo
dia da bere a tutte l’ore.


Al vento

L’innamorato

O amata sopra ogni cosa
non lasciarmi a lungo sostare
davanti alla tua porta chiusa,
la mia anima si smembra
nel pensiero di quando
le donerai l’amore:
con la tua bocca gioiosa
cogli benevola
il dono della mia essenza.

L’amata

O amico diletto
che avvolgi l’anima mia
col fuoco dell’amore
scosso dal vento dell’impazienza,
se m’ami
allontana da me
la fiamma
dei sensi:
lascia che io possa godere
la pace che mi hanno recato
il silenzio e l’oblio.

L’innamorato

Se il fuoco del mio amore
richiama un antico dolore
lo coprirò di rugiada
e cullerò il tuo oblio
con nubi di pollini vaganti.
Non stringerò la tua carne
coi cerchi della passione
poserò davanti al tuo cammino
i ponti dell’arcobaleno.

L’amata

Tu che prometti assai più
di quanto si può mantenere
e muti il fuoco dei sensi
in pensieri di luce,
lascia che ancora un poco
io viva di solitudine
e m’abbandoni libera
al vento che soffia nell’anima.


Nella sera

Nella sera
che avanza per l’umida Brana
l’aria di Primavera
esala fragranze
di salvia e rosmarino
e reca il tuo ricordo,
mentre un vento leggero
trasporta fino a me
il gorgoglio dell’acqua
che scivola sui massi.

A lungo t’ho rincorsa
per il pendio del prato,
poi rotoliamo ansanti
sopra il verde tappeto,
avvinghio le braccia
alle tue svelte gambe
e poso la mia testa
in mezzo ai tuoi ginocchi.

Respiro profondamente
odor di malva
e di viole selvatiche
assaporo il profumo di donna
delle tue cosce, pallide
affusolate appendici
del corpo di bambina
abbandonato sopra l’erba.

Ne tocco con le labbra
la nudità splendente,
copro di baci
la loro carne ignara,
l’esploro in punta di lingua
lasciando un’umida scia

che sale
fin sopra l’orchidea
del tuo essere donna.

Sfioro il profondo talamo
dall’umide pareti
più delicate
di petali di rosa
che premon la mia lingua

mentre si erge
una lucida perla.

Or m’abbandono al ritmo
dei tuoi sussulti
e dentro d’essi sento
l’energia delle onde
modellare la spiaggia
odo l’altalenante
sciacquio della risacca.


La speranza ed il tormento

Sospinto
dal vento della rabbia
forato dal succhiello del dolore
salgo per l’erta
cercando di fuggire
il pensiero assillante
dei fanciulli abusati
e di quelli
resi schiavi od uccisi
da adulti scellerati,
o tormentati da tempeste
che educatori
e genitori incompetenti
radunan senza accorgersene
sopra le loro teste.

Un lontano latrare
che mi raggiunge familiare
fa volgere lo sguardo:
sotto un velo d’ombra
vedo giù in basso campi
fioriti d’allegria
e scorgo
in fondo
ad un breve orizzonte
il sole tramontare
carezzando le spalle
dell’olivato colle
che chiude ad Occidente
lo spazio della valle.

Le immagini di quiete
della sera che avanza
allentano le sbarre dell’angoscia
che mi stringe:
ora scorgo

di là da esse
i lumi di speranza
e i pensieri di bene
che accenderanno
il cuore dei fanciulli
tutte le volte che l’amore
sosterà loro accanto.

Un usignolo
nascosto fra le fronde
alza il gorgheggio limpido
penetrante come una preghiera.
Abbandono il mio cuore
all’armonia del canto
appendo la speranza ed il tormento
ai rami della quercia
che s’innalza
sopra il sommo del bosco.


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