La terra dell’anima - Raccolta di componimenti poetici

di

Paolo Gismondi


Paolo Gismondi - La terra dell’anima - Raccolta di componimenti poetici
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
15x21 - pp. 144 - Euro 10,50
ISBN 978-88-6587-0518

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In copertina: «Lago di Dobbiaco» fotografia dell’autore


PREFAZIONE DELL’AUTORE


“La civiltà moderna appare nella storia come una vera e propria anomalia: fra tutte quelle che conosciamo essa è la sola che si sia sviluppata in un senso puramente materiale, la sola altresì che non si fondi su alcun principio d’ordine superiore”.

(René Guénon)

“Il tramonto di una tradizione è un sisma che produce devastazioni incalcolabili a uno sguardo ristretto e immediato, produce crepe che si prolungano nel tempo (…). Gli effetti sono larghi e lontani, toccano per cerchi concentrici l’esistenza individuale e collettiva, psicologica e sociologica, privata e pubblica. La fine di un’autentica tradizione produce sempre una catastrofe”.

(Marcello Veneziani)


La terra dell’anima è una raccolta di poesie decisamente atipiche, per struttura e contenuti.
Dal punto di vista strutturale, questi componimenti si presentano prevalentemente secondo un modello che si potrebbe definire di poesia visiva, fondato cioè sulla costruzione di immagini, a volte di impatto immediato, altre volte con un significato simbolico più recondito.
Il filo conduttore, dal punto di vista contenutistico, è quello di una spiritualità completamente orientata in senso tradizionale ed antimoderno. Nelle poesie emergono le lacerazioni, le contraddizioni e le degenerazioni proprie dell’epoca attuale, che mettono drammaticamente a nudo da una parte lo smarrimento e la frustrazione dell’uomo moderno, monade sperduta ed abbandonata a sé stessa, incapace di trascendere realmente la propria natura, concepita ormai in senso puramente materialistico; dall’altra, la sofferenza di chi, essendo ancora in possesso, per dote innata o a seguito di un lento processo di risveglio interiore, di una forma mentis che utilizza strutture ancestrali, collegate ad una visione assoluta ed atemporale ed ad una concezione fondata su riferimenti culturali e filosofici completamente agli antipodi rispetto a quelli che caratterizzano il mondo moderno, avverte un senso di impotenza di fronte al disfacimento che lo circonda, alla parodia della religiosità moderna, ridotta a caricatura di sé stessa, all’incapacità di intrecciare rapporti interpersonali che non siano improntati al mero perbenismo borghese, ad una finzione più o meno consapevole, ad una esteriorità priva di contenuto.
Il declino dell’epoca moderna è il frutto dell’inevitabile, progressivo ed inarrestabile processo di decadenza e degenerazione che colpisce l’uomo ed ogni istituzione soggetta al divenire storico: da un apice primordiale, caratterizzato da una condizione di armonia e di equilibrio, attraverso una sequenza rovesciata di quattro età, come ci tramandano tutte le grandi civiltà tradizionali, indoeuropee e non solo, si assiste ad una graduale contrazione dell’elemento spirituale a vantaggio di quello materiale, in un rapporto di perfetta, inversa proporzionalità.
L’età in cui viviamo è l’ultima, la più oscura, dell’attuale fase o ciclo cosmico, chiamata, a seconda delle varie civiltà, in vari modi: età del ferro, secondo la tradizione greco-iranica e romana; kali-yuga (che significa appunto età nera, oscura), secondo la tradizione induista; età del lupo, secondo la tradizione eddica e nordica.
Nella fase attuale il processo di materializzazione, sconsacrazione e solidificazione dell’essere umano e del mondo che lo circonda è giunto ormai in prossimità del punto di non ritorno: l’“energia vitale” dell’uomo confluisce in modo pressoché integrale “fino alle più infime propaggini, irrorando la carne, prosciugando lo spirito” (cfr. poesia n. 58, La Grande Parodia ovvero il Trionfo della Contro-Tradizione, seconda parte). L’uomo, in modo più o meno consapevole, ha abbandonato la parte più importante della sua natura, cioè la dimensione trascendente, e non è più in grado di riconnettersi alla sua vera matrice, che non è quella animale, bensì quella divina, se non attraverso forme parodistiche o caricaturali, tipiche anch’esse di questa fase (avvento di forme neo-spiritualistiche impure o di forme decadenti in seno alle forme religiose tradizionali).
Questo ricollegamento, nella sua forma più compiuta, per quanto inevitabilmente parziale, poteva avvenire (in modo peraltro sempre più imperfetto ed incompleto col trascorrere del tempo), nelle civiltà tradizionali in cui l’elemento religioso (re-ligare) era ancora sufficientemente puro ed in prossimità dell’apice delle proprie potenzialità, tramite l’azione formatrice e plasmante dello Spirito disceso nel singolo: lo atman della tradizione induista, il Sé individuale, cioè l’incarnazione nell’individuo del Bráhman, l’archetipo assoluto, lo Spirito Universale, il Divino; lo pneuma dei presocratici, degli stoici e dei cristiani, per i quali ultimi è sostanzialmente sinonimo di Spirito Santo. Lo Spirito, così inteso, ha pertanto il compito di guidare l’anima (la psyche, l’insieme delle facoltà intellettive, psichiche ed emotive) ed il corpo (__soma__) in questa opera di continua riconnessione alle dimensioni superiori dell’Essere. Questa cosmicizzazione dell’uomo, cui si accennerà ancora, era in fondo la finalità ultima della religiosità primordiale soprattutto indoeuropea, manifestatasi principalmente attraverso i culti misterico-iniziatici dell’antichità, prima del loro declino e della loro inevitabile scomparsa, ed attraverso la religiosità vedica delle origini, la cui essenza più profonda fu poi alterata dagli adattamenti e dalle modificazioni sopravvenute nei secoli successivi.
La tesi secondo cui sarebbe possibile liberare l’uomo slegandolo da qualsiasi vincolo e riferimento di carattere extramateriale, consentendogli di dare libero sfogo alle proprie pulsioni ed alle proprie energie vitali, nonché di soddisfare i propri bisogni e le proprie necessità prettamente materiali, ha mostrato tutta la sua fallace e perversa inconsistenza, generando le nefaste conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti: l’uomo non si è liberato di presunti fardelli che ne limitavano le potenzialità, non è sfuggito alla morsa di una repressione alienante, ma si è liberato della parte superiore di sé stesso, rimanendo schiavo di ciò che avrebbe dovuto salvarlo: schiavo dei suoi impulsi più bassi, che non possono più essere convogliati e sublimati verso l’alto (in senso cioè anagogico); schiavo della sua natura animale, senza scopo né meta; schiavo dell’edonismo, della sessualità degradata, della droga, delle moderne tecnologie alienanti e spersonalizzanti, del materialismo, del produttivismo, dell’apparenza senza sostanza, dell’individualismo egoistico e livellatore. Indirizzato dunque in modo definitivo non più verso l’alto, ma verso il basso (in senso catagogico).
Anche il rapporto uomo-donna risulta profondamente alterato e compromesso dalla decadenza dell’epoca moderna, dalle commistioni, dall’incomunicabilità e dalle derive patologiche, ossessive e possessive che caratterizzano sempre più spesso i legami sentimentali odierni. Si pensi alla degenerazione della sessualità, ormai concepita solo nella sua dimensione più biecamente materialistica e svincolata da qualunque significato trascendente finalizzato alla restaurazione, sia pure temporanea ed imperfetta, di quell’unità primordiale ed anagogica che è andata perduta all’origine dei tempi con la separazione delle due componenti basilari dal cosiddetto Uomo cosmico (diversamente nominato ma conosciuto in tutte le grandi religioni tradizionali), il quale all’atto della creazione rappresentava l’immagine perfetta ed unitaria della sapienza divina; restaurazione che, peraltro, può attuarsi (sempre nella sua inevitabile imperfezione) soltanto con il necessario supporto di quel vincolo di ordine superiore che scaturisce dal sentimento di reciproco completamento che chiamiamo amore (il quale, a sua volta, non è altro che la riproposizione terrena e parzialmente adattata dell’Amore divino per le proprie creature), nonché attraverso la procreazione (rappresentando i figli una forma di sintesi delle due polarità genitoriali). Altrettanto significativa è l’incapacità di comprendere la sacralità insita nel matrimonio e, per l’appunto, nella riproduzione, oggi viste per lo più come un peso o un obbligo, non nel senso di un dovere superiore verso il divino, verso sé stessi e la propria stirpe, ma nel senso deteriore di mera necessità di aderire passivamente a delle vuote “convenzioni sociali”.
Il cuore delle poesie de La terra dell’anima, in cui la componente autobiografica si alterna all’analisi di altre realtà ed all’immedesimazione in altri contesti storici, culturali o personali, ruota, essenzialmente, intorno al suddetto Leitmotiv ed a tutte le sue conseguenze cui ho potuto, in questa sede, dare solo qualche cenno.
L’estetica delle poesie presenta diverse affinità con quella che ha caratterizzato quel complesso movimento filosofico-letterario noto come Romanticismo (termine in sé, peraltro, piuttosto impreciso), in particolare laddove emerge quell’indefinibile senso di malinconico struggimento (conosciuto nell’ambiente romantico tedesco come Sehnsucht), il quale, secondo una felice definizione, può essere considerato come la “conseguenza di quanto sperimenta l’uomo nei confronti dell’assoluto, un senso di continua inquietudine e struggente tensione, un sentimento che affligge il soggetto e lo spinge ad oltrepassare i limiti della realtà terrena, opprimente e soffocante, per rifugiarsi nell’interiorità o in una dimensione che supera lo spazio-tempo”.
Nell’ottica di una spiritualità tradizionale, solare e pura, questa estetica rappresenta ancora un minus, dato che il punto di approdo finale dovrebbe essere quello di una spiritualità asciutta e distaccata, salda ed impersonale, caratterizzata da un equilibrio armonico tra azione pura, svincolata da qualsiasi tornaconto o interesse soggettivo, e contemplazione attiva dinnanzi a ciò che permane immutabile nel divenire storico. Ma in un’epoca di decadenza, nell’impossibilità di raggiungere in modo compiuto una cosmicizzazione dell’uomo, nell’impossibilità cioè di una realizzazione dell’Ente spirituale che è in lui assopito e da cui egli stesso è derivato, e quindi di una identificazione del medesimo con l’assoluto (l’ anubhava della tradizione induista, l’ apothéosis degli antichi Greci), anche il minus dell’estetica e della percezione “romantica” può rappresentare una forma di fiera e degna opposizione alla decadenza moderna. Tutto ciò a patto di non cadere in forme più patologiche, individualistiche ed irrazionalistiche che, nella critica al razionalismo puro ed alle sue derive, anziché guidare l’uomo verso una dimensione sovra-razionale, rischiano di farlo sprofondare nel mondo delle facoltà sub-razionali e dell’inconscio puro, dominato da intuizioni sensibili mal definite ed impregnato di un’esaltazione dell’immaginazione fine a sé stessa, dell’istintualità pura, del sentimentalismo anziché del sentimento.
Nell’impossibilità della suddetta riunificazione ed identificazione col divino, diventa decisivo il recupero e la riscoperta della forza e del ruolo fondamentale del Cristianesimo, l’ultima grande manifestazione del divino in Occidente, dopo il crollo delle religiosità primordiali: è proprio il Cristianesimo, nelle sue forme più compiute e regolari (cioè quella cattolica tradizionale pre-conciliare e quella ortodossa orientale, pur con le relative differenze a livello teologico), nonché nella sua potente dimensione essoterica e soteriologica, che dovrebbe indicare la via finale di salvezza all’umanità smarrita e decaduta, dopo aver portato definitivamente a compimento la sostanza delle religiosità precedenti attraverso l’Incarnazione e la Rivelazione, la Morte e la Resurrezione, che hanno traslato il sacrificio divino dal piano mitologico-archetipico a quello storico. Ma anche il Cristianesimo è da tempo soggetto all’inevitabile processo di degenerescenza descritto che, travolgendo ogni manifestazione sacra, oltre ad alterarne la natura, l’essenza più intima e le fondamenta sul piano teologico-contenutistico, la conduce ad una dimensione parodistica ed irriverente, fino a renderla pura superstizione o riflesso meccanico, consuetudine sconsacrata, forma senza più alcuna sostanza.
Elementi della religiosità cristiana tradizionale permeano, in modo ora più esplicito, ora più nascosto, buona parte delle poesie de La terra dell’anima, affiancandosi ad una critica sistematica di quelle deviazioni modernistiche che hanno condotto il Cristianesimo all’attuale condizione di declino.
Un’insopprimibile sete di trascendenza, di rinascita spirituale e di verità mi ha guidato, ed in certi momenti trasportato, alla realizzazione di questa raccolta di componimenti. Mi auguro, tramite quest’opera e con successivi lavori cui mi dedicherò con sincerità e passione, di poter dare un mio piccolo contributo alla causa inestinguibile della Tradizione.

Paolo Gismondi


La terra dell’anima - Raccolta di componimenti poetici


Ai miei genitori Elio e Maria Luisa,
per la pazienza che hanno sempre avuto,
per l’amore e la dedizione
che non mi hanno fatto mai mancare


1.

il cuore martellava impazzito nel mio petto
paura, angoscia, vuoto, allucinazione
aprii ogni porta,
entrai in ogni stanza
dalla più angusta alla più spaziosa,
dalla più spoglia alla più sfarzosa,
dalla più buia alla più luminosa
ma ogni ombra, ogni lacrima, ogni respiro erano miei,
soltanto miei
d’improvviso, un colpo di vento:
la finestra si spalancò,
le tende si strapparono, i vetri esplosero
milioni di schegge impazzite
finalmente trafitto, il mio cuore poté sanguinare,
sciogliendo l’oppressione ed il dolore
una solitudine mascherata,
un’esistenza lacerata
liberazione
un raggio di luce filtrò e spazzò via ogni nebbia,
l’oscurità lasciò spazio alla verità:
solo allora capii
che tu non eri mai esistita


2.

Le finestre sono aperte, ma la luce è spenta
le tende si muovono impercettibilmente,
animate da una delicata e fresca brezza notturna
la luna è alta nel cielo, sgombro da nubi ma senza stelle
tenui bagliori s’intravedono dietro la collina:
forse qualcuno ha acceso un fuoco,
o forse si tratta solo dei travagliati riverberi dell’angoscia
sto aspettando che qualcuno scenda in strada,
che qualcuno mi spieghi perché è stata abbattuta la mia casa,
perché le mura che ho costruito con le mie mani
[ora giacciono a terra, fra la polvere e la desolazione
mi capita ancora di sognare ad occhi aperti:
probabilmente non dovrei più farlo, non sono più un bambino
eppure sento ancora il bisogno di rifugiarmi
[nel mondo dei sogni,
in quel mondo dove tutto è possibile,
dove tutti i desideri possono realizzarsi,
dove posso forgiare la realtà con la sola forza del pensiero,
dove posso essere felice
è doloroso sapere che le mie mani
[non sono ancora riuscite a modellare la vostra materia:
nulla di quanto ho creato può essere visto dai vostri occhi,
sono soltanto quelli della mia mente a percepirne l’esistenza
sto bussando alla porta principale, ripetutamente,
nella speranza che qualcuno possa rispondermi
invisibile, io sono invisibile
posso vedere, ma non essere visto
forse qualcuno può avvertire la mia presenza
[ed in certi casi può parlarmi,
ma non saprei dire chi io sia esattamente, in quei momenti
quali sembianze io assuma, quale copione reciti
continuo a bussare, ma sembra che nessuno sia in casa:
ora sarò costretto a gridare
vedo la sagoma di una persona
[che cammina lentamente nell’oscurità
viene verso di me dal viale principale,
ma non riesco a scorgerne i lineamenti
da ragazzo passeggiavo spesso lungo quel viale:
la fresca ombra delle rigogliose fronde degli alberi
[allietava i densi, caldi pomeriggi d’estate,
la nuda trama dei rami spogli riempiva le vuote,
[gelide mattinate d’inverno,
mentre l’immagine della mia ignara amata
[animava dolci sogni e nutriva indomite speranze
il suo sorriso risplende ancora
[fra i dolorosi meandri del ricordo,
ma negli oscuri anditi del presente si erge,
impalpabile nella sua silenziosa inconsistenza,
l’icona di un vuoto incolmabile
quegli alberi, ora, non dispiegano più le loro verdi chiome:
sono stati abbattuti, uno ad uno,
non saprei dire né quando, né perché
da allora,
il viale è diventato solo una fredda opera monumentale
da allora, la poesia è diventata prosa
chi sarà la persona che si sta avvicinando?
Mi sarà amica? Mi aiuterà?
Ho cercato a lungo una mano da stringere,
un corpo da abbracciare
ho cercato orecchie che si aprissero alla mia lingua,
occhi che scorgessero i veri tratti della mia figura
ma nulla è stato capito, nulla è stato visto
la mia solitudine è stata chiamata misantropia,
la mia timidezza definita misoginia
la mia condizione si è somatizzata in corpi senza coscienza
la consapevolezza è lontana:
è un’idea persa lungo vie mai battute,
un concetto inespresso su pagine inesorabilmente bianche
ora mi ritrovo qui, a sperare che qualcosa possa cambiare,
a sperare che qualcuno scenda in strada
[e mi spieghi perché è stata abbattuta la mia casa,
perché le mura che ho costruito con le mie mani
[ora giacciono a terra,
fra la polvere e la desolazione


3.
Il Canto dell’Eternità

Scende la notte
ascolta il melodioso canto dell’usignolo,
il malinconico lamento della civetta e dell’assiolo
le loro note si perdono, solitarie e struggenti,
fra le silenziose vie della città
ricordi ancora quando ti strinsi la mano per la prima volta?
Scende la notte,
dissolvendo ogni futile apparenza,
abbattendo le artificiose costruzioni
[che faticosamente innalziamo ogni giorno
resta la realtà, cruda, implacabile
fra le sue desolate lande vagano i ricordi nell’oscurità,
inafferrabili come fantasmi:
a tratti la rischiarano,
come fiaccole agitate da mani impazzite
provai a baciarti, ma tu ti ritraesti, impaurita
ascolta il flebile sibilo del vento,
il fruscio lieve delle foglie
eri così luminosa con l’abito bianco, eri la mia regina
respira dolcemente, così, piano
lo senti anche tu?
Sui lineamenti del tuo angelico viso
[è da sempre custodito il mio destino,
l’unica soluzione, la rinascita ed il percorso
nella contemplazione della tua grazia
[ritrovo ciò che ogni giorno mi viene sottratto,
l’armonia alterata dall’incostante incedere dell’esistenza
prendimi la mano ancora una volta,
abbracciami teneramente
non alzarti, rimaniamo ad ascoltare
non ti distrarre, ora stringimi forte
no, non stai sognando, sei sveglia
anche se il nostro istinto imperfetto
[ci porta a distogliere l’attenzione,
il richiamo superiore sarà più forte
devi continuare ad ascoltare, insieme a me:
se lo farai, non moriremo mai,
perché quello che stai sentendo
è il Canto dell’Eternità


4.
Il giardino della rimembranza

Passeggio silenziosamente nel giardino della rimembranza,
tra sentieri sterrati e ciottolosi viottoli,
tra piante, fiori ed alberi maestosi
vegetazione incontaminata e multiforme,
densi profumi, un trionfo di colori
il delicato fluire dell’acqua dei torrenti,
il canto libero degli uccelli
farfalle leggere disegnano insolite figure nell’aria,
i raggi del sole filtrano splendenti fra i frondosi rami
sto cercando la mia vera identità:
tutto sembrerebbe essere a posto,
ma so che questa è una mera illusione
c’è ancora qualche spina da togliere dal cuore, dall’anima
c’è qualche altra strada da percorrere:
forse è davanti a me, forse è lontana
c’è qualcos’altro che deve essere ancora visto,
oltre il limite del mio sguardo
le acque del lago sono così calme,
mi rendono stranamente inquieto
sono così limpide,
non si può mentire dinnanzi alla loro purezza
il mio viso si specchia, ma non lo riconosco
chi sono diventato, in questi anni?
Credo di aver raggiunto lo scopo che mi ero prefissato
dopo lotte estenuanti,
dopo aver versato quasi ogni goccia del mio sangue
ora vorrei ritrovare ciò che di me è andato perduto,
ma forse è questo il prezzo di quella strana,
eppur necessaria vittoria
tra gli alberi s’intravedono delle figure misteriose,
appaiono e svaniscono come fantasmi
proiezioni di anime ancora tormentate,
inconsapevolmente afflitte
così le restituiscono le acque del lago,
che non conoscono la menzogna
è questa, dunque, la crudele verità?
Insieme a me,
gli altri reduci percorrono ogni centimetro di questo Eden,
ma temo che il frutto del peccato sia stato già mangiato
riesco ad intravedere l’albero proibito,
oltre la soglia che non doveva essere oltrepassata
ciascuno di noi è alla ricerca del suo passato,
ciascuno è alla ricerca di ciò che non riesce più a trovare
ma la debole persistenza del ricordo
[non rianimerà una speranza ormai consunta,
né ci restituirà un sentimento ormai sacrificato
sul campo di battaglia giace, esanime,
[l’altra metà della nostra natura:
invano si è cercato di riportarla in vita,
invano si è cercato di ricongiungerla alla parte sopravvissuta
forse non sarà più possibile resuscitarla in questo mondo,
ma non so se avrà più senso
[che il suo cuore torni a battere nel Regno che verrà,
dove saremo di nuovo avvolti
[dal dolce abbraccio dell’oblio primordiale,
dove ogni cosa sarà irrimediabilmente trasfigurata
ma chi si ricorderà delle nostre vite?
Cosa resterà della nostra testimonianza?
Chi ritroverà le tracce delle nostre lacrime,
le impronte del nostro sangue,
i segni del nostro passaggio?
Figure mute, abbiamo vinto, ma abbiamo lasciato più del dovuto
passeggio silenziosamente, nel giardino della rimembranza


5.
Il mio amore è stato ucciso senza un perché

Il mio amore è stato ucciso senza un perché
io disegnavo il tuo volto e tu ne cambiavi i lineamenti,
perché non ti riconoscessi più
io cantavo per te e tu hai reciso le mie corde vocali,
perché nessun canto, inopinatamente innalzato,
[potesse scalfire il tuo infausto silenzio
io credevo nell’alba dell’amore e tu mi hai accecato,
perché non la potessi più vedere
io percorrevo chilometri seguendo la tua luce,
mentre tu costruivi quel labirinto dove potessi perdermi,
[e non trovarti mai più
io organizzavo i miei discorsi per essere alla tua altezza,
mentre tu chiedevi a chi ti stava accanto di mentire,
di oscurarti per sempre dai miei occhi
io avevo eretto un altare alla tua immagine deificata,
ma tu mi hai fatto capire
[di essere una semplice mortale come me
quel colpo di vento ha rovesciato i calici,
guarda il mio sangue scorrere ai tuoi piedi
gli alberi sono spazzati via, il passaggio è ostruito
cerco di scorgere qualcosa oltre,
ma riesco a vedere solo il luogo del delitto,
solo il mio sangue scorrere ai tuoi piedi,
dove il mio amore è stato ucciso senza un perché
vortici e fulmini, pioggia di fuoco e di dolore
mi hai sentito piangere,
ma non ti mostrerò mai le mie lacrime
hai ascoltato la mia voce rotta dall’emozione e dal tormento,
ma non riuscirai a vedere il mio viso scavato dall’umiliazione
le mie urla hanno distrutto le pareti della prigione,
hanno spezzato le catene che imprigionavano la mia dignità
ma la mia immagine sbiadita
[si aggira ancora come un fantasma intorno a te,
alla ricerca di un corpo dove alloggiare,
alla ricerca dei frammenti perduti
ci sono notti in cui la mia anima
[è trascinata di nuovo laggiù,
dove il pugnale del cieco è ancora macchiato di sangue,
del mio sangue
guardalo scorrere ai tuoi piedi,
dove il mio amore è stato ucciso senza un perché


6.

La strada si perde lontano, non riesco a vederne la fine
un bambino corre sull’asfalto bagnato,
incontro al proprio destino
il sole si arrende, accerchiato dalle tetre guardie del tempo
lo vedo morire, in una pozza di luce sanguinante
riflessi sull’acqua, i suoi ultimi raggi di vita
un bambino corre sull’asfalto bagnato,
incontro al proprio destino
insegue il giorno che, inesorabilmente, se ne va
la madre cerca, disperata, di farlo tornare indietro,
ma non riuscirà più a riprenderlo
il disco delle voci dell’infanzia non gira più:
dov’è la semplicità, la purezza, l’ingenua illusione?
Scende gelido il silenzio,
tenue e pallida compare la luna in un angolo del cielo
spettatore attonito, mi volto dalla parte opposta,
dove la notte non ha ancora ucciso il giorno
[e la strada è asciutta e sicura,
dove il vento soffia ancora pungente sul viso
[e la giovinezza è un dolce fiore, un orgoglio incosciente
vorrei di nuovo andare incontro al sole
[che resuscita vittorioso,
vorrei di nuovo sperare in un futuro da costruire,
in nome di leggi immutabili ed eterni ritorni,
di ataviche appartenenze ed innate predestinazioni
ma indietro non si può tornare
mi volgo dunque a scrutare la fragile linea dell’orizzonte:
il mio passo segnerà lentamente l’irreversibile corso
è ormai giunto il momento che anch’io segua la mia via


7.

Vorrei scardinare quelle porte inspiegabilmente chiuse,
vorrei abbattere quelle invalicabili mura
[erette dinnanzi alla Verità
l’unica, vera Luce squarcerebbe le cupe ombre
[di questo perfetto, ignaro mondo accecato,
per risplendere cristallina ed inestinguibile,
per rischiarare l’anima di chi conosce quel dolore
[che scava ferite profonde,
ma che non può intaccare la silenziosa dignità
[che ci rende uomini
solo quella Luce, senza sorgente conosciuta
[né umana spiegazione,
[può restituire la vita a chi ha la morte negli occhi,
immobile come un’istantanea che sembra non ingiallire mai
solo quella Luce può illuminare la via della salvezza
[per chi deve immolarsi sull’altare del sacrificio,
prima che il destino, inesorabile, trovi compimento
non vorrei più sentire le urla di un dolore
[che fra tremare il cielo,
che taglia in due il cuore
non vorrei più vedere il sangue degli innocenti
[bagnare le nude strade,
grondare da ferite che nessuno mai chiuderà
vorrei che il color rubino nei miei occhi
[fosse impresso dalle candide rose in braccio alle spose,
dai minuscoli petali di geranio
[sui capelli adorni delle vostre figlie
non vorrei più veder scorrere calde lacrime
[sul volto immacolato delle madri,
né i corpi dilaniati dalla ferocia della tenebra
non vorrei più vedere i padri seppellire i figli,
né le bare bianche dei piccoli martiri
ma orde di demoni continuano a danzare intorno al fuoco,
[e canti infernali invadono ancora, sacrileghi, ogni spazio
vorrei che nessuno si voltasse dall’altra parte,
che fosse possibile annullare la sentenza
vorrei che ogni segreto fosse svelato,
che ogni domanda trovasse risposta
perché queste barriere si frappongono
[fra la nostra consapevolezza e l’Eternità?
La superbia primordiale s’è spinta oltre le soglie consentite,
rendendo necessario che si oscurasse
[la conoscenza dei figli dell’uomo
il Verbo Incarnato è stato così flagellato ed umiliato:
i polsi e i piedi trapassati da parte a parte,
affinché fossero esplicate le quattro componenti
[della prima materia
la lancia innalzata ad aprire l’ultima ferita,
affinché Luce, sangue ed acqua
[rimuovessero la condanna senza appello,
[ed il Volere retto e puro
[aprisse il Cuore vivente della Parola,
mostrandone la Causa Prima, la Quintessenza suprema,
il Centro trasfiguratore ed Asse del mondo
il cielo è ancora oscurato,
anche nelle giornate in apparenza più assolate,
ma chi può scorgere le fosche nubi della collera divina?
Il grido che squarciò il velo del tempio
[risuona ancora terribile fra le mura dell’incoscienza,
ma chi è in grado di sentirne l’eco straziante?
Vorrei scardinare quelle porte inspiegabilmente chiuse,
vorrei abbattere quelle invalicabili mura
[erette dinnanzi alla Verità
ma fra me e l’Eternità
[si frappone la necessità che tutto si compia,
che le età si succedano l’una all’altra,
dall’oro al ferro,
dalla caduta al ritorno,
dall’origine alla fine


8.

Una melodia sublime che si spande improvvisa,
un canto splendido nella sua perfezione
un riflesso di luce,
un pensiero, un sogno
un bacio timido e delicato,
gli occhi aperti, le labbra ferite
un cielo terso e luminoso,
l’acqua limpida e pura, riflessi azzurro verde
le pelle liscia e vellutata,
l’alba ed il tramonto, la luce ed il buio
un istante, solo un istante
un cerchio chiuso, una retta infinita
la compiutezza di un numero, il mistero di un simbolo
un senso di benessere, la freschezza del mattino
una malinconia lieve, la carezza della sera
lo stupore e la contemplazione
la speranza, la delusione
l’apertura, la chiusura
un istante, solo un istante
un alito di vento, il silenzio, le parole
le verità della notte, le menzogne del giorno
edifici ed opere, l’immensità della ragione
lamento ed estasi, la linfa dell’anima
dove sei, se ci sei?
La tenda appena tirata, la finestra socchiusa
un istante,
così vicini, così lontani


9.
La sposa

La sposa risplende di vivida luce,
imponente si erge la sua figura sul santo sagrato
all’orizzonte sta scomparendo il seme del vuoto:
la misura è colma di quella forza
[che s’intravede negli occhi della sposa,
che prende forma dalle movenze sacre delle sue mani di donna,
che si esprime con la dolcezza delle sue parole,
che sarà sostanza con il frutto del suo seno
l’amore ha riempito ogni spazio lungo la via
un sorriso prende forma
[sul viso corrucciato e stanco di una madre,
un vecchio riassapora i ricordi d’una gioventù perduta,
un bambino raccoglie una lacrima, senza capirne il perché
schegge di luce s’agitano irrefrenabili
[negli occhi sfavillanti della sposa
il suo viso è uno specchio:
guardatevi,
lei vi consente di vedere il vostro Io al di fuori del tempo
in un unico momento,
tutti noi possiamo assaggiare una goccia
[dalla sorgente dell’Eternità
alzate lo sguardo, sollevate le mani
rendete omaggio alla purezza ed alla Grazia
[che scendono immacolate dal cielo
guardatele e piangete d’amore,
mentre si posano dolcemente, come fiocchi di neve,
sui capelli d’oro della sposa


10.
La terra dell’anima (prima parte)

La terra dell’anima
se chiudo gli occhi posso sentirne, ancora una volta,
l’intima sostanza che penetra e s’effonde
[in ogni angolo del mio Io
dinnanzi a me si schiude la vista delle meraviglie
[della sua natura che, sola,
mi trasfigura e m’innalza
ora vedo inaccessibili cime stagliarsi su cieli tersi,
montagne invitte e sconosciuti crinali aprir vie ignote
[e spalancar spaventevoli rupi,
che al sol guardo atterriscono gli sperduti sensi
distese d’immensi prati color smeraldo,
solcate da freschi, gorgoglianti torrenti,
ornate da ordinati, fioriti focolari
cascate a getto su rocce disperse e levigate,
interminabili sentieri che disegnano, impavidi, gli itinerari d’una memoria mai smarrita
foreste incantate di boschi sacri,
animate da imponenti larici e smilzi faggi,
da maestosi abeti e frondosi pini
cristalline acque di laghi splendenti,
nevi rilucenti e ghiacciai aggettanti,
ch’ai cieli innalzano il loro rifulgere incessante,
che come perle incastonate disperdono indefesse
[ogni accecante lucore:
tracce ancora visibili d’un paradiso perduto,
residui irriducibili d’un passato forse vissuto
una pioggia improvvisa che s’abbatte furiosa,
cineree nuvole che scendono fitte
[ad invadere ogni spazio incustodito,
ad insidiare ed a ferire il mio inconscio dimenticato
penetrante si solleva l’inconfondibile odore della nuda,
[impregnata terra,
risvegliando sensazioni sopite,
riavviando il turbinio dolceamaro del ricordo
[che infiamma e lacera
sono nella terra dell’anima:
mi soffermo a scrutare i volti dei suoi abitanti,
i loro sguardi contratti in una fissità senza tempo,
ma mossi da un unico movimento senza inizio né fine
un’unica apollinea manifestazione promana da fonte divina,
riscrivendo ogni regola,
trasfigurando ogni forma,
rielaborando ogni principio
è in questo istante che l’anima emette un grido straziante,
che struggimento ed estasi stillano come linfa morente
[dal fusto finalmente inciso,
sino ad svuotarne d’ogni goccia il cuore ancora pulsante,
eterno motore immobile, essenza dello spirito puro una bruma lieve s’innalza e si spande,
come nettare sciolto e consunto dall’inestinguibile fuoco,
svelando ogni falsa dottrina,
cancellando ogni menzogna,
restituendo ogni significato
i precetti della nuova scienza vengono ricacciati
[entro i confini d’un ristretto dominio,
annichiliti da un unico atto supremo di conoscenza,
da un solo istante d’inintelligibile elevazione
l’unità perduta, la sapienza smarrita,
i tempi e gli spazi manifestati
ogni entità al proprio posto, ogni gerarchia ricostituita
sono nella terra dell’anima:
ora riesco a contemplare la purezza assoluta delle sue linee,
rese rarefatte dalla natura del suo sole
ora posso abbandonarmi alla vista del miracolo
[d’una compiutezza ritrovata,
ammirare stupito la naturale composizione d’ogni male,
la sospirata soluzione d’ogni dolore
pura astrazione, sogno trasfigurato, visione estatica
il pensiero non ha dunque creato una nuova dimensione,
sta soltanto riproducendo l’archetipo invisibile,
sta dando forma compiuta all’Idea suprema
[che pervade ogni epoca ed ogni luogo
essenza ultima tratta dalla materialità del nostro mondo,
prodotto della mente gravida di esperienza
rielaborazione di ricordi, percezione del Concetto
è la terra dell’anima, è la mia terra

[continua]


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