Opere di

Pieralda Albonico Comalini


Con questo racconto ha vinto il quarto premio all’edizione 2007 del Premio La Montagna Valle Spluga


Perdona i labirinti

Settembre, ore 4 pomeridiane, nel giardino della Rosy che guarda verso la Val Loga il dolce sole di Montespluga invita alle confidenze. Si è loquaci sulle nostre storie, presenti e passate. Il sole sulla pelle è un fiore fresco che profuma di Piz Buin, è quello giusto per raccontare.
Ho portato un documento che riguarda la Ca’ della montagna, ora Albergo Vittoria: alla Rosy può certo interessare: l’antica Ca’ della montagna le apparteneva fino a qualche anno fa. Leggo. Mi guarda sgomenta, il suo interesse è forte: bisogna andare a Campodolcino, lì ci saranno i registri dei defunti del Seicento; sarà annotato chi è morto nel 1618 e perché; bisogna sapere qualcosa di più su quell’antica tragedia!
Ci lasciamo con la promessa di consultare altri documenti per chiarire gli efferati delitti per mano del Campodolcino Giorgio, gestore della Ca’ nel 1618.

Poi nel dicembre di freddo e di bufere la limpida neve dello Spluga si macchiò di altro sangue, quello dell’Achille e dell’Adalgisa, trovati abbracciati nella baita abbandonata presso il ponte della Val Loga: lui l’aveva uccisa e poi si era tolto la vita in un ultimo tentativo di stare con l’amata per sempre. O, almeno, questo scrissero le cronache in un empito di romanticismo applicato alla tremenda realtà di una duplice orribile morte. Furono ritrovati dopo giorni e giorni di ricerche. E sì che qualcuno aveva detto: provate lì.
Poi l’Achille per qualcuno è diventato “mitico”, Achille il buono, Achille il generoso, Achille il taciturno, quello che giocava con i bimbi a Montespluga, sempre pronto a dare una carezza, forse pensando alla figlia lontana, non più sua.
Altro non so, non oso dire, insondabili sono i pensieri dell’uomo, un guazzabuglio il suo cuore.

Ma perché tenere ancora sulle spine il lettore curioso?
Eccolo, dunque, il documento che per quattrocento anni è rimasto sepolto prima in uno stipo, poi in una biblioteca: è una lettera del dotto prelato comasco Gerolamo Borsieri trascritta, insieme ad altre, in un manoscritto. Scorrendolo, l’occhio attento ha visto un nome: “il Campodolcino”. Mi interessano le cose delle nostre parti. Quando le scopro, non nascondo che provo un sussulto al cuore. Dopo segue la fatica di decifrare, di cercare di capire. Ho letto la lettera con una certa difficoltà per la grafia che non era chiara, ma anche perché i fatti e il modo con cui erano narrati mi lasciavano perplessa, incredula.
Leggi tu ora, lettore, con attenzione, seduto al sole di Montespluga o chissà dove, ma portandoti lì con la mente e il cuore. Il testo è forte, ingarbugliato ma forte, è di quelli che non lasciano indifferenti: per questo ho deciso di salvarlo; ne ho parlato un po’ a tutti a Montespluga, non solo alla Rosy, suscitando le più varie reazioni; ora voglio farlo conoscere nella sua interezza, voglio che parli con la sua lingua, non altra.
Dopo dirò le mie riflessioni, i miei pensieri. Inadeguati per un simile labirinto.
Anche tu ti ci perderai.

Per lo caso seguito nella famiglia del Campodolcino.
Non potrei ragguagliare Vostra Signoria del caso che pur è seguito in Valchiavenna con la passata mia del 2 perché io stava ancor dubbio se dovessi crederlo o no. Si trovano tanti ingegni che pingono volentieri ch’appena può prestarsi fede al più stretto amico.
Hor che io ne sono certo, eccone una breve relazione. Al piè della montagna di Spluga sopra Chiavenna giace un picciol albergo detto la Chà dove soleva fare un’hosteria Giorgio detto il Campodolcino. Aveva costui due figliuoli, un maschio ed una femina. Il maschio, essendosi dilettato di veder novi Paesi, erasi trattenuto fuori tanto tempo che aveva perduto e mutato sì l’aspetto che non si poteva conoscer a prima vista. Torna nondimeno costui alla Patria verso il principio dell’agosto e, senza punto discoprirsi, consegna al padre qual forestiero un valiggino di danari; e dopo la cena si fa condurre al letto dalla sorella, secondo l’uso della Valtellina in cui le donne servono a’ forastieri. Cominciasi cercarla se habbia fratelli. Essa gli risponde che vive dubbia se pur se ne trovi in vita uno, che si era partito da casa molti anni avanti. Soggiungine allora egli se veggendolo una volta lo conoscerebbe. Afferma la sorella, onde il fratello se le discopre, ma la prega insieme a non dare di ciò motto veruno al padre. Essa parte, e tace. Il padre ch’intanto dalla tentattione del valiggino s’era lasciato vincer, tosto che la figliola comincia dormire, se ne va di nascosto alla camera del figliuolo non ancora conosciuto, e trovandolo addormentato gli taglia la gola, e l’uccide. Spunta appena l’alba che la figliuola corre al padre e gli discopre il secreto. Il padre, pien di dolore insieme e di sdegno perch’ella non gli habbia scoperto ciò la sera, forse con quell’istesso ferro con cui aveva ucciso il figliuolo l’assale con quattro colpi e la lascia in terra per morta. Ricorre alla camera del figliuolo per piangervi sugli occhi il peccato commesso pensando pur che non ancora sia uscito di vita. Ma tadi vi ricorre. Però, voltosi alla disperatione, s’accosta ad un albero e vi si sospende. La figliuola non men dogliosa confessa il caso alla giustizia e tosta si more anch’ella.
Questa relazione hoggi mando a Vostra Signoria. Può quasi dirsi liberamente che Nostro Signore habbia lasciata seguire la morte di tutti e tre, perché ciascuno era stato colpevole. Il padre come avaro ladro e micidiale, il figliuolo e figliuola come crudeli, ed io sono appunto di parere che possa lor darsi colpa maggiore, perché sapendo l’uno e l’altra quanta allegrezza haverebbero recata al padre, e quanto gusto, doveva quello discoprirseli all’arrivo, e questa almeno discoprirglielo subito che l’ebbe riconosciuto. Obligo maggiore ha il figliuolo verso il padre di quello che habbia verso se stesso, dovendo anteporgli il giovargli al proprio comodo quasi necessariamente. E che più? Iddio stesso volendo mostrar quest’obligo ne’ precetti del decalogo minaccia per li figliuoli crudeli co’ padri pena eterna e temporale, ciò che non minaccia per la trasgressione di qualsisia altro precetto che v’habbia, non minacciando in tutti gli altri se non l’eterna. Piaccia a sua Divina Maestà che uno di questi trasgressori non sia anch’io medesimo col mio, il quale non vorrebbe pur ch’io tornassi costà particolarmente per dimorarvi il verno. Ma intorno ciò sa Vostra Signoria quanto far possa. A me basta saper quanto far debba, e non più.
Di Casnate il 23 d’ottobre 1618.

Hai letto? Ti ha preso un sussulto al cuore? Certo hai bisogno di rileggere, di capire. Quanto mi piacerebbe entrare nei tuoi pensieri, descrivere le tue emozioni, le titubanze!

Io ti dirò qualche lacerto dei miei pensieri, delle mie emozioni, quello che è rimasto.
Nella lettera, di cui non si conosce il destinatario, il prelato comasco, amico del cardinale Federico Borromeo, non può esimersi dal dare un giudizio su quanto successo nella Ca’ della montagna.
Ma c‘è qualcosa che non torna fin dalla narrazione dei fatti. Sono, quelle avute dal Borsieri, notizie venute da lontano, tra l’altro in due momenti successivi, come si ha ragione di credere dall’accenno all’attesa di ulteriori precisazioni fatto a inizio lettera, tanto il misfatto gli pare efferato:
“Si trovano tanti ingegni che pingono volentieri ch’appena può prestarsi fede al più stretto amico” sentenzia incredulo, lui che sa come va il mondo: è amico di poeti, pittori e letterati che ne apprezzano i buoni uffici per ottenere vuoi un dipinto dal celebre Morazzone, vuoi una poesia dal cavalier Marino, vuoi una descrizione delle Tre Pievi altolariane dal dotto arciprete di Gravedona, Giacomantonio Curti Maghini.
Solo quando è certo, così dice, dei fatti, ne fa una breve relazione.
Noi siamo increduli ancora.
Sono notizie passate di bocca in bocca, di lettera in lettera e di strada o, meglio, di sentieri impervi e scivolosi ne hanno percorsi da agosto a ottobre, perdendosi nel buio delle congetture, ritrovandosi solo fuggevolmente in radure di luce.
Che cosa successe veramente? Che cosa si diffuse di bocca in bocca? Ma non è questo il punto, visto che non sapremo mai, come non seppero coloro che accorsero subito sul luogo della tragedia, pur profondendosi, immaginiamo, in informazioni, in testimonianze.
Forse, in qualche archivio, potremo trovare una relazione più fedele di quella avuta dal Borsieri, se fedele ha un senso qui.
Ma, ripeto, non è questo il punto. Entrare nell’animo dei protagonisti del truce fatto secentesco, ma anche nella mentalità delle persone di allora, di una certa categoria o di un singolo individuo è impossibile per noi.
Io non saprò mai entrare nell’animo di nessuno, men che meno in quello di un mio simile del Seicento. Ma se anche lo sapessi fare per conoscenze storico-sociali-religiose profonde e non illusorie, non progredirei di un passo.
Perché c‘è qualcosa di sconvolgente che accomuna questi delitti a quelli di oggi: non si saprà mai che cosa ha stravolto le menti, menti fragili sempre, che basta un niente a turbare; non si riuscirà mai a scorgere i passi successivi a un primo pensiero non necessariamente di morte, anzi spesso di vita, di gioia, a intuire le speranze momentanee e i sussulti del cuore. Quello, per intenderci, che anche i protagonisti, se fossero sopravvissuti, non avrebbero saputo dire, ricordare (quali pensieri, immagini, sequenze minime dei fatti…), essendo le testimonianze, e quindi anche la loro, immediatamente viziate dalla subitanea dimenticanza o cancellazione, dal perdersi nei labirinti della mente, che ricorda e cancella e ripone e sposta e riprende in veste nuova, sciacquata o ulteriormente lordata, per riporre in cunicoli ciechi dove ricercare, può darsi, più tardi, a distanza di tempo, di giorni o mesi o anni, l’amore e l’orrore che solo Dio può perdonare.
Ma la giustizia degli uomini, la nostra povera giustizia deve fare il suo corso, e come l’erudito comasco Gerolamo Borsieri misurare la colpa, punire, espellere il vizio turbatore, soprattutto salvare i padri, le loro leggi, la loro sicumera e arroganza e prepotenza al di là di ogni ragionevole dubbio e consapevolezza: “colpa maggior” è dei figli, egli dice. L’interesse per il “valiggino”, la brama di denaro, l’ingordigia del Campodolcino, causa del primo delitto, e l’ira e la vendetta, causa del secondo, passano in secondo piano per il Borsieri.
Se si confronta la colpa del Campodolcino con quella dei figli, questa a noi appare poca cosa, un vezzo, uno scherzo innocente, un gioco per sorprendere il genitore, per poi gioire insieme della fortuna che il figlio ha fatto nel mondo, lontano dal padre, dalla sua sicumera e prepotenza e prevaricazione.
Ma poi anche il Borsieri confessa di essere un figlio disubbidiente e, per questo, si rimette al Padre … sperando che perdoni.
In tutto questo torna solo il fatto che non sapremo mai. Quante e mutevoli le testimonianze! Quante e mutevoli le opinioni! Per la vicenda nell’antica Ca’ della montagna, ma anche per l’Achille e l’Adalgisa e questo per il tempo del nostro interesse per le loro miserevoli vicende.

Perdonali, Signore, perdona i Campodolcino, soprattutto il padre, perdona i figli, perdona l’Adalgisa e l’Achille, i labirinti nella Ca’ della montagna e nella baita in Val Loga, la nostra impotenza e miseria, la mancanza di tempestività e il caso imponderabile e osceno, la scarsa volontà a noi imputabile, la leggerezza, soprattutto la leggerezza, ma anche l’insistenza, e la leggerezza che si contrappone all’insistenza, deprecabile insistenza, il nostro imporci, il non comprendere che c‘è la lettera e c‘è lo spirito, sfuggente però come l’aria che si respira seduti qui, davanti alla Ca’ della montagna, mentre si cerca un senso al passato, al presente, al nostro vivere e morire in questa bella giornata di sole, serena, il giorno di Pasqua 8 aprile 2007, Pasqua di Resurrezione, quattrocento anni dopo o qualche mese dopo, nel posto più bello del mondo.
Signore, considera anche il nostro amore. E il Tuo amore. E perdona.

E tu, lettore, che pensi?
La mia, la tua curiosità è solo uno stimolo a cercare. Così siamo fatti. Ma sappiamo che il giudizio inappellabile spetta ad Altri, alla Sua smisurata misericordia.
Noi possiamo ricostruire solo un poco della storia, con smisurati margini di imprecisione. Per non dimenticare.

P.S. Certo questa materia il Manzoni avrebbe saputo trattarla da par suo nello spazio, forse, di un romanzo, se solo avesse trovato il manoscritto, se Montespluga fosse stata nei suoi pensieri… , la villa del Caleotto, a Lecco, non è poi così lontana … E il secolo è di quelli che conosceva.

Pieralda Albonico Comalini



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