25 La grande Meridiana di Cassini

di

Roberto Salimbeni


Roberto Salimbeni - 25 La grande Meridiana di Cassini
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 210 - Euro 15,00
ISBN 978-88-6587-4516

eBook: pp. 204 - Euro 8,99 -  ISBN 978-88-6587-8439

Libro esaurito

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In copertina illustrazione di Marco Salimbeni


Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono immaginari. Qualsiasi rassomiglianza o riferimento con persone, cose, fatti o località realmente esistenti o esistiti, è puramente casuale.


In una Bologna misteriosa e ricca di sorprese un’antica leggenda Templare si materializza in pieni anni ’60 grazie alla curiosità di un gruppo di ragazzi. Sono i ragazzi della compagnia di via Santa Caterina.
La loro vita sarà stravolta dalle storie dei Cavalieri Templari svelate da un antico manoscritto caduto letteralmente dal cielo e decrittato dal Professor Goldoni, uno dei tanti eroi di questa storia, in parte vera ed in parte frutto della fantasia dell’Autore. I misteri della Bologna medioevale giungono al lettore seguendo un filo rosso che attraversa il tempo lungo 500 anni di storia fra sciarade, intrighi, processi e agguati, anche mortali, in una infinita caccia al Tesoro.


Prefazione

È stato un grande piacere e una vera sorpresa ritrovare l’amico d’infanzia dopo oltre un quarantennio senza contatti. Le possibilità di comunicazione legate ai social network hanno fatto il loro dovere pochi anni fa.
Roberto Salimbeni è l’amico con cui giocavo nei cortili di Bologna a nascondino, a pallone, a scacchi, con cui scambiavo le figurine Panini delle nazioni del mondo, con cui facevo piccoli esperimenti di chimica e fisica, i giuochi di scrittura con l’inchiostro simpatico, poi crescendo, “abbiamo cominciato a volare…”
Prima con un messaggio lanciato tramite una decina di palloncini gonfiati ad elio (volevamo raggiungere la Jugoslavia, ma ci risposero consolandoci da Chioggia), comprammo un motorino a scoppio per aeromodello, ma ci facemmo solo studi in cantina, in realtà ci appassionammo presto alla missilistica leggendo la rivista mensile di suo padre “Sistema Pratico”.
Erano gli anni della guerra fredda fra sovietici e americani che si sfidavano a est con i lanci degli Sputnik, a ovest con i lanci degli Explorer: noi ci eravamo immedesimati.
Costruimmo e lanciammo alcuni rudimentali ma ingegnosi missili dalle nostre basi del fiume Reno e della collina di Casaglia, con alterne fortune: uno di questi, però, partì proprio come quelli che si vedevano in televisione a Cape Canaveral. Una accelerazione tanto veloce e inattesa che non riuscimmo a seguire l’altissima traiettoria e ancora oggi speriamo che non sia caduto su qualche innocente o abbia combinato danni alle cose.
Una indole da tecnico la sua, da progettista che ha sviluppato nel corso della attività lavorativa. Evidentemente la fantasia ha continuato a stimolare Roberto su un altro fronte, quello della narrativa, e così fra inventiva e realtà, oggi, descrive principalmente la “nostra Bologna” e i luoghi correlati alla storia.
Roberto ha scritto questo romanzo dedicato ai giovani che vi trovano sani punti di riferimento e ai più grandi che possono ripercorrere i loro periodi adolescenziali.
Interpreti siamo soprattutto noi amici, con le curiosità, le scoperte, le pulsioni giovanili, i primi amori, i timori, il coraggio che spinge ad andare avanti, tutto questo in uno scorcio di vita degli anni Sessanta.
Si tratta di una piacevolissima lettura che riporta nel clima sano e semplice di allora, quando prevalevano i rapporti personali, si usciva in gruppo e si facevano discussioni dal vivo, ci si abbracciava, ci si stringeva la mano, non esistevano le teleconferenze con i sistemi mediatici che sono utili, indispensabili, ma senza fisicità, troppo freddi.
In adolescenza gli incontri fra compagnie di amici si facevano preferibilmente nelle case fuori porta, a contatto della natura; avevano come elemento centrale il pranzo con una bella grigliata e un amico che suonava la chitarra con il repertorio dei miti contemporanei: Fabrizio De Andrè, Francesco Guccini, Bob Dylan…
Il romanzo, oltre alle cose tracciate in queste righe, si incentra sul mistero del documento rinvenuto nel museo dell’Archiginnasio a Bologna. Da qui si sviluppa la storia che coinvolge l’Ordine dei Templari e il tesoro di Re Riccardo d’Inghilterra, la storia dei Templari e il processo che determina la loro soppressione.
Gli ingegnosi intrecci ideati dall’amico autore per risolvere gli enigmi, sono degni di un consolidato giallista della rinomata scuola bolognese. Entrano in gioco gli scontri fra ordini monastici e sono chiamati in causa importanti personaggi della storia nelle diverse epoche.
Nel racconto vengono alla luce i luoghi di Bologna, più e meno conosciuti, il suo essere città delle acque, con i suoi percorsi sotterranei pieni di fascino e di mistero che oggi sono attrattiva storica e turistica, i luoghi sacri, i musei e la meridiana più grande al mondo costruita dall’architetto Cassini, prestigiosa opera posta nella Basilica di San Petronio, anch’essa al centro degli intrighi del romanzo.

Stefano Bugamelli


25 La grande Meridiana di Cassini


Dedicato a:
in ordine strettamente alfabetico:
al Gatto e
a Bobero, mio padre
a mamma Pina
a mia moglie Renata
a mio figlio Marco
a mio fratello Massimo
agli amici Ornella e William
a tutti quelli che mi vogliono bene e…
anche agli altri


CAPITOLO I

È il 1966 ho finito la 3^ superiore ed ho partecipato per la seconda volta al Concorso della ESSO Standard “I Giovani e la Scienza” e questa volta, oltre ad andare a Milano col nostro progetto fra i migliori selezionati, abbiamo proprio vinto il Concorso: io (Roberto), Maurizio e Cesare che sono miei compagni di classe.
A settembre andremo in viaggio premio per una settimana a Londra e dintorni. Per ora però, in attesa del grande evento, ci limitiamo a un po’ di vacanza e qualche lavoretto estivo per disporre di un minimo di risorse per i nostri piccoli vizi; sigarette, qualche pizza ed il cinema estivo. Per qualcuno, non io però, anche la benzina per la moto; io mi limito a pedalare sulla mia vecchia bici assai sgangherata e dura da spingere. Il mese di luglio lo passo nella Fabbrica dove lavora mio padre, mentre Maurizio, detto “il Gatto” ha trovato lavoro al Museo Civico dove darà una mano all’Archivista per mettere in ordine libri e vecchie cianfrusaglie del tempo antico, come le chiamiamo noi.


CAPITOLO II

Ci si vede praticamente tutte le sere sui gradini della Canonica della Parrocchia di Santa Caterina, quasi all’angolo con via Saragozza. Si parla di musica, moto e ragazze; non certo di scuola e lavoro. A casa di Maurizio, che sta a due passi in via Saragozza, si ascoltano gli ultimi dischi visto che lui ha un giradischi di discreta qualità. Ci siamo anche costruiti un amplificatore a valvole per fare andare una chitarra elettrica e, ogni tanto, si va a fare casino a casa di BORELLI (un altro della banda) che, in teoria, è il batterista mentre Franco è la chitarra di accompagnamento. Il bassista sarebbe Paolo, ma lui lavora sul serio e quindi non sempre è con noi. Si suonano gli Yardbyrds, ma più frequentemente i Rokes, molto in voga quell’anno. Il sabato si va al cinema all’aperto mentre la domenica si salta in moto, chi ce l’ha, e si va in collina verso le “Gardelline” la casa segreta della banda. Chi non ha la moto si fa dare un passaggio da chi non ha la “morosa” e quindi ha un posto libero. La banda è abbastanza elastica nel senso che c’è un nucleo fisso più uno variabile.
Diciamo che il nucleo fisso è quello costituito dai cosiddetti “poveri”, mentre quello variabile dai “benestanti” che si aggiungono quando non sono impegnati fuori zona. Io sono un po’ un infiltrato perché vengo da un altro quartiere, il “Saffi-San Felice”, ma sono stato ben accettato in quanto amico del “Gatto” che è un po’ il leader della banda e sarà proprio lui a far partire tutta questa storia.
È ormai un paio di settimane che tutti i giorni va all’Archiginnasio dove si trova il Museo Civico. È un Museo importante che io ho visitato con la scuola in terza media e si trova a fianco della Basilica di San Petronio, proprio sotto i portici del Pavaglione. Maurizio si trova bene perché lavora nella Biblioteca medioevale dove sono raccolti libri bellissimi con miniature splendide che difficilmente si possono vedere se non si è ricercatori autorizzati. L’Archivista, che lo guida nel lavoro, è poco più che un bidello di scuola e deve limitarsi a controllare se i registri sono aggiornati, se i libri sono al posto giusto e togliere la polvere dai punti più inaccessibili. L’Archivista, che si chiama Pietro Bellodi, ci vede anche poco e spesso ha bisogno dell’aiuto di Maurizio per decifrare le sigle che identificano i libri. Ce ne sono alcuni che sembra non siano stati spostati da secoli e, proprio da uno di questi, prelevato con fatica da una postazione sull’ultimo scaffale più in alto, salta fuori un foglio di carta di riso su cui spicca una croce rossa in campo bianco e nero, che si va a posare, come fosse una piuma, sul grande tavolo di consultazione. Quando Maurizio mi racconta questa storia siamo seduti sui gradini della Parrocchia ed è una sera d’estate veramente gradevole; saranno le nove e non si è ancora visto nessun altro degli amici ancora rimasti in città. Lo sento molto elettrizzato e capisco subito che il bello deve ancora venire. Per calmarsi il Gatto si è acceso una Marlboro mentre io mi limito a masticare una gomma.
“Beh, insomma, cosa c’era scritto su questo foglio?”, chiedo al Gatto. “Se lo sapessi, – risponde lui, – te lo direi, solo che è tutto scritto in latino e non è che io brillassi molto in quella materia alle medie.” “Se è per quello, – gli dico io di rimando, – negli scritti mediamente prendevo “inclassificabile” e le righe rosse erano quasi più delle parole del testo della mia traduzione!”
“Allora cosa ne hai fatto? L’hai rimesso al suo posto?”
“No, affatto, perché secondo Pietro, quando lo ha guardato per bene, poteva essere un documento importante e, siccome il Museo ha da poco comprato una macchina americana che fa le copie dei documenti, che si chiama XEROX FOTOCOPIATRICE, ha deciso di farne una copia di nascosto durante la pausa pranzo.”
“Quindi adesso la copia ce l’ha lui?” gli chiedo. “Sì, però mi ha chiesto di sentire dalla mia Prof. di italiano se conosce un esperto di Storia antica che mastichi bene il latino e che sia disposto a dargli una letta e magari ce lo traduca.”


CAPITOLO III

La Prof. di italiano del Gatto è meglio perderla che trovarla per cui l’incarico passa a me perché la mia è molto più accessibile ed ha un po’ un debole per il sottoscritto anche se, di recente, l’ho fatta incavolare di brutto per via di un tema dedicato all’amicizia fra compagni di scuola dove ho smontato l’idilliaca opinione che comunemente si ha di questo sentimento, spesso basato più su mutua assistenza che non su sentimenti duraturi, ovvero: finita scuola, finita amicizia. Non l’ho mai vista così incazzata!!! Io però la vedo così e non ci ho pensato su due volte a scrivere questa mia opinione. La mia Prof. è quella che a Bologna si definisce una “saracca” ovvero una sardina secca secca perché è alta e magra e gira su una piccola “Bianchina” dell’Autobianchi che uno non si capacita di come faccia a starci dentro.
Quando le spiego che avrei bisogno di un aiuto per tradurre un vecchio documento scritto in latino medioevale lei mi spara immediatamente un nome, Roberto Goldoni, un suo caro amico che insegna Filologia Romanza all’Università di Ferrara. Siamo in periodo di esami e sicuramente lo posso trovare in Facoltà e la Prof. mi dà anche il suo numero di telefono di casa.
La sera stessa ci vediamo a casa del Gatto per decidere come avvicinare il Professor Goldoni ben sapendo che non sarà facile convincerlo a darci una mano. Propongo al Gatto di ricopiare le prime quattro o cinque righe del documento e disegnare una croce come quella impressa nell’originale e poi spedire il tutto per posta indicando il numero di telefono di casa di Maurizio ed un orario per una eventuale chiamata del Professore: l’ora di cena. L’idea è approvata e dopo un paio di giorni dedicati alla copiatura ed al disegno della Croce templare spediamo la lettera a Ferrara. Per una settimana non succede nulla poi una sera, a casa di Maurizio, squilla il telefono; alle 8 precise. Risponde Ettore, il papà del Gatto, e dopo poco: “Maurizio, c’è un certo Prof. Goldoni che ti cerca. Vieni un po’ al telefono!”
Quando il Gatto mi descrive la scena mi immagino i genitori di Maurizio incuriositi dalla strana telefonata, ma sicuramente non gli hanno chiesto niente perché sanno bene che il loro figliolo ha la testa sulle spalle e possono stare tranquilli. Chi è meno tranquillo è proprio il Gatto che, dopo questa telefonata, ha capito di essere entrato in una storia molto più grande di lui e, a questo punto, di noi. Il Prof. Goldoni gli ha semplicemente detto di non parlare assolutamente con nessuno di questo documento e di tenerlo in un posto sicuro poiché potrebbe contenere informazioni che, anche a distanza di secoli da quando è stato scritto, possono ancora causare conseguenze gravi per chi ne viene a conoscenza. Entro qualche giorno arriverà un’altra telefonata, alla stessa ora, per concordare un incontro a Bologna in un luogo sicuro.
Il luogo sicuro è stato stabilito: la Basilica di San Petronio in piazza Maggiore. La famosa telefonata è arrivata alle 8 di sera, puntuale come la morte. Poche parole per dire che ci si trova sotto lo Gnomone della Meridiana. Il Prof. sarà solo, con in mano un libro dalla copertina in cuoio scuro. Il giorno dell’appuntamento è fissato per il 5 agosto; in giro non ci sarà un cane, soprattutto alle 3 del pomeriggio.
Quella giornata d’agosto è veramente infernale: fa un caldo boia. Io e Maurizio siamo partititi a piedi da casa del Gatto alle due di un pomeriggio assolato e deserto. In giro non c’è nessuno e sull’asfalto di via Saragozza si vede l’aria bollente tremolare come nel deserto africano. Per fortuna i nostri avi hanno costruito i famosi portici di Bologna e possiamo raggiungere il centro stando sempre all’ombra, ma ci saranno almeno 35 gradi. Maurizio ha con sé il pericoloso documento fotocopiato e sembra che gli bruci in tasca ancor più dell’aria bollente del primo pomeriggio. Non parliamo molto fra noi, ma visto che siamo un po’ in anticipo ci prendiamo un gelato in via Nosadella sperando di rinfrescarci un po’; anche le idee. Alle tre meno cinque entriamo in chiesa dove c’è un bel fresco rispetto a fuori. Io la chiesa la conosco bene perché nel periodo della scuola è sulla mia strada per arrivare in via Castiglione. Di solito prendo l’autobus da casa e scendo in via Rizzoli poi, a piedi, arrivo in piazza Maggiore. Normalmente farei i portici del Pavaglione che corrono paralleli alla Basilica, ma quest’anno ho conosciuto una ragazza carina che sale in autobus una fermata dopo la mia e poi scende con me in centro. Ho così scoperto che fa buona parte del mio stesso percorso perché frequenta l’Istituto d’Arte ed ho cominciato a starle appresso (praticamente la inseguo) per vedere se mi prende in considerazione. Lei però, quando arriva in piazza Maggiore, si infila in Chiesa e così, se non voglio perderla di vista, mi ci devo infilare anch’io. Non è che io sia un gran frequentatore di chiese, ma San Petronio ha qualcosa di particolare che, aggiunto al piacevole diversivo di seguire una bella fanciulla, mi rende gradevole questa deviazione di percorso.
La penombra che ci investe entrando in Chiesa, dopo la luce esplosiva del pomeriggio, è gradevole, ma ci impieghiamo un po’ per focalizzare la situazione. Di gente ce n’è veramente poca, ma del Prof. proprio nessuna traccia. Sulla sinistra si intravede sul pavimento la retta spettacolare formata dalla Meridiana di Cassini. È lunga più di 60 metri e realizzata con barrette di ottone immerse nel marmo bianco e rosso del pavimento della Basilica. Ogni dieci metri circa ci sono le stazioni dei mesi con riportati i relativi segni zodiacali rappresentati in colore nero sul marmo bianco. Il primo che mi capita di osservare, avvicinandomi alla meridiana, è il mese di ottobre con rappresentato lo scorpione, proprio il mio segno zodiacale. A dire la verità non avevo mai fatto caso prima a questi particolari, forse perché più interessato ad una bella cascata di capelli neri e ricci che mi precedeva verso la porta di uscita sul fondo della chiesa. Adesso invece la Meridiana suscita in me un fascino nuovo e mi chiedo che cosa possa significare. Maurizio mi indica la pietra incisa in testa alla Meridiana. Ci sono scritte in latino; siamo ormai entrati nell’atmosfera adatta al nostro atteso incontro.
Guardiamo in alto verso le volte altissime che si susseguono lungo la campata laterale sinistra e scorgiamo simultaneamente lo Gnomone. È un foro, molto piccolo, circondato dalla rappresentazione, dipinta sulla volta, dei raggi solari. Il sole non è diretto a quest’ora del giorno, ma comunque si intravede la luce esterna. Il posto concordato col Prof. è questo; sono le tre precise e, voltandoci verso l’ingresso da cui siamo entrati, vediamo la luce filtrare. La porta si è aperta ed è entrato un uomo alto, coi capelli bianchi in camicia bianca e pantaloni grigi. Ha un libro in mano di colore scuro; è lui, garantito al limone!
È guardingo, non sembra aver fretta e si muove lentamente come fosse un semplice turista ammirato dall’architettura della Basilica e dalle numerose opere d’arte che essa contiene.
A me la situazione appare un po’ ridicola; sembra un film di 007, dalla Russia con Amore, dove l’agente segreto si muove con circospezione in un ambiente che può rivelarsi pericoloso. Qui invece ci sono una tranquillità ed una pace assolute, così almeno sembra. Io e il Gatto ci siamo seduti su una panca e aspettiamo che il nostro Professore si dia una mossa. Dopo quasi dieci minuti di attesa, con anche il dubbio che non sia quella la persona giusta, lo vediamo improvvisamente avvicinarsi a noi e, con un rapido segno quasi impercettibile, ci impone di seguirlo fuori dalla Basilica. Siamo quasi all’altezza dell’Archiginnasio e, poco più avanti, c’è il bar “Zanarini”, uno dei più “in” del centro.
Il Prof. ci indica un tavolino all’esterno del bar, a quell’ora già in ombra, e ci sediamo in silenzio in attesa che il cameriere, chiamato con un cenno dal Prof., venga a prendere le nostre ordinazioni. Mai e poi mai, io e il Gatto avremmo pensato di prendere qualcosa da “Zanarini”; non siamo della classe sociale giusta e la sedia ci sembra ancor più calda del normale. Dovremo farcene una ragione!
Due coche per noi ed una birra per il Prof. e poi ci presentiamo. Il Prof. sembra un tipo alla mano, ma ha anche un atteggiamento deciso e pacato; avrà una sessantina d’anni, ma molto ben portati quando poi sapremo che ne ha quasi sessantacinque. È elegante nel modo di fare e ci spiega che, pur insegnando a Ferrara, è di Bologna come noi. Dopo aver bevuto i primi sorsi delle bibite gelate il Prof. introduce l’argomento che ci sta tanto a cuore. “Allora Maurizio, hai con te il documento?”
Il Gatto sembra togliersi un peso dal cuore quando estrae il foglio piegato dalla tasca della camicia. “Eccolo Professore, cosa ne pensa?” Dopo una prima occhiata veloce lo sguardo di Roberto Goldoni si fa più penetrante e la concentrazione del Prof. ora è totale, nonostante il passeggio del vicinissimo portico del Pavaglione. Io mi guardo attorno per scoprire eventuali curiosi o persone particolarmente interessate alle nostre chiacchiere, ma tutto appare normale. Dopo qualche minuto il Professore riprende a parlare ed il tono mi sembra cambiato.” È proprio come pensavo. Quando ho letto le prime righe del testo che mi avete spedito ho capito che si poteva trattare di un certo documento che viene citato nel resoconto del Processo ai Templari di Pietro da Bologna, ma mai trovato e senza il quale è impossibile risalire ad un fatto storico estremamente importante: la veridicità di quanto scritto da Jacques de Vitry nel “De Saltu Templarii.”
“Scusi Professore, ma cosa sarebbe questo… Templarii?”, chiede il Gatto un po’ deluso da questa prima risposta di Roberto Goldoni. Il Prof. avvicina la sua testa alle nostre, piegandosi in avanti sul tavolino, e sottovoce dice: “Non è questo il posto per parlarne anche perché devo farvi prima un corso di Storia accelerato. Se siete d’accordo, – dice Goldoni, – vi invito a casa mia domani sera alle 18 e ci dà un suo biglietto da visita. Il Prof. abita in via dell’Osservanza e quindi sulle prime colline di Bologna, non troppo lontano dalla nostra base; ci saremo senz’altro.

[continua]


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