Teodolinda e il mistero della Venere Ceraunia

di

Rosa Maria Corti


Rosa Maria Corti - Teodolinda e il mistero della Venere Ceraunia
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
12x17 - pp. 48 - Euro 8,00
ISBN 978-8831336642

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In copertina: «Località Piano delle Alpi, Comunune di Cerano» e «Teodolinda Dipinto su casa a Castiglione Intelvi» fotografie dell’autrice_

All’interno: fotografie dell’autrice


PREFAZIONE
a cura di Giorgio Terragni

Rosa Maria Corti ritorna a un tema a lei caro da sempre, quello delle vicende di una donna davvero speciale, Teodolinda, regina dei Longobardi, personaggio certamente storico ma anche circondato da un grande alone di leggenda. L’autrice, nativa di Oggiono, cittadina dell’alta Brianza dove la “presenza” di Teodolinda è sempre stata forte e sentita per il tramandarsi di numerose leggende riguardanti soprattutto la presenza di un piccolo lago, la cui memoria sarebbe ancora rintracciabile in alcuni toponimi quali: Peslago, Laguccio, Mognago, fatto prosciugare dalla sovrana per il recupero del corpo del figlio Adaloaldo che vi sarebbe annegato, ha sempre coltivato la passione per la storia del Medioevo come testimoniato nei testi di una trilogia, edita da Montedit (“Mistero all’abbazia”, “La Colombera”, “Né angeli né demoni”). La vita di Teodolinda, dunque, come un “fil rouge” si è intrecciata in qualche modo con quella dell’autrice di questo lungo racconto la cui ambientazione parte da Ratisbona per giungere sulle rive del Lario e, in seguito, nella splendida cornice della Valle Intelvi tanto cara all’autrice. Lo svolgersi degli avvenimenti non è però frutto di pura fantasia; vi sono, infatti, precisi riferimenti temporali che delineano una vicenda in cui mistero, realtà e immaginazione s’intrecciano come in una danza nella quale la bellezza, il fascino ma anche l’autorevolezza di Teodolinda si muovono sullo sfondo di quella che è chiamata “Valle di smeraldo”, la patria di quei Maestri da muro, ovvero gli Antelamici, la cui importanza venne riconosciuta per la prima volta in modo storicamente inattaccabile dal re longobardo Rotari, successore di Teodolinda, nell’Editto dell’anno 643 e, nel secolo successivo, nell’Editto del re Liutprando. Era il tempo in cui Francione, Magister Militum, opponeva sull’Isola Comacina l’ultima strenua resistenza del mondo romano-bizantino a quello longobardo che avrebbe apportato una nuova cultura e un nuovo modo di vivere che, ancora oggi, non è difficile ritrovare nel “sentire” lombardo. L’Autrice però ci vuole raccontare qualcosa di più, e, come sempre nel suo scrivere, storia leggenda e fantasia si alternano affascinandoci e coinvolgendoci… E la Venere Ceraunia? Beh, su questo punto del racconto si vuole lasciare un po’ di mistero, permettendo così alla fantasia del lettore di volare veramente lontano, fino ai monti dell’Epiro, nella penisola balcanica. Le pietre però non sono fantasia e la “Pietra Ceraunia” esiste davvero, è visibile e tangibile. Sogno e realtà, dunque, a volte sono strettamente intrecciati così come la vita della bionda Teodolinda e del baldo Autari che, chi lo avrebbe detto, si sarebbero incontrati proprio nel piccolo borgo di Cerano Intelvi.


Teodolinda e il mistero della Venere Ceraunia


A mia madre Paolina Gaddi
San Fedele Intelvi 1921-2019


LA PARTENZA: MARZO 589

“Vide un’aquila volare verso il disco rosso del sole al tramonto. La vide sorvolare monti carichi di neve e poi vallate boscose e laghi azzurri. La vide infine posarsi sulla cima di una torre ai piedi d’un monte a forma di cono. Stringeva tra gli artigli una serpe ancora viva”.
Quando si ridestò, Teodolinda non ebbe tempo d’interrogarsi sul significato del sogno che aveva fatto, tantomeno di parlarne con la fedele nutrice Odelberga. All’esterno del Grande Edificio giungevano voci concitate, tra cui quella di suo padre Garibaldo, e poi come un suono di tamburi invitanti alla battaglia. Il suo spirito guerriero si risvegliò, in un attimo rifece le bionde trecce e le avvolse in due giri intorno al capo. Quel che si temeva, un attacco dei Franchi alle terre di suo padre, stava per avvenire. In tutta fretta si preparò alla partenza con il fratello Gundoaldo, come già era stato concertato dopo il ricevimento di una missiva da parte di Wideramm, cugino per parte di madre, la regina Valderada della stirpe dei Letingi, in cui s’informava il re bavaro della presenza del futuro genero, il giovane re Autari, nell’avamposto di Torba in procinto di raggiungere il duca Arioaldo per strappare l’Isola Comacina e i suoi tesori al magister militum bizantino Francione, che lì si era asserragliato mettendo al sicuro le casse erariali di molte città e alcuni importanti documenti. Teodolinda radunò alcuni oggetti a lei cari, una fibula a S in argento dorato decorata a cloison, una seconda fibula rotonda, in oro, lavorata a filigrana con incastonata al centro una pietra preziosa di color lampone, una collana e un anello con due cerchi sovrapposti, dono della sorella maggiore. Le vesti erano già state sistemate in un baule da viaggio dalla previdente Odelberga che ora si torceva le mani in preda ad un attacco d’ansia. L’incertezza del futuro, i pericoli e i disagi collegati al lungo cammino le provocavano sudori e batticuore. La giovane principessa invece sembrava non darsi pena di tutto ciò e faceva la spola fra i genitori e il fratello intento a impartire gli ultimi ordini al gruppo di cavalieri scelti che li avrebbe accompagnati nelle terre del Seprio.
La giovinetta aveva scelto la sua strada e si accingeva a percorrerla senza esitazione alcuna. Sellati i cavalli e consumati gli addii, il viaggio verso l’Italia ebbe così inizio. Cercavamo di trascorrere la notte nei nostri presidi con piccole guarnigioni militari; un paio di volte, su mio suggerimento, sostammo in uno xenodochio a causa delle pessime condizioni del tempo. Fintanto che viaggiammo nella valle del Reno non vi fu giorno senza qualche problema; una volta un cavallo rimase impantanato nel fango, un’altra volta il convoglio venne attaccato da briganti che, per fortuna, non conoscendo il nostro uso di creare nicchie nei finimenti per riporvi oggetti di valore, monete e documenti, si limitarono a prendere di mira il piccolo carro che trasportava parte delle vettovaglie; un’altra volta ancora dovemmo ricostruire una passerella per oltrepassare un burrone. Sui passi retici furono invece la neve e il ghiaccio a creare difficoltà. Odelberga era letteralmente terrorizzata dalle valanghe ma, a parte ciò, mi fu di grande utilità nella cura di piccoli malanni che afflissero alcuni di noi durante il cammino, malanni che la mia abilità di medico seppe arginare.
A questo proposito ero solito raccomandare con premura maniacale la cottura dei cibi, perché consideravo tale pratica legata alla buona salute. Teodolinda, a dire il vero, sembrava fatta di ferro, cavalcava spesso accanto a me e, quando iniziammo la discesa lungo il versante italiano, nonostante il tortuoso tragitto, la sentii anche canticchiare. Sembrava che per lei la vera scorta non stesse nel numero di cavalieri al suo seguito ma nella serenità del suo animo. A volte m’intratteneva con ricordi della sua infanzia, mi raccontava dei dispetti di Gundoaldo, della sua passione per i cavalli e per la caccia, dell’amore per la sua terra fatta di montagne, di boschi e di fiumi. Un giorno mi raccontò anche di quando, l’anno precedente, chiamata dal padre per acconsentire alla richiesta di un ambasciatore del re Autari di vedere la figlia promessa sposa, per riferire con precisione l’aspetto al futuro marito, e di vedersi offrire una coppa di vino dalle sue stesse mani, presa una tazza di vino, la porse prima a colui che sembrava il più autorevole, poi la offrì anche ad Autari, senza immaginare neanche lontanamente che fosse il suo futuro sposo. Quest’ultimo, dopo aver bevuto, nel restituire la tazza, la sfiorò furtivamente con una carezza facendola arrossire. Riferita la cosa alla nutrice, ebbe conferma di un suo sospetto. Se non fosse stato il re in persona non avrebbe mai osato toccarla! Teodolinda, sorridendo maliziosamente, mi disse d’aver passato il fatto sotto silenzio, ma d’aver apprezzato molto l’ardire del giovane oltre che il suo bell’aspetto e il suo portamento fiero. “Sapete”, mi disse, “è biondo come me e di proporzionata statura, un vero guerriero!”. In quell’occasione mi scoprii ad osservare con attenzione il volto regolare e dolce della principessa, gli occhi chiari e luminosi. Autari era davvero fortunato, avrebbe avuto una sposa bella e intelligente che conosceva non solo la diplomazia ma anche le strade che conducevano al cuore. Sentii di ammirarla e mi scoprii un po’ innamorato di lei che aveva da poco compiuto i diciotto anni. Per quanto mi riguardava, avrei cercato di mascherarlo, vista la grande differenza di età e condizione sociale.

[continua]

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