Specchi capovolti

di

Sergio Lorenzon


Sergio Lorenzon - Specchi capovolti
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 64 - Euro 8,00
ISBN 978-88-6587-5582

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In copertina e all’interno illustrazioni di Monica Lorenzon


Prefazione

Il “vero poeta” cerca nel profondo della vita, penetra le percezioni che possano alimentare la sua visione poetica e, al contempo, tenta di fissare nei versi delle poesie le emozioni ed i sentimenti che sembrano “graffiati via” dal muro bianco ed anonimo d’una vita che, altrimenti, sarebbe senza senso.
La sua Parola, intensa e profonda, nasce dal cuore e si catapulta nel mare magnum emozionale come a spingersi “oltre i confini della ragione” per scoprire le verità che, forse, si conoscono già: tutto conduce alla volontà di fermare un solo istante “d’essenza” vitale; di illuminare il ricordo delle persone amate; di allargare l’orizzonte della propria visuale; di abbracciare la persona amata nell’“eterno desiderio di lei”nella fissità d’una immagine senza tempo.
L’“illuminato sentiero” conduce a “leggere le parole mai scritte” seguendo l’impulso, abbandonandosi allo slancio vitale per voler ripercorre il “cammino celato”: nell’atto stesso vi può essere un risveglio dal “torpore della vita” e l’avvicinamento all’amore come nutrimento, come energia che rappresenta la centralità del nostro vivere.
La poesia di Sergio Lorenzon è scritta con “orgoglio” e proposta come un dono coraggiosamente cercato e voluto.
Il filo lirico che accomuna l’intera silloge, dal titolo “Specchi capovolti”, diventa armonia che scandisce il tempo del vivere mentre il poeta cerca di “abbrancare sporadici pensieri” e la parola ricerca la luce che possa irradiare ciò che sente nel profondo del cuore.
Lo slancio lirico è sempre presente in ogni immagine creata e ricreata, in ogni sensazione, fortemente o soavemente, riportata: l’animo è “sospeso” sopra l’intreccio di pensieri, nel silenzio del gesto poetico, nel “riflesso di un miraggio”, fino a raggiungere il “confine del pensiero”.
Si può assistere ad un lento inabissamento nella solitudine o ad un’espansione dello scenario lirico: l’emersione del desiderio allontana il “veleno” che intacca l’esistenza ed allora il “poeta improvvisato/vi sussurrerà un attimo di illusione”.
L’intenzione del poeta, costantemente perseguita nel divenire compositivo, s’incarna nel desiderio di voler “togliere la polvere dal cuore”per poter leggere “l’infinito”mutare dell’esistere, quasi ad abbracciare l’inevitabile susseguirsi delle metamorfosi dell’umano vivere, come a voler espandere la propria visione, prima esistenziale e, poi, lirica, continuamente protesa ad una dimensione superiore che possa innalzare lo spirito del poeta.
Nel processo lirico i pensieri volano nell’atmosfera più alta sopra ricordata e le parole, umanamente sentite nel profondo, si posano sul cuore, leggere ed intense, sempre avvertendo l’intima consapevolezza che il tempo scorre veloce ed inesorabile, consumando ogni cosa e, quindi, diventa necessario salvaguardare ciò che si reputa fondamentale nel proprio vivere.
Ecco l’atto di salvazione coraggiosamente perseguito da parte di Sergio Lorenzon.

Massimo Barile


Specchi capovolti


I sogni di Elena sono scritti sui muri
disegnati sul prato
racchiusi nel profumo dei fiori.
I sogni di Elena non sbiadiscono


PROMESSE SENZA TEMPO

Tolgo la polvere dal mio cuore
le tue labbra mi muovono le mani
fino a ritrovarmi tra le pagine
di un lungo silenzio.
Non nascondo imbarazzo
litigando contro il sentimento
cancello la tua immagine
mi tormento e poi
senza lesinare cibo per il fuoco
brucio sconfinate promesse.
Mentre il fumo disegna capriole
ogni mio proposito
lascia a stento questo mondo
trasformando con un refolo
l’esatto contrario del fatto
in immortale sogno.


QUADRIFOGLI

Ho ghermito un quadrifoglio
Rubato alla terra con frenesia
Per donarlo a te. Con orgoglio
Ho scritto una poesia
Su ogni sua foglia.
Non me ne voglia
Il vero poeta che senza profitto
Voleva dire ciò che è già scritto
Io sono riuscito a trovarti prima.


LUCI E SUONI

Cerco di afferrare un’idea
mi scivola tra le dita, scappa via
batte sui muri, rimbalza.
Quadri dai colori smaglianti
orologi vinti dal tempo
strisciano su bianche pareti
esibendosi in un inchino perfetto.
Una musica scandisce il tempo
“ti-a-mo-ti-a-mo-un-sol-do
re-mi-fa-la-si-DO”
illumina la stanza.
La lucentezza di una melodia
racchiude tutte le parole
liberando la luce di tutte le canzoni.


LA CASCATELLA RADIOSA

Tra le rocciose crepe, ai piè dei faggi
Dove la rupe verso il piano inclina
Mascherato d’una veste alabastrina
Vien giù a rocchio il fiotto. Lucenti raggi
Iridescenti, adornano gli orli del prato.
L’acqua balza dal pietroso castello
Gettandosi con incurvato saltello
Fa ribollire lo specchio increspato.
Una gocciola solinga non rinviene
Con le gemelle, fulminea si slancia
Prillando, bacia la divina guancia
Scorre sulle labbra, non si trattiene.
Percependo una così grande bellezza
La cascata flette ancor più la schiena
E a lei s’inchina. Assistendo alla scena
Ogni cosa creata da Dio, l’accarezza:
I bocci piegano a sera la testa
Il turbine si quieta e tace.
Non fosse alto il sole, in questa pace
L’assiuolo s’udrebbe cantar a festa.


IL CANTO DEL GALLO

Il vecchio gallo canta
saluta la nuova alba
con rinnovato garbo
con nuovo slancio.
L’impeto, come il buio
affievolisce ma
c’è ancora un momento
per abbozzare un inchino.
Se solo conoscesse
il nome di suo padre
di sua madre
potrebbe rivolgersi a loro
celebrarli in qualche canto.
Cerca tra i ricordi il proprio nome.
Non ha mai avuto un nome.
Dello scandire dei giorni
contati uno ad uno
infilati sul suo becco adunco
ora è stanco.
Domani, invece di cantare
darà un nome a suo figlio
e a lui dirà:
chiamami almeno papà.


MARCINELLE

Racchiusi tra le pieghe della terra
poveri uomini, padri e mariti
lasciano i loro diletti a gemere.
Un magro spavento
un lungo abbraccio
accompagnato da reali cordogli.
L’oceano denso, così vasto
solleva i cuori e ciocche di capelli
anneriti dalla terra.
Angeli senza ali
stipati alle porte dell’inferno
fuggite subito, fuggite ora.
Il pianto disperato di una bambina
vi guiderà verso il giorno
e un raro sole vi porterà.


DANZA FUNEBRE

La febbre gelosa mi assale
Non vedo più il confine del pensiero
spiriti escono dalla chiesa
come allegorie
addobbati di ghirlande
fatte di margherite intrecciate
paglia secca e sonagli di ghiande.
Un tappeto non basta
lo scenario è incompleto.
Aggiungo un tavolino
quattro sedie a caso
fiori in un vaso
due teschi che gocciolano tè
esitano, poi, ridono compiaciuti.
Ignari, con il loro fare
che perderanno tutti i denti.


IL CAPELLO

Caduto nell’acqua
disegna un mezzo cerchio
l’arco immobile si flette
galleggia ondeggiando.
Lieto d’averti lavato e pettinato
ora ti conosco
prima eri soltanto
in cima ai miei pensieri.


IL NOSTRO MONDO

Dovrò riposarmi un po’
questo mondo non sarà mai
troppo vecchio per volerti bene
né sarà mai così vecchio
da sbiadire la passione di un bacio.
In qualche angolo sperduto
di tutta questa sua rotondità
tu potrai sempre riconoscere
dove si è posato il mio cuore
per stare accanto a te.


ACCENTI

Non conosco più questi profumi
echi di sirene lontane
un grande amore che brucia
fuoco meraviglioso.
Di notte unisco le mie incertezze
per farne solide idee
colto da uno spavento, ora
per quando te ne andrai.
Non riesco a scrivere
abbranco sporadici pensieri.
La lingua batte sui denti
metto un accento in più
per farmi sentire
per farmi capire
infine, dolcemente
mi abbandono sul tuo corpo.


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