Costruirò il mio mulino a vento

di

Silvia Di Giovine


Silvia Di Giovine - Costruirò il mio mulino a vento
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
15x21 - pp. 416 - Euro 16,00
ISBN 978-88-6587-4103

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In copertina fotografia di Roberto Di Giovine elaborazione Studio Pattern


Luoghi, personaggi, dialoghi e situazioni narrati all’interno del testo sono frutto della creatività dell’autore e non hanno alcuna attinenza con la realtà


Questa è la storia di Angelica giovane donna e madre di tre figlie che la vita ha messo a dura prova, una donna che a causa di un incontro sbagliato al momento sbagliato, è diventata vittima di un uomo che a poco a poco, sfruttando tutte le sue fragilità, l’ha portata a dimenticarsi di sé. È la storia di una mamma sola alle prese con le problematiche della quotidianità, con i suoi vissuti e con le difficoltà legate alla crescita delle sue figlie. Angelica è una donna costretta a rapportarsi al lutto, alla solitudine e alla rabbia, e deciderà per questo, di prendere le distanze da tutto ciò in cui aveva creduto.
Ma è anche la storia di una donna, che non ha mai perduto le speranze e con coraggio e ottimismo, ha lottato per la sua seconda occasione.
Si parla di grandi emozioni e del travaglio interiore di chi davanti alla scelta non può calpestare l’altro, ma nemmeno dimenticarsi di sé, di una donna che sceglierà di abbattere il suo muro, e quando tutto sembrerà perduto, smetterà di avere paura… e “costruirà il suo mulino” per tornare a vivere. È un racconto questo, che favorisce una sana introspezione senza lasciare indifferenti, perché tutti nella vita, prima o poi, siamo stati davanti a un bivio, e se non abbiamo scelto, la vita lo ha fatto per noi.


Costruirò il mio mulino a vento


A mio padre.

A tutte le donne vittime di violenza.
A tutte le donne che non credono nella seconda possibilità.
A tutte le donne, perché possano riemergere dalle loro ceneri.


COSTRUIRÒ IL MIO MULINO A VENTO

Angelica guidava. Guidava lungo quella strada troppo dritta per non pensare, una strada interminabile che lasciava dietro di sé, insieme ad un passato difficile, doloroso, che non aveva alcuna intenzione di dimenticare.
I sentimenti e le emozioni erano forti e contrastanti tra loro, era il momento peggiore della sua vita e tutto sembrava precipitarle addosso. Il burrone immaginario non era ancora giunto alla fine, ma lei sapeva che le mancava poco, più giù di così non poteva andare, una volta toccato il fondo, si sarebbe fermata, avrebbe rialzato la testa e, vista la luce, si sarebbe rimessa in piedi, ripulita gli abiti, avrebbe risanato le ferite, per ricominciare la salita. Avrebbe mosso piccoli passi per non precipitare, ma con la voglia di farcela, di andare avanti, di non rinunciare a vivere di…
“Mamma…”
I suoi pensieri furono interrotti da Anita, la più piccola delle sue tre ragazze, così come le chiamava lei. Era nel seggiolino al suo fianco, le era parso che stesse dormendo e probabilmente lo aveva fatto fino a quel momento.
“Dimmi tesoro.” Angelica le aveva rivolto un sorriso autentico e sofferto nello stesso tempo.
“Mamma perché piangi?”
Angelica si era sfiorata il viso con una mano. Nonostante gli occhiali da sole, Anita aveva visto le lacrime scivolare sulle sue guance. Angelica aveva scosso la testa e con una mano accarezzato i capelli della sua piccolina. Poi aveva sollevato lo sguardo sullo specchietto retrovisore per verificare il sicuro disappunto della figlia maggiore: Giulia, un’adolescente difficile, che fortunatamente per l’occasione non aveva sentito niente, poiché la maggior parte del suo tempo lo trascorreva con gli auricolari piantati nelle orecchie, in ascolto di musica assordante. Angelica più volte le aveva rimproverato l’uso smoderato e nocivo, ma come ben sapeva era inutile parlare con un’adolescente, sulla base delle concretezze. Loro sanno tutto di tutto, sanno ciò che è bene e ciò che è male, dall’alto dei loro quindici anni sanno dire come si sta al mondo, sono infallibili, immortali, a loro non può capitare nulla perché… perché per loro sei tu che sei sbagliato, non capisci, non capisci questa generazione, la scuola, i professori, gli amici lo stress…
“Ma cosa ne sai?” era la frase che Angelica negli ultimi tempi, si era sentita ripetere maggiormente. A volte si arrabbiava, a volte sorrideva convenendo che era solo la storia che si ripeteva.
Era proprio una ruota, le sfuriate di Giulia doveva farsele scivolare come nuvole di tempesta che devastano, ma che poi lasciano spazio al sereno.
Era andata, Angelica aveva tratto un sospiro di sollievo, Giulia non aveva sentito niente persa come era nella sua musica.
‘Bene’ aveva pensato Angelica ‘un’occasione in meno di scontro.’
Già perché Giulia non sopportava di vederla piangere; ne soffriva ma non era in grado di dimostrarglielo, e i suoi interventi erano sempre molto duri. ‘Smettila di fare la vittima!’ Erano le parole ricorrenti alle quali Angelica aveva fatto l’abitudine.
Si concentrò sulla strada, erano quasi arrivate.
Martina, la mezzana della sue figlie era la più tranquilla, di natura pacifica e tollerante sempre molto accogliente, era la più facile. Con lei non c’erano mai discussioni, non era scontrosa né lunatica come la sorella adolescente, e non era vivace e irruente come la piccola Anita. Martina si mostrava sempre attenta agli umori di Angelica, le voleva bene, e glielo sapeva dimostrare. Angelica dal canto suo si era sentita spesso in colpa nei suoi confronti, poiché temeva di non riuscire a dedicarle abbastanza tempo. Negli ultimi mesi poi, la sua vita era passata, scivolata, ma non vissuta e le sue tre figlie ne avevano sofferto molto.
Ma Angelica stava finalmente risalendo il suo burrone immaginario. La scelta di partire, di ricominciare in un’altra città, era il suo modo per rimettersi in piedi. Si era già scrollata la polvere di dosso e piano piano avrebbe curato le ferite.
“Arrivate! Martina amore svegliati siamo arrivate.”
Martina si era addormentata con il suo libro tra le mani.
Amava leggere di tutto, ma il suo genere preferito era il fantasy.
Non aveva sentito le parole della mamma e Giulia non aveva perso l’occasione per svegliarla con una spiacevole gomitata nel fianco. Martina aveva sussultato limitandosi a lanciarle un’occhiataccia del tutto meritata, esattamente come aveva fatto Angelica dallo specchietto.
“Beh, almeno l’ho svegliata no? Quell’amore di Martina…” si era espressa sarcasticamente Giulia con un sorriso da schiaffi stampato sulla faccia.
L’auto si arrestò davanti al cancello, Angelica scese con le sue nuove chiavi di casa pronta ad aprirlo, proponendosi di chiamare al più presto l’agenzia che gliela aveva venduta per farsi dare il telecomando. Di lì a poco sarebbero arrivati i mesi più freddi e la pioggia, e, poiché lei era solita non aver l’ombrello quando serviva, decise che avrebbe fatto in modo di rendersi la vita un po’ meno complicata partendo anche da semplici scelte che le avrebbero permesso, di prendersi cura di sé. Sorrise di questo pensiero, con la macchina entrò nel parcheggio personale, il numero tre. Non era tra i più comodi, ma lei non aveva alcuna difficoltà nelle manovre, suo padre era stato un ottimo insegnante di guida, anzi era stato un ottimo insegnante di vita, un ottimo padre. Pensare a lui le doleva come un pugno nello stomaco, era il rinnovarsi di una sofferenza troppo grande, ma nello stesso tempo provava la gioia di chi sapeva di avere avuto molto; era comunque un capitolo importantissimo della sua vita che non si sarebbe mai chiuso.
Ma la realtà la voleva presente all’oggi e con un’infinita nostalgia spostò il suo pensiero a quell’istante e a ciò che esso le stava chiedendo. Chiuse la portiera dell’auto, cercando di lasciarvi dentro qualunque altro pensiero che non coincidesse con il momento effettivo e, con l’entusiasmo che la caratterizzava si rivolse alle sue figlie: “Ok ragazze al lavoro, oggi non sarà una giornata facile, mettiamo in preventivo stanchezza, fatica e nessuno spazio personale, ma vedrete che soddisfazione quando questa sera crolleremo esauste. Forza cerchiamo di prendere tutti i bagagli che possiamo, così faremo meno giri.” Giulia non era ancora scesa dall’auto che stava già sbuffando pigramente, si appoggiò una sacca sulla spalla con la medesima espressione di chi pensa di aver già fatto anche troppo.
“Tutto lì?” le domandò incuriosita Angelica
“E cosa pretendi…” le rispose infastidita e ad altissima voce Giulia, che con le cuffiette nelle orecchie non sentiva nemmeno sé stessa. “Con questa maglietta non posso mica appoggiarci un’altra borsa, non vedi come scivola lo scollo?”
Angelica l’aveva guardata sconcertata, il suo discorso non faceva una piega, avrebbe voluto sottolinearle che forse sarebbe stato utile scegliere un abbigliamento più comodo per un tra­sloco, o che avrebbe potuto parlare a voce più bassa semplicemente togliendosi le cuffie, ma si trattenne, pensando che sarebbe stato meglio partire con il piede giusto. Non disse nulla anche se la sua espressione la tradì mettendo in luce tutto il suo disappunto.
“Proprio non capisci…” l’aveva apostrofata indignata Giulia, incuriosendo Anita che con l’ingenuità dei suoi tre anni aveva domandato: “Mamma ma perché Giulia ti dice sempre che non capisci?” lei le aveva sorriso, le aveva preso il viso tra le mani e con saggezza le aveva risposto: “Te lo dirò quando avrai quindici anni… anzi magari per allora te lo spiegherà Giulia ok?”
Anita aveva annuito poco convinta, mentre da un piccolo movimento del labbro e da un addolcimento dello sguardo Angelica aveva notato che Giulia stava sorridendo.
Il portoncino di casa era a pochi metri, mentre Angelica rovistava nella borsa alla ricerca delle chiavi, Anita cominciò a lamentare un’imminente necessità: “Non la tengo più mammina, sbrigati dai… mamma le trovi queste chiavi?”
Angelica detestava quelle situazioni: “Un attimo eccole, no non sono queste… o cacchiolina…”
“Mamma ma non si dice cacchiolina!” l’aveva rimproverata Anita che all’improvviso sembrava non aver più tutta quell’urgenza. Angelica le aveva sorriso imbarazzata. Aveva ragione, pensò, ma era di sicuro la parola più pulita che le fosse venuta in mente in quel momento. Mentre continuava le sue ricerche nella borsa, Angelica si ripromise che il passo successivo sarebbe stato quello di acquistare una borsa più piccola, con più tasche, alle quali dare un ordine ben preciso.
All’improvviso si rese conto che quelle parole non le appartenevano affatto, che quella tensione non le apparteneva, che il tut­to era generato dalle continue pressioni che le aveva rivolto Pao­lo, quel marito militare per carriera, militare nella vita, in ogni circostanza. All’istante decise. Non avrebbe comprato nessuna borsa piccola, la sua grande e disordinata andava benissimo.
“Trovate!” esclamò. Stava infilando le chiavi nella serratura, quando qualcuno dall’interno aprì. Marco suo fratello era lì con il suo sorriso accogliente, pronto a darle il benvenuto in quella nuova casa, in quella nuova cittadina dove Angelica non conosceva nessuno a parte lui e sua moglie Grazia.
“Marco ma come hai fatto?”
“Tranquilla sorellina, io e Grazia siamo venuti a darvi una mano, ho chiesto le chiavi al mio amico dell’agenzia, gli ho detto che volevo farti una sorpresa…”
Angelica commossa gli buttò le braccia al collo felice della loro presenza. “Una bellissima sorpresa grazie a tutti e due. Non potete immaginare quale gioia mi avete regalato.”
Adorava Marco, quel fratello che per anni l’aveva tenuta alla larga e che adesso più che mai era tutta la sua famiglia.
Grazia invitò tutti a lavare le mani. “Forza il pranzo è pronto, ed è già l’una sarete affamate, ci penseremo dopo a sistemare, a stomaco pieno siamo tutti più contenti vero?”
Angelica l’aveva abbracciata, poi aveva passato una mano sul pancione grande, rimproverandola: “Lo sai che dovresti riposare no?”
Ma Grazia aveva tagliato corto con la predica: “Sono piena di energia, pronta per il trasloco e poi parli proprio tu, sempre a correre dietro alle tue tre pesti.”
Angelica le aveva sorriso arricciando il naso in una smorfia divertita e un po’ infantile.
“Mamma la pipì, mi dici dov’è il bagno?” Angelica tornò al mondo reale, quello fatto dalle priorità, prese in braccio Anita e corse verso il bagno. Preso il corridoio ebbe un momento di dubbio, tutte quelle porte, ma Grazia l’anticipò e aprì uno dei due. Grazia aveva pulito e disposto tutto l’occorrente: sapone, salviette asciugamani e persino il deodorante per ambienti.
“Dolce Grazia…” furono le parole che in un misto di commozione e gratitudine riuscì a pronunciare Angelica
“Hai fatto molto per me, sei impagabile, ti voglio bene.”
Erano lacrime di gioia, di tristezza, di speranza per il futuro, c’era di tutto un po’ in quello sfogo liberatorio, che questa volta non sfuggì all’attenzione di Giulia che, appoggiata allo stipite della porta del bagno, scuoteva la testa con disapprovazione.
Angelica si era asciugata frettolosamente le lacrime, poi sottovoce aveva confidato a Grazia “Mi becca sempre…”
A volte si sentiva lei la bambina. Angelica sapeva di dover lavorare molto con Giulia, ma pensava di possedere per lo meno uno degli strumenti essenziali, l’amore per la sua giovane ragazza.
Giulia entrò in una delle stanze e, lasciando cadere a terra la sacca che si era trascinata fin lì, sbatté la porta alle sue spalle.
‘Ok’ pensò Angelica ‘partiamo da qui’.
“Giulia posso entrare?” ma in realtà era stato un proforma poiché non aveva atteso risposta e aveva aperto la porta.
“Ti ho risposto?” la incalzò Giulia con tono di sfida.
“No, pensavo avessi le cuffiette nelle orecchie, se vuoi esco e busso.” Angelica sapeva come trattare con lei, o per lo meno ci provava.
“Entra. Allora? Senti facciamo che questa è la mia stanza ok?!”
Angelica non sopportava quell’atteggiamento strafottente che riconosceva come tipicamente adolescenziale.
“Facciamo che prima di prendere decisioni vediamo il resto della casa?”
“A me basta una stanza e il bagno, meglio se vicini…”
Angelica doveva sforzarsi di mantenere la calma e non era certa di riuscirci: “Ok, sappiamo bene che per te la casa è un albergo e non ti occorre altro, ma forse anche le tue sorelle vorrebbero esprimere un pensiero, se per te va bene.”
Una smorfia di sufficienza riempì quel bel viso da giovane donna. Angelica non poté fare a meno di notare quanto fosse diventata bella Giulia, con quella femminilità innata che cercava di mascherare con atteggiamenti ed abbigliamenti non adatti a lei.
Angelica le sorrise affettuosamente, poi le si avvicinò con l’intento di darle un buffetto, ma Giulia si scostò infastidita: “Ma dai mamma…”
“Ok!” si trattenne Angelica “Facciamo il giro della casa e andiamo a pranzo, avremo tutto il pomeriggio per decidere l’ordine delle cose d’accordo?”
“Mamma, ma nella sala non c’è proprio niente, né divano, né tv…” Si espresse Martina incuriosita.
“Già!” Aveva risposto Angelica “Li sceglieremo insieme nei prossimi giorni, per ora ci faremo bastare le cose essenziali: cucina, letti, bagni va bene?”
“Certo!” aveva risposto Martina. Lei era meravigliosamente facile e Angelica sperava che rimanesse così per la vita e che nemmeno lo spettro dell’adolescenza potesse cambiarla di una virgola.
La cucina bianca e ciliegio era molto spaziosa. La tavola apparecchiata con un’allegra tovaglia rossa e gialla rallegrava l’atmosfera. I bicchieri e i piatti colorati con vivaci fantasie erano proprio quello che ci voleva per quella famiglia tutta da riordinare.
Angelica allargò il suo sorriso più bello, perché Grazia e Marco avevano fatto i salti mortali ed erano riusciti a farle sentire a casa, in una casa accogliente, dove si respirava già calore e positività.
Angelica si era persa in un sospiro, pensando che avrebbe voluto fotografare quel momento che segnava l’inizio della sua nuova vita.
“Dai ragazze, fate questo giro poi si mangia, noi…” aveva aggiunto Grazia toccandosi la pancia “abbiamo molta fame.”
“Giusto, allora qui a destra ci sono due stanze. Cosa ne pensi Martina di dormire con Anita, così potremmo usare la stanzetta più piccola per mettere degli specchi, la sbarra e farla diventare una pseudo sala di danza e magari la stanza nel corridoio a sinistra vicino alla camera mia, potremmo lasciarla a Giulia, mi sembra le sia piaciuta molto, cosa ne pensate?”
Martina aveva abbracciato Anita annuendo: “Per me va benissimo lo sai che adoro dormire con il topolino, ma a proposito i mobili quando arrivano?”
“Domani mattina, per questa sera le mie ragazze dormiranno con la mamma!”
“Uau!” era stata la sola risposta di Giulia, che scuotendo i suoi riccioli ramati aveva aggiuinto: “Non ne vedevamo l’ora!”
Angelica le rivolse uno sguardo di rimprovero, faceva di tutto per accontentarla e per lei non era mai abbastanza. Quando si comportava così era davvero insopportabile. Ogni volta si proponeva di diventare più rigida, di accontentarla di meno, di dare meno spazio ai suoi capricci, ma poi, tutto decadeva di fronte a quello sguardo di ragazzina che dietro l’arroganza celava una grande sofferenza: la paura dell’ignoto che la vita è.

Si sedettero a tavola, Angelica guardò la sua cucina nuova, bianca e luminosa come l’aveva voluta da tutta la vita.
Ecco un altro motivo per il quale gioire, ecco un sogno realizzato. Quella mattina aveva detto addio alla sua vecchia e tristissima vita, aveva detto addio a quella cucina marrone orrenda, che non aveva mai amato, aveva salutato senza alcun rimpianto la sua vecchia camera da letto e si era tirata dietro di sé quella porta che segnava il confine tra la sua ex vita e quella nuova.
Nella sua nuova camera c’erano un letto e un armadio, che aveva appositamente comprato, comò e comodini sarebbero arrivati col tempo, non aveva fretta.
Finalmente poteva fare un passo alla volta, aveva la vita davanti e non doveva più correrle dietro, ma semplicemente viverla.
Il pranzo era stato delizioso, nessuno aveva la forza di alzarsi per quanto avevano mangiato, ma Angelica sapeva di dover fare più di qualche cosa prima dell’arrivo della sera.
Anita stava crollando con la testa sul tavolo, erano tutte molto stanche. Quella mattina si erano svegliate all’alba e la fatica aveva cominciato a farsi sentire. Angelica la prese tra le braccia e le pose la testa sulla sua spalla. In meno di un minuto era già addormentata. La adagiò sul suo lettone e, uscendo lasciò la porta aperta. Temeva che Anita, svegliandosi, avrebbe potuto spaventarsi, trovandosi in un luogo a lei poco familiare.
Tornò in cucina, Grazia stava disponendo i piatti che Marco sciacquava, nella lavastoviglie, mentre Martina sparecchiava.
Giulia invece se ne stava comodamente stravaccata sulla sedia e con un sorrisino ambiguo, messaggiava tranquillamente, come se intorno a lei scorresse un film e non la sua vita.
Angelica avrebbe voluto strillare, davanti a tanta spacconeria, ma suo fratello Marco l’anticipò: “Forza Giulia, mi daresti una mano con questi piatti?” lei si era alzata scocciata, aveva appoggiato il cellulare sul tavolo ed aveva risposto: “Se devo…”
Angelica intanto aveva contato fino a un milione, consapevole del fatto che prima o poi sarebbero arrivati i sedici anni poi i diciassette e poi… certo vista così prevedeva anni davvero molto duri, era solo l’inizio della scalata.
Guardò suo fratello Marco, era così felice di averlo ritrovato, la loro era stata una storia difficile, lei era il frutto di un amore proibito, erano fratelli solo da parte del padre e Marco aveva sofferto molto la sua presenza.
Angelica lo aveva sempre capito ed accettato e mai gli aveva imposto la sua persona.
Marco non aveva perdonato Maurizio per molto tempo, non aveva accettato quel tradimento fatto a sua madre, ma soprattutto a lui. L’arrivo di Angelica era stato un fulmine a ciel sereno che aveva rivoluzionato tutta la sua esistenza. Aveva solo nove anni, quando, improvvisamente suo padre Maurizio aveva fatto le valigie e se ne era andato dietro le urla e gli insulti di sua madre. Lui non aveva capito cosa fosse accaduto realmente e per mille volte si era domandato se fosse stata sua la colpa di quell’abbandono, perché ai suoi occhi questo era stato, nessuno gli aveva detto che sua madre aveva fatto di tutto per tenerlo lontano dal padre, con il quale fino ad allora, aveva avuto un bellissimo rapporto. Era stato un bambino felice fino a quel giorno, poi la sua vita era stata data in pasto ai topi che l’avevano divorata ingordi un boccone dopo l’altro e lui non aveva potuto farci niente se non subire quello che gli stava accadendo. Cosa poteva sapere della sofferenza di suo padre, cosa poteva capire di una storia che andava avanti per inerzia, solo perché non si ha il coraggio di chiuderla, perché si ha paura della sofferenza che procurerebbe quella scelta, cosa ne sapeva Marco delle lacrime di suo padre, dell’indifferenza della madre, non poteva nemmeno immaginare quante volte suo padre avrebbe voluto prenderlo e scappare via.
Non poteva sapere nulla, era solo un bambino, e per un bambino è facile credere a quello che gli si dice e sua madre in questo era stata abilissima, facendone prima un adolescente rabbioso, poi un adulto insoddisfatto ed incattivito con il mondo.
Sandra, questo era il nome di sua madre, non lo aveva mai amato, anzi, lo aveva utilizzato come una pedina nelle sue mani, per i suoi scopi più biechi, qualunque cosa per fare del male a suo padre, qualunque parola pur di screditarlo. Non c’erano stati limiti alle crudeltà. Era arrivata a dirgli le peggiori cose, facendogli ferite indelebili.
‘Ecco tuo padre! Non era contento di te, non era contento di me e cosa ha fatto? Ha fatto in fretta, ha trovato un’altra donna, anzi, una ragazzina e con lei ha fatto un altro figlio anzi, una figlia, bello stronzo eh?’
Già cosa poteva pensare Marco…
Lui, era solo un bambino e a quelle parole aveva davvero creduto, coltivando rancori e dolori così profondi che non gli avevano permesso di guardare avanti e nel tempo aveva costruito muri così alti ed invalicabili pronti a proteggerlo da tutto e da tutti, anche dalla verità.
Marco era cresciuto nella sofferenza e nell’ansia dell’abbandono, si era allontanato sempre più da suo padre, che non aveva mai smesso di amarlo e di lottare per lui, ma nonostante i suoi sforzi, l’inganno da parte della madre, aveva avuto la meglio e lui, non era riuscito a riconquistarlo.
Era diventato un adolescente ribelle, un giovane inquieto senza regole né buon senso. Per un periodo della sua vita aveva ceduto ad ogni possibile cattiva abitudine, le compagnie più sbagliate lo avevano attirato come calamite, aveva osato, aveva azzardato al gioco e aveva perso talmente tanto da rimanere intrappolato nelle grinfie degli sciacalli aguzzini.
Era stato il più brutto momento della sua vita, si era sentito appeso ad un filo che da un momento all’altro si sarebbe spezzato lasciandolo precipitare nel vuoto, così che di lui non sarebbe rimasto nulla, nemmeno un ricordo. Si era guardato indietro appeso a quel filo, aveva fatto il punto della situazione e ne era rimasto terrorizzato, nessuno lo avrebbe pianto. Non aveva più una mamma che un bel giorno lo aveva salutato e si era defilata con uno sconosciuto; anche i suoi pseudo amici se l’erano data a gambe levate non appena lui si era trovato in difficoltà. Era pieno di debiti e non c’era nessuno al suo fianco pronto a consolarlo, allungandogli una mano. Si era sentito spaventosamente solo e terribilmente stupido.
All’improvviso la vita gli aveva sbattuto in faccia tutto il tempo perso, gli anni buttati via dietro la rabbia e le accuse che gli avevano impedito di andare oltre, di guardare alle cose con occhi limpidi e privi di pregiudizi e paure. Ma Marco era cresciuto, era comunque un uomo intelligente, capace di arrivare al baratro e cambiare rotta. Si era sentito tanto il “figliol prodigo” della parabola e aveva pensato che, se una luce avesse potuto ancora scorgere, quella era suo padre. Non gli avrebbe chiesto soldi, in quel momento aveva solo desiderato il suo perdono. Si era armato di coraggio, lo aveva chiamato e si erano incontrati.
Suo padre non stava nella pelle, quel figlio tanto amato era tornato a lui, per entrambi sembrava che gli anni si fossero fermati, eppure ne erano trascorsi davvero molti. Vent’anni di assenze lunghissime, ma finalmente la vita aveva risposto a quell’infinità di preghiere che entrambi avevano espresso.
Marco aveva ritrovato suo padre, la sua famiglia.
Angelica aveva allora diciannove anni e per tutta la sua vita non aveva desiderato altro che poter conoscere quel fratello sempre troppo arrabbiato. Lo aveva giustificato e capito, sapeva bene quanto difficile potesse essere stato per lui vedersi privare di un padre, pensare che un’altra figlia potesse prendere il suo posto, che una sconosciuta potesse ricevere al posto suo il bacio della buona notte. Ma Angelica aveva sempre atteso e sperato che un giorno Marco facesse un passo indietro, non tanto per lei, che in fondo nemmeno conosceva, ma per Maurizio, quel padre con il cuore spezzato, con il cuore diviso a metà tra due figli che amava infinitamente.
E poi quel giorno era arrivato, Marco si era presentato in quella casa che per anni aveva rifiutato.
Proprio come il figliol prodigo con l’umiltà e il dispiacere di chi riconosce il male inferto e proprio come nella parabola, Maurizio ed Angelica lo avevano accolto e coccolato, imbandendo per lui la famiglia più bella.
Angelica non era una ragazza comune, forse perché nemmeno lei aveva avuto una vita facile, eppure era sempre allegra e ben disposta verso tutti. Dal suo sguardo traspariva amore verso la vita e verso tutte le cose belle che essa le offriva.
Se Marco aveva in qualche modo rinunciato ad un padre, lei aveva vissuto da sempre senza una madre. La sua giovane mamma infatti, era morta mettendola al mondo. Angelica non l’aveva mai conosciuta ma era come se l’avesse vissuta ogni giorno, perché suo padre Maurizio, non aveva mai dimenticato Anna e gliela aveva fatta sentire attraverso i suoi racconti, i meravigliosi ricordi, le fotografie, in qualunque modo, Anna era sempre rimasta al loro fianco. Era stata un angelo di mamma per Angelica una presenza costante nella sua vita, l’aveva aiutata, confortata e protetta, era stata solo una mamma diversa, non aveva potuto stringerla, ma l’aveva avuta sempre accanto.

[continua]


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