Boomerang - effetti e vicende di una rock tribù

di

 Xalamandra


 Xalamandra - Boomerang - effetti e vicende di una rock tribù
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 136 - Euro 12,00
ISBN 978-88-6587-1553

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In copertina illustrazione dell’autore

Ogni riferimento a persone o animali è puramente casuale


Il romanzo dall’originale titolo “Boomerang – Effetti e vicende di una rock tribù”, rappresenta una miniera di invenzioni narrative che alimentano il susseguirsi degli eventi, con alternarsi di situazioni imprevedibili e sorprendenti. Tutto è permeato da un alone che riconduce al dominio del destino.
Effervescente ed elettrizzante nel suo dipanarsi, la vicenda narrata vede il protagonista, Leandro Piccoli, risvegliarsi in una clinica privata, dopo essere stato vittima di un grave incidente d’auto avvenuto in Svizzera. Da questo momento si alternano accadimenti, più o meno sbalorditivi, inattesi e parossistici…
…Dopo tante tempeste e burrascosi eventi riuscirà, infine, il rocker Cucciolo a continuare a suonare con la band dei fedeli amici e incontrerà l’amore vero? Non resta che scoprirlo e divertirsi.

Massimiliano Del Duca


Boomerang - effetti e vicende di una rock tribù


Basta che ti metti elegante
che ti senti subito importante
inventore bugiardo
esagerato bastardo
non potrai sempre scappare
da chi si vuole vendicare

scrivi storie stronzate
inventi storie stronzate
diffondi storie stronzate

acchiappa quel nano
e dagli giù forte
acchiappa quelnano
tante volte


9 luglio ’98

D’incanto, come per ordine superiore, apro gli occhi vedo pareti alte e vagamente bianche che soffocano ogni possibile sogno.
Dalle finestre gialle un filo di luce tracce di luna nel dominio del buio così la mia vista, testimonianza di vita chiusa in un corpo contenitore immobile.
La voce muta della speranza mi suggerisce una filastrocca:
alla notte succede sempre il giorno
al silenzio succede sempre il suono
alla morte succede sempre la vita
tutto torna e tutto ritorna.


10 luglio ’98

Ho riaperto gli occhi e questa volta sento il mio corpo rispondere agli stimoli. Riesco a muovermi!
Mi è venuto un colpo quando questa notte ho aperto gli occhi e non sono riuscito neanche a muovere la lingua.
Comunque non so dove mi trovo!
Fa talmente schifo questa stanza che sembra il retro di una macelleria con i lettini.
– Non c’è nessuno? – Non riesco nemmeno a parlare forte e che schifo di voce. Sembra che abbia delle ragnatele in gola.
Che cavolo ho nel braccio? Un ago! E lì appesa? Una bottiglietta d’acqua capovolta.
Ma dove mi trovo stamattina? E ieri dov’ero? Boh!
Sono vestito come Tarzan! Insomma sono in mutande.
– Cazzo! Chiudete quella finestra! Viene dentro un’aria fredda che mi congela i sentimenti! – Ho un mal di testa che sembrano due. Ah, che risveglio di merda! Sono distrutto caro il mio… caro il mio… come mi chiamo?
Come sono messo?! Non so più come mi chiamo! Chissà cosa ho combinato ieri sera! Sicuramente ho esagerato a fare il balordo! Uh, stanza schifosa! Mi gira tutto!
Ok ragazzi, vi ringrazio tutti ma ora me ne vado, non ricordo niente ma certamente mi avrete fatto la lavanda gastrica. Mi scuso, vi auguro buon lavoro e adesso vi lascio.
Ma non c’è un’anima in questo posto? Che freddo!
Vaffanculo! La finestra con la porta aperta fa corrente.
Chi dovete curare? I pinguini?
Sono qui, solo, con un ago nel braccio, dei fili attaccati sul petto, sulla pancia e… che cacchio ho nel naso? Ancora fili e tubicini. Non me ne ero accorto! Li ho anche nel naso!!
Ma cosa ho combinato ieri sera? Chissà che menate i miei vecchi!
A proposito, ma io ho dei genitori?
Sento BIT BIT BIT. Ah che televisori strani! Ma non funzionano, con quella linea verde che va su e giù sempre uguale. Ma come mi chiamo?
Qui c’è una tabella con scritto PICCOLI LEANDRO, ricoverato il 9 luglio 1995 altezza 1,81 peso 65Kg cartella N° di riferimento 53.
Io non posso essere Piccoli Leandro! Ma che nome è? Ed il 9 luglio era ieri.
Il peso 65Kg?! Hanno sbagliato! Non sono così magro.
La stanza fa schifo ma non mi spiego il fatto che sulla parete ci sia un calendario del 1998, e il mese è luglio. Cosa vuol dire?
1998 sarà lo sponsor del calendario, forse. Che sia un calendario futuristico? Ecco un’infermiera sulla porta che sta scopando.
– Ehi! Ehi! Scopa piano cicciona, che alzi la polvere! –
Finalmente ti sei girata a guardarmi un attimo. Ma che faccia fai?
(URLO DELL’INFERMIERA)
– Che cazzo urli che mi rimbomba tutto nel cranio! Aiutami a tirarmi via i tubicini. –
(SECONDO URLO DELL’INFERMIERA)
– Ancora urli! Sei da ricoverare! Ti ho detto di aiutarmi! Ma no! Dove vai? Dove scappi, voglio andarmene viAAAAA!! –
(NEL CORRIDOIO TERZO URLO DELL’INFERMIERA).

Sono su una noiosissima carrozza di un treno che dalla Svizzera mi porterà a Milano, quindi raggiungerò casa mia, la mia vecchia casa, la mia famiglia.
Tre anni da incubo in Svizzera in una clinica medica privata dove, mi hanno detto gli altri, ho rischiato la vita tenendo il culo sulla linea di confine tra la luce e la buia morte, più altri quattro mesi da sveglio ma ignorante, da non sapere cosa avevo in tasca.
Tutto questo a causa di uno strano incidente motociclistico.
Strano dico io, non perché l’abbia visto, ma perché dieci persone me l’hanno raccontato e in dieci versioni diverse. È sicuro solo che io ero in moto e c’erano altre moto e c’era un’auto, forse due auto a seconda di chi racconta, poi confusione e fine momentanea dei programmi.
Non ricordo più niente, un assoluto vuoto di memoria.
Non so più chi sono, certo al mio risveglio mi hanno suggerito qualcosa, mi hanno attribuito una storia, dei genitori, ma se devo essere sincero la mia testa è ancora in alto mare.
Sto scrivendo una specie di diario tanto per non scordarmi questo «nuovo periodo» di questa strana «nuova vita» che mi hanno rifilato.
Non ne posso più di questo treno, comincio ad odiare gli spazi stretti e chiusi.
Sono in compagnia di una bella tipa, Desirée, che è la figlia del dottore che mi ha ricucito e curato, Dott. Alfred Munster, ed è dottoressa anche lei.
La Formaggina, come la chiamo io, mi ha curato anche lei in un modo diverso, cioè speciale, senza perdermi di vista mai un attimo in questi tre anni, anche quando me ne stavo lì sul lettino attivo come un bonsai giapponese.
Mi ha confidato che è stata così premurosa non solo perché è professionale, ma perché si è innamorata di me.
Non so sinceramente cosa trovi in un tipo che non ha più passato, che non sa più cosa gli piace fare, non ha più gusti e che è ridotto a pelle e ossa.
Personalmente penso solo che la Formaggina abbia preso una forte cotta.
Vero è che a volte quando mi visitava personalmente, da sola, e non so quanto queste visite fossero «parte della cura», mi controllava qualsiasi cosa, ripeto il «qualsiasi cosa». Queste visite fortunatamente finivano sempre bene perché diceva che funzionava bene tutto.
Già! Molte visite, insistenti visite, approfondite visite ad orari più impensati che le stavano prendendo tutta la sua vita professionale e privata.

Siamo scesi a Milano Centrale, dopo una pausa hamburger dal sapore di plastica ed una bibita dal sapore annacquato, abbiamo cambiato treno. Scenderemo a sud per una sessantina di chilometri e arriveremo al mio sconosciuto paese nel cuore della Pianura Padana, Cotogno (tutte notizie prese dall’atlante geografico che l’uomo datomi come padre mi ha portato in una delle tante sue visite svizzere).
Da quando abbiamo cambiato treno la Formaggina mi guarda strano, in modo diverso, nervoso.
Sì! Li vedo i suoi occhietti scuri dietro la sua lunga frangia bionda. Io invece sono molto eccitato, come un bambino che ha davanti a sé un grosso pacco regalo infiocchettato da aprire, e con tanto di carta lucida. Ed io come regalo voglio sapere chi ero e ritrovare la memoria, voglio vedere il film del mio passato perché ora tutto ha poco senso, ed ogni emozione che provo sembra sbiadita, pallida, fredda, annacquata come la bibita del fast-food visitato a Milano.
Dopo una leggera curva sulla sinistra il treno comincia la sua lunga frenata.
– Siamo arrivati finalmente – Dico con voce soddisfatta guardando Desirée che rimane seria, quasi turbata, anzi turbata.
Giù dal treno nessun problema nel trovare mamma e papà, perché ci sono solo loro. Martedì ore tredici e trenta. Sceso dal treno rimango in ginocchio e bacio la terra come il Papa nei suoi viaggi in terre lontane.
Si mettono a ridere tutti, cioè mamma, papà, capo stazione, uomo baffuto con giornale, uomo sulla panchina di fianco all’orologio ed anche… no! La Formaggina è seria.
Caricati i bagagli in auto ed effettuato il tragitto di un paio di chilometri, arriviamo alla «dolce casa» che è in una buia via del centro ma tutto sommato caruccia.
Antica via ed una graziosa antica casetta, non molto grande ma provvista di tutto.
La mami ha già preparato tutto, così senza neanche togliermi il giubbotto, mi precipito al tavolo imbandito in modo incredibile, come se fosse già Natale o come se fosse tornato il «figliol prodigo».
I miei genitori hanno modi troppo gentili e si vede che provano per me sentimenti super positivi, e questo mi dà rabbia perché io non ricordo niente di loro, anche se il Dott. Munster (padre della Formaggina) mi ha assicurato, prima della mia partenza, che passando alcune settimane nella mia casa, dalla mia mente dovrebbero affiorare dei ricordi, abitudini, dei gesti abituali che compivo prima dell’incidente.
A proposito della Formaggina! Sarà una mia fissazione ma si comporta e mi guarda nervosamente. Ma si sa, certe ragazze sono «un attimino» lunatiche di natura, e poi si sa anche che loro hanno dei giorni particolari in cui sono intrattabili.
Finito il pranzo il babbo mi fa visitare brevemente la casa soffermandosi su oggetti particolari che dovrebbero suggerirmi qualche cosa. Ma niente!
Mi fa vedere anche la mia camera, ma solo per un attimo, poi chiude subito la porta e mi dice – Ora riposati. Quando ti sarai ben rilassato entrerai nella tua camera dove ci sono tutte le tue cose. –
Questo posto deve dirmi qualcosa, deve darmi le risposte che voglio.
Mi tuffo sul divano della sala e Desirée mi si accuccia di fianco come una miciona, e buonanotte!
Risveglio, ore diciannove e trenta, ora di cena, incazzato.
Non si può essere stanchi senza aver fatto nulla! È il primo giorno che sono tornato a casa e l’ho passato praticamente dormendo.
La Formaggina si è già svegliata ed è già al tavolo, pronto nuovamente per la cena, e guarda impalata la televisione.
Mangio poco e in modo fulmineo, quindi mi alzo e dico – Ho un appuntamento con la mia camera. – Prendo una porta a destra e mi ritrovo in bagno. La voce del papà – A sinistra, è a sinistra la tua camera. –
Porta della mia camera davanti a me chiusa, respiro profondo, apro, interruttore luce, CLIK, luce accesa, porta alle mie spalle spinta, SLAM, chiusa, CLAK, chiusa a chiave.
Sono nel regno del mio mondo passato.
Incantato al centro della mia stanza mi giro e mi rigiro, fisso le pareti sulle quali ci sono foto, poster, altri svariati oggetti, una vagonata di dischi, cassette, CD, ecc.
Dopo un minuto un TOC-TOC alla porta e una vocina.
– Sono Desi, mi fai entrare? –
– No! Non ti faccio entrare! –
Per la mia risposta negativa, allontanativa, semplice e decisa la Formaggina subito risentita passa dai TOC-TOC ad isterici BUM-BUM, cominciando a sbuffare ed a insultarmi a bassa voce – Apri, voglio entrare anch’io, non fare lo stronzo! Non mi hai considerata oggi, scemo! –
Era incredibile come aveva migliorato il suo italiano negli ultimi mesi, anche nelle sue sfumature.
Fatto sta che mi stava disturbando e quindi il momento magico era già finito, anzi rimandato.
Costretto ad aprire la porta trovo subito due occhi che mi fissano pungenti, che sbucano dal viso lasciando intravedere una punta di sclero, e la lunga penna bionda tutta scompligliata.
Entra e chiude lei la porta, la chiude in modo deciso, SLAAM e poi CLAK, la chiude lei a chiave e per sicurezza CLAK, a doppio giro di chiave.
Mi fissa ancora incazzata, quindi mi prende le spalle e comincia a spingermi finché raggiungo la parete, inizia a colpirmi con le sue tenere manine chiuse a pugnetto ed a ringhiare parolacce in tutte le lingue, poi aggiunge. – Adesso mi vuoi lasciare fuori dalla tua nuova vita! – Ennesima scarica di insulti e all’improvviso, sorpresa, va via la luce nella stanza, anzi in tutta la casa, anzi black-out generale, e succede quel che… succede… ed ancora… ed anche… e poi… ancora… poi basta.

Oggi è il quarto giorno che sono tornato al mio paesello, Cotogno, e non sono ancora riuscito a rimanere solo nella mia stanza ad esaminare con attenzione ogni singolo oggetto che mi apparteneva ed è tornato ad appartenermi.
Non sono riuscito perché la Formaggina mi ha braccato in casa, non mi ha lasciato un attimo, è stressante, assurda, non l’ho mai vista così. Non potevo immaginare che di colpo si trasformasse in una autentica rompi coglioni, che se sapevo prima di queste sue trasformazioni, la legavo e la imbavagliavo a qualche letto della sua clinica medica precisina sulle Alpi di «Heidi e le caprette ti fanno ciao».
Ho dovuto farle un discorso «ruvido», ma era necessario altrimenti mi rimane ’sta cazzo di nebbia nel cervello per tutta la vita e non tornerò a ricordare niente di chi ero. Quindi l’ho convinta-costretta a tornare in Svizzera, promettendole che appena riuscirò a «ritrovarmi» andrò a trovarla, e allora sì che si potrà parlare di qualcosa d’altro al di fuori delle visite mediche più o meno speciali.
Insomma, se son rose fioriranno, altrimenti saranno carote, margheritoni o pomodori, spero solo non siano cavoli amari.
Rispedendola a casa pensavo che al momento dell’imbarco mi avrebbe sbranato, anche perché ha sfoggiato un caratterino in questi giorni italiani con tanto di artigli e zanne, invece mi si è abbattuta così, su due piedi, all’improvviso, cadendo di colpo in una sorta di depressione, dicendomi solamente – Quando scoprirai chi eri e la verità, non mi vorrai più vedere. – e si lasciò andare a delle lacrimucce soffocando languidi gridolini di dispiacere, facendomi sentire un po’ spietato bastardo, lì per lì, ma considerando la cosa freddamente sapevo che era giusto così.
È necessario cominciare a scavare nella mia testa in modo serio perché non è possibile che un giorno mi sveglio in una stanza di ospedale, quando tutti pensavano che avessi già fatto le valigie dal pianeta Terra, mi danno un nome, mi danno due genitori che mi amano, da quanto ho capito, mi danno una città, una casa, vengono degli amici di famiglia a vedermi, affettuosi, che mi chiedono se mi ricordo di quella volta al mare e di quell’altra in collina e io lì a fissarli inebetito come fossi un robot giocattolo telecomandato, che sa solo portare a spasso le ciabatte o il giornale, che scuote la testa per dire no.
Affanculo! Situazione di merda.
E poi cosa intende la Formaggina quando dice – Quando scoprirai chi eri e la verità…? –
Sarò mica stato un missionario in Africa? O in America Latina? O forse ancora un pilota NASA che è caduto sulla Terra, chissà da quale trabiccolo spaziale, in formato spia in missione super segreta? Beh, se fosse così credo che ora sarei veramente con le valigie in mano da qualche altra parte!! No?!
Tanto per chiarire una delle poche cose che posso chiarire in questa mia scomoda posizione: non è che non voglio bene a Desi, è solo che mi riesce impossibile provare qualcosa di forte per qualcun altro in questo momento.
Sarebbe come non considerare che là fuori c’è un mondo con tante persone, che forse ho degli amici da qualche parte e forse, questo poi lo so ancora meno, una donna. Non credo moglie perché non ho anelli strani addosso ed anche perché probabilmente sarebbe già saltata fuori a reclamare la sua parte di soldi della mia assicurazione.
Una donna da qualche parte? Dopo tre anni passati da disperso si sarà dispersa anche lei, se c’era, giustamente.
Comunque, incomprensione a parte, le ho promesso che le telefonerò presto. Il bacetto dell’arrivederci era talmente angosciante che non è degno di nota.

Finalmente solo. Ah! Ah! Ah! Anzi solissimo. Ah! Ah! Io nella mia stanza con il televisore spento, telefono staccato, genitori sempre gentilissimi che, su mia richiesta, hanno lasciato casa per un pomeriggio, porta di casa blindatissima, imposte delle finestre socchiuse che fanno passare solo un filo di luce grigio nebbia, perché ho notato, in questi giorni, persone di età avanzata curiosare dentro casa, come se volessero vedere il miracolato. Come se si aspettassero di vedermi con un contorno di luce d’oro, come i santini nelle immaginette che la mamma mi portava in clinica.
Disturbi zero e zero interferenze.
Stavo rischiando di diventare un piccolo fenomeno da baraccone, anzi per questi pochi impiccioni della via, che sapevano del mio ritorno, lo ero già, allo stesso livello dell’uomo bestia che tutti i luna park, nei film del cinema, nascondono in enormi gabbioni e se vuoi vederli devi pagare il biglietto, poi alla fine questi non sono altro che grossi uomini travestiti da scimmioni che urlano e picchiano pugni sulle sbarre.
Come so di queste cose?
Mesi e mesi di cultura televisiva svizzera forzata. Sottolineerei forzata.
Sono pronto per la ricerca.
Comincio, avvolto dal completo silenzio, ad esaminare con calma ogni singolo oggetto che c’è nella mia camera: soprammobili, bicchieri e boccali per la birra, libri di storia, romanzi d’avventura, di geografia, cartine stradali e libri di musica rock. Oltre ai poster già visti, alle pareti ci sono anche graffiti ispirati alla preistoria, fatti col carboncino, foto di ragazzi e ragazze, soprattutto di una in particolare che definirei un gran bel pezzo di ragazza. Chissà chi sono tutti questi personaggi che ridono nelle foto? Penne abbastanza lunghe, vestiti in prevalenza di nero, giubbotti di pelle con in mano enormi birre, qualcuno con improbabili sigarette, con occhietti lucidi e felici, qualcuno di questi anche molto grosso e la cosa che mi cattura in queste immagini è che… penso di esserci anch’io in mezzo a loro.
C’è un tipo che mi assomiglia un casino. Sì! Sono io! Qualche chilo fa, capelli decisamente più lunghi, però sono io e sono circondato spesso da belle tipe. Me lo sentivo che delle tipe c’erano, cioè ci sono state, forse anche solo amiche, ma in qualche modo c’erano.
Possibile che nessuno mi possa parlare di tutta questa gente!
In un angolo la famosa vagonata di dischi, CD e cassette, molte delle quali me le hanno fatte «sentire» mentre ero in coma, per fare un tentativo come un altro, mi ha detto la mamma, per farmi svegliare.
Queen, Deep Purple, Led Zeppelin, The Doors, Metallica, Ramones, Billy Idol, The Cure ed altri ancora.
La mamma ha aggiunto anche, che quando azionavano lo stereo e cantavano questi «signori», dottori e infermiere sparivano dalla mia stanza colpiti da mal di testa nel giro di cinque minuti. Già! Me li vedo quei dottori che sembrano usciti dai telefilm tedeschi tutti perfetti, mai un sorriso, mai una smorfia, tutti in ordine, da sembrare delle macchine nate dai computer.
L’unica persona che non mi sembrava molto indifferente era la Formaggina. Ah Ah Ah. No! Lei no che non era fredda come una macchina.
Però sto pensando ancora all’ospedale e non a chi ero e ciò non va bene.
Il letto non mi dice niente! Ma devo concentrarmi di più.
L’armadio in legno e, nell’angolo buio, «nascosto», un mega baule dall’aria misteriosa.
Sopra di esso un enorme pupazzo pagliaccio che era presente in una foto appesa sulla parete. In questa c’era il pupazzo tra me ed una gnoccolona alta direi uno e settanta circa, capelli castano scuri lunghi, occhi verdi, vestita con dei jeans attillati, maglietta bianca e giubbotto chiodo nero, sorriso incredibile; con una mano appoggiata ad una mia spalla, e nell’altra tiene un casco blu.
Prendo il pupazzo e lo fisso per alcuni secondi, poi riguardo la foto, cioè riguardo la pupa della foto, e ancora il pupazzo pagliaccio e gli dico – Possibile che non mi ricordo una creatura del genere? Non mi suggerisci niente? Te ne stai lì con quel faccino contento forse perché tu la ricordi bene, però non riesci a parlare. –
Rimango un’ora esatta a fissare quella ragazza, ad ammirarla, e guardando bene la ritrovo in altre foto sempre vicino a me e sicuramente in occasioni diverse, perché il suo abbigliamento cambia.
Il mio abbigliamento invece non mi sembra molto vario, esaminandolo nei reperti fotografici. Posso avere l’armadio semivuoto? No, non lo è.
Jeans, giubbotti jeans, camicie jeans, camicie scozzesi da boscaiolo, strano abbigliamento militare (mimetiche giganti), maglioni, giubbotto di pelle modello Easy Rider rovinatissimo.
Ci sono anche delle scatole chiuse. In una un’infinità di T-shirt di tutti i colori, con scritte e senza, fantasia, tinta unita, e molte nere con un boomerang bianco stampato sopra.
In una seconda scatola ci sono costumi da bagno, bermuda ed altro abbigliamento estivo in stile hawaiano, con colori vivacissimi.
Ci sono anche delle camicie inguardabili con fiori sgargianti che fanno male alla vista e a tutta l’umanità. Forse le mettevo perché odiavo tutti?
Sono ancora peggio di quelle che metteva un tale, Magnum P.I., personaggio di un telefilm americano che davano sulla TV svizzera, guarda caso, alle ore nove e trenta di mattina. Questo tipo girava tutto il giorno su una Ferrari per farsi sparare nella testa, per inseguire pupe niente male e si faceva tirare le «para» da un maggiordomo inglese fissato con la disciplina militare.
Andiamo oltre.
È con sgomento, stupore, ansia e preoccupazione che rimango, una volta aperta la terza e ultima scatola.
Biancheria intima femminile: mutandine, reggiseni di pizzo e non, bianchi e neri, anche rossi e blu, rari pezzi verdi, imbottiti e non.
A bocca aperta mi specchio e mi fisso il faccione chiedendomi – E se prima ero un tipo ambiguo, e forse lo sono ancora? Forse ero completamente omosessuale, un travestito? Ero o sono? Ma allora la Formaggina? Con lei mi è piaciuto. Essere o non essere? Essere stato! Che cosa essere io stato prima. Augh (licenza poetica indiana)? –
Dove cazzo sono le persone delle foto?!
Voglio parlare con qualcuno che mi conosceva, che mi aiuti a conoscermi ora.
Noto anche che sui capi intimi femminili ci sono nomi di ragazze e numeri, presumo, di telefono.
C’è un reggiseno enorme, una sesta forse, praticamente due paracaduti cuciti insieme, con una dedica:
Tu sei il sole ed io la luna
Eclissiamoci sulla Terra
Tua sexy Molly

Una poetessa molto hard senza dubbio, e poi ancora altre dediche molto più terra terra, esempio:

Il mio sangue ribolle
Ormoni urlanti
Cucciolotto ti voglio!
Ora!! La tua Maniaca

Mi fai sudare tutta
Mi mandi a quaranta gradi
Sei la mia febbre! Kate

89-60-87 bionda
Martedì casa libera
Urgente chiamami Barbie

Ecceteraecceteraecceteraecc…
Ma allora forse tutte queste tipe accaldate ci provavano?
Ed io? Come ho reagito? Chissà se le ho chiamate? Chissà chi sono? Che faccia hanno? Se hanno veramente misure del genere? Chissà? Chissà? Chissà se tutte hanno cambiato numero di telefono?
Noto anche, spostando la biancheria, che a questo punto non poteva essere mia personale, una valanga di cartoline, lettere e vecchi telegrammi di auguri di compleanni passati, con l’aggiunta di tre peluche orribili.
Curioso e divertito comincio ad esaminarle:
– Cartolina dalla Grecia scritta da una mente, forse troppo giovane, sicuramente troppo femminile, troppo squilibrata ispirata dal forte caldo estivo ellenico di mezzogiorno (troppo caldo)

Di giorno ti penso, di notte ti sogno
Non so cosa mi stia passando per il cervello
So solo che mi sono innamorata di te
Già! Tu starai chiedendo “chi è quella stronza”?!
(Ti perdono se me lo dici)
Per ora però non te lo dico! Ma solo una cosa: SONO SINCERA.
Comunque ora ti saluto, ricordati che ti avrò presto, molto presto e tu ti innamorerai di me anche senza conoscermi. Non so come reagirai a questa cartolina, spero solo che non la farai leggere a nessuno e non mi prenderai in giro!! Se vengo a sapere il contrario ti scriverò che sei uno STRONZO!!!
Riceverai mie notizie il prossimo mese
Ciao x ora!
P.S.: oggi sono senza soldi e così non posso spedirti la cartolina con il francobollo. Se prendi la multa ti renderò i soldi quando mi vorrai conoscere. Ciao.

– Cartolina da Amsterdam scritta, credo, da un gruppo di ragazzi, forse amici, alterati da sostanze strane. Tra le macchie di giallo, forse birra…

[continua]


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