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Là dove il mare luccica
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In copertina e all’interno fotografie dell’autore
Prefazione
Il mio mondo, da sempre è rimasto sballottato sconfinando tra sogni, amore, poesia e routine della vita. Ricordo quand’ero ancora un bambino, nell’unica scuola elementare di Mafalda, un paesino di poco più mille anime, sperduto tra le varie colline sparse sotto la Majella, della mia particolare propensione alla scrittura. Il mio maestro, di cui ricordo ancore il nome (Fiorilli), evidentemente aveva colto tracce del mio talento e mi torturava sui particolari, soprattutto nella lettura delle poesie del Pascoli e Carducci, affinché recitassi con dovuta apprensione e cadenze da teatro. E quando scrivevo, mi spronava all’immaginazione di cose più intense da quelle possibili per un bambino. La mia vita sembrava disegnata e destinata a cose importanti nel mondo della letteratura. Ma a me, inconsapevolmente, mancava forse qualcosa.
Mi ammalai seriamente, talmente da esserne quasi morto. Andai in coma e, ricordo perfettamente che uscii dal mio corpo, aleggiando nella mia stanzetta, non so per quanto tempo. Ricordo, là in alto da un angolo della cameretta, che guardavo il mio corpo giacere inerme nel lettino, al di là della fioca luce rosata di una vecchia lampada, ricoperta da un panno di colore rossastro. Dio solo sa come, ma ad un certo punto mi risvegliai d’incanto, così come se nulla mai fosse accaduto. Per la mia povera mamma, devota alla Madonna, era stato solo un miracolo. Mio padre, allora carabiniere, da suggerimento del dottore (Cerquitella) che aveva preso a cuore la mia salute, chiese il suo trasferimento in una caserma in località marina, più adatta alla mia situazione sanitaria. Cosa impossibile da ottenere, dati i regolamenti assai rigidi dell’Arma.
Ma il destino evidentemente stava disegnando una nuova iperbole alla mia vita. Mio padre ottenne il trasferimento a Termoli, gradevole paese sul mare, incuneato quale transatlantico nelle acque verdastre di un Adriatico, a quei tempi di una limpidezza oggi inimmaginabile. La mia fanciullezza e la mia famiglia tutta, godemmo anni di indimenticabile felicità e piacevolezza di vita.
Ma il libro della vita, voltò pagina ancora una volta, ed a causa di una gravissima situazione familiare – una crudele malattia di mia madre –, trascinò di forza tutta la mia famiglia dal mare a Milano, città dell’operosità e del lavoro. Tutto cambiò: il volgere delle cose ci proiettò in un mondo, a noi sconosciuto, che ci travolse cambiando letteralmente il solco del nostro viatico, fatto sino ad allora, di mare, sole, sogni e per me di fanciullezza.
Ma lo spumeggiar virtuoso del mio mare, con il sole e le sue aurore festanti, la luna con i suoi misteriosi ed itineranti bagliori, sempre presenti del mio cuore e nella mente, rimasero la mia unica fonte ed essenza di ispirazione di tutti i miei scritti, soprattutto in questi ultimi anni. Assieme all’amore, quello vero, con la mia inseparabile sposa. Ed ai miei sogni che mi hanno accompagnato per tutta la vita e, forse oltre.
Alberico
Là dove il mare luccica
Dedico questa mio Libro di Poesie, a mia moglie
Carmelina, mio unico e grande amore da oltre 50 anni…
Un pensiero particolare per le mie figlie Egizia ed Eleonora, le quali forse non hanno mai immaginato che il loro pragmatico papà, potesse coltivare in animo una pagina così romantica della vita.
Un messaggio d’amore ai nipoti Luca, Gaia e l’ultimo arrivato Damien, perché crescano sulle fondamenta
solide della famiglia.
Una idea d’amore per mio fratello Matteo e mia sorella Mariantonietta, a memoria di mamma Egizia e papà Domenico.
Infine un ricordo per i miei amici e parenti che mi
conoscono solo per quel che credono in fondo ch’io sia…
un imperdonabile sardonico essere vivente.
Alberico
UN AMORE PER SEMPRE
13 settembre 1963
A ritroso ricordo perenne storia assale,
sett’anni ancor prima che dell’altare,
quanta passione insieme, oltre l’amore.
Da giovanil fervore tanta disperazione, dentro cantieri vuoti a mangiar baci,
nascosti ai tuoi fratelli preoccupati.
Ci fidanzammo, come costume allora, ancora più felici,
a festeggiar vittoria,
contro chi ci voleva sempre lontani.
Divisa militare forzò le nostre menti,
un anno ed oltre senza il tuo calore,
quella sì che fu pena e sol dolore.
Precoce dipartita di mia madre, ci rimandò di un anno,
fede di grande amore,
fu matrimonio semplice a sigillar l’unione.
Stupenda la crescita in famiglia, seppur d’anni duri e di lavoro, nascita di due bimbe,
a ripartire oltre che in quattro i nostri cuori.
Ma la vita corre profonda nei solchi, disperdendo nell’aere tanti anni ed oltre,
da gioventù fugace, un passo spinse noi due,
da genitori a nonni.
Storia di vite dedicate all’amore,
oltre i confini dell’umano scibile.
Alberico e Carmelina
30 aprile 1970 – 30 aprile …
LA RABBIA
Stringere le dita a pugni
per liberar la rabbia,
stirando braccia al cielo
ad imprecare invano,
aiuto al proprio dio.
Il fuoco cieco del nemico
spariglia i loro cuori
sparuti, dal terrore della morte,
lasciando lagrime e sangue,
sciolti a seccar nel fango.
Chi piange un figlio andato,
chi cerca un bimbo sperso,
la guerra non perdona
né vincitori o vinti,
ma lascia solo lutti e cuori… infranti.
Futuro? Speranza?
L’eco sperde le nostre grida
ed il dolore si scioglie nella speranza.
MARE D’INVERNO
Forza inesauribile, pregna di energia solare
riportami lontano, là dove sorge l’alba della vita,
montando l’asprezza dei tuoi flutti rossastri,
tumidi di brezza marina e di argentea salsedine,
i miei occhi, seppur velati, leggono il tuo pianto antico.
Invoco la tua fulgida luce, o mare impietoso,
che da millenni solca le tue rotte impervie,
senza speranza alcuna
di un improbabile e folle primavera d’amore.
Vento, sospingi oltre le onde impetuose
la voce fioca del mio spirito inerte.
tergi i miei occhi umidi di rugiada salmastra,
trascinami al di là delle fosche nubi, verso l’infinito,
ch’io possa liberar l’affanno.
SPERANZA
Il tempo inesorabilmente passa
fissando nelle membra
il dolore di una speranza vana.
E tu dolce chimera
accompagnaci al monte,
là in alto, verso il nulla infinito.
Il passato si sta sciogliendo,
disperde la sua forza esistenziale,
lasciandoci soli e disperati.
Anche il futuro è già passato,
con l’illusione della residua speranza
di ritrovarsi in altra dimensione,
eterei ed ancora innamorati.
IL DOLORE
Un peso insopportabile
credevo di averlo già provato, trito e ritrito, da renderlo
evanescente nel tempo.
Ma inesorabile ora ha preteso un conto più salato,
che tutto ingoia quale spirale perversa negli abissi più
scuri ed impenetrabili della mia anima.
A metabolizzarlo non basterà solo il lento
passaggio nel tempo.
Speravo di averlo sepolto sotto i bulbi dei miei capelli
grigi, di averlo sminuzzato sotto il cuoio macilento delle
mie stanche scarpe, e credi che il peggio sia passato.
Cerco di sopravvivere fingendo d’esser felice, oltre la stessa
morte, ma non sarà così.
Il dolore più grande ha colpito inesorabile ed è penetrato
silente come serpe, acuto come sottilissimo pugnale,
sfuggendo tra le costole sino ad aprirmi il cuore o come
fulmineo gancio di pugile al fianco inerme,
fino a crollare senza conta alcuna.
Un dolore innominabile, perfido e senza appello, contro un
futuro prevedibilmente anonimo, fugace, triste,
senza speranza alcuna.
SOGNO O REALTÀ?
Tra sole e mare noi soli,
inebriati da salsedine marina,
in cerca dell’onda peregrina,
a tentar improbabili voli.
Un’onda dopo l’altra, ancora,
vedo la più schiumosa,
che bianca come velo pare di sposa,
m’appresto a superar, or ora.
Tra i flutti ti sporgi aitante,
le braccia incontro al cielo,
avvolta nel tuo vergineo velo,
tentare un guizzo speri vincente.
Dal cielo tesa la mano ansiosa,
assale l’onda di piena,
arcuata sui flutti, la tua schiena
sorge dall’acque, imperiosa.
Dal sogno ci destiamo felici,
sotto il sole cocente,
il mare agli orecchi, furente,
la sabbia ciottolosa e bollente,
ci frigge come alici.
SOLI, IL MARE E TU
Tra ciottoli salmastri e flutti spumosi iodio m’assale.
Verecondi sensazioni mi spingono oltre l’onda
cercando te diletta dea, già più sospinta al largo.
Ansante tra l’onda tersa cerchi sicuro approdo,
ancor lontano il guardo allungo oltre il rollar de l’onda.
Odo il richiamo di tua voce altalenante e fioca,
braccia a mulino, teso a tagliar fronte d’onda imperiosa.
Ti cerco lanciando voce strozzata al vento, ormai dispero,
che aita tuo da soffocante amore, forse ho sognato…
Tu sola in questo impervio mare, appari irreale,
al mio destar d’insonne letto, soggiaci.
Dormi fanciulla nel mio ingannevole sogno bramato,
ch’io solo, da scuri flutti avvolto, fondo dal mar risalgo,
di te, mia dolce sirena sempre più innamorato.
LA VITA IN UNA BOTTIGLIETTA
Mi manca il mare, seppur lineare all’orizzonte,
mai domo e sempre pronto al cangiar d’umore.
La sua coperta distesa, al variar dei colori,
or verdastra, al mutar dell’aere e dei venti,
dolce di zefiro aroma o di impetuoso maestrale,
or celeste, ai riflessi del sole ridente,
tra nuvole fugaci, all’apparir e alla scomparsa,
or giallastra, al volgere dell’insistente onda,
improvvisa al divenir, ma spumeggiante al morire,
sulla rena, pronta alla resa del suo pallore inerte.
Nel mio spirito in pena, entra spavaldo il suo flusso salino,
pregno di rugiada salmastra che ossigena l’anima,
irruente pulsar di vene in cuor riprende forza,
dando ai ricordi nuova linfa al quotidiano nulla,
inesorabilmente alle spalle e senza storia alcuna,
se non dell’appassire di membra contro
l’impenetrabile futuro di un avvenir segnato.
Mari e cieli solcano il cammino della vita,
senza ritorno alcuno, se non ricordo fugace di parole
lasciate scritte su un insignificante pezzo di carta,
ingiallito dal tempo, in una bottiglietta,
in balia dell’immenso mare,
…dove tutto ha inizio e mai fine…
IL NATALE ANTICO DEI LONTANI
ANNI CINQUANTA
In quel di Cupello e di Mafalda,
borghi di montano aere abruzzese,
tu, bambino Gesù infreddolito,
quasi impagliato al caldo soffio
del bue e l’asinello,
gemendo, ci salvavi dall’affanno.
La neve superava i tetti al colmo,
i nostri occhietti lucidi al fumante camino,
frugando dietro vetri piangenti,
quasi a toccar con dita gonfie da geloni,
passerotti infreddoliti e stanchi,
facili prede alla tagliola infame.
Le canne in alto cinte da rosse salsicce
appese, nello stanzone affumicato,
sembravano censir la fame
alle ingorde fauci del nulla al desco.
Tu piccolo Bimbo del Creato, da solo,
ci sfamavi del tuo amore immenso
rallegrando il mondo col tuo dolce pianto.
PERCHÉ?
Velo insaziabile ed instancabile,
la vita rifugge da te,
ma io che ti cerco invano,
solitario in mezzo alla gente,
temo la tua gelida mano.
Nei sogni io sento il tuo velo
che avvolge la mente e mi desta,
riavvolto a lenzuolo silente
membra doloranti e tumido sembiante,
nel buio lo sguardo perdente.
Il giorno che passa nel nulla,
nella mitezza di ricordi mielosi,
i volti allo specchio rugosi
stravolge il passato al presente,
riflette gli sguardi pietosi.
Futuro sin troppo lontano,
odierno ancor men che indolente,
ruotine che d’insulza baldanza,
trascina il mio cuor fino a sera,
l’affanno risale riottoso e vincente.
Postfazione
Nella dimensione del suo universo emozionale, Alberico Lombardi, prima come uomo e, poi, come poeta, ha sempre avvertito la tensione al posizionamento su una ipotetica e simbolica linea di confine, tra realtà e sogno, tra materialità quotidiana e visione onirica, tra concezione dell’Amore e passione profonda per la Poesia.
La vita segue un destino imperscrutabile e le vicissitudini dell’esistenza si miscelano con le pulsioni liriche e le espansioni dell’animus del poeta. Ecco allora che, dalla zona natia della Majella, con la sua famiglia si trasferisce a Termoli, sul mare Adriatico, e quel luogo, con le sue “acque verdastre”, rimarrà per sempre fissato nella sua mente e nel suo cuore, soprattutto, quando vi sarà un nuovo trasferimento a Milano dove cambierà completamente la sua condizione di vita.
Il cammino della vita conduce, quindi, alla metamorfosi della visione lirica, che si miscela e plasma al vissuto esistenziale con riferimenti fortemente sentiti e strettamente collegati ad un intenso recupero memoriale delle emozioni percepite e vissute dal poeta.
Alberico Lombardi sottolinea ripetutamente quanto abbia sofferto la lontananza dal mare, quel mare che “gli manca tanto”, con la sua “forza inesauribile” ed il suo spumeggiar, onda dopo onda, sempre capace di “ossigenare l’anima”.
Il mare rappresenta la sua fonte d’ispirazione e, nel suo animo dolente, pare entri “spavaldo il suo flusso salino”, come a lasciarsi trasportare dai flutti marini, in un lento abbandono al lirismo che è sostanza vitale alla quale attinge l’animo del poeta che pare, nelle poesie più intense, voler risalire dal fondo del mare, inebriandosi di spuma e salmastro per abbracciar la sua “dolce sirena sempre più innamorato”.
Il ricordo del mare regala la linfa vitale che aiuta a sopportare l’odierno “quotidiano nulla” con il quale deve confrontarsi il poeta e, nel suo animo, domina la volontà di gettarsi, per sempre, tra le braccia del mare ed il desiderio di perdersi nel suo sogno marino rimasto indelebile nel cuore.
La poesia di Alberico Lombardi si espande in versi liberi, quasi a volerne decretare la libertà di movimento, “tra i flutti perigliosi della vita”, sospinto dal vento oltre le onde impetuose: e la sua voce lirica diventa respiro universale pervaso di eterna “rugiada salmastra”, capace di trascinare oltre le ombre della vita e di liberar dagli affanni e dai tormenti.
Il tempo scorre inesorabile, seguendo aurore e bagliori di luna, e la visione poetica cerca di fissare nella mente le vicende esistenziali che hanno accompagnato il sofferto cammino tentando di dissolvere il peso del dolore che penetra l’animo: la forza di tale propensione si espande nelle profonde riflessioni e nelle più labili percezioni.
Per questo motivo le rimembranze rappresentano lo scrigno memoriale dal quale attingere per “creare” la sua poesia emozionale che si alimenta del palpitar del suo cuore.
Nel processo poetico emerge il desiderio di raccontare, in primis, il folle sogno d’amore con sguardo lirico sempre attento e penetrante, al contempo, di offrire quel recupero memoriale, già citato in precedenza, con il ricordo del primo bacio e dei sussulti del cuore nella gioia di vivere quell’amore eterno con la moglie; della comunione profonda con il “suo” mare e le suggestioni della natura che sono parte importante della sua poesia, pervasa di tramonti, visioni enigmatiche della luna, atmosfere invernali e brezze marine che vengono esaltate dal suo ricercato lirismo.
Alberico Lombardi pare voler rivestire la figura dell’uomo solitario, avvolto dal suo silente ricordo, essere umano “solo”, alle prese con il suo destino; coraggioso navigatore tra gli affanni della vita ed i dolori che hanno penetrato il suo animo, costantemente proteso ad innalzare il suo cantico misterioso ed ammaliante, capace di catapultare nel vortice d’un “inconscio visionario” come di generare l’incanto d’un poeta dell’amore che vuol naufragar nella desiderata tempesta d’un malstrom.
La Parola di Alberico Lombardi diventa nutrimento dello spirito, irrorata dal profumo del mare e dalla sua brezza: il miraggio esistenziale si fa lirismo puro, cullato dalla sua “luce riflessa”, avvolto dalle sinuose onde d’un simbolico mare dei ricordi, rapito dal sogno con la sua dolce sposa.
Massimo Barile
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