Il sapore dell’inganno

di

Alessandro Pirovano


Alessandro Pirovano - Il sapore dell’inganno
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 290 - Euro 16,00
ISBN 978-88-6037-9412

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In copertina: esclavage © Imagine – Fotolia.com


Mafia… poteri edificati sull’omertà… inganni… menzogne… intrecci delinquenziali… tratta degli innocenti: tutto coniato sulla faccia di una medaglia.
Affetti contrastati… sentimenti… amicizia… sofferenza: scolpiti sul rovescio.
Un libro teso, avvincente, cupo, creato su intensi colpi di scena e incernierato nell’ansia e nell’angoscia.
Un romanzo senza respiro!Questo libro è un’opera di fantasia.
Nomi, personaggi, società, organizzazioni, luoghi, fatti e avvenimenti citati, sono invenzioni dell’autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con eventi, luoghi, persone vive o scomparse è assolutamente casuale.


Il sapore dell’inganno


Capitolo 1

Avvinghiata con le mani alla ringhiera esterna, penzolava nel vuoto. Urlava, piangeva, l’animale viscido la stava assorbendo dai piedi. «Teriiii!!… Teriiii!!» strillavo con la speranza che qualcuno mi sentisse e mi venisse ad aiutare. Non c’era nessuno. La bocca di quella enorme lumaca seguitava ad ingoiarla, era giunta alle ginocchia. Lei mi guardava, gli occhi pregavano, chiedevano aiuto, pietà. Si lasciava andare, la tenevo con tutta la forza possibile, con le mani serravo i suoi polsi. L’essere mostruoso succhiava all’inverosimile, le esili gambe erano scomparse in quella bocca bavosa e salivante. «Lasciala andare… lasciala andare!!!» sbraitavo ossessivamente. Le mie forze stavano cedendo, la bestia proseguiva a nutrirsi, era già ai fianchi. Lei m’implorava di ucciderla, di non soffrire. Non potevo, dovevo fare qualcosa, ma cosa? Ero impotente, ogni mio movimento veniva percepito dall’essere deforme che seguitava il suo pasto. Quelle fauci madide l’assimilavano ogni minuto di più. Era arrivato alle spalle. Picchiavo i pugni su quella sorta di testa piatta, ma il mostro non mollava. Era giunto alla testa, fuori dalla belva restava solo il suo viso scuro, cianotico, livido. Come una preda si dilegua nel corpo del serpente, Teri scomparve nell’animale «Teri!!… Teri!!… Teriiii!!!»
«Amore… svegliati… svegliati!!» urlò Teri, scuotendogli un braccio.
«No… non voglio vederti morire!!» sibilò Ken ancora addormentato.
La donna gli prese delicatamente la testa tra le braccia e iniziò a baciarlo «non è successo niente, è stato solo un brutto sogno» disse coccolandolo.
L’uomo sbarrò gli occhi «un sogno…?!» Era sudato, terrorizzato. Gradatamente tornò alla realtà «perché questi incubi?» si chiese sedendosi sul letto. Stette qualche secondo ad aspettare dal suo senno una risposta verosimile, dopodiché lasciò perdere, si alzò e si recò in cucina. Ancora leggermente assonnato, prese la caffettiera e riempì il filtrino di caffè d’orzo macinato. Era la sua passione, non ne poteva fare a meno. “Faccio proprio un brutto lavoro!” pensò accendendo il gas e mettendovi sopra la moka. “Incubi di notte… di giorno… sempre incubi!” Nell’attimo di riflessione si domandò se ne valesse la pena “dovrei cambiarlo, uno qualsiasi… impiegato statale, meccanico, politico…!” La mente non lo aiutava, ogni volta che bramava risposte, si bloccava.
Ken Knight, quarant’anni, moro, occhi scuri profondi. La pelle olivastra vestiva un fisico atletico, non muscoloso, ma forte e longilineo. Il naso, lievemente aquilino, s’incuneava in un viso maschile, forte, determinato, dai tratti di antico eroe greco. Sul metro e novanta, si concretizzava in un uomo affascinante, non bellissimo, ma il classico tipo. Aveva in sé un carattere dolce ma risoluto, accondiscendente ma saldo nelle proprie scelte.
Risiedeva a New York, in un piccolo appartamento di due locali nelle vicinanze del suo dipartimento. Era entrato da giovane nell’FBI sezione antidroga. Pochi mesi prima aveva chiesto, ed era stato accontentato, di essere trasferito alla omicidi.
Conviveva con la collega Teri Hersong, trentacinque anni, capelli lisci lunghi color rame, occhi verde smeraldo, un fisico da schianto, bella, veramente bella, un viso femminile, dolce, il nasino a punta rimarcava una certa furbizia. In questo Ken si riteneva molto fortunato, ma non lo manifestava, obbedendo ad un leggero orgoglio maschile.
Dopo essersi gustato l’abituale bevanda, accese una sigaretta e si recò sul balcone, appoggiò le braccia sulla ringhiera e aspirò profondamente un tiro, espirandolo poi in cerchi di fumo imperfetti.
Qualche secondo dopo arrivò Teri, preceduta da una tazza di cioccolata fumante. «Ti amo» mormorò affiancandosi a lui. Un amore travolgente, impreziosito da una grande complicità l’uno con l’altra. Si erano conosciuti tre mesi prima e non si erano più lasciati, neanche per un attimo. Contemplavano quel panorama abbagliante di montagne, pini, laghetti verdi, il tutto arricchito da sole e cielo limpidissimi. “Banff”, Canada, avevano quasi terminato un mese di ferie, trascorso nella più assoluta tranquillità in questo splendido posto turistico.
«Buona giornata signori, state forse tubando?… Disturbo?» Era Omar, amico, compagno e collega perpetuo di Ken.
Omar Woodson, trentotto anni ma ne dimostrava cinquanta. Di statura medio bassa, si presentava con un fisico robusto, forte, dinamico; quattro capelli, tenuti e curati in maniera assillante, completavano una fisionomia ordinaria, senza eccessi. Di carnagione chiarissima, aveva tentato di abbronzarsi con qualche lampada, ma si era sempre ustionato in maniera tragica, da febbre e bolle. Felicemente single, abitava in un piccolo e caotico appartamento di due locali, nei paraggi di quello dell’amico.
I tre avevano condotto a buon fine la caccia ad un maniaco omicida seriale. Quasi tre mesi di indagini e inseguimenti, attuati in varie parti del pianeta. Terminate con l’uccisione dell’assassino, da parte di Ken, con un proiettile nella testa. Essendo stati criticati dagli alti ranghi del dipartimento, avevano deciso di dare le dimissioni e aprire un’agenzia investigativa per conto proprio.
Era l’otto settembre 2008, a Banff, nelle montagne rocciose, iniziava in forma ufficiosa l’autunno. Sulle cime più alte faceva la sua apparizione la prima neve. I boschi di castagni e querce abbozzavano un colore rosso di foglie attempate e cascanti per l’arrivo della stagione fredda.
«A che ora parte l’aereo?» chiese Omar malinconicamente.
«Alle nove di stasera» rispose Teri ancor più giù di tacco.
Si sentivano affranti, il mese di ferie si era volatilizzato in un batter d’occhio. Avrebbero dovuto tornare nella grande mela ad affrontare tutte le prassi necessarie per aprire l’agenzia privata di investigazioni.
«Mi piacerebbe vivere qui per sempre» soggiunse malinconicamente Ken.
I gesti e le parole dei compagni approvarono pienamente la sua affermazione.
Dopo colazione iniziarono a preparare svogliatamente i bagagli. A mezzodì pranzarono con delle pizze accompagnate con birra.
«Uffici, clientela, licenza; non sarà così facile!» esclamò Ken, assorto nelle preoccupazioni per il nuovo lavoro.
«Non ci converrà restare nell’FBI?» chiese Omar sgranocchiando il trancio di pizza.
«Dopo lo schifo di trattamento che ci hanno affibbiato?… Non se ne parla proprio!» esclamò Teri e proseguì «ci daremo da fare con forza, determinazione. Apriremo questa agenzia costi quel che costi, abbatteremo tutti gli ostacoli!»
Le parole della donna sollevarono il morale e dilatarono il coraggio.
Alle tre di pomeriggio arrivò il taxi; caricati i bagagli, partirono per Calgary.
«Arrivederci» mormorò Ken adocchiando la splendida cittadina di Banff che spariva alle loro spalle.
L’aereo decollò alle nove e trenta di sera. Cinque ore di viaggio e atterrò all’aeroporto di New York verso le tre di notte. Con un taxi si avviarono alle rispettive abitazioni. Quando entrarono in casa, Ken e Teri innestarono senza indugio il climatizzatore; il termometro digitale segnava trenta gradi e un’umidità del sessanta per cento. La differenza di clima tra Banff e la grande città era abissale. «Non mi sarei mai aspettato tanto caldo!» borbottò Ken grondante di sudore.
«Cosa pensavi? Siamo in estate, inizio settembre, il fresco nelle pianure è ancora un sogno!» esclamò Teri rinfrescandosi sotto la bocchetta dell’aria condizionata. L’uomo si preparò un’aranciata con ghiaccio, sprofondò nella sedia in velluto blu, accese una sigaretta e iniziò a riflettere su come imbarcarsi nel futuro lavoro.
Omar, dal canto suo, si stava sorbendo una limonata con ghiaccio, seduto su una giacca gettata malamente sul divano. Non aveva climatizzatore e la casa, chiusa ormai da un mese, era diventata una fornace.
Alle dieci di mattina Ken si svegliò, approntò il caffè e lo servì subito alla compagna, intenta a sonnecchiare. La musichetta della radiosveglia intonava un tango argentino, dando alla casa un tono allegro. L’uomo aprì i battenti di tutti i locali, facendo entrare i potenti raggi solari estivi.
Tempo di vestirsi, e partirono verso il dipartimento con la vecchia Mercedes grigio topo di Ken.
Appena giunti, si recarono immediatamente nell’ufficio di Snorkel.
Peter Snorkel, detto ‘il capitano’, era il capo della omicidi. Un uomo burbero, di tarda età, sui cùentodieci chili di peso. Un’ottima forchetta, fatta trapelare da un viso rotondo e un fisico altrettanto. Perennemente sudaticcio, s’incappellava con capelli scuri, presumibilmente tinti.
Li accolse con grande calore. I tre, nelle indagini sull’assassino seriale, avevano taciuto la sua collusione col malfattore. Il capitano aveva coperto i crimini del maniaco, non per sua volontà, ma per questioni di parentela e di ricatti perpetrati da quella persona malvagia, quindi, non portava né peccato né colpa. Qualche minuto dopo arrivò anche Omar, trafelato dal grande traffico cittadino intensissimo a quell’ora del mattino.
Ken si aspettava una domanda dal grande capo, che puntualmente arrivò «siete sicuri di volervi dimettere?»
«Assolutamente sì!… Siamo stati bistrattati, ci avrebbero anche retrocessi di carriera se non avessimo agguantato quel delinquente!» rispose Teri alterata.
Snorkel si grattò la testa e s’incupì «penso che abbiate pienamente ragione, e solo… ehm…, mi dispiace perdere dei collaboratori così validi, senza contare la mia riconoscenza nei vostri confronti per avermi evitato la galera.»
Omar gli mise una mano sulla spalla e soggiunse «non
l’abbiamo fatto per bontà, Peter, ma per giustizia, eravamo perfettamente al corrente dei ricatti che stava subendo.» Il capitano, senza proferir parola, aprì l’armadietto ed estrasse una bottiglia di whisky puro malto invecchiata dieci anni. Prese i bicchierini in cristallo e li riempì «alla vostra nuova carriera di investigatori privati» disse ingurgitandone il contenuto. I tre, adocchiandosi, brindarono insieme a lui.
«Si tratta bene Peter, quel whisky era ottimo» commentò Omar all’uscita del palazzo. Suonava mezzogiorno in punto, decisero di pranzare nel solito ristorante di fronte al distretto. Il tempo si stava guastando, troppo caldo, troppa umidità, un forte temporale si affacciava su New York. Si sedettero ad un tavolino e ordinarono del coniglio in umido. Dopo qualche istante entrò Snorkel, subito invitato da Ken a sedersi con loro. Nel ristorante imperava la solita calca di agenti FBI, intenti a mangiare e discutere dei problemi di lavoro. Un vociare costante che accompagnava il rumore esterno dei tuoni, sempre più frequenti. «Penso proprio di potervi aiutare» spiattellò Snorkel sorseggiando il vino.
«In che modo?» chiese Ken incuriosito.
Il capitano aggrottò la fronte e iniziò ad esporre il suo pensiero «per questa famigerata agenzia investigativa, avrete bisogno degli uffici, della licenza e della clientela.»
«Sono d’accordo con lei, vada avanti Peter» rispose Omar facendosi portavoce degli altri due. «Bene» proseguì Snorkel «ci sono dei bellissimi uffici liberi a pochi isolati da qui con un affitto bassissimo, dovrete solo visionarli ed eventualmente bloccarli. Per quanto riguarda la licenza, ho molte conoscenze, ve la posso far procurare in tre giorni dal giudice federale, è un mio ottimo amico. La clientela non è un problema, sono o non sono il capo della sezione omicidi?» I tre annuirono sempre più allibiti, Snorkel continuò «ogni giorno vengono al distretto personaggi che chiedono l’indirizzo di una buona agenzia investigativa, ovviamente la priorità sarà la vostra.»
«Se facesse questo, le saremmo eternamente grati» disse Teri al colmo della contentezza. «Se facessi?…» ribadì Snorkel e continuò «consideratelo già fatto, devo pur sdebitarmi in qualche modo.»
Per quasi un’ora proseguirono a colloquiare con il capitano su come mettere in pratica il loro progetto. Si fecero anche dare l’indirizzo degli uffici menzionati, con l’intenzione di visitarli nel primo pomeriggio.
«Tre giorni e la licenza sarà a vostra disposizione» terminò Snorkel congedandosi e avviandosi verso l’uscita del ristorante.
Il forte temporale aveva scaricato la sua ira, portando via l’afa e abdicando per un clima terso e asciutto. Verso le tre entrarono nell’agenzia immobiliare. Un largo signore, intorno al quintale di peso, si presentò con un sorriso smagliante «piacere di conoscervi, sono il titolare dell’agenzia. Ho avuto rapporti telefonici con il capitano Peter Snorkel, mi ha enunciato il vostro interessamento agli uffici da affittare due isolati più avanti.»
Dopo una risposta positiva, ritirò le chiavi e li invitò a seguirlo. Quando arrivarono sul posto restarono allibiti: non era un palazzo, ma bensì una villa di due piani peraltro molto grande. Completamente cintata, si ergeva in un piccolo giardino invaso da arbusti fioriti e piccoli pini argentati, molto bello. In mattoni a vista, faceva intravedere una rampa di scale che scendeva nel sottosuolo, presumibilmente conduceva nei box e nelle cantine.
Omar si avvicinò a Ken e bisbigliò «ho l’impressione che ci spareranno un affitto da infarto!» L’amico non rispose, si limitò a fissare Teri, esprimendole telepaticamente lo stesso pensiero. La donna rise, cercando di minimizzare e di nascondere la medesima preoccupazione dei compagni. «Nel seminterrato ci sono box e locali lavanderia, a piano terra gli uffici e sopra due appartamenti» spiegò il titolare dell’agenzia.
Pavimenti in ceramica bianco ghiaccio in tutte le stanze, pareti tappezzate in paglia di riso color grigio medio. I trecento metri circa degli uffici erano sezionati in sette locali, divisi da serramenti in alluminio anodizzato completamente a vetrate. Sul soffitto di ogni vano, due lunghe lampade al neon elargivano la loro intensa luce. Era tutto completamente arredato, mobili, scaffali, porta computer, scrivanie, persino porta biro e portacarte.
«Ok…, potremmo visitare il piano sopra?» domandò Ken.
L’agente immobiliare annuì e si fece seguire. Intrapresa una rampa di scale in marmo, arrivarono in un ballatoio con due porte, «quella a sinistra è l’entrata dell’appartamento più grande, di tre locali. Quella a destra di quello più piccolo, di due» espose l’uomo. Visionarono il primo: due camere da letto, soggiorno composto da sala e salotto, bagno grande e cucina abitabile. Il tutto per circa centoventi metri quadrati, tutti arredati con gusto. Pavimenti in parquet scuro, a parte la cucina in ceramica verde brillante, e muri ricoperti da tappezzeria in carta monocolore. Un ambiente luminoso e piacevole. Qualche attimo dopo entrarono nell’altro appartamento. Identico al primo, ma con una camera da letto in meno, per un totale di circa ottanta metri quadrati.
Visionati gli alloggi, furono accompagnati nel seminterrato. Tre box grandi, due lavanderie e due cantine per un totale di trecento metri quadrati.
«Vogliamo parlare di prezzo?» domandò Ken aspettandosi una stangata.
«Tremila dollari mensili» propose l’uomo.
Teri prese il libretto di assegni e borbottò «mi sembra un po’ caro! Duemilasettecento e l’affare è fatto. Tre mesi di cauzione e tre di affitto anticipati.»
Sapeva che la cifra richiesta era stracciata per una villa del genere, ma tentò scaltramente di ridurla.
Il titolare immobiliare restò silenzioso per qualche minuto «e va bene,… ehm…, facciamo duemilaottocento» disse grattandosi la testa.
La donna pagò subito con assegno bancario «è un prezzo abbastanza elevato, ma accettiamo» mentì sapendo di aver fatto un affare.
«Vi preparo il contratto di sei anni più altrettanti di proroga, se verrete in agenzia domani a ritirarlo, ve ne sarò grato» soggiunse l’uomo dando le chiavi a Ken e andandosene.
«Una bazzecola, una sciocchezza, un affitto da fame!» esclamò Omar saltando dalla gioia.
«A prezzo di mercato, per una villa del genere, avremmo dovuto spendere almeno sette, ottomila dollari mensili!» ribadì Teri con aria di assoluto trionfo.
«Non dovrai più stare fuori al ghiaccio, non soffrirai più il freddo e il caldo, sarai protetta, ti sentirai una regina» spiattellò Ken recitando con aria poetica.
Gli altri due lo guardarono con sospetto, «ma di chi stai parlando?» chiese Omar allibito. «Della mia Mercedes!»
«Al diavolo!» affermò Teri scherzosamente.

[continua]


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