Nostalgia del racconto

di

Bruno Longanesi


Bruno Longanesi - Nostalgia del racconto
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Narrativa
15x21 - pp. 438 - Euro 17,00
ISBN 978-88-6037-7838

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In copertina Sonnenuntergang in Afrika © sk_design – fotolia.com


Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l’autore è segnalato nel concorso letterario «J. Prévert» 2009


A mia moglie


Prefazione

Bruno Longanesi, con “Nostalgia del racconto”, presenta una voluminosa raccolta di trenta racconti che spaziano dalla sfera sentimentale a narrazioni che si riferiscono a vicende della Seconda Guerra Mondiale, da suggestioni legate al tema della montagna, una delle passioni dell’Autore, fino a giungere a racconti dove regna il divertissement con visioni oniriche e surreali.
La peculiarità della scrittura di Bruno Longanesi deriva dal fatto che scandaglia le vicende della realtà vissuta e del recupero memoriale, ne coglie le contraddizioni, le innumerevoli sfaccettature e i paradossi, fissando le incertezze e le fragilità dell’essere umano fino a spingersi ad analizzare le minime percezioni di visioni che riportano ad una concezione della vita che deve essere osservata con “occhi nuovi”, con uno sguardo che parte dall’animo.
La sua parola riesce a penetrare con estrema finezza psicologica nelle forme dell’esistenza, nelle manifestazioni della vita quotidiana, nei ricordi del tempo passato, nelle storie divertenti o nei ricordi struggenti recuperati dalla memoria senza mai perdere il collegamento con quel filo sotterraneo che unisce l’intero corpus dei racconti che sono costantemente pervasi d’un senso di profonda umanità anche se messi a dura prova da vicende sofferte e tragiche, da vicende esistenziali impensabili che, sovente, sono ammantate da visioni fantasiose con una costante considerazione sui paradossi e le antinomie della vita e da una forte vena creativa che ne esalta i contenuti.
Bruno Longanesi, con mano sapiente e grande attenzione, scrive le “sue storie” e mette sul tavolo una narrazione sempre interessante, sempre capace di ammaliare con parole che colpiscono il cuore e, al contempo, di creare e proporre nuove prospettive d’osservazione.
Ecco allora dipanarsi il ricordo struggente del ritorno al paese natio come un “richiamo ancestrale” a cui non si può sfuggire, con la lirica immagine degli alberi di platano vicini al chiosco della stazione, i “grandi alberi” che lo hanno accompagnato per un periodo della sua vita per essere poi tagliati durante il periodo della guerra ed ora non rimane che il “dolce e piacevole ricordo”; proprio come il sommesso ricordo giovanile delle volate in bicicletta con l’amico Vincenzo, la sua bontà d’animo che sarà spezzata dal tragico evento della strage alla stazione di Bologna; poi, la figura d’una donna che, da cinquant’anni, riceve un misterioso telegramma il giorno del suo compleanno e scoprirà che lo “sconosciuto” è un suo compagno di classe che ha provato un amore profondo ed intenso per lei ma non ha mai avuto il coraggio di confessarglielo; e ancora, la vicenda d’un uomo che ha operato e salvato un giovane extracomunitario e, dopo una promessa a cui non può venir meno, decide di andare a trovarlo nella sua terra d’origine, un’oasi nel deserto sahariano che gli offrirà, come dono della vita, un viaggio in una oasi della mente; e ancora, come un incontro casuale su un treno, sarà l’inizio di un amore immenso e assoluto tra un uomo e una musicista; o ancora, il racconto, intenso e profondamente riflessivo, d’un uomo che, a causa di una grave malattia, ha ancora poco tempo da vivere e si trova a fare i conti con l’idea della morte ma “sente” che l’unica via salvifica è la ricerca d’un senso della vita.
Bruno Longanesi, con questi interessanti racconti, offre una chiave di lettura al suo sentire, profondo e commovente, nonché regala un complesso affresco che fa della “nostalgia del racconto” l’emblema di un’umanità che riporta ai “valori fondamentali” dell’esistenza.
La sua scrittura non concede spazio alla retorica ed ha la capacità di trasformare le vicende quotidiane e le storie di persone “come tutti noi”, in racconti sorprendenti, dimostrando, nelle occasioni della vita, un talento nel cogliere e leggere lucidamente l’anima degli uomini.

Massimo Barile


Nostalgia del racconto

…E se l’avvenire dell’albero e il suo progresso verso l’alto sono sopra la terra, le radici sono sotto la terra…
E ciò significa che l’avvenire è alimentato dal passato.
Guai a coloro che non coltivano il ricordo del passato: sono persone che seminano non sulla terra ma sul cemento…
E il “Racconto”, spesso è la “nostalgia del passato”, ma…

“SE TU PRETENDI DI SCRIVERE E TI SFORZI DI PIACERE A TUTTI, FINIRAI CHE NON PIACERAI A NESSUNO…”


IL TELEGRAMMA

“La speranza è il solo bene che è comune a tutti gli uomini,
e anche coloro che non hanno più nulla la possiedono ancora…”
(Talete)

Maria aveva faticato molto ad addormentarsi la sera prima ed ora, appena sveglia, ricordò il motivo del suo turbamento, una vera e propria agitazione, una inquietudine che la pervadeva: era il giorno del suo compleanno.
Non era una ricorrenza gradita perché troppi ne aveva celebrato di questi anniversari per desiderarne un altro con entusiasmo.
Ma la ragione del suo nervosismo era di diversa natura: aspettava, con ansia, un “rito” che si ripeteva, ormai, da oltre cinquant’anni e cioè l’arrivo del… “telegramma”!…
Era un avvenimento, un’emozione, un’eccitazione per lei!…
Ad ogni anniversario del suo compleanno, il portalettere le consegnava, immancabilmente, un telegramma: un misterioso telegramma!
Lei l’apriva con trepidazione, da oltre mezzo secolo, sperando di trovare, ogni volta, la firma del mittente: ma c’era scritto sempre e solo l’unica parola: “AUGURI”!…
Chi era l’ignoto mandante che, con incredibile costanza, si ricordava di lei in quel giorno particolare, inviandole quel gentile pensiero?…
Non era mai riuscita a svelare il mistero perché quel piacevole foglietto proveniva, sempre, da località diverse, in forma anonima e sempre e solo con quella dolce e delicata parola.

Si vestì in fretta e incominciò ad aspettare.
Era ancora presto, di solito l’“augurio” le perveniva verso mezzogiorno.
La prima mattinata passò abbastanza velocemente: aveva sempre tante cose da fare in casa, come conseguenza della sua innata pignoleria.
Maria viveva da sola in quella casa da quando il marito l’aveva abbandonata e la figlia si era sposata andando ad abitare in città.
Verso le undici incominciò a trepidare, a guardare spesso l’orologio: ogni momento era buono per sentire la scampanellata del portalettere.
Cercò di mascherare quell’eccitazione rivolgendo l’attenzione alle incombenze che avrebbe dovuto sbrigare nei giorni successivi, ma sentì, più frequenti, gli effetti delle scariche di “adrenalina” che precedevano quell’aspettativa, quello stato stimolante ed elettrizzante che infiammavano, sempre, quelle inebrianti “attese”.
Notò che, questa volta, stava rivolgendo con più insistenza e con più ansietà lo sguardo alla pendola di cucina e che le “lancette” le sembrarono lente più del solito.
Si rese conto che il suo “pensiero” non poteva essere distolto da quell’avvenimento, quindi, cercò di ingannare l’attesa rammentando il “cerimoniale”, un vero e proprio rito, che stava per rivivere e iniziato tanti e tanti decenni prima, addirittura da quando lei era ancora una giovane studentessa…
La mattina del 9 novembre, di molti anni indietro, oltre agli auguri dei genitori, parenti e amici, ricevette un “telegramma” in cui lesse, per la prima volta, quella espressione augurale che poi doveva ripetersi per tutti gli anni seguenti.
Per tutto quel tempo si era chiesta chi fosse quel devoto sconosciuto autore di quella affettuosa gentilezza, di quella amabile galanteria, di quella delicata parola!…
Era rimasto un mistero, un inesplicabile arcano che, per lei, era diventata una dolce attrazione, un allettante e seducente omaggio alla sua femminilità, un augurio gradito, un tenero “regalo” sotto forma di affettuosa e delicata carezza!…
Ed ora era in trepida attesa dell’augurio irrinunciabile!…

Mezzogiorno!…
Stava con l’orecchio attento ad ogni minimo rumore.
Il portalettere era in ritardo?…Oppure era già passato oltre senza che avesse qualcosa da consegnare?…
Ebbe un tonfo al cuore: possibile che dovesse proprio interrompersi, in quell’anno, il più gradito momento della sua giornata di “festa”?…
All’improvviso provò una strana sensazione: in quell’attimo percepì, come un fenomeno telepatico, che il campanello della porta stava per squillare.
Fu questione di secondi e sentì, nitidamente, il suono acuto e chiaro del pulsante che lei, coi sensi, aveva avvertito in anticipo.
Si sentì felice!
Andò ad aprire: era, come aveva previsto, il portalettere che le porse una busta.
Una lettera?…
La sua sorpresa fu tanto evidente che il ragazzo, notando questo suo turbamento, le disse: “Signora… prenda… questa lettera è proprio per lei…”
“Ma… ma non c’è altro?…” chiese Maria con meravigliato stupore.
“No… signora… questa e tutta la posta per lei, oggi…”
E il telegramma? … Come mai non c’era il telegramma dopo… dopo mezzo secolo? …
Maria prese la busta, guardò l’indirizzo: era veramente il suo?
Cercò nel retro il mittente: nulla!
Una viva emozione, una agitazione, si impossessò di lei prima di aprire quella busta.
Poi, subentrò una specie di inquietudine ansiosa perché pensò che, con tutta probabilità, dentro quel documento, c’era la spiegazione del prolungato “mistero”! …
Di colpo riprovò quella inspiegabile, enigmatica sensazione esoterica di pochi minuti prima, ed ebbe l’impressione che qualcuno, nel suo profondo intimo, le sussurrasse dolcemente, con tenerezza, quasi come un soffio: “Aprila, Maria!” …
Aprì tremante la busta, con ansia e apprensione.
Dentro c’era un foglio scritto fittamente, con bella calligrafia, lineare, chiara e semplice.
Allora Maria si sedette, intuendo che la situazione era estremamente delicata e che, quel foglio, era per lei la “chiave” di tutta una esistenza trascorsa in affettuosa attesa…

“Carissima Maria…” così incominciava la missiva “…penso che andrai subito a cercare, in fondo alla lettera, il nome del mittente che io non ho messo, volutamente, perché quando avrai terminata la lettura saprai bene chi sono!…
“Non l’ho neppure datata, non era necessario: io, ora, sono ormai fuori dal tempo terreno e quando leggerai il mio scritto io non sarò più in vita!…
“Spero vivamente che l’“ignoto della morte”, quell’oscuro e sconcertante mistero che ci circonda, mi conceda di essere, spiritualmente, al tuo fianco nel momento della lettura… Ne sarei felicissimo! …
“Io ti ho conosciuta nei banchi di scuola, al liceo, mezzo secolo fa…
Eri una ragazza meravigliosa, stupenda, incantevole, indubbiamente la più bella della classe e tu lo sapevi questo, lo sapevi benissimo!…
“Tutti ti corteggiavano apertamente nel tentativo di ottenere la tua simpatia… Io no!…
“Io non ti ho mai corteggiata, Maria!… Non potevo!… Non dovevo!…
“Ma anche se non ti ho mai fatto la corte come gli altri, incominciai subito a nutrire una grande ammirazione per te, una attrazione fisica e spirituale… un affetto che andò aumentando, giorno dopo giorno, e che si tramutò, ben presto, in travolgente amore… sì Maria…incominciai ad amarti da allora, senza potertelo manifestare! …
“Era riservatezza, timidezza, la mia?… Anche!…
“Ma c’era un motivo ben più valido e terribile per me perché nascondessi i miei sentimenti: avevo la coscienza delle mie fattezze, della mia goffaggine, della mia sgraziata bruttezza, ero, insomma, il più brutto di tutto il corso!
“A questo punto mi sono firmato!…
“Avrai capito bene chi ti scrive, Maria cara!…
“Io ti ammiravo in silenzio, il mio sguardo era spesso rivolto al tuo nella speranza di incontrarlo, anche solo per un istante. Ero consapevole che quei penetranti e meravigliosi occhi che mi sfioravano di sfuggita, erano uno strumento di tortura in quanto alimentavano sempre più, dentro di me, quel sentimento impossibile!…
“Io li ricordo quegli occhi: accesi, ardenti, brillanti, espressivi che, indirizzati a me, passavano fuggenti e mi sfioravano appena, esprimendo indifferenza!…
“Io rammento di te ogni particolare, ogni situazione che ci permetteva di stare vicini, di parlarci, anche delle cose più banali…
“Rammento i nostri colloqui: uno in modo significativo mi è rimasto impresso.Un giorno noi due parlavamo insieme di Leopardi, il mio autore preferito (e tu immagini il perché, vero?). Ti dissi: “Io lo capisco quel poeta sognatore… parla più col cuore che col cervello… la sua deformità ha permeato la sua vita di tristezza, di malinconia, di infelicità, ma lo ha elevato spiritualmente, rendendolo un gigante del pensiero e io lo sento tanto vicino a me…”
“Tu, Maria, capisti subito il “concetto”, mi guardasti con tanta dolcezza e mi rispondesti, prendendomi delicatamente una mano: “Tu sei il migliore di tutti i nostri compagni… loro sono tutta vanità, poca intelligenza e poco cuore… tu invece… io ti ammiro, Emilio!”…
“Emilio”… Credo sia stata la prima, e l’unica volta, che mi hai chiamato per nome…
“Sì… forse mi ammiravi, Maria… può darsi… ma io capivo che il tuo sentimento non avrebbe potuto andare oltre una stima, una vaga ammirazione, un apprezzamento… purtroppo, non avrei mai potuto sperare in qualcosa di più!…
“Quando seppi la tua data di nascita, decisi di ricordare ogni anno il tuo compleanno con qualcosa che scaturiva dal mio cuore… una parola sola: “AUGURI”!…
“Era una parola che racchiudeva il mio sincero sentimento che, col tempo, andava sempre più rafforzandosi tramutandosi in intenso amore!… Sì… Maria… “Amore”… una parola che ero certo non avrei mai potuto esternarti.
“Allora, la mia sentimentale “dichiarazione” si tradusse in quell’augurale parola!…
“Il telegramma era sempre senza firma!… Perché avrei dovuto firmarlo?…
“Un tuo “grazie”, freddo e di circostanza, avrebbe troncato in me tutti gli affascinanti e fantastici sogni dei quali mi ero circondato e che alimentavano la mia speranza.
“Un tuo riconoscente e formale ringraziamento avrebbe paralizzato ogni slancio, ogni entusiasmante impulso e le irreali speranze, le mie malinconiche e illogiche illusioni, sarebbero andate spezzate e disperse per sempre.
“Il mio “sogno” sarebbe svanito in un attimo e la realtà avrebbe fatto crollare la mia triste e infelice esistenza!… Mi capisci, Maria?…
“Così, invece, con quella parola quasi infantile, ho continuato ad alimentare la mia dedizione per te, ho “nutrito” la mia vita sostenendola con una specie di miraggio, ho cullato una illusione proibita ma ardentemente desiderata!… Sì… avrei potuto parlarti, manifestare i miei sentimenti, ma ho sempre avuto la certezza che ciò avrebbe potuto frantumare ogni mia illusione, come era prevedibile e inevitabile!…
“Io, per te, ero un ragazzo da “ammirare” non da “amare”, mia adorata Maria!…
“L’amore ideale e spirituale che provavo per te era un sentimento nobile, elevato, puro e non poteva essere scalfito dagli eventi della vita; non poteva essere esposto al rischio di essere ferito da un umiliante, quanto naturale, disinteresse da parte tua.
“Avrei perso ogni “speranza” in quel mondo spirituale che la mia mente aveva costruito e che dava senso alla mia vita.
“Tu, Maria, hai dato uno scopo, una aspirazione ai miei martoriati giorni!
Il mio pensiero ti ha sempre “accompagnata”, con molta discrezione e riserbo, in tutti i fatti della tua esistenza: dalla giovinezza ad oggi, che sei una meravigliosa signora dai capelli bianchi!
“Il tuo fidanzamento con Piero, il “bello” della classe, il tuo successivo matrimonio con lui, la tua maternità: tutti eventi che ho seguito con molta partecipazione e, non ti nascondo, con tanto struggente rimpianto e infinita tristezza.
“Ho vissuto quegli avvenimenti della tua vita dal mio isolato piedistallo e non ti nascondo che hanno sconvolto i miei sentimenti. Comunque, ho continuato ad amarti, Maria, sempre!
“Ho invidiato Piero, lo confesso, come ho provato un patetico compianto, in cuor mio, per la tua decisione di sposarlo…
“Lo conoscevo bene, Piero: vacuo, futile, frivolo, superficiale, incapace di veri sentimenti e, infatti, col tempo, si è dimostrato quello che era in realtà.
“Non credo, Maria, di offenderti dicendoti queste cose, tu le hai dovute esperimentare…
“Avrei voluto metterti in guardia a suo tempo, non solo per gelosia, ma per aiutarti in nome dell’affetto, del bene, dell’amore che ti portavo.
“Ma come potevo intervenire, io, praticamente uno “sconosciuto” per te, dopo la parentesi scolastica?… Con quale diritto?…
“Ricordi, Maria, che qualche volta ci siamo incontrati per… “caso”?… Non era un caso, no!
“A distanza di anni entravo, talvolta, in qualche negozio dopo essermi accertato che eri entrata anche tu… Quegli incontri erano improntati alla massima… “sorpresa”, vero?… Questo credevi tu! Invece li avevo programmati dopo averti seguita con molta discrezione, per poterti vedere da vicino, parlarti, stare qualche minuto con te.
Tu ti mostravi cordiale nei miei confronti, io, per l’emozione, ero più contenuto.
Una volta parlammo dei fatti della nostra vita e, ricordo bene, tu mi chiedesti:
“Sei ancora un… “Leopardi”?…”
Io, per timidezza e, per mostrarmi cinico, risposi: “A vivere senza amore, si diventa cattivi!” Una frase senza senso, in quel contesto, ma non riuscii a trovare di meglio.
“Su… su… non scherzare!…” rispondesti tu, con quel dolce sorriso ammaliante.
“No!… Maria, non scherzavo affatto!…
“Se tu avessi potuto leggere nel mio cuore avresti capito il sentimento di dolore che mi ha accompagnato per tutta la vita; avresti conosciuto la mia sofferenza, la disperazione, la tristezza nobilitate dall’amore delicato, tenero, che provavo per te; ti saresti resa conto del mio dramma: il netto contrasto fra un’anima sensibile e un corpo meschino che la imprigionava e la costringeva a nascondersi. A nascondersi per illudersi!…
“Sì…Maria, anch’io ero il “passero solitario”, il malinconico uccelletto così ben descritto dal Leopardi, pieno di solitudine e di infelicità, per una esistenza sterile, priva di amore e di ogni conforto affettivo!… Solo il tuo continuo pensiero mi dava la forza di vivere… “Pensando a te trovavo la gioia per alimentare il mio eterno ed effimero sogno che si riassumeva in quella parola che ti inviavo ogni anno: “AUGURI!” Sì… Auguri, Maria!…
“Sai… quante volte volte, nella mia immaginazione, ho pensato a quella delicata leggenda scandinava che vuole dare una spiegazione materiale all’amore?…
La tradizione nordica riferisce che il buon Dio divise in due le mele e stabilì che una metà del frutto fosse trasformata in “donna”, l’altra metà in “uomo” e distribuì, queste mezze mele, a caso, sulla terra…
“La leggenda racconta che diverse volte, le due parti tagliate, si incontrano e l’amore diventa perfetto nella ritrovata unione, ma molte volte non riescono a incontrarsi, nella loro vita. Allora Iddio provvede a ricongiungerle lassù, dopo la loro esistenza terrena!…
“Maria cara, la mia immaginazione ha fatto sì che io abbia sempre creduto che tu fossi la mia mezza mela ma, per i motivi che ti ho detto, non ho mai osato rivelartelo!.
“Quanta presunzione, dirai tu!… È vero!… Perdonami!… Ma sono vissuto illudendomi!…
“Ora è troppo tardi ma, sappi, che son qua che ti aspetto!…
“Maria… è giunto il momento di concludere questa mia lettera.
“Avrei tanto voluto mandarti, anche quest’anno, il “telegramma” ma non mi è stato possibile: il destino non mi ha concesso di arrivare a quella “data”.”
“La mia esistenza terrena si è conclusa in anticipo.”
Ho incaricato un amico carissimo di farti pervenire questa lettera nel giorno preciso del “nostro appuntamento” annuale.
“Egoisticamente, ho voluto farti sapere quanto ti sono stato vicino e quanta gioia hai dato alla mia vita!…
“Mi hai regalato uno dei doni più preziosi che esistano al mondo: la speranza!
“Io ho sempre desiderato di poterti confessare, un giorno, il mio amore sincero senza il timore di un tuo rifiuto.
“È venuto questo momento e ti offro questo amore, ininterrotto da cinquant’anni, come ringraziamento per il conforto che il tuo pensiero mi ha sempre procurato!…
“Maria!… Vorrei che il mistero della morte, nella sua inesplicabilità, portasse con sé anche questo privilegio: poterti “vedere sempre”, esserti vicino come un soffio vitale che sopravvive al corpo, per continuare ad amarti nell’eternità!…
“Io ho creduto nei valori spirituali e ho creduto anche che l’uomo si trasformi, dopo la morte, in una forza incorporea, eterea, evanescente, alimentata dall’amore che il corpo ha sprigionato in vita, per poter essere, per sempre, vicino a te e percepire insieme l’immortalità.
“Tu sei stata quello “spirito”, quel respiro che ha permeato la mia vita terrena!…
“Arrivederci, Maria, amore mio carissimo!”

Per alcuni anni sulla tomba di Emilio vi rimase sempre posata una rosa rossa!…
Poi, improvvisamente, anche questo segno d’amore sparì!…

La “mezza mela” si era congiunta con l’altra metà… lassù!…

[continua]

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