Il corvo
Nell’autunno, il sole all’orizzonte sulle langhe immergeva la chiesa dal massiccio portone di legno in una luce dorata. I capelli di Diana brillavano come oro, così vicini e immensamente lontani.
Lontano, un corvo si levava sui campi ancora a mezzo tra il castano e il verde scuro.
Lo seguii con gli occhi. Non era che l’ultimo viaggio cui mi apprestavo quello disegnato dalle ali del corvo. Sono passati lunghi gli anni, ed i giorni lontanissimi e vuoti hanno fatto di me quello che sono. Niente di particolare, a dire il vero. Impiegato nella migliore fabbrica d’armi del mio Paese d’adozione, ho sposato un corpo le cui fattezze erano abbastanza desiderabili.
Mio figlio frequenta una buona scuola, ha una moto, un cellulare e una ragazza. Sono un fervente sostenitore della nostra democrazia, non ho mai ignorato che i sacrifici sono necessari per il buon andamento dello Stato e dell’economia. Le sterminate file di persone che non possono pagare la degenza in ospedale non hanno alterato quella tranquilla determinazione che mi ha reso l’uomo che sono, mi ha regalato una posizione e una moglie.
Oggi, mentre percorro in automobile il lungo viale bordato d’alberi tra le cui foglie splende la luce, rivedo lo stesso sole di tanti anni fa, di quando un ragazzino ingenuo piegato dalla sua timidezza non riusciva a dichiararsi ad una compagna di classe. Sciocchezze, in fondo. Ed allora perché non riesco ad allontanarle dalla mia mente; perché accelero anziché fermarmi dinanzi alla mia casa con giardino?
Più oltre, non c‘è che una lunga autostrada, ed ancora oltre, solo il nulla.
Tra i campi che ormai scorrono ai lati della strada, si alza contro il sole calante un’immagine nera.
Vola contro il sole, lo stesso sole che indorava il legno sereno nella sera, nell’aria che imbruniva. Perché proprio oggi dovevi tornare, corvo?
Hanno riunito in sacchi mortuari i pezzi dei cadaveri dei bambini saltati sulle mine. Le nostre mine. Nessuno ha incolpato noi del fatto, i nostri atti di vendita sono legali; io stesso li ho controfirmati. Non hanno neppure contestato che gli ordigni a saturazione siano vietati. Il governo li ha utilizzati, noi non c’entriamo, li abbiamo solo prodotti.
Erano molti i sacchi neri; impossibile dire quanti. Nessuno tiene conto dei bambini morti. Erano infiniti i sacchi neri.
Neri come le piume del corvo che seguo verso il tramonto.
Non esiste un confine da oltrepassare, né un termine cui giungere. Non sono le villette fuori dell’abitato, in lontananza, che piangono in silenzio, che sto fuggendo, ma il mio tempo. Quanto lontano dovrò arrivare per rivedere splendere la vita, corvo? Tu non dovresti portare la morte?
È scesa la notte, ma continuo a vederti. Sono già morto, ormai, avrei dovuto capirlo tanti anni fa; dimmi, è eterna la morte dell’anima?
Le paludi dei miei ricordi diventano sempre più confuse; non ricordo il nome di mia moglie. Ho un figlio o è stato tutto solo un incubo prima della fine? Non ho nulla da dire, non ho fatto altro che quello che il mondo ci impone. Il nostro mondo. Vola, corvo. Non importa della mia morte.
Sono trascorse lunghe nella notte illuminata da una strana luna vie che non avevo mai visto.
In fondo alla notte, oltre le stelle del mondo, ora intravedo qualcosa; dove mi trasporti, in quale luogo e in quale tempo?
Brillano d’oro i capelli di Diana contro il legno lucido del portone della chiesa. Il sole all’orizzonte inonda il mondo del suo ultimo oro calante.
Il corvo è scomparso. Non so se la mia esistenza sia terminata in uno schianto. Qui, nel mondo della morte, ho ritrovato la mia vita.
Ricordi
Di questi tempi, occorre prudenza parlando di terrorismo, non si sa mai, potrebbero rinchiudervi e buttare via le chiavi prima di aver sentito le vostre ragioni. Ma è di un gruppo di terroristi (o almeno così ci hanno definiti) che faccio parte, per cui sarebbe difficile eludere l’argomento e spiegare perché sia qui, in questa cella chiusa al sole che incendia il mattino chiaro al di fuori.
Molti mi chiedevano che cosa ci trovassi in Susan. Probabilmente avevano ragione, ma io non ho cambiato idea. Mi piace ancora. Così come mi piacevano la sua voce ordinaria, i suoi capelli castani, i suoi modi bruschi e il suo parlare come uno scaricatore di porto. Che ci volete fare, sono fatto così. Però quella sera in cui l’oscurità cadeva leggera sui poggi lei era davvero splendida davanti al fuoco e la sua risata era come la notte e tutte le stelle del cielo.
Direte che sono romantico; avete ragione, né io saprei spiegarmi bene altrimenti perché sia finito in un buco di casa da quattro soldi stipata come un libro in uno scaffale troppo pieno tra le fila delle costruzioni popolari. Ma d’estate, col cielo limpido, le domeniche sembravano quelle della mia infanzia, ed insieme salivamo lungo la strada grigia ad aspettare il tramonto che indorasse la cima degli alberi come un quadro autunnale. Insomma, eravamo molto felici.
Molte sere passarono così. Diverse primavere, ognuna col suo irripetibile profumo, ci videro insieme. Susan non era cambiata. Alla fine dello scorso inverno, il gelo mordeva ancora freddo lungo le pendici dei monti. La città si era acquietata sotto gli scrosci che si erano riversati sulla costa bagnata da un mare profondo come la notte. Nel quartiere circolava meno gente, ma l’aria era pulita e tersa. Almeno, così pensavo.
Non credevamo di essere migliori o peggiori degli altri, si sa che spesso due persone abituate a vivere insieme coltivano una speciale ammirazione, o un particolare disprezzo, nei confronti del genere umano – non era il nostro caso, comunque, poiché ogni alba ricostruiva la leggera trama dei sogni che condividevamo, ed il resto, francamente, poteva aspettare al di là dei confini della nostra vita. La risata di Susan era fragrante come l’odore del pane fresco. Ed il freddo era piacevole da sopportare tra le cascate di luce che si riversavano sulle montagne.
Fu in quel periodo, comunque, che tornando a casa trovammo nella cassetta delle lettere un invito per la presentazione di un libro sul Tibet e la sua condizione attuale. Era per la domenica successiva, per cui andammo, anche se credo fummo gli unici a non utilizzare il foglio per usi più domestici. Per una volta rinunciammo alle nostre passeggiate in fondo alla primavera, e mi chiedo oggi se sia stato un bene – ma è inutile, non credete anche voi? In fondo all’angolo della biblioteca, mentre un gentile relatore esponeva le sue ragioni e ridisegnava per noi qualche meraviglia che sembrava persa, un uomo osservava attentamente la platea, e quando Susan al termine rivolse un paio di domande lo vidi scrivere fitto sul suo taccuino. Al ritorno, rivedo ancora adesso il cielo, ora che le mura mi costringono ancora per poco alla tortura della prigionia, ne parlai con Susan, ma lei rise con la sua voce fresca, bassa e roca, amichevole come il legno.
L’indomani sera, dopo il lavoro, la rividi attraverso i vetri mentre ritornavo per la strada sporca. Appena entrato, mi accorsi di essermi dimenticato dell’invito che Susan aveva fatto a quell’uomo mite dallo sguardo color del cielo. Parlammo fino a notte.
L’indomani la casa era accerchiata quasi fosse diventata l’abitazione di una strega. Non ricordo bene, adesso, quel che successe nei dettagli. Fummo portati via.
Credetemi pure un ingenuo; non so ancora per quale motivo, né adesso, dopo due anni, qualcuno ha azzardato a spiegarmi qualcosa in questa prigione straniera in cui sono stato portato per una sorta di competenza o di estradizione. Credo che Susan sia nell’altro ramo della prigione, perché almeno una cosa è chiara: anche se questa gente mi priva della luce e dell’aria che posso respirare solo una mezz’ora al giorno, ammanettato, di sicuro ha un suo certo senso della pudicizia. Niente commistioni!
Ieri finalmente è entrato nella mia cella stretta e scura un uomo che parlava la mia lingua. Mi ha comunicato che sarò giustiziato domani per mezzo della sedia elettrica.
Ricordo molto vagamente i pochi minuti durante i quali un giudice mi ha letto qualcosa di incomprensibile; tutto questo ormai non ha più importanza.
Ma una cosa è certa; io e Susan non potremo rivedere l’incanto della prossima primavera.
Phoenix
Quel giorno, il Generale de Gaulle avanzava su un mezzo militare scoperto in mezzo alla folla. Parigi era libera, finalmente. Il clamore della ressa, assordante, un coro di risa ed urla che si sperava avrebbero presto cancellato l’orrore dell’occupazione nazista.
I colpi d’arma da fuoco esplosero in sordina, uomini si lanciarono contro quel pericolo che giaceva come una vipera fra l’erba, come il veleno al fondo del calice; ma il generale non si piegò, non si voltò neppure, continuando a sfilare tra la folla acclamante. Era troppo al di sopra degli avvenimenti per lasciarsene sopraffare, e l’Europa intera apprese che il vento può essere benevolo.
Ma era la tempesta dell’incubo e dell’inferno quella che di lì a poco l’Enola Gay liberò su Hiroshima. Dicono che gli uomini si fusero con l’asfalto, lasciando ombre nere al posto dei loro corpi, che il cielo si incendiò come paglia, bruciando ogni cosa ed ogni vita al di sopra della città, senza lasciare degli uomini nemmeno un brandello.
L’inferno non muore mai. Cambia solo il campo di mietitura; la biada sono le vite umane, il sangue è la bevanda di Satana.
Si alzarono grattacieli con il prezzo dei bambini evaporati nella luce infernale. Dovunque il coraggio fu svenduto per acquistare una parte di potere. Amico, fino a che punto sei arrivato.
La speranza fu uccisa in ogni spirito; sulla sua tomba non porteranno fiori. Si incenerivano come sabbia nera allo stesso modo sogni e uomini.
Le stelle caddero dal cielo in una sola notte.
Vennero costruiti imperi per perpetuare l’igiene della razza, ed il nuovo ordine mondiale fu innalzato sotto la bandiera della libertà, per poter utilizzare le razze inferiori, al di là di un mare immenso. I brindisi col Nemico non furono interrotti; l’assorbimento del potere assoluto richiedeva continui sacrifici umani, cerimonie senza incomprensioni. E il nuovo ordine fu forgiato, noi schiavi sotto la razza dominante.
Presero le donne e le violentarono, gli uomini furono ridotti a vegetali, i bambini resi incapaci di vivere. Non più di sessant’anni, ma oggi il potere di coloro che hanno cooperato con Hitler nei suoi massacri beve alla stessa coppa di sangue di Satana, per la pace e la sicurezza del mondo.
Case e famiglie vennero infrante. La luce non entrava più dalla mia finestra lucente e viva come un tempo.
Lo sforzo, l’inganno, l’onore, sono stati sconfitti. Lo sforzo umano contempla un fiore dei prati tra le sue mani. La sconfitta in battaglia.
Ogni giorno i difensori della libertà scendono in un combattimento che non è fisico ma spirituale, feriti nell’anima e nel corpo, al limite della loro forza, in nome della vita.
Ed ogni volta sono spronati dall’ultima speranza che non sia vano. Nell’attesa della resurrezione oltre le fiamme dell’unico simbolo che non può consumarsi nel fuoco dell’inferno, risorgente come la fenice dalle sue ceneri.
Scintillano le armature del quindicesimo secolo. La fede, ultraterrena o metafisica, solleverà il velo di fiamme per la resurrezione.
Quel giorno, le ceneri giacevano morte. John decise di affrontare il pericolo come il suo idolo, coraggiosamente e fiero. Ma non aveva la forza e la fortuna del Generale. In quella data, una speranza in più venne sacrificata. Una vita contro il grosso rischio di perdere il potere assoluto, conquistato a spese di cittadini inermi, cavie della nuova razza inferiore, non era un che un minimo prezzo da pagare.
Ma la Fenice non può essere uccisa, come l’arcobaleno del deserto di Sonora, è fuoco e calore, unica della sua specie perché nessun’altra è l’essenza della speranza.
Una speranza che noi tutti possiamo volere e far risorgere dalle oscure ceneri dell’aldilà, con la nostra passione, il nostro pensiero, la parte di noi che è capace di alterare leggi dettate dal potere temporale, in realtà l’ultimo ad essere in grado di controllarci contro la nostra volontà...
Vola, Fenice delle stelle rinate, rendici al fuoco segreto, puro come l’eterna giustizia. Vola, più in alto dei campi di sterminio, delle atrocità che ordite da anni impongono la loro falsa giustizia a un mondo malato.
Vola e ritorna come una tempesta di fiamme scatenata dalle tue ali per ripristinare la vita, e con te sia ogni nostra benedizione quando infine il tuo fuoco spirituale si alimenterà dei nostri pensieri, sentimenti, del nostro volere; e la tua resurrezione non lascerà che un campo pulito e finalmente libero dai crimini inumani.
Fenice, fuoco, amore e furia, rivivi e brucia.