Solo con me stesso

di

Giampaolo Chiarelli


Giampaolo Chiarelli  - Solo con me stesso
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
12x17 - pp. 88 - Euro 10,00
ISBN 9791259513021

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In copertina: «Il galletto» dipinto dell’autore


Può capitare che, per una ragione o per l’altra, o anche senza motivo, si voglia scrivere una qualche memoria di alcuni episodi e momenti della propria vita.


Solo con me stesso


1. Pensieri del momento

È appena iniziata la primavera del 2020. Dopo parecchi anni che scrivo, e ho già pubblicato qualche libro, sono arrivato ad un punto dove mi è necessario soffermarmi a riflettere. Il trascorrere della vita, tutto questo tempo che è trascorso… In breve un pensiero di questo momento è che dire la verità su sé stessi raccontando, può comportare delle critiche anche impensate.
Di cose sulla mia vita ne so anche troppe, però non vorrei dilungarmi a raccontarle, avendo l’idea, come altre volte in passato, di riprendere per un po’ questa attività di scrivere. Soprattutto non vorrei raccontarle in modi troppo particolareggiati.
Dato che parto con l’idea di dire una certa quantità di cose, fino magari a farne un libro, non lungo come al solito, devo dire che riguardo a ciò che possa essere un libro ho le idee che può avere tanta gente. Ho letto saggi di critica, so che in materia ci sono tante distinzioni quanti sono gli argomenti che si possono affrontare narrando.
Comincio il mio discorso in questo modo, semplicemente. In generale non ho avuto, non ho esperienze eccezionali da raccontare. Le mie sono pagine di modeste sensazioni, non ho vinto premi letterari. Non sono più, se mai prima lo ero, un giovane di bella presenza, tanto entusiasta della vita. Sono di modesti natali. Non ho avuto relazioni importanti con donne famose che mi abbiano portato fortuna. Non ho trovato degli sponsor che mi abbiano sostenuto nel mondo dell’editoria. In politica sono uno che non conta molto e così via dicendo. Ma ho voluto scrivere cose che avevo in mente di dire, da persona libera. Come sto facendo in questo momento.
In fondo che cosa può significare oggi un libro, un racconto? Tutto e niente, le librerie ne sono piene. Comunque può sempre essere ritenuto una testimonianza.
Andando in una libreria non è molto facile trovare un’opera da leggere adatta al momento, perché negli scaffali ci si trova a cercare tra migliaia di copertine e di frontespizi. Per avere informazioni precise potrebbe essere necessario chiedere a commesse o ad altri incaricati. Potrebbe poi prospettarsi l’eventualità d’imbattersi non in un libro ma in un quasi libro, oppure addirittura in un non libro, per dirla con parole di Cesare Zavattini.
Fatti di un certo numero di pagine, di capitoli che danno un’idea sugli orientamenti e la cultura di un autore, i libri lasciano, per fortuna, la libertà di leggerli oppure di non leggerli, se non suscitano interesse o curiosità, e magari di regalarli a qualcun altro.


2. La ragione

Qui sono comprese osservazioni riguardanti aspetti di varie vite, della mia e della vita di altre persone, sul tracciato di una storia in filigrana che procede a frammenti e momenti, senza un ordine apparente.
Un kitsch e tendenzialmente una sorta di pot-pourri insomma, a dirla in questo modo. In senso lato, volendo, anche una sorta di romanzo, se pur breve, se si considera soprattutto il fatto che è scritto in una lingua romanza o neolatina.
Pot-pourri: alla lettera una pentola, un vaso anche di fiori, però imputridito. Imputridito? No di certo, perché sul piano dello stile il termine ha utilizzazioni alquanto migliorative. Nell’arte culinaria per esempio pot-pourri indica un piatto di carni stufate, accompagnate da verdure scelte.
Nell’oggettistica indica una composizione di vari oggetti, che può richiamare alla mente un insieme di fiori profumati. In letteratura, e anche sul piano della musica, pot-pourri indica una produzione eterogenea di materiali anche di ripiego, messi insieme in un motivo conduttore per portare ad effetti particolari, secondo le caratteristiche che si vogliono imprimere alla composizione.
Non so bene per quali motivi io abbia pensato a scrivere un pot-pourri. Di certo scrivo queste pagine per me stesso, prima di tutto, e allora potrebbero anche bastare. Non escludo che questo insieme di pagine possa essere ritenuto una stranezza fuori luogo, quanto a contenuti. Ma certamente riguarda questo anno 2020 nel quale sto scrivendo. In passato esempi di questo genere di opere ce ne sono stati diversi, anche di autori famosi. Quindi vado tranquillo, se pure a volte mi sembra di aggirarmi nell’ambito di un mistero.


3. Un famoso poeta

Se dico che da ragazzo, a Milano, ho avuto occasione di vedere di persona Eugenio Montale che camminava lungo via Manzoni, parlo di un’esperienza che può essere capitata a tantissima gente. Ma se racconto che ho avuto occasione di parlare proprio con Montale potrei essere considerato un raccontapalle, uno che s’inventa delle cose per darsi un’aria d’importanza. Non ho dati a sufficienza per documentare l’evento, non fotografie, non sequenze filmate, non registrazioni di ciò che ci si è detto, niente di scritto su carta da considerare come prova.
Il fatto è, però, che Eugenio Montale io l’ho incontrato davvero, e gli ho parlato per circa mezz’ora, da studente al secondo anno di università, per la laurea in lettere del Magistero. Riferisco qui alcuni appunti di diario che risalgono alla metà di maggio del lontano 1971.
Ero già stato a trovarlo, nella sua casa di via Bigli, a Milano, dove viveva con la fida domestica Gina, nel 1965, appunto quando ero al secondo anno di corso.
Per molti Eugenio Montale era già da tempo un mito, non solo perché sue poesie erano incluse in antologie ad uso delle scuole, ma perché suoi articoli erano alla portata di tutti in quanto pubblicati sul “Corriere della Sera”, per il quale lui scriveva. Per me più che un mito era un poeta senz’altro molto importante, autore di Meriggiare pallido e assorto, Spesso il male di vivere, Non chiederci la parola, e di altre poesie già divenute famose.
Avevo sentito dire da una compagna di corso che in quegli anni prima del ’68, critici per la poesia, Montale era disposto a sentire il parere anche dei giovani, e fu per la confidenza di quella compagna d’università che mi venne la curiosità di telefonargli per un colloquio.
In quella prima conversazione gli avevo detto che mi sarebbe piaciuto scrivere, magari dei libri. Non avevo parlato di poesie. Mi aveva risposto che si trattava di un lavoro quasi proibitivo. Era necessario un lungo tirocinio di letture e traduzioni. Traduzioni ed esercizi, ma soprattutto traduzioni. Una conversazione breve ma che mi fu d’incoraggiamento. Un Montale che non incuteva soggezione, democratico avrei potuto dire.
Ma quel giorno del maggio 1971, la seconda volta che avevo ottenuto di parlare con lui, quasi mi mancavano le parole da dire. Nella stanza dove mi diede udienza era seduto sulla stessa poltrona, moderna al pari dei mobili che arredavano la stanza stessa, collocata nella stessa posizione, mi pareva. Aveva addosso una giacca da camera che pareva la giacca di un pigiama. Fumava sigarette, le Giubek, parlava spesso ad occhi chiusi e aveva dei tic nervosi, soprattutto agli occhi.
Gli parlai di due racconti che avevo portato con me. Avrei voluto sapere che cosa ne pensava e glieli lasciai. Li ripose in un mobile e mi disse che entro un mese avrebbe potuto darmi un suo parere. Per l’occasione mi fece molte domande, sicché pareva che a intervistarmi fosse lui.
Venne a sapere che mi ero laureato e che adesso avevo delle motivazioni maggiori riguardo allo scrivere. La mia tesi aveva come oggetto uno studio su Scipio Slataper, scrittore ed eroe dell’irredentismo italiano, morto in guerra sul Carso nel dicembre 1915. Adesso insegnavo italiano e storia in un Istituto serale per ragionieri e geometri, a Legnano. Mi ero iscritto ad un corso di perfezionamento in filologia romanza e moderna alla Catto-lica, la stessa università dove mi ero laureato. Stavo raccogliendo notizie per un articolo su Virgilio Giotti, poeta in dialetto triestino e allora lui mi chiese se ero assistente di Ines Scaramucci, docente di storia della letteratura italiana moderna e contemporanea, appunto alla Cattolica.
– Virgilio Giotti l’ho conosciuto personalmente – mi disse, e aggiunse che Giotti non era poi tanto quell’anima semplice che poteva sembrare leggendo le sue poesie, ma una persona molto colta. Sempre parlando di poesia arrivai a chiedergli informazioni riguardo a Satura, il suo nuovo libro di poesie uscito da Mondadori quello stesso anno. Doveva essere il 15 o il 16 maggio 1971. Disse solo poche parole, forse mi riteneva troppo giovane per comprendere le ragioni profonde di quell’opera.
Piuttosto se non ricordo male volle sapere come fosse la mia vita di prof in tempi difficili anche per la scuola come gli anni ’70 (il 1968 degli studenti e degli operai era trascorso da poco tempo e c’era ancora aria di bufera).
Al termine del colloquio ebbi l’impressione di aver parlato con un uomo sempre molto affabile e comprensivo, quasi paterno, per niente burbero, che probabilmente si ricordava ancora di me, nonostante fossero passati più di cinque anni.
In ansia di sapere che cosa pensasse dei miei racconti, dopo forse dieci giorni gli ritelefonai. Ma doveva essere di cattivo umore perché mi rispose che potevo andare a ritirarli, aveva altre cose da fare.

[continua]


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