“Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente.”
(Fernando Pessoa)
Un pianto stanco m’ha taciuto
tra le tue labbra, oltre idee che nascondono i corpi.
Sguardi, addii, tremori svaniti; chiesi un perché,
un ruolo da mimare e parole da coprire.
Penso adesso lontano, penso un saluto sorridente,
come il poeta penso piano; due schiene non si abbracciano.
Coagula in perle
di lucente splendore
il mio scuro sangue
che da sempre attende vita
da chi può donarla.
E solo quando le tue mani
saranno rosse come occhi d’uccello
potrai urlare d’avermi ammazzato
e il battito delle mie ali
sarà nebbia dispersa dal vento.
Nulla resta
d’un disordine incantato
che innervosisce il cenacolo
ove io tentai di nascere.
Mai mi informasti in qualche modo
di non esser stato invitato
a quell’ultima cena notturna,
ed ecco perché non capivo
il senso di quel bacio
e ancor di più
il senso del tuo addio.
Attendevi che dal cielo
cadesse una stella
per implorargli un tuo volere.
Arrivai senza forze,
senza frasi ti voltasti
e il tuo sguardo fu per me.
Allora e solo allora
da un frammento di buio
nacque e morì una scia di luce
che io riuscì ad amare
e la preghiera
che aspettavi di recitare
divenne mia, e te con lei.
Miracolo dei corpi
durato quanto Cristo
impiegò a risorgere.
Anche tu fosti inganno,
quell’averti fu bugia
alla quale ancora credo,
come credo a questi chiodi
che battono sulle mie mani
e sul mio costato.
Quando ti dissi,
la mattina dopo
il nostro ultimo abbraccio,
che avevo dimenticato
gli anni corsi assieme
e chi tu fossi,
non capisti che iniziavo
a piangere acerbo terrore di vuoto
e solo mi lasciasti vivere
il ricordo dell’intimo addio.
Tante volte ho sputato
affanni di pensieri moribondi
barcollanti sul pallido volto
di chi mai tornerà ad amarmi.
Ma tu, tu che mai dicesti
di voler stringere la tua vita alla mia,
tu che mai riuscisti ad amarmi,
tu che mai ci riuscirai…
tu hai fissato il mio sguardo
e hai finto che la mia bocca
potesse solo baciarti.
Si ripeteva il gesto
In un posacenere sporco
E la porta d’ingresso
La porta d’ingresso fa rumore
Poi l’asimmetria dei tuoi gesti
Quella bruttezza che annulla
E fa vanto di sguardi.
Donna che fissi il mare,
tu che hai paura del cielo;
Donna che tremi per amore,
l’oro che pesa sul tuo corpo
ancor non basta a placare
i tuoi pigri sussurri.
Ogni anello che ti stringe le dita
è solo ricordo di un uomo incontrato,
è solo ricordo di un uomo baciato,
è solo ricordo dell’uomo sposato.
Da quando il tuo anello preferito
ha iniziato a stringerti i fianchi
fino a farti cessare il respiro,
non distingui i tuoi pensieri
dall’angoscia e dalla passione
che ultime attendono il tuo seno.
Seno che sfiorai con vergogna puerile
e che divenne fuoco per allontanarmi,
che divenne ali per allontanarti.
Aspettami
lì dove ti lasciai
prima che la mia anima bruciasse,
prima che il tuo corpo volasse.
Aspettami
ancora sulla spiaggia,
ancora fissando il mare,
ancora temendo il cielo,
ancor tremando per me.
Aspettami
finchè l’egoismo,
figlio dell’insicurezza dei miei giorni
e della superbia dei miei incontri,
muoia con il mio sguardo,
muoia col mio sorriso.
Allora potrai non aspettarmi più,
ma so che ancora lo starai facendo
quando il mio ultimo pensiero
e il mio ultimo sospiro
saranno per le tue labbra
e per il mio rimorso.
CORPI D’UNA NOTTE
Buio,
il sussurro in un orecchio
fa nascere brividi.
Sfiorarsi…
Il luccichio degli occhi
nell’oscurità dell’amore.
I nostri profumi
che si uniscono.
Stringere forte tra le mani
le lenzuola.
Oltre il letto
il nostro nulla.
Poggiare di colpo
la testa sul cuscino.
Guardarsi negli occhi
tentando di conoscersi
come mai prima
come mai più.
Ascoltare per un po’
il riposo del corpo…
Alzarsi e farsi luce
con l’imbarazzo di un addio.
Nevrotico e impetuoso
il mare possiede il galeone
sapendo d’essere imbattibile.
Trema pirata
battendo le dita su quel legno
per sentir che il corpo esiste
e anche se non sai che ne sarà
delle tue bagnate spoglie,
avrai capito che mai più le tue mani
toccheranno quel sudato tesoro.
Trema poeta
baciandola un ultima volta
per sentir che il corpo esiste
e anche se non sai che ne sarà
del confuso mare
che porta a sé il fragile galeone,
avrai capito che mai più le tue mani
sfioreranno quell’immenso tesoro.