Gianpaolo Ripamonti - Fremiti
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 40 - Euro 8,00
ISBN 9791259513571

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In copertina: fotografia dell’autore


Prefazione

Un amico mi chiede di scrivere una premessa al suo libro di poesie. A me che non sono poeta – anche se a volte mi sono divertito privatamente coi versi – che mi occupo di sociologia – forse la scienza che di più esalta la dimensione prosaica – e che non so di poesia, se non per quei ricordi che ancora mi accompagnano dal liceo; se non per la diretta conoscenza di un collega che oltre ad essere sociologo è anche poeta. E che mi ha insegnato come la poesia possa illuminare anche il lavoro e la riflessione di chi si occupa di studiare la convivenza tra gli esseri umani, offrendole una nuova opportunità di sguardo. Uno sguardo attento al quotidiano o, meglio ancora, alle “piccole cose”. Gianni Gasparini, il poeta di cui sto parlando, crede profondamente e ama dire, citando Simone Weil, che le “piccole cose” possono essere prefigurazione di quelle grandi.
Non c’è cornice migliore in cui incastonare questa raccolta di poesie. Con Fremiti Gianpaolo Ripamonti ci consegna e ci apre uno scrigno in cui con amore sono custoditi piccoli luminosi gioielli, semplici ed elaborati allo stesso tempo, antichi e sobri, per questo sempre attuali, sempre equilibrati e raffinati. Gioielli personali, ma anche di famiglia, di una famiglia grande, unita, ma che ha conosciuto anche grandi dolori.
Questa raccolta ha anche le sembianze di un altro contenitore: quella “scatola delle foto di un tempo” che chi appartiene alla mia generazione – quella degli attuali cinquantenni – ha avuto ancora modo di conoscere, di scovare nella soffitta o nell’armadio dei propri nonni. Sono immagini, quelle ivi contenute, che, con il bianco e nero o il seppiato, con le pose, gli abiti e luoghi che su di esse sono immortalati, ci parlano di un mondo che oggi non esiste più e che però, nella mente e nel cuore di chi ha fatto in tempo a viverne e toccarne gli ultimi margini, si è impresso indelebilmente rimanendo forse la misura di tutto ciò che dopo è venuto. Così era per mia nonna, così è per Ripamonti. Così per certi versi lo è anche per me. Questo paese, Ripamonti, lo ha fatto esplicitamente oggetto di una delle poesie qui contenute Il paese che non c’è più ma esso è praticamente presente in ogni lirica, esplicitamente o implicitamente, come quella culla e quel grembo che hanno dato forma a un certo modo di pensare, di sentire, di scrivere.
Un’altra immagine che mi sovviene e che ben descrive nel loro insieme le poesie di questo florilegio è quella del bouquet di fiori, che ci fa passare dalle immagini alle fragranze, agli odori. Abbiamo detto che l’io poetante di Ripamonti si colloca entro il perimetro di un paese, ma con maggior precisione lo possiamo frequentemente collocare, realmente o metaforicamente, in un giardino. L’aria in cui Ripamonti si muove è densa di essenze che hanno il profumo delicato e allo stesso tempo sensuale della primavera, delle sue gemme e dei suoi fiori e che, per chi cammina in quella stagione per le vie di un paese, ne costituiscono l’inconfondibile “colonna olfattiva”: glicini, mughetti, gelsomini. Sono quelli che si sprigionano nelle prime ore del mattino, quando il sole inizia a diffondere calore, e che poi accompagnano fino alle luminose serate di giugno, passate all’aperto. Sono come, dice Ripamonti, il lenzuolo fresco con il quale è bello avvolgersi nel proprio letto, magari dopo una notte inquieta. Sono momenti di pienezza intermittente, promessa di una felicità futura, per la quale non sempre, però si ha la vocazione. Sì perché comunque nelle liriche di questa raccolta, anche se spesso sottotraccia, l’inquietudine, il lato “oscuro” della quotidianità emerge, anche solo nel tempo di un brivido. E Ripamonti alla fine è, come tanti, un cercatore di felicità, guidato da una sensibilità rara e a volte estrema che non deve essere confusa con la mera nostalgia perché è piuttosto una grana – decisamente fine – dello spirito. Una ricerca entro una attesa messianica che a volte – non farò altri riferimenti – evoca qualcosa del Montale degli Ossi di seppia e include le poesie di Ripamonti nella sfera di un “sacro quotidiano”, pienamente laico, pienamente religioso, che si concede ma allo stesso tempo si sottrae.
L’animo e l’anima di Ripamonti, che in queste liriche si mettono a nudo, sono come la superficie di un lago costantemente increspata dai piccoli eventi emotivi della vita di tutti i giorni e che possono scaturire, come accadeva a Proust con la sua madeleine, dalla semplice percezione multisensoriale di un dettaglio. E quando l’acqua si increspa si fa cangiante e ciò che è chiaro diventa scuro, come anche il viceversa. Questi sono appunto, nella mia lettura, i fremiti che danno il titolo a questa collezione.
Viviamo nella “società dell’immagine” ma siamo sempre più anche una società di parole, che paradossalmente dona alla poesia una nuova attualità, anche solo per il bisogno di senso ultimo e di spiritualità di cui l’essere umano contemporaneo ha oggi particolarmente fame. Scorrendo i feed dei social, si moltiplicano gli inviti a concorsi poetici, potenzialmente rivolti a chiunque. E anche la pratica del Poetry Slam, che rivisita la poesia in chiave di show e di challenge, porta il suo contributo alla causa.
D’altro canto, c’è da essere davvero grati a Ripamonti per averci offerto i suoi fremiti e con essi la possibilità di incontrare ancora una poesia intima e candida e per questo coraggiosa.

Milano, giugno 2025
Fabio Introini


Fremiti


“Dirai, così. al tuo bambino
di proteggere il suo cuore:
è lì, infatti, che potrà capire
che la voce di Dio
è solo amore”.


Alla mia mamma Anna, a mio papà Alfredo


Un caro ringraziamento a mia nipote Beatrice e alla collega Diana Scarponi che mi hanno spronato a pubblicare questa raccolta, visto che non sono un buon giudice di me stesso.

Gianpaolo Ripamonti


ALLA FINE DI UN LAVORO

Il carminio di un sole amico
che pian piano s’addormenta all’occidente
e che ridona speranza al cielo
nuovo di primavera,
s’accosta ai miei passi 
peregrinanti verso il luogo
dove ristorerò i miei pensieri
nella passione di un cuore
trovato e forse perduto
ma sempre caro all’anima.

T’ammiro 
come quel sole che pennella
tinte forti all’orizzonte
e ricama d’ardori piacevoli
ogni cosa, 

e ti ringrazio
per avermi aiutato ad alzare il viso
per ammirare il destino di ogni cosa.
Fato, che ognuno potrebbe
annerire
ma che nessuno
ha il diritto di sottrarre
alla sincerità di un sentimento.


ALL’IMBRUNIRE

Un sospiro giunga sulla tua guancia
e accompagni il sogno
che ancora non hai compiuto.
Sognare è lieve,
è il medicamento
di ogni fragilità.

E il lume della candela
della tua infanzia
s’avvolga nel tuo cuore
come la coperta di un angelo,
quello che tutti
vorrebbero abbracciare…

per ritornar fanciulli
alle soglie di una notte natalizia,
in cui la delicatezza del Divino
accompagni l’anima
verso la dolcezza
di un onirico sollievo
nelle pieghe
di ricami fiabeschi.


AURORA

Il canto dell’uccello notturno
volge ormai all’ultima nota e
trascina con sé
l’aria mite e profumata
che, timidamente, s’insinua
nell’atmosfera incantata del giardino,
ancora spoglio.
I primi bagliori del cielo tinteggiano lieti
l’ingresso del nuovo sole,
dopo che la notte buia,
coi suoi tormenti
e i suoi misteriosi fantasmi,
ha lasciato mesta la scena
ai novelli germogli dell’alba.
Dolce s’apre il cuore del giusto
alla placida armonia,
che i primi fremiti di luce
tracciano decisi sui tetti delle case.
E, candidamente, l’anima,
s’immerge nei sapori
intensi del nuovo mattino
per vivere,
di nuovo.


ETERNITÀ

Sento il silenzio di una notte d’estate
e ho bisogno di tuffare la mia mente nei ricordi.
A volte sono ferite quelle che stracciano l’anima,
a volte, sono coltri di fresche lenzuola
che rivestono il cuore.
Ma il mio pensiero più bello
è rivolto al bene che ho dato e che ho ricevuto.
Quello riempirà di profumo
lo spazio d’amore che m’attende
quando avrò sciolto l’ultima stilla di vita.
E lì m’accaserò
nel dolce silenzio del canto eterno.


FIABA

In questa giungla d’asfalto
dove anche i pensieri più gentili s’appiccicano al reale,
c’è ancora una scarpetta di cristallo da provare,
c’è ancora una carrozza che t’aspetta,
c’è sempre una mezzanotte che rintocca
e, soprattutto, c’è ancora una Cenerentola con cui ballare…


IL MIO CUORE AL VENTO

Ho detto “Ti amo” al vento,
unico pertugio
per non soffocare di solitudine.
È come scrivere ad un’ombra:
una donna
che ormai s’è dissolta nel tempo.
E questo mio amore
che si dibatte nell’anima
si scompone
nell’assoluta mancanza di certezze
che solo chi crede nei miraggi
riesce a coltivare nell’orizzonte.
Il resto è solo attesa…


IL PAESE CHE NON C’È PIÙ

La macchina dei ricordi 
sviluppa ologrammi di sole,
profumi di giardini immacolati 
e cullati come figli,
sapori di festa, 
intingoli di storia che non si sentono più.

Le domeniche d’aprile,
quando tutto faceva capolino,
si riempivano dello schiocco delle bocce,
dei calici ridenti dei lavoratori in festa.
Risate di uomini felici
e contenti del poco.

E quel sole giallo
non si stancava mai di abbracciare
animi, gioie e passioni.

Quelle sere, poi, 
avevano i colori di paste colorate
che riempivano d’ultima allegria 
i rimanenti sprazzi di ciò 
che lasciavan le campane
prima di ricomporsi negli abiti feriali 
pregni di fatica, di sudore
ma di speranza per tutti.


LA DOLCE CALMA DELLA SERA

Il selciato muto della piazza,
imbevuta nei profumi
delle povere spezie dell’orto,
tinteggiata dai riflessi vermigli
di un tramonto fiabesco,
riporta trame di saghe e leggende
tra i vecchi camini del paese
che sonnecchia già
dopo i fumi cocenti dell’estate.
Sospira la sagoma d’un uomo
che con le mani
abbandonate nelle tasche
s’immerge nel respiro gentile
del vespero ricomposto,
mentre alzando gli occhi
all’austero campanile,
contempla nel suo cuore disilluso,
l’ebbrezza dell’aromatico
profumo della pace,
nella dolce calma della sera.


LA MEMORIA

Ho sempre sognato
di stringere una stella
sul mio cuore.
E fu così
che quella stella
mi fu consegnata
tra le nebbie
e i fumi di TEREZIN
Ma non era esattamente
ciò che sognavo…
Eravamo in tanti
nel grigio pantano
che incorniciava i miei giorni.
Le mie speranze
si tracciavano nei disegni
che nascevano da quegli spiragli di luce
che filtravano tra baracche scolorite
Mi osservavano le guardie
come fossi un animale da circo,
forse non si ricordavano
che un tempo
erano stati bambini
proprio come me
e come me
avevano condiviso
la purezza del grembo materno.
Appena potevo
rivolgevo lo sguardo al cielo
e chiedevo al firmamento
una stella vera
da incastonare
nel mio cuore
desideravo
un’anima luminosa
che portasse un po’ di bene
e di speranza
nella mia persona
ormai disadorna.
E lascerò a loro
la scelta di un perdono
che io, al momento,
non riesco a concepire
nel mio piccolo cuore.
So che un giorno
ciò avverrà,
se non per me
per chi mi avrà compresa.


LE PAROLE NON SONO FACILI

Un sogno,
un desiderio intrappolato nel passato,
scolpito nelle nebbie della mia giovinezza,
dialogo con un destino mai incarnato,
sussurro che è rimasto incompiuto
e appeso ai rami del silenzio.
Chissà se il lieve orizzonte
renderà questo immenso dono,
solo per un sorriso,
quasi il povero anelito
di un’anima dimezzata
che siede su una panchina
e attende
con lo sguardo proteso
alle pieghe dell’universo
e aspetta dolcemente
una parola sola
da restituire a una gioia sospesa
nei ricordi di una vita lontana.


MAGIA DI UNA NOTTE D’ESTATE

La finestra tace nello scuro colore della notte,
oggi non si sentono cantare le cicale,
forse hanno perso i loro colori.
Lievi rumori salgono dal giardino
e si polverizzano nel profumo del biancospino
che rinnova le lenzuola del fresco silenzio.
Gli occhi s’alzano al firmamento
per specchiarsi nelle stelle che ritornano a fulgere
innamorate della gentil frescura del bosco vecchio.
E il mio cuore s’avvolge degli antichi aromi
bussando a fatue speranze che ormai
rivolgono altrove il loro verso
per vergare nuovi romanzi
che più non m’appartengono.

[continua]


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