BIG SUR – UNO
Le campane della chiesa stanno suonando una triste Kathleen (*) portata dal vento che soffia sugli slums a Skid Row quando mi sveglio completamente distrutto e con la bocca impastata, tutto un gemito per l’ennesima sbronza e soprattutto per avere rovinato il mio rientro segreto a San Francisco sbronzandomi come un idiota, infrattato nei vicoli coi barboni, e marciando poi su North Beach per vedere tutta la banda malgrado Lorenzo Monsanto e io ci fossimo scambiati lettere sterminate stabilendo che sarei arrivato alla chetichella, l’avrei chiamato al telefono usando un nome in codice come Adam Yulch o Lalagy Pulvertaft (scrittori anche loro) e poi lui mi avrebbe portato segretamente in macchina alla sua baita nei boschi di Big Sur dove sarei rimasto solo e indisturbato per sei settimane, limitandomi a spaccare legna, attingere acqua, scrivere, dormire, camminare eccetera eccetera – E invece sono finito sbronzo fradicio nella sua libreria City Lights nel pieno del casino del sabato sera, tutti mi hanno riconosciuto (anche se mi ero mimetizzato con berretto e giubba da pescatore e calzoni impermeabili) e la faccenda finisce in una strepitosa bisboccia in tutti i bar più famosi, il dannato «Re dei Beatnik» è tornato in città e offre da bere a tutti – Due giorni così, inclusa la domenica, il giorno in cui Lorenzo doveva passarmi a prendere alla mia pensioncina “segreta” a Skid Row (la Mars, all’angolo della Quarta con Howard Street) ma quando bussa non risponde nessuno, allora si fa aprire la camera dal portiere e cosa di vede? me strafatto sul pavimento in mezzo alle bottiglie, Ben Fagan allungato a metà sotto il letto e Robert Browning il pittore beatnik sul letto, che russa – Allora pensa: “Passerò a prenderlo il prossimo weekend, suppongo voglia farsi una settimana di bevute in città (come fa sempre suppongo)” e se ne va senza di me alla sua baita a Big Sur convinto di fare la cosa giusta ma santo Iddio quando mi sveglio, e Ben e Browning sono spariti, dopo essere riusciti chissà come a buttarmi sul letto, e sento I’ll Take You Home Again Kathleen suonata così tristemente dalle campane nella nebbia e nel vento che soffia sui tetti della magica vecchia Frisco dei postumi da sbornia, wow, ho proprio toccato il fondo e non riesco manco più a trascinare la mia carcassa fino a un rifugio nei boschi, figurarsi reggermi in piedi un altro minuto in città – È la prima volta che me ne vado da casa (casa di mia madre) da quando è uscito Strada il libro che mi ha “reso famoso” e in effetti sono tre anni che impazzisco per la valanga di telegrammi, telefonate, richieste, lettere, visite, giornalisti, ficcanaso (mentre sto cominciando a scrivere una storia un vocione dalla finestra del seminterrato grida: DISTURBO?) o quella volta che un giornalista è piombato nella mia camera da letto mentre ero lì in pigiama che cercavo di trascrivere un sogno – Ragazzini che scavalcavano i due metri di steccato che ho fatto costruire intorno al cortile per restarmene in santa pace – Combriccole armate di bottiglie che urlano alla finestra del mio studio: «Vieni a sbronzarti con noi! Tanto lavoro senza divertimento per il povero Jack è un rincoglionimento!» – Una donna bussa alla porta e dice: «non ti chiedo se sei Jack Duluoz perché mi risulta che lui porta la barba, ma sai dirmi dove posso trovarlo? Voglio un vero beatnik alla festa che do tutti gli anni» – ospiti ubriachi che mi vomitano nello studio, rubando libri e persino matite – Gente mai invitata che conosco appena che mi si piazza in casa giorni e giorni per via dei letti puliti e dell’ottima cucina di mia madre – Io in pratica sempre sbronzo per fingermi allegro e tener dietro a tutto quel casino alla fine rendendomi conto di essere circondato e sopraffatto e che dovevo filarmela per ritrovare un po’ di pace o sarei morto – Così Lorenzo Monsanto mi ha scritto dicendo: «Vieni su alla mia baita, nessuno verrà a saperlo» eccetera e come ho detto sono arrivato in incognito a San Francisco dalla casa di Long Island (Northport) viaggiando per tremila miglia in un gradevole scompartimento del treno California Zephyr da cui vedo l’America scorrere sullo schermo privato del mio finestrino, veramente felice per la prima volta in tre anni, chiuso nello scompartimento per tre giorni e tre notti con il mio carrè in polvere e i miei panini – Su per la valle dello Hudson e attraverso lo Stato di New York fino a Chicago e poi le Grandi Pianure, le montagne, il deserto e finalmente le montagne della California, tutto così facile e come un sogno in confronto al vecchio e faticoso autostop di quando non avevo ancora i soldi per prendere i treni transcontinentali (in tutta l’America i ragazzi delle superiori e dell’università pensano: “Jack Duluoz ha ventisei anni ed è sempre sulla strada a fare l’autostop” e invece eccomi qui a quasi quaranta, disgustato e stanco nella cuccetta di uno scompartimento che sfreccio attraverso il Deserto Salato) – In ogni caso una fantastica partenza per il rifugio generosamente offerto dal buon vecchio Monsanto ma invece di andar via liscio mi sveglio sbronzo, con la nausea, schifato, spaventato, anzi, terrorizzato da quella mesta canzone che aleggia sui tetti mescolandosi agli schiamazzi lacrimosi di un’adunanza dell’Esercito della Salvezza giù all’angolo: «Satana è la causa del tuo alcolismo, Satana è la causa della tua immoralità, Satana è ovunque e ti distruggerà a meno che tu non ti penta adesso» e peggio ancora i conati dei vecchi ubriachi che vomitano negli scompartimenti accanto al mio, lo scricchiolio dei passi nel corridoio, rantoli dappertutto – Incluso il rantolo che mi ha svegliato, il mio stesso rantolo nel letto sfondato, un rantolo provocato da un gran Huu Huu che mi rombava forte in testa facendomi schizzare su dal cuscino come un fantasma. (*): Si tratta di I’ll take You Home Again Katheleen, un brano tradizionale americano del 1875. Contatore visite dal 23-02-2009: 9249. |
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