Opere di

Marcella Ferraro


Ballata astrale

Tempio celeste irrorato di stelle,
ballata astrale sul mare!

Riflessi scandisce
di luci

la luna:

presto
farà il bagno
scendendo nel mare brunito

d’agosto

e tutto l’amore suo coglierà

mille fiori di stelle

lasciando cadere
nell’acqua

innamorata.


Verso il Gargano

Lieve protegge,
il velo di nube bianca

sospeso,

la sacralità dei biondi pascoli

al piano

e la foresta ombrosa
di pini e mirti e cespugli odorosi,
di faggi e orchidee,
di resinosi abeti
di aceri solitari, dai fiori alati
e copre il tavolato

dall’alto,

nel limpido azzurro cielo
di mite fine maggio,
mentre il daino e il cervo
si perdono giocando

tra le note fronde

sul monte dell’Arcangelo.

Morbido corpo di donna
avvolto ancora nel tulle suo sponsale,

all’alba,

il Gargano

mi calamita piano

tra sue accoglienti braccia distese
di madre in attesa
e i suoi mille seni gonfi
m’irrorano
di latte e vinsanto

inebrianti

e mi saziano lo sguardo
da lei intenerito.


Plenilunio nuziale

E colsi la luna lassù,
oltre alpestri cime innevate.
Stregava, a febbraio, la notte mia

insonne.

Mari e monti suoi,

– travolgente bellezza! –

tutta accendeva ai lontani.
Svestita,

di luce incantava

d’amorosi gli sguardi.

E sfilava di là, nel cielo, la luna.
S’alzavano qui le maree,
s’inquietavano greggi di lupi.
Ma morbido era il suo andare,

quasi passi di giovane sposa

e mobile il corteo

di stelle

un velo il prato celeste ammantava.
A guardia ruggiva,
ampia chioma sua forte scuotendo,

il Leone:

spagliava l’Oceano
e quieto sciame di Pesci sfuggenti
veloce agitando

unghiata una zampa.

Oltre la sponda nuziale portava la luna,
nel cerchio alone di tulle…
Luce calda d’eternità vi cercavo
– me franta dall’esilio svegliasse! –
in sconfinati spazi, in mare infinito
e oltre, oltre il vetro, limpidi i tratti
del mio sposo dal balcone subito colsi.


Approdo

Sospendono le notti ogni amarezza,
non ai sogni chiedendo di far luce
o al mare pace

– se in balìa di forte brezza –

ma scrutando nel profondo
dove il Vero ci conduce

e dove poi ci ferma.

Qualcosa all’improvviso
in noi traluce
e non restiamo soli tra gli scogli,
vedendo in lontananza
Chi ci attende,
che braccia stende
a noi già aprendo Sue.

Spossati dal viaggiare della vita,
scampati a naufragi e fratricidi,

oranti e penitenti

a Dio in ginocchio
per sempre

torneremo,

la Verità Assoluta

tra le stelle,

contemplando.


Il tappeto volante

(per ricordare Iqbal Masih, schiavo nelle manifatture di tappeti
del Pakistan venduto a 4 anni, attivista sindacale a 9, martire a 12)

Oh, come avrei voluto anch’io vederti
spiccare il volo nel cielo aperto di Islamabad,
tra lo sfarzo del sole e le creature meravigliose dell’aria!

Dicono che cavalcavi felice nel vento, verso Persepoli,
come re nel deserto assetato, in piedi sul tappeto pregiato
tu che, capelli d’ebano, da tempo già e con fatica
l’abbellivi col punteruolo, al fitto telaio, come rapito da un sogno
e t’attardavi negli arabeschi di fiori colorati o nella bordura bella
che incornicia l’incantevole araba fenice, annodando e tagliando
un capolavoro di disegni lucenti e tecnica antica.
Ce lo avevi detto, Iqbal, che era magico quel tuo tappeto
e che ti avrebbe condotto altrove, oltre le foci fangose dell’Indo,
dove nuotano ancora i coccodrilli feroci e oltre il Pakistan torrido,
dove Buddha medita estatico i ritmi del tempo umano
aprendo appena appena i suoi occhi lontani, felice senza passioni.

Hai sorvolato le terre persiane, sei stato fra i mongoli a cavallo
e i califfi, giocato senza sosta tra il Kashmir montuoso e il Mare Arabico
andando in cerca delle incredibili storie raccontate in urdu e in sindi
dai mercanti spietati che fecero razzia per poche rupie
del lavoro in ginocchio e dei pasti mancati, nel caldo rovente,
tra la polvere, mentre le mani già esperte tendevano i fili d’ordito
e facevano scorrere il pettine di legno per districare la morbida lana.

Ma ora, occhi neri aperti sul mondo, liberi vedi correre nei pascoli
le pecore dal lungo vello, gli stambecchi regali, i gatti selvatici
e le imprevedibili pantere nascoste tra le boscaglie sabbiose.
Avrai gareggiato col leopardo delle nevi e le aquile dalle grandi ali.
Avrai visto tutto questo per la prima volta in un solo giorno,
inseguendo nel vasto deserto il drago e la fenice dei dipinti
e l’orso nero sulle montagne gelate. E tu, piccolo Iqbal,
che non hai conosciuto Scharazad né Ali Babà delle fiabe irreali
né l’antica Babilonia nei miti slavi, sei diventato fiaba bruciante
e riscatto per noi altri tessitori presi senza scrupoli in appalto
e per un istante abbiamo sentito il soffio della libertà sul viso stanco.



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