Nel suono di una goccia
L’ora ferma
si dilata in un’aria di vetro,
nel suono di una goccia che cade,
perla liquida
che si dirama nel silenzio.
L’attesa perpetua
nel pozzo dell’essere,
scandito nel riflesso del tempo,
l’ipotesi di un destino incompiuto.
Divampa ancora l’ardore,
come un giglio immacolato
in un campo di cenere,
l’alabastro che si spacca
come carne viva.
Nella pianura di brina,
l’orchidea si dissolve
come cristallo terso,
nella lacrima che scivola.
Mostra le vene del dolore,
un macigno che rotola
in un cielo d’inchiostro,
che taglia le stelle nel sangue di luna.
Ascolto il murmure dell’infinito,
come se l’immortalità mi appartenesse,
attraverso le linee invisibili del destino.
Nel suono di una goccia
che cade sull’acqua,
la vibrazione che fissa l’istante,
uno squarcio nell’oscurità.
Le labbra profumate di ciliegio
Lasciami nelle vene di un fremito
che s’adagia nel respiro delle cose,
nei solchi di un tempo immobile.
La promessa che germoglia,
e si fa corpo sotto la mia pelle.
Ti rivesti nel muschio d’aurora,
a spargere nella rugiada d’autunno
le labbra profumate di ciliegio.
Non lasciarmi nella nebbia
che ricama i contorni d’ombra,
coprimi nel tuo canto quando il giorno
si tesse nel gelo.
Dammi un sussurro
che mi porti sulla tua scia,
la tua impronta che si innalza nel vento
e si schiude nel cielo.
Libere di essere
Quelle vite prosciugate,
soffocate dal possesso
disciolte nel nero,
a sfrangiare il cuore nelle arterie.
Si schiudono nella penombra
nelle pareti sigillate,
inseguendo la luce ramata
di un’aurora.
L’amore stretto nella coltre silenziosa
di passioni frantumate,
raschiate nel rancore.
Atmosfere rarefatte su corpi indifesi,
e gemme oltraggiate con la lama,
sulla carne strappata.
Nel sangue che scorre
e si fonde nello scroscio di lacrime
ancora tinte di rosso,
dentro notti pesanti da ricomporre
senza osare un battito.
Il risveglio tutto nel bianco
si sfalda nell’alba che tace,
in un cielo accasciato sopra.
Per una notte,
libere di essere stelle alate,
a innalzare gli occhi,
fiancheggiare l’amore su filamenti di luce,
e spaccare di grida la terra.
Un fremito d’incensi
Quando il manto placido
del silenzio sussurra
nella nuda ansa delle tue acque,
tutto si svela sull’orlo
sfumato delle ombre.
Capisci come l’anima
ricerca la voce chiara,
l’eco degli sguardi
un sentire al vivo pulsare.
Quando un grido
si lancia come un’ancora
smarrita in mezzo all’oceano,
si dipinge nel maestrale
l’intima quiete che cerchi,
e si espande soave
senza mai vacillare.
E quando l’iride
si dilata è un volo
nella luce.
Uno spasmo che si allarga
e sprofonda nell’ardore
di un corpo assetato nella brama,
il vizio dell’amore.
Così l’essenza
raggiunge l’apice,
un fremito d’incensi,
il cuore sazio.
L’iridescente emozione
È sfuggente
l’inaccessibile orizzonte,
sognante sponda
distesa nel grembo d’ombra.
Evoca arcani versi,
si svelano intorno a noi,
si fanno manto di rugiada
Sussurrano il mistero,
afferrano silenzi interiori,
il mormorio nell’oscurità.
In un mare di pensieri segreti
voci si intrecciano,
suoni ermetici si addensano
nel cielo aperto.
Sale il magma di un sole
troppo forte.
Un rosso vortice di corpi
sciolti nell’oscurità,
come stelle erranti.
Sono frammenti di luce
che si abbracciano,
e incantano come un dipinto
avvolto da petali di rosa.
Freschi profumi
che corteggiano quell’attimo.
Il canto del silenzio,
tra le pieghe di un tempo sottile,
che scoppia dentro di noi.
Ci scopriremo
nei solchi dell’anima,
nell’essenziale.
Il dolce bisbiglio
del battito dei nostri occhi
sarà l’iridescente emozione
di un destino eterno.
Perché la sponda
di quell’orizzonte,
sarà il sigillo
sulle nostre labbra.
Accade ancora
Accade ancora che il tempo
si rabbuia nella bruma,
e nell’incavo di un’ombra,
un grido si scioglie nella pelle.
L’attimo sospeso coperto nel buio
dove comincia una notte gelata
senza stelle,
senza alzare lo sguardo al cielo,
nel palmo della mano del carnefice.
Vite offese nell’amore costretto
da volti sconosciuti scaduti nell’abisso,
il dolore che scende sul ventre,
la parola muta di un cupo desiderio.
Accade ancora,
che tra le pareti tutto era luce,
vissuto nell’abbaglio
di un battito sempre vivo.
Nel dopo
è un risveglio sfilacciato,
affiorano i lividi,
l’abitudine allo sfregio.
Colpevole una stoffa troppo corta,
la leggera voluttà di lucide labbra,
le catene spezzate a recidere
un vivere schiacciato.
Come se prese nel sangue,
quell’istante potesse smentire il dubbio,
rigettare l’abbandono
senza lasciare traccia.
Accade che il dissenso
per un velo
che le vuole immacolate,
diventa un martirio
sul giogo degli aguzzini,
stretti nel deserto dell’odio.
Accadrà un sorso di luce
dove s’abbevera
un orizzonte che chiede
l’imminenza di un’alba profumata.
Dove il chiaro arriva
sui rami contorti a restituire
nelle venature le parole perdute.
Il verso dell’anima
Il dopo,
è la dissolvenza nell’oltre,
la chiusura degli occhi,
il giorno più breve.
Sul bordo dell’ultimo passo
il passaggio senza penombra,
tramutati dalla polvere
nel trascendente.
L’impercettibile battito del silenzio,
l’acuto dell’anima
che risale nell’albore fuori dal cielo.
L’avvicinarsi in fasci di luce
nella perfezione del tutto,
laddove il seme ritorna alla sua origine,
s’innalza nel manto della grazia,
lontano dall’immanenza brulicante
macchiata di rosso.
La veglia della nostra impermanenza,
racchiusa nel seme che sapiente germoglia
nella disciplina del vivere e poi,
la parola piena dove l’insidia ammutolisce
nell’assenza del fango.
Fieri delle nostre radici,
amati dal verso dell’anima,
disorientata la ruggine,
saremo alba nel respiro divino.
La notte non è mai silenziosa
Porgimi il tuo orizzonte
nella veglia del tuo sentire,
come seme improvviso
creami un verso di luce,
raccolto nelle auree corolle
che sgorgano lisce dalla nuda gemma.
Un vorticare in versi di gocce argentate,
vanno esornando quella vetta carnale
dove appoggiare le nostre labbra,
e fluire nell’albore di un’eclissi di luna.
Nel framezzo di albe dorate
fendono bagliori ambrati,
ramificati nelle acque terse,
intiepidite dalla tua bocca
come approdo che si schiara
nell’onda schiumosa.
Saranno frammenti di suoni,
echi che sfumano sui richiami dei sensi,
vibrazioni di corpi levigati in soffici essenze,
che scivolano lievi nella soglia
di una notte che non sarà mai silenziosa.
Nella moltitudine dei cieli
Ci aspetta qualcosa,
dentro quello che resta
nel gocciolare del tempo,
nella moltitudine di cieli,
nei luoghi dove l’anima
s’avvera nella sintesi
di un respiro.
Per scoprire la stessa alba,
aggrappata tra cumuli di nuvole,
a restituire scintille nei corpi
dove è possibile scambiarsi sotto pelle,
tutta la luce densa,
che trasuda dai nostri occhi.
Nell’amore che sale su,
e in quello che rimane
nella piena della sera,
in fusione con l’attimo
che entra dentro la carne.
Saremo a sciogliere distanze,
nei sospiri accennati,
che purificano la luce,
prima che il tutto possa accadere,
nelle vene del fiume
che preme contro.
Spremersi dentro mille notti,
scavare il buio,
parlarsi solo con il corpo,
con quello che viene addosso,
e mutare l’esistere con petali di fiore,
e di baci che lambiscono
una moltitudine di cieli ambrati.