SOLO
Lungo la strada della stazione, un uomo camminava nella notte fonda.
Il passo veloce, lo sguardo dritto davanti a sé avrebbero incuriosito altri passanti a quell’ora così tarda… Ma ne incontrò uno solo per un lasso di tempo che pareva interminabile, forse qualcuno che rientrava in città, chissà da dove. L’uomo varcò la porta della ferrovia, attraversò il salone deserto, e si affacciò al primo binario. Rimase immobile, impietrito nel silenzio della notte che si udiva anche dentro la stazione; gli occhi oltrepassavano i binari distesi nell’oscurità, e sembravano vedere, fissare qualcosa.
Se ne andò, imboccando un’altra direzione, quella del corso principale.
Le luci dei negozi illuminavano il suo cammino senza luna. La nebbia isolava il suo corpo infreddolito, gocciolando sui capelli, unica presenza viva nella notte vuota.
I lampioni sparsi, divenuti aloni luminosi, tentavano di indicargli la via, ma il capo si manteneva rigido e insistentemente volto in avanti, come se non gli importasse nient’altro che di ciò che inseguiva la sua mente, o che intravedeva da assai lontano.
Da quando una donna l’aveva salutato per l’ultima volta, non era riuscito a sentirsi per più di un minuto come se con violenza improvvisa gli avessero squarciato il cuore.
In un baleno aveva percorso gli anni della sua storia d’amore, e mentre li aveva scorsi erano sembrati passargli davanti velocissimi. I piccoli momenti di gioia inattesa, i grandi sogni di una serenità futura insieme, solo semplicemente sempre insieme, erano passati inafferrabili dinanzi a lui, irriconoscibili, veloci e già lontanissimi mentre li aveva pensati; aveva cercato di catturarli nella memoria di quegli attimi, che erano fuggiti davanti a lui come sconvolti e spazzati via da un vento impetuoso.
Non era riuscito a vivere con sé stesso per più di un minuto. Aveva aperto la porta di casa e si era messo a camminare per la città buia.
Procedeva senza sosta, e senza un pensiero.
La città addormentata non si accorgeva di lui; non c’era nessuno a rivolgergli la parola, e niente a richiamarlo.
La strada lo portava fuori dal centro storico, dove si allargava per cedere spazio alle auto, che stanotte comparivano sfocate, sbucando repentine dall’atmosfera compatta.
Ci fu un momento in cui il suo sguardo sembrò divergere da quell’unico punto di fronte a sé, sembrò sfiorare tutta quella consistenza grigia che lo circondava, e sembrò quasi dilatarsi, riprendere per poco un aspetto normale.
La nebbia scendeva a strati spessi e densi che lo avvolgevano, donandogli per un attimo un senso di protezione. Era come bambagia che lo abbracciasse, coprendo i suoi occhi di fitto grigio, impedendogli di vedere cosa lo aspettava.
Quando un’auto superò il marciapiede, sentì un tuffo tra il cuore e lo stomaco, qualcosa di devastante che lo immobilizzava. Arrestò la sua corsa sul lungo marciapiede solitario. Gli era impossibile sapere cosa dovesse fare e capire dove dirigersi. Nella sua mente era affiorato qualcosa che pareva annullare ogni altro pensiero, e bloccare tutti i movimenti del corpo.
In quell’istante era arrivato a comprendere, a percepire con tutta l’anima che il sentimento da sempre provato per lei, al quale aveva dato di volta in volta definizioni diverse, era in realtà solamente amore, nient’altro che un puro e autentico sentimento d’amore.
Appena l’ebbe riconosciuto, abbassò la testa sul marciapiede per non vederlo, battè i pugni su quel muro, contro il quale poteva solo sfracellarsela la testa.
Cercò l’orizzonte lontano, alla fine della strada, dove la città stava per perdersi, volgendosi alla campagna. Laggiù l’oscurità sembrava più profonda e forse si poteva cacciarvi dentro meglio la testa.
Prese a camminare come una persona in ritardo ad un appuntamento inderogabile. Gli occhi piantati nell’asfalto quasi non si accorsero di un’unica automobile che lo sfilò. Era un uomo in fuga.
La nebbia fasciava il suo corpo nella notte densa, ed egli annaspava lasciandosi poi condurre, arreso, sempre più avanti.
Quando la notte si aprì attorno a lui nella vastità della campagna, egli, nel buio più intenso del tragitto, vide la grandezza di ciò che provava per la sua donna. Sentì il cuore spalancarsi, e poi stringersi di colpo e battere forte come percosso da qualcosa da cui non poteva difendersi.
Colto dall’affanno, si mosse di scatto, dimenò le braccia, tentò quasi di divincolarsi impaurito, in quell’atmosfera irreale. Affondò gli occhi nel fumo che lo circondava ed ebbe l’impressione di perdere l’equilibrio e di mancare.
Si voltò verso quella parvenza di strada che ancora lo attendeva per proseguire, ma la nebbia all’improvviso divenne una parete che non aveva voglia di valicare; sentì le forze venirgli meno, e la stanchezza della corsa per la città lo fece crollare in un attimo.
Istintivamente si girò, e iniziò a percorrere a ritroso il cammino che aveva appena compiuto. Trascinando i piedi, con la testa perennemente sul petto, si spinse fino al portone di casa.
Si gettò sulla sedia.
Tutto adesso era perfettamente nitido: il tavolo di cristallo con gli ultimi giornali appoggiati di sbieco, i fiori, il portafrutta, e là, nell’angolo, la credenza con la vetrinetta. L’uomo ritrovava il suo mondo familiare, come se fossero trascorsi dieci anni.
Nella notte che ancora restava, rimase seduto con gli occhi sbarrati, senza un accenno di sonno, che giungesse a dargli lieve sollievo.
Con un macigno sul petto, cercava di indovinare il suo futuro, ma non gli veniva in mente proprio nulla.